Concezione filosofico-politica secondo la quale lo Stato nasce da un contratto tra i singoli individui. Il c. moderno si afferma nel 17° e 18° sec. per opera della scuola del diritto naturale. Attraverso il contratto gli individui convengono di uscire dallo stato di natura - dove sono eguali e liberi, ma privi di garanzie - e di formare una società civile sottomettendosi volontariamente a un potere sovrano. Per T. Hobbes la cessione dei diritti dev'essere quasi completa (esclude solo il diritto alla vita), in quanto solo un potere assoluto permette agli uomini, che sono dominati da passioni antisociali (brama di potere, ricchezza, gloria), di convivere in pace. Per J. Locke, che ha una visione meno pessimistica della natura umana, è possibile conservare quasi tutti i diritti naturali: nasce in tal modo uno Stato liberale, che garantisce un'ampia sfera di libertà individuali. Per J.-J. Rousseau gli individui cedono, con il contratto sociale, la totalità dei loro diritti, ma per riprenderseli in quanto cittadini, ossia in quanto membri perfettamente eguali del corpo sovrano, che coincide con il corpo sociale: nasce in tal modo uno Stato democratico, nel quale la volontà collettiva diviene sovrana. In I. Kant il contratto non è un fatto storico, ma un ideale regolativo: quando il sovrano fa le leggi, le deve fare 'come se' esse dovessero derivare dal consenso dei cittadini; anche in Kant, come in Locke, il potere dello Stato incontra precisi limiti nei diritti degli individui. Nel corso del Novecento l'impostazione contrattualistica è stata ripresa da J. Rawls (neocontrattualismo), come schema per trovare soluzioni di equità nei sistemi democratici di massa.