CITTA
CITTÀ. – La crescita delle città. Le varianti geografiche del fenomeno urbano. Altri aspetti che incidono sull’inurbamento. Le smart citiese la questione energetica. L’Africa. L’Europa. Bibliografia.
L’idea di c. racchiude, com’è noto, almeno due aspetti diversi: quello fisico – l’urbs, fatta di edifici, infrastrutture ecc. – e quello sociale – la civitas, formata dai cittadini che vi abitano. In tal senso, le c. costituiscono anche la concreta sostanza dei programmi politici con cui sono amministrate, rispecchiando le società di cui fanno parte e le relative forme di governo. Il loro successo testimonia il successo di tali società come di tali forme di governo e viceversa. Le c. sono anche i luoghi della contiguità fisica e delle alte densità; della libertà e mobilità sociale; dell’ideazione, dell’innovazione e della maggiore produttività, dove conflitti fra culture, religioni e visioni del mondo diverse sembrano concentrarsi, confrontarsi, talvolta scontrarsi. Le c. sono fatte di architetture, anche se l’architettura delle c. non può che prendere atto della sua impotenza di fronte alla complessità dei fenomeni urbani, sdoppiandosi in ruoli diversi: la produzione di edifici (come risposta a necessità pratiche) da una parte; la ricerca di idee e qualità estetica dall’altra. Le c. costituiscono infine un sistema interconnesso a scala globale: sia dal punto di vista digitale sia da quello fisico. Le grandi c. sono spesso meglio collegate fra loro di quanto lo siano con quelle minori che sorgono in regioni geograficamente limitrofe. Ciò avviene grazie alle reti ferroviarie ad alta velocità, per lo più su scala nazionale; alla scala internazionale e intercontinentale sono invece i collegamenti aerei e marittimi (soprattutto per il traffico merci) ad avviluppare il nostro pianeta in una rete in continuo sviluppo: se i cinque maggiori porti del mondo sono tutti concentrati nell’Asia sud-orientale (Singapore, Shanghai, Hong Kong, Shenzhen e Busan), New York e Londra sono collegate fra loro da oltre 50 voli diretti al giorno; i voli fra New York e Washington sono quasi 200; quelli fra San Paolo e Rio de Janeiro – la cosiddetta ponte aérea – poco meno di 250. Va detto infine che «la connettività digitale e quella fisica si sono rafforzate a vicenda, creando una rete di cittadini solida e produttiva» (Ratti 2014, p. 79).
Tuttavia, dietro la generale fiducia nelle tecnoscienze, nell’immaterialità digitale, nelle comunicazioni ecc., le future prospettive, oltre a dipendere evidentemente dai poteri economici, mostrano una progettualità frammentaria se non assente, spesso limitata alla ricerca dell’originalità fine a se stessa. Anche per la c. dunque, come si è detto a proposito dell’architettura, il divenire come principale carattere distintivo della contemporaneità appare indebolito dall’assenza dell’essere: di qui la riproposizione, da parte di alcuni studiosi come Vittorio Gregotti, del concetto di modificazione: «tra i significati della parola ‘modificazione’ in architettura trova oggi un posto importante anche quello che la contrappone, soprattutto per ciò che riguarda il disegno della c., all’idea, o meglio all’ossessione, dell’espansione senza regole, che si propone come una riflessione progettuale intorno alle risorse offerte dal contesto esistente e alle sue possibilità e condizioni non solo di rinnovamento ma anche di sviluppo, come valore assoluto» (Gregotti 2014, p. 131). A fronte di un quadro così complesso, i paradigmi impiegati finora appaiono obsoleti e non più utilizzabili. Ma nuovi, più appropriati paradigmi di riferimento non sembrano ancora aver assunto forme sufficientemente stabili perché li si possa utilmente applicare.
La crescita delle città. – Il fenomeno, in particolare la crescita demografica, è molto importante: come Geoffrey
B. West ha scientificamente dimostrato, al crescere della popolazione crescono anche i servizi disponibili, la produttività, i redditi medi pro capite, la velocità con cui si cammina, i contatti personali, i tassi di criminalità ecc.: una lunga serie di indicatori insomma, sia positivi sia negativi. Se attualmente oltre il 50% della popolazione della Terra vive in c. (si parla, in particolare, del 54%), alcune proiezioni indicano che nel 2050 tale percentuale raggiungerà il 75%. Un simile tasso di crescita è certamente significativo e, per non pochi aspetti, preoccupante, soprattutto se si ricorda che intorno all’anno 1900 la popolazione urbana era stimata pari al 10% del totale. Gli aspetti che destano maggiore preoccupazione sono legati al fatto che una simile crescita, che non ha ovviamente precedenti storici, tocca in particolare c. inadeguate a farvi fronte. Gran parte della popolazione mondiale si concentra, com’è noto, in alcune specifiche aree del nostro pianeta: il Subcontinente indiano, in particolare nelle grandi pianure alluvionali del Gange; la Cina, nel bacino dello Yang Tze; le coste occidentali dell’Africa. In megalopoli come Delhi, Mumbai, Dacca, Lagos o Kinshasa, per es., l’incremento demografico dovuto alle nuove nascite da una parte e all’immigrazione dalle aree rurali dall’altra, è stimato nell’ordine dei 35-45 individui all’ora, oltre 300.000 l’anno. Kinshasa, in particolare, è passata, nel breve volgere di cinquant’anni, da poco più di 400.000 abitanti a circa 10 milioni.
Le varianti geografiche del fenomeno urbano. – A fronte di tali concentrazioni, l’impronta ecologica degli insediamenti urbani – ovvero la superficie sulla quale si risente delle attività umane – è tuttavia drammaticamente estesa, fino a coprire oltre l’83% della superficie terrestre. La crescita determina, inevitabilmente, un sovraccarico per i consumi idrici ed energetici, le infrastrutture, gli alloggi, le scuole, gli ospedali e così via, cui risulta difficile dare risposte rapide e concrete. Essa si presenta, ovviamente, con caratteri molto diversi a seconda delle diverse aree geografiche: concentrata prevalentemente in Asia, Africa e nell’America Meridionale, appare invece pressoché stabile in Europa e in America Settentrionale. In questi due continenti non mancano, anzi, c. la cui popolazione decresce: ciò avviene, per es., a Detroit (dove pure il declino, in corso da ormai qualche decennio, sembra in fase di rallentamento), ma anche, per restare negli Stati Uniti, a Buffalo, Cleveland, New Orleans, Pittsburgh e Saint Louis: la Rust belt che, alla fine dell’età industriale, non è riuscita a reinventarsi come ha fatto New York. All’estremo opposto si collocano Atlanta, Dallas, Phoenix e Houston, la Sun belt, la cui crescita, sia demografica sia territoriale, è invece rapidissima. Houston, in particolare, unica fra le grandi c. americane, continua a non avere un regolamento edilizio: la regolamentazione è vista come limitazione ed è considerata responsabile della crescita dei prezzi. Alcune aree urbanizzate delle coste californiane, che vantano severe limitazioni alla costruzione di nuovi edifici, riducendo quindi l’offerta a fronte di una elevata domanda, hanno prezzi altissimi (si pensi alla paesaggistica-mente pregiata area di Marin County, a nord di San Francisco). In calo sono anche Liv erpool e Glasgow, anch’esse incapaci di reinventarsi come ha fatto invece Londra, e alcune c. dell’Europa orientale (Lipsia, Brema, Vilnius), dove il passaggio dall’economia industriale a quella postindustriale ha creato sostanziose perdite di posti di lavoro. Nel prossimo futuro si prevedono cali demografici a Berlino, San Pietroburgo, Kharkov, ma anche, per ragioni diverse, a L’Avana o Seoul.
Purtroppo anche le c. dell’Italia meridionale e insulare mostrano una preoccupante tendenza alla contrazione demografica. Inutile sottolineare infine come la corsa all’inurbamento stia determinando una simmetrica, progressiva disintegrazione delle zone rurali: con proporzioni gigantesche in Cina (e preoccupanti risvolti sociali ed economici); più modeste nel nostro Paese: si pensi al lento, ma inarrestabile invecchiamento e spopolamento dei centri minori, soprattutto nelle zonemontuose del Centro e del Sud. È forse questo il motivo per cui Rem Koolhaas, dopo aver analizzato per decenni la c. con risultati di eccezionale qualità scientifica, sembra attualmente più interessato alla ricerca sulle aree rurali.
Altri aspetti che incidono sull’inurbamento. – I fenomeni di inurbamento della popolazione sono sostanzialmente legati alla ricerca del lavoro, oltre che alle più generali condizioni di attrattività di alcune c. rispetto ad altre. Quando le condizioni economiche raggiungono livelli accettabili, l’immigrazione dalle aree rurali verso le c., o da alcune c. verso altre, tende a rallentare. È ciò che è accaduto, per es., negli ultimi anni in Brasile. A fronte di ciò, altre c. oggetto di una crescita impetuosa, si pensi a Giacarta, Bangkok o Lagos, non si sono dimostrate in grado di controllare il fenomeno né di rispondere con politiche efficaci. L’inurbamento della popolazione è così avvenuto, e continua ad avvenire, al di fuori di ogni pianificazione e adeguamento infrastrutturale, determinando la formazione di insediamenti abusivi cui, inevitabilmente, corrisponde una caduta dei livelli di qualità della vita: il fenomeno è registrabile non soltanto nelle parti più povere dell’Asia, dell’America Latina e dell’Africa, ma anche, sia pur con connotazioni diverse, in molte c. europee e segnatamente italiane. Interessanti sono anche i dati legati allo Human development index (HDI), regolarmente divulgato dalle Nazioni Unite, che misura qualità e aspettative degli abitanti (compresa quella di vita): agli ultimi posti si collocano, prevedibilmente, l’Africa subsahariana e il Subcontinente indiano. Le stesse aree si segnalano purtroppo anche per l’esposizione ai rischi ambientali (dissesti idrogeologici, alluvioni, terremoti ecc.); limitatamente a questi ultimi, vanno aggiunte molte zone urbanizzate del cosiddetto Pacific rim: le coste occidentali del Centro e del Sud America, l’Indonesia, le Filippine, il Giappone.
Spesso le c. rivelano tuttavia inaspettate capacità di resilienza: un concetto che, applicato ai fenomeni urbani, designa l’adattabilità della struttura – fisica, ma anche sociale, culturale ecc. – al mutare delle condizioni esterne, il suo grado di flessibilità e la sua capacità di reazione alle sollecitazioni, soprattutto quelle negative. Alla resilienza si deve il fatto che molti annunciati collassi di grandi metropoli del mondo non sono in realtà avvenuti, ancorché a costi elevati in termini di ingigantimento dei problemi e disensibile diminuzione della qualità della vita. È stato il caso, alcuni anni or sono, di Città di Messico, che ha inaspettatamente ridotto i suoi tumultuosi tassi di crescita; e sembra essere il caso, in questi ultimi anni, di San Paolo del Brasile. I problemi sono solitamente legati alla carenza di acqua potabile e all’insufficienza delle reti fognanti. La gravità di tali situazioni in alcuni casi ha innescato operazioni di retrofitting portate avanti con successo. Ciò che è avvenuto, per es., in molte favelas di Rio de Janeiro, oggi servite da acqua, gas, elettricità, servizi postali ecc., e all’interno delle quali l’inadeguatezza della rete viaria o della luminosità naturale degli alloggi è compensata dalla vivacità del contesto urbano e dai benefici sociali propri delle alte densità. Non a caso, vi si stanno realizzando architetture significative: si pensi all’Arena do Morro, dedicata alla danza e al gioco, sorta nella favela Mãe Luiza a Natal, all’interno del progetto umanitario A vision for Mãe Luiza, opera dello studio svizzero Herzog & de Meuron (2011-14); o agli alloggi minimi, appropriati alle densità e alle condizioni economiche di alcuni barrios particolarmente svantaggiati, per i quali è prevista una spontanea crescita nel tempo, costruiti in Cile da Alejandro Aravena.
Notevole importanza ha assunto il dibattito sull’opportunità della crescita urbana, non solo in termini demografici, ma anche di consumo del territorio e appropriatezza dimensionale ai fini gestionali. In alcuni casi, com’è noto, la modernità ha risposto sostituendo alle mura storiche di un tempo cinture verdi di contenimento dell’edificazione, al di là delle quali sono stati costruiti quartieri satelliti anche molto distanti dai centri. La green belt ha funzionato sufficientemente bene a Londra; Toronto ne ha una ancora più estesa di quella londinese, al pari di altre c. costiere del Pacifico settentrionale. Altrove, tuttavia, l’allontanamento della popolazione dalle aree centrali ha determinato un insostenibile pendolarismo, con tempi medi che hanno superato le quattro ore al giorno in c. come Lagos o Rio. All’estremo opposto si collocano c. caratterizzate da densità molto elevate che, con l’aiuto di sistemi di trasporto pubblico ben integrati fra loro, determinano pendolarismi medi sorprendentemente contenuti: Hong Kong, che pure ospita circa 8 milioni di abitanti, ha tempi di percorrenza medi giornalieri di poco superiori ai dieci minuti. Le c. che resistono alla crescita costruendo poco, determinano spesso, come s’è anticipato, un innalzamento dei prezzi sul mercato immobiliare. La tutela dei centri storici europei ha pertanto un costo economico e sociale significativo: «in ogni caso, i limiti edificatori vincolano le città al loro passato e limitano le loro possibilità per il futuro. Se le città non possono crescere in altezza, cresceranno fuori. Se si ferma l’edificazione di una città, la crescità avverrà altrove» (Glaeser 2011, p. 163).
Dal punto di vista demografico, l’area metropolitana costituita da Tōkyō-Yokohama si conferma la più popolosa del pianeta (un predominio che dura da oltre mezzo secolo): nelle stime del 2014, è posizionata poco al di sotto dei 38 milioni di abitanti. Ma il gap che la separava, in un passato anche recente, da altre megalopoli la cui crescita è stata negli ultimi anni molto più rapida, si è sostanzialmente ridotto: Gaicarta ha raggiunto i 30 milioni; Delhi, Seoul-Incheon, Manila, Shanghai e Karachi, in ordine decrescente, sono comprese tutte fra i 20 e i 25 milioni. Appena sopra la soglia dei 20 milioni appaiono tre città americane: New York, Città di Messico e San Paolo. Molto diverse le classifiche delle superfici urbanizzate, i cui primi posti sono per lo più occupati dalle estese città nord-americane, la cui mobilità è ancora oggi prevalentemente basata sull’uso dell’auto: Tōkyō passa così al secondo dopo New York, Mosca si colloca al decimo; tutte le altre posizioni sono occupate nell’ordine da Chicago, Atlanta, Los Angeles, Boston, Dallas-Fort Worth, Philadelphia e Houston. Completamente diverse le classifiche delle densità. Le prime sei c. sono tutte nel Subcontinente indiano: Dacca, Hyderabad, Mumbai, Kalyan, Chittagong e Vijayawada. Si tratta, evidentemente, di casi in cui la densità si accompagna a condizioni economiche difficili. Al settimo posto si colloca Hong Kong, al nono Macao: qui gioca la scarsità di territorio, a fronte di condizioni economiche favorevoli.
Non tutte le c. funzionano insomma allo stesso modo: i livelli di efficienza sono estremamente variabili. Le c. scandinave funzionano alla perfezione e vantano una qualità della vita molto elevata; quelle colombiane, da Bogotá a Medellin, hanno sviluppato con successo i trasporti pubblici e favorito l’uso delle biciclette, riducendo l’inquinamento. Tuttavia, a fronte di alcuni esempi positivi, si profilano problemi difficili da affrontare. Le proiezioni elaborate dalle Nazioni Unite mostrano che un neoimmigrato in c. su tre sarà costretto, suo malgrado, a vivere in uno slum. L’incapacità di offrire alloggi adeguati ai nuovi arrivati determina situazioni gravi destinate, prima o poi, a esplodere. Molte c. contemporanee stanno esperendo oggi ciò che visse, per es., Londra nella prima età industriale e stanno rispondendo con ricette analoghe quanto inadeguate alle nuove condizioni poste dalla contemporaneità.
Le c. non crescono ovviamente solo dal punto di vista demografico, ma anche dal punto di vista geografico. Si è accennato alle estese c. dell’America Settentrionale; particolarmente interessante è il fenomeno quando si tratta di porzioni di territorio recuperate alle acque degli oceani, dei mari, dei laghi e dei fiumi. Niente di nuovo: si pensi a quanto è stato fatto negli ultimi decenni, per es., a Doha e a Dubai. Nuove sono però le proporzioni da esso assunte in questi primi decenni del 21° secolo. Fra gli esempi più notevoli si segnala Songdo, la nuova smart city o, meglio, U-City (Ubiquitous-City) o U-Eco-City, c. completamente digitalizzata, ipertecnologica e realizzata dal nulla, a partire dal 2000, su 610 ettari sottratti al mare lungo la fascia costiera di Incheon, nella Repubblica di Corea: destinata a superare i 200.000 abitanti nel 2018, Songdo è collegata da un lungo viadotto sospeso al vicino terminal aeroportuale intercontinentale e, in quanto International business district, costituisce parte integrante della Incheon free economic zone. Il progetto, considerato uno dei più costosi della contemporaneità, prevede, fra l’altro, oltre a molte nuove torri, una serie di repliche: dal Central Park di New York ai sempre richiesti canali veneziani.
Le smart citiese la questione energetica. – Il caso di Songdo ci introduce alle c. intelligenti, che costituiscono uno dei principali ambiti d’intervento delle tecnoscienze contemporanee, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita urbana intervenendo, specificamente, in settori diversi: dall’energia alla mobilità, dall’acqua alle comunicazioni. Intelligenti erano già, per es., Silicon Valley in California e Bangalore in India, nel senso che avevano puntato sul potenziale umano, sulla ricerca e sull’innovazione. Il fatto che le c. costituiscano sistemi continuamente in crescita, richiede che le reti di supporto siano in grado di reggere alle future espansioni, ai cambiamenti, alla manutenzione, al degrado: in questo senso, l’infrastrutturazione deve essere provvista di una sua interna capacità di rigenerazione e di una certa adattabilità a nuove, anche imprevedibili, condizioni. Tianjin Eco city, per es., gigantesco progetto portato avanti, dal 2007 in poi, in Cina con l’aiuto del governo di Singapore, per la realizzazione di una nuova c. per
350.000 abitanti, è partito con obiettivi ambiziosi: alta qualità dell’aria e dell’acqua (potabile da tutti i rubinetti domestici), ridotte emissioni di CO2, rispondenza dell’edificato e dei trasporti agli standard verdi più avanzati, accessibilità garantita, una sufficientemente alta percentuale di edilizia residenziale sociale (il 20%), di energie rinnovabili (almeno il 15% nel 2020), di acqua proveniente da fonti alternative (riciclo e desalinizzazione, almeno il 50% nel 2020), nuovi posti di lavoro e così via. Purtroppo, in questo come in altri casi analoghi, non tutto è andato secondo le previsioni e i traguardi previsti sono per adesso lungi dall’essere stati raggiunti. In maniera meno ambiziosa, ma più concreta, e già dagli ultimi anni del secolo scorso, un’altra c. cinese, Dalian, si è impegnata nel settore delle alte tecnologie con la realizzazione della Dalian Hightech Zone e del Dalian Software Park nei sobborghi occidentali della città, non lontano dalla zona universitaria. Tale strategia ha portato a un discreto successo, con la progressiva localizzazione di un elevato numero di information technology companies nazionali, ma anche statunitensi, giapponesi, indiane ed europee, oltre a una notevole concentrazione di professional business incubators, istituti nati per favorire la ricerca digitale avanzata. Analoghe considerazioni è possibile sviluppare per il Suzhou Industrial Park e la Guangzhou Knowledge City, interventi anch’essi progettati e realizzati in collaborazione con Singapore. O per la Kashiwa-no-ha Smart City, non lontano da Tōkyō, che ha inaugurato una diversa stagione della progettualità urbana giapponese maturata dal 2011 in poi, cioè dopo il terremoto e l’incidente nucleare di Fukushima.
Come alcuni studi ambientalisti hanno mostrato (si pensi alle ricerche di George Monbiot), non è d’altra parte la crescita demografica a preoccupare maggiormente (con ogni probabilità, il picco è stato già superato) quanto il problema delle risorse disponibili: le c. consumano enormi quantità di energia, contribuendo per il 75% alle emissioni di CO2. Quelle dei Paesi in via di sviluppo dovrebbero abbandonare gli esempi nord-americani del recente passato e fare come ha fatto, per es., Bogotá, mentre, nella maggior parte dei casi, quando rispondono alle mutate condizioni, lo fanno costruendo insediamenti per le classi agiate e infrastrutture autostradali, consumando quindi territorio in maniera dissennata. Cina e India costituiscono due giganteschi Paesi le cui condizioni, in questo specifico ambito, destano forti preoccupazioni. Mentre negli Stati Uniti, spesso citati per la scarsa sensibilità al tema del contenimento dei consumi energetici, non mancano casi di successo: oltre a New York, che ha una sua positiva eccezionalità, Portland, Seattle, Washington e Chicago hanno imboccato percorsi virtuosi all’insegna della sostenibilità e dell’adozione delle energie rinnovabili. Politiche quali, per es., l’adozione della urban growth boundary, aggiornata versione della citata green belt, hanno effettivamente contribuito a limitare lo sprawl e a disincentivare l’uso dell’auto.
In Italia le città più smart sembrano Milano, Bologna e Firenze (stando alla classifica ICity Rate 2014, stilata da Forum PA per Smart city exhibition), ma siamo tuttavia lontani dagli esempi europei più virtuosi. Nel nostro Paese, il lavoro svolto in tale specifico settore appare infatti di carattere prototipale, in mancanza delle risorse finanziarie necessarie per un’adozione su vasta scala e soprattutto di comportamenti sociali consapevoli – più o meno ciò che Thomas W. Malone ha definito collective intelligence – che, insieme, sono in grado di cogestire un ecosistema urbano.
L’Africa. – In questi primi anni del nuovo secolo, l’attenzione degli studiosi si è spostata dalle c. dell’Asia a quelle dell’Africa. Il continente africano è infatti l’ultimo, in ordine di tempo, a esperire una crescente urbanizzazione
– nel 2030 le stime attribuiscono alle c. africane, nel loro insieme, un quinto della popolazione urbana del pianeta (Magrin, in Africa. Big change, big chance, 2014) –, ma appare anche sottoposto a una serie di cambiamenti che, per la loro radicalità, costringono a una ridefinizione altrettanto radicale delle teorie e della prassi dell’urbanistica. Dismesso il pensiero di origine coloniale, non è tuttavia emersa alcuna originale alternativa che non sia, come vedremo, l’improbabile riproposizione di ciò che, in contesti economici completamente diversi, è avvenuto, per es., a Dubai, Kuala Lumpur o Singapore. Forte e in crescita è tuttavia l’influenza economica, tecnica e commerciale della Cina sull’intero continente africano.
In Africa l’urbanizzazione si è determinata in assenza, o almeno in una situazione di grave carenza, di lavoro. Nella regione subsahariana il 43% degli abitanti delle c. vive al di sotto della soglia di povertà, il 62% abita in slums e le disparità di reddito appaiono in costante aumento (Watson, in Africa. Big change, big chance, 2014). Tuttavia si registra una classe media in rapida formazione ed estremamente dinamica, che genera una domanda, altrettanto velocemente in crescita, non solo di consumi in generale, ma anche di abitazioni e infrastrutture in particolare. I ritardi sono tuttavia forti: si pensi che a Lagos il primo moderno centro commerciale è stato aperto nel 2006, ad Accra nel 2009; i mercati interni della gran parte dei Paesi subsahariani sono inoltre ancora pressoché totalmente dipendenti dalle importazioni. Le contraddizioni non mancano: a Luanda il vorticoso sviluppo innescato dal petrolio ha prodotto una domanda di uffici così elevata da determinare prezzi più alti di quelli delle capitali occidentali. Molti, recenti piani di sviluppo urbano appaiono per lo più privi di specificità, promettendo alle élites e agli investitori uno status – nei fatti poco probabile – di c. globale. Masterplans che, pur auto-definendosi smarts ed ecosostenibili nella loro superficiale comunicazione progettuale, fanno in sostanza riferimento a un modello di sviluppo chiaramente insostenibile e che, soprattutto, ignora ogni forma di attenzione ai fattori umani e agli equilibri sociali. Si pensi, per es., ai nuovi, giganteschi progetti su scala urbana a Kigali, la capitale del Ruanda; a Eko Atlantic, in costruzione su 10 km2 di terra sottratta al mare a ridosso di Victoria Island a Sud di Lagos, definito il più grande piano di sviluppo del continente, con case, uffici e negozi per 250.000 abitanti; a Century City ad Abuja, ancora in Nigeria; alla Cité du Fleuve a Kinshasa, su due isole artificiali del fiume Congo; a Kigamboni-New Tanzania City ai margini di Dar es Salaam sull’Oceano Indiano; al piano di Nairobi per il 2030, in cui la realizzazione di numerose c. satelliti come Tatu City o Konza Technology City, tutte caratterizzate da evidenti intenti speculativi, è stata fermata da difficoltà finanziarie e scandali gestionali; o, infine, a Kilamba o alle cosiddette c. fantasma cinesi costruite ai margini di Luanda, rimaste per lo più disabitate perché troppo care anche per le nuove classi emergenti. Proliferano dovunque le gated communities, espressione di forme volontarie di separatismo sociale, economico e spaziale. Non mancano, tuttavia, alcuni esempi positivi: fra questi si segnala Mungano Kabimoto a Nairobi, un complesso residenziale realizzato e offerto a costi bassissimi. Sul problema costituito dai rischi ambientali, va infine detto che molto gravi sono le conseguenze dei cambiamenti climatici: si pensi all’erosione della fascia costiera atlantica dal Ghana al Senegal al Benin. Gravi anche i danni derivanti, in generale, dall’inquinamento, e dovuti alla già ricordata, dissennata rincorsa verso modelli economici vetero-occidentali, con conseguente spreco di risorse non rinnovabili.
L’Europa. – Molto numerosi gli interventi di rigenerazione urbana sostenibile nelle città europee. Con nuovi, interessanti quartieri sperimentali si sono, in particolare, segnalati i Paesi scandinavi: si ricordano le aree di Ørestad in Danimarca, Eco-Viikki in Finlandia, Västra Hamnen a Malmö in Svezia. Analogamente significative le esperienze condotte in Germania, si pensi al quartiere Vauban a Friburgo. In Francia, va in generale segnalato il lavoro svolto dell’ANRU (Agence National pour la Rénovation Urbaine): a Marsiglia, in particolare, si ricorda il Plan d’Aou mentre Lione ha puntato su di un luogo altamente simbolico, alla confluenza fra Rodano e Saône, chiamato appunto Lyon Confluence. Molto interessanti anche i progetti strategici portati avanti in altre grandi c. europee quali, per es., Londra e Amburgo.
Dal punto di vista della rigenerazione urbana il panorama italiano si presenta, purtroppo, meno significativo nonché, diversamente dalle medie europee occidentali, segnato da considerevoli disuguaglianze. Nelle classifiche che misurano la qualità della vita (solitamente legate a una serie di fattori variabili fra cui la ricchezza prodotta, la sicurezza sociale, le infrastrutture, la proprietà della casa, le dotazioni per il tempo libero, ma anche la presenza della banda ultralarga, il tasso di emigrazione ospedaliera, la sostenibilità ambientale ecc.), le c. di medie dimensioni del Nord si aggiudicano, da molti anni, le prime posizioni (nelle regioni alpine: Bolzano, Trento, Belluno, Gorizia, Sondrio e Aosta; in Emilia Romagna: Ravenna, Modena, Piacenza e Bologna); simmetricamente quelle del Sud (in Calabria, Sicilia, Campania e Puglia) si collocano agli ultimi posti. Da registrare è anche l’avvio delle nuove dieci città metropolitane: Roma, Milano, Torino, Bari, Napoli, Firenze, Bologna, Genova, Venezia e Reggio Calabria. Al loro interno vive un terzo della popolazione italiana, da esse proviene oltre un terzo del PIL nazionale, ma si tratta anche di punti di accumulazione delle disuguaglianze: tra i capoluoghi e i comuni minori circostanti si registra una sensibile differenza del reddito medio pro capite, pari a quella esistente fra la Svezia e l’Italia.
Bibliografia: P. Droege, The renewable city. A comprehensive guide to an urban revolution, Chichester 2006 (trad. it. Milano 2008); L.M.A. Bettencourt, J. Lobo, D. Helbing et al., Growth, innovation, scaling and the pace of life in cities, «Proceedings of the National Academy of sciences of the United States of America», 2007, 104, 17, pp. 7301-06; E. Glaeser, Triumph of the city, London-New York 2011 (trad. it. Milano 2013); Living in the endless city, ed. R. Burdett, D. Sudjic, London 2011; V. Gregotti, Il possibile necessario, Milano 2014; C. Ratti, Architettura open source. Verso una progettazione aperta, Torino 2014; I. Turok, Linking urbanization and development in Africa’s economic revival, in Africa’s urban revolution, ed. S. Parnell, E. Pieterse, London 2014, pp. 60-81; Africa. Big change, big chance, ed. B. Albrecht, Bologna 2014 (in partic. V. Watson, Le città africane: world-class versus pro-poor? Come i property developers e gli architetti daranno forma al futuro, pp. 220-29; A. Magrin, Africa urbana. Il progetto dello spazio specializzato, la città degli usi misti, pp. 230-37).