diaspora
La dispersione degli Ebrei in tutto il mondo
Dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme (70 d.C.) gli Ebrei si sono dispersi in tutto il mondo. Per alcuni secoli essi sono stati oggetto di discriminazioni: spesso sono stati perseguitati e isolati nei ghetti, ossia in quartieri dai quali non dovevano uscire. All'inizio del Novecento alcuni gruppi ebraici hanno fondato il sionismo, un movimento che intendeva raccogliere di nuovo in una patria gli Ebrei che lo desideravano, e che perciò favorì l'emigrazione dall'Europa verso la Palestina. Dopo i massacri dei nazisti (la cosiddetta Shoah, ossia l'Olocausto) è stato fondato lo Stato di Israele, che intende realizzare il sogno millenario di un ritorno degli Ebrei nella terra dei loro antenati
Gli Ebrei si sentono figli spirituali di Abramo, che abbandonò la terra dei suoi antenati, la Mesopotamia, per seguire la chiamata di Dio e dirigersi verso la terra promessa, la Palestina. Essa fu occupata stabilmente solo dopo il soggiorno in Egitto e dopo la morte di Mosè. Nella cultura ebraica rimase il ricordo del nomadismo tipico di un popolo di pastori: nel Deuteronomio, un libro della Bibbia, è infatti scritto "Mio padre era un arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande". Ancora oggi per gli Ebrei la terra d'Israele ha un valore religioso, e non solo politico: il ritorno nella terra dei padri significa che si stanno realizzando almeno in parte le antiche promesse divine. Per gli Ebrei devoti è importante poter andare a pregare presso il Muro del pianto (ciò che resta dell'antico Tempio). Tuttavia solo un piccolo gruppo ritiene che sia giunto il momento voluto da Dio per ricostruire il Tempio distrutto dai Romani.
In varie occasioni gli Ebrei dovettero abbandonare la terra promessa o scelsero per vari motivi di recarsi in altre terre, come l'Egitto e Roma. Qui fondarono le cosiddette comunità della diaspora (termine derivante dal greco che significa "dispersione"), che comunque mantenevano rapporti con la madrepatria. La rivolta ebraica del 66 d.C. contro il dominio romano provocò l'intervento militare di Tito e Vespasiano, che distrussero il Tempio e costrinsero la maggioranza degli Ebrei sopravvissuti a trasferirsi in altre città dell'Impero. La mancanza del Tempio impedì i sacrifici di animali prescritti dalla legge di Mosè e costrinse gli Ebrei a modificare alcuni aspetti della loro pratica religiosa: l'ascolto della Parola di Dio, conservata in preziosi rotoli nelle sinagoghe, diventò il momento più importante. Dopo che nel 381 il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell'Impero Romano, gli Ebrei furono considerati una minoranza ostile, in quanto gli scribi e i farisei ‒ ossia i seguaci del più importante partito ebraico dell'epoca ‒ erano considerati responsabili della condanna di Gesù. Essi potevano continuare a professare la loro fede, ma in condizioni di inferiorità politica: non potevano espandersi e costruire nuove sinagoghe, ma solo riparare quelle esistenti. Anche i musulmani permisero agli Ebrei di continuare a praticare la loro religione, purché pagassero una tassa.
Negli Stati cristiani, a partire dal Duecento circa, le condizioni degli Ebrei peggiorarono: in molti luoghi essi furono obbligati a vivere chiusi nei ghetti e a portare un segno distintivo di colore giallo. Essi ottennero i pieni diritti civili e politici solo nel corso dell'Ottocento, quando furono abbattuti i ghetti.
Nel corso dei secoli si era sviluppata una violenta polemica contro gli Ebrei, che venivano ricollegati alla figura di Caino, "ramingo e fuggiasco sulla Terra", come recita il libro della Genesi. Con la loro esistenza difficile di popolo perseguitato ma non eliminato dalla storia, gli Ebrei dovevano testimoniare la loro colpa e la punizione divina. Un importante autore medievale, san Bernardo, scriveva: "Gli Ebrei non debbono essere perseguitati, uccisi o cacciati […] A causa della Passione del Signore essi sono dispersi in tutto il mondo, e saranno testimoni della Redenzione fino a quando non avranno espiato con una giusta pena il loro grave delitto". Questa ostilità sfociò più tardi in un vero e proprio antisemitismo, che raggiunse l'apice sotto il regime nazista e portò alla Shoah.
Dopo la chiusura dei ghetti, gli Ebrei d'Europa si trovarono di fronte a un'alternativa: lasciarsi assimilare dalla cultura dominante dell'Occidente moderno oppure recuperare la loro cultura specifica, la loro lingua, la loro identità più profonda di Ebrei. Quest'ultima fu la strada scelta da Theodor Herzl, che all'inizio del Novecento fondò il sionismo, un movimento che si proponeva l'obiettivo di trovare un focolare nazionale per gli Ebrei dispersi nel mondo. Dopo la fondazione dello Stato di Israele (1948), il Parlamento ha approvato la cosiddetta legge del ritorno (1950), che consente a ogni ebreo della diaspora e a ogni discendente anche indiretto di Ebrei di entrare nel nuovo Stato e di assumerne la cittadinanza. Alcuni gruppi ebraici pensano che con il ritorno nella terra dei padri sia del tutto conclusa la fase storica della diaspora, e che tutti gli Ebrei debbano adottare un'unica cultura, quella di Israele; altri ritengono invece che non sia possibile annullare ogni differenza storica e culturale tra i gruppi ebraici provenienti da diverse aree del mondo.
Anche per cristiani e musulmani Abramo rappresenta il modello dell'uomo di fede, pronto ad abbandonare la sua patria, la sua famiglia, le sue sicurezze per seguire strade nuove, suggerite da Dio ma non prive di rischi e sorprese. San Paolo, nella Lettera agli Ebrei, ricorda che Abramo "per fede visse come uno straniero nel paese che Dio gli aveva promesso […] Infatti, egli aspettava una città con solide fondamenta, quella città che solo Dio progetta e costruisce". La figura di Abramo, che non conosce in anticipo la sua meta, è in fondo più moderna di quella di Ulisse, il cui viaggio si conclude con il ritorno in patria.
Il cristianesimo, nato dall'ebraismo, ha vissuto una condizione di diaspora prima di diventare la religione maggioritaria, e ora, in seguito al fenomeno della secolarizzazione, appare nuovamente come la fede di una minoranza, per quanto molto significativa. Gli Atti degli Apostoli presentano l'immagine di una comunità cristiana dispersa in seguito alle persecuzioni, ma capace di annunciare il Vangelo nelle diverse città e nelle varie situazioni. Un antico testo cristiano del 2° secolo presenta come un fatto normale la situazione di diaspora in cui vivevano i credenti, mescolati agli altri uomini ma diversi per lo stile di vita: "i cristiani non si distinguono dagli altri uomini per lingua, né per usanze. Infatti non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale […] Vivono nella loro patria, ma come se fossero stranieri. Si sposano come tutti e generano figli, ma non uccidono i neonati. Abitano nella terra, ma la loro vera città è in cielo" (A Diogneto, V 1-9). Il termine diaspora è utilizzato anche in senso politico, per ricordare che la maggioranza dei cattolici non aderisce più a un'unica forza politica di ispirazione cristiana, come avveniva in Italia sino a pochi anni fa, ma appoggia diversi partiti e movimenti. Anche nell'arte e nella musica contemporanea si possono incontrare riflessioni sulla diaspora spirituale dell'uomo d'oggi e sul bisogno di ritrovare le radici e l'identità di un popolo.
Il mito dell'ebreo errante sorse verso la fine del Medioevo e si diffuse soprattutto dopo il Seicento. Secondo questo racconto, un ebreo dei tempi di Gesù, di nome Aasvero (o Assuero), fu condannato a spostarsi continuamente da un paese all'altro e a non trovare mai pace sulla terra, perché non aveva permesso a Gesù, in cammino verso il Golgota, di bere un sorso d'acqua e di fermarsi un attimo a riposare davanti alla sua casa, anzi lo aveva deriso gridandogli: "Cammina, cammina...". Egli sarebbe stato liberato da questa condanna, simile a quella di Caino, solo dopo aver riconosciuto il Signore come Messia.
Nella letteratura contemporanea l'ebreo errante è diventato il simbolo della condizione dell'uomo sulla terra, della sua inquietudine spirituale e dell'instancabile ricerca delle radici perdute.