Droghe e tossicodipendenza
Le droghe sono preparazioni contenenti principî attivi di origine sia naturale sia sintetica che l'uomo assume volontariamente per i loro effetti piacevoli e non a scopo terapeutico. Questi effetti possono diventare con il passar del tempo sempre più indispensabili perché l'individuo riesca a mantenere un livello accettabile di benessere fisico e mentale, inducendo così una condizione di dipendenza. Ai livelli più estremi di questa condizione (definita clinicamente 'tossicodipendenza'), il procacciamento e il consumo della droga diventano la ragione primaria di qualunque pensiero e comportamento di chi ne fa uso. La tossicodipendenza si configura così come un disturbo della motivazione che viene indirizzata in maniera compulsiva verso la droga. Il soggetto prova un desiderio irrefrenabile (craving) di consumare la droga e trascorre buona parte del suo tempo alla sua ricerca, trascurando il lavoro, la scuola, la famiglia e i normali rapporti sociali. La ricerca e il consumo della droga persistono nonostante il soggetto sia conscio delle conseguenze negative di natura sia penale sia medica che tale comportamento produce. Verranno qui descritte brevemente non soltanto le proprietà farmacologiche delle singole classi di sostanze d'abuso, ma anche le basi neurologiche su cui esse si fondano per produrre quegli effetti cognitivi, emotivi e comportamentali che i tossicodipendenti ricercano così attivamente.
Sebbene i fattori che contribuiscono all'instaurarsi della tossicodipendenza siano molteplici e di varia natura, è ormai chiaro che questa condizione è primariamente legata alle specifiche proprietà farmacologiche delle droghe, che costituiscono la motivazione fondamentale del comportamento del tossicodipendente. Ci soffermeremo dunque sulle più recenti teorie neurobiologiche e psicologiche che tentano di spiegare l'instaurarsi della dipendenza da sostanze. La constatazione che la tossicodipendenza mostra caratteristiche comuni indipendentemente dalla categoria farmacologica cui le droghe appartengono suggerisce, da un lato, che queste possiedono specifiche proprietà farmacologiche che inducono all'abuso e, dall'altro, che sostanze dotate delle stesse caratteristiche possono avere in comune la proprietà di indurre tossicodipendenza.
Nell'uomo i farmaci e le sostanze d'abuso hanno in comune la proprietà fondamentale di provocare euforia e di elevare il tono dell'umore. Questa proprietà è particolarmente evidente nel caso degli psicostimolanti come l'anfetamina e la cocaina, farmaci che alleviano il senso di fatica e riducono la tendenza al sonno e la fame e aumentano la capacità di attività fisica e il desiderio sessuale. Nel caso di altre sostanze, come la morfina e i suoi analoghi (eroina e metadone), dei barbiturici, dell'alcol e delle benzodiazepine, le proprietà euforizzanti possono essere oscurate da effetti deprimenti e sedativi tipici di queste sostanze, ma sono presenti soprattutto a dosi basse e nella fase iniziale dell'effetto farmacologico. Altre sostanze, come i principî della Cannabis e la nicotina, hanno proprietà psicostimolanti intermedie.
La maggior parte delle sostanze d'abuso (fatta eccezione per certi allucinogeni) hanno in comune la proprietà di provocare una stimolazione psicomotoria negli animali di laboratorio. Questo effetto assume aspetti diversi a seconda della specie animale ma in generale consiste in stato di allerta, aumento della reattività agli stimoli esterni, dell'attività locomotoria ed esploratoria. L'azione stimolante sul comportamento motorio degli animali è particolarmente spiccata nel caso dell'anfetamina e della cocaina, classici psicostimolanti, ma si osserva anche dopo l'assunzione di sostanze tipicamente deprimenti come l'alcol, i barbiturici e i narcotici analgesici. Per queste sostanze, l'effetto psicomotorio si manifesta entro un determinato ambito di dosi e di tempi dalla somministrazione. Tale effetto stimolante sul comportamento spontaneo può considerarsi analogo all'effetto euforizzante che si osserva nell'uomo. Un'altra proprietà comune a tutte le sostanze d'abuso è quella di agire come rinforzo positivo, aumentando la probabilità di comportamenti che hanno come conseguenza la presentazione e l'assunzione della sostanza. Così gli animali di laboratorio si autosomministrano quelle stesse sostanze di cui l'uomo fa oggetto di abuso e per raggiungere tale scopo sono capaci di apprendere e di attuare complicate procedure comportamentali (). Questa proprietà delle sostanze di abuso si osserva non solo nei Primati, ma anche nei Mammiferi meno evoluti filogeneticamente, come i Roditori.
Le analogie tra l'uomo e l'animale non sono limitate alle proprietà generali di rinforzo delle droghe. In realtà le stesse modalità di autosomministrazione mostrano sorprendenti somiglianze nell'animale e nell'uomo. Così l'animale si autoinietta l'eroina a intervalli regolari, secondo una cadenza che dipende dalla concentrazione del farmaco e ha come fine quello di mantenere un costante effetto farmacologico; l'anfetamina e la cocaina, al contrario, vengono autosomministrate dalla scimmia in maniera saltuaria, cioè a 'tornate' (binges) nel corso delle quali la frequenza delle somministrazioni viene aumentata fino a livelli talmente elevati da provocare uno stato di eccitazione comportamentale così intenso da essere incompatibile con una corretta autosomministrazione; ciò provoca un'interruzione dell'autosomministrazione fino a che non siano cessati gli effetti del farmaco e il soggetto non si sia ripreso; quando ciò avviene, ha inizio un'altra tornata. Il fatto che gli animali manifestino nei confronti delle droghe un comportamento simile a quello dell'uomo indica che i meccanismi alla base della tossicodipendenza sono legati a processi biologici, la cui invarianza si è mantenuta nel corso di una lunga stagione filogenetica così da essere comuni all'animale e all'uomo.
Il fatto che le sostanze d'abuso possiedano proprietà di rinforzo positivo suggerisce che esse agiscano su meccanismi comuni a quelli degli stimoli gratificanti naturali, come il cibo, l'acqua, il sesso, ecc. Lo studio delle basi neurobiologiche della motivazione prende le mosse intorno agli anni Cinquanta del XX sec. dagli esperimenti di James Olds e Peter Milner, i quali osservarono che ratti portatori di elettrodi cerebrali, impiantati cronicamente e in grado di comandare il passaggio di corrente mediante la pressione di una leva, si autostimolavano quando gli elettrodi si trovavano in corrispondenza di specifiche aree cerebrali. In altre aree, al contrario, l'animale evitava di autostimolarsi o premeva una leva per interrompere il passaggio di corrente. Altre aree, infine, apparivano neutre dal punto di vista motivazionale, dato che l'animale non attuava alcun comportamento volto a ottenere o evitare la stimolazione cerebrale ma si mostrava del tutto indifferente a essa.
Le aree cerebrali da cui sono più facilmente ottenibili le risposte di autostimolazione sono situate lungo il decorso del . In questo fascio corrono neuroni che utilizzano neurotrasmettitori diversi, ma sono quelli che utilizzano come trasmettitore la dopammina a svolgere il ruolo principale nel comportamento di autostimolazione. Gran parte del origina dal tegmento mesencefalico a livello di tre gruppi localizzati nel nucleo prerubrale (A8), nella substantia nigra pars compacta (A9) e nell'area ventrale del tegmento (A10). I neuroni che originano dall'area A10 proiettano ad aree limbiche (nucleo accumbens septi, tubercolo olfattorio, amigdala, ippocampo, corteccia prefrontale prelimbica) e formano il sistema dopamminergico mesolimbico; i neuroni che originano dalle aree A9 e A8 terminano nel nucleo caudato-putamen e costituiscono il sistema dopamminergico mesostriatale.
Tutte le più importanti sostanze d'abuso, dagli analgesici narcotici agli psicostimolanti (anfetamina e cocaina), alla nicotina, all'alcol, ai barbiturici e al δ-9-tetraidrocannabinolo, il principio attivo della Cannabis, hanno in comune la proprietà di aumentare la concentrazione extracellulare di dopammina in un'area terminale del sistema mesolimbico, il nucleo accumbens del setto e in particolare nella sua parte ventro-mediale, la shell. I meccanismi attraverso i quali le sostanze d'abuso sono in grado di aumentare le concentrazioni extracellulari di dopammina sono diversi a seconda della classe farmacologica cui ciascuna sostanza appartiene. Così la cocaina e la fenciclidina bloccano la ricaptazione della dopammina da parte delle terminazioni nervose, l'anfetamina libera la dopammina dalle terminazioni riversandola nel liquido extracellulare, l'eroina e altri narcotici morfino-simili (morfina e metadone), l'alcol, il δ-9-tetraidrocannabinolo e la nicotina, stimolano l'attività elettrica dei neuroni dopamminergici favorendo la liberazione fisiologica della dopammina. Evidentemente, dunque, la capacità di stimolare la trasmissione dopamminergica nella shell del nucleo accumbens costituisce una caratteristica fondamentale delle sostanze d'abuso.
A questa proprietà delle droghe è stata assegnata una funzione fondamentale sia per i loro effetti acuti sia per quelli a lungo termine in relazione alla genesi della tossicodipendenza. La stimolazione della trasmissione dopamminergica nella shell del nucleo accumbens è il substrato degli effetti euforizzanti delle droghe e della loro capacità di indurre uno stato di eccitazione incentiva che facilita il comportamento motivato da stimoli condizionati a rinforzi primari sia naturali (cibo, acqua, sesso, ecc.) che farmacologici (droghe). La liberazione di dopammina nella shell del nucleo accumbens da parte delle droghe ha anche la capacità di facilitare l'apprendimento. Infatti, stimoli altrimenti neutri dal punto di vista motivazionale, e quindi incapaci di attrarre l'attenzione e l'interesse del soggetto, acquisiscono proprietà incentive del comportamento motivato quando vengono opportunamente associati a stimoli gratificanti come i rinforzi primari o come le droghe. Queste, pur avendo in comune con stimoli primari non farmacologici (per es., un cibo particolarmente gustoso) la proprietà di liberare dopammina nella shell del nucleo accumbens del setto, non sono soggette, al contrario degli stimoli naturali, ad abitudine dopo esposizione ripetuta. A questa proprietà non adattativa della stimolazione della trasmissione dopamminergica nella shell del nucleo accumbens da parte delle droghe è stato attribuito un ruolo fondamentale nella genesi della tossicodipendenza.
Le droghe producono importanti effetti sulla dopammina anche dopo che ne è stato sospeso l'uso (astinenza). Studi sugli animali di laboratorio hanno dimostrato, nel caso di astinenza dopo trattamenti ripetuti con morfina, cocaina o alcol, una profonda depressione della trasmissione dopamminergica, che si manifesta come una riduzione delle concentrazioni extracellulari di dopammina nel nucleo accumbens e come una sindrome depressiva caratterizzata da sedazione, riduzione della motilità e della reattività agli stimoli esterni e da aumento della soglia all'autostimolazione elettrica del fascio mediale del proencefalo. Quest'ultimo effetto è considerato indice di una ridotta capacità funzionale dei meccanismi centrali della gratificazione. Le modificazioni della neurotrasmissione dopamminergica e la relativa anedonia sono verosimilmente un aspetto di una condizione di dipendenza della neurotrasmissione dopamminergica instauratasi come meccanismo adattivo alla cronica stimolazione della trasmissione stessa da parte della sostanza d'abuso. In tali condizioni il più efficace antidoto all'anedonia e alla depressione della trasmissione dopamminergica è la stessa sostanza verso cui si è instaurata la dipendenza o un suo analogo. Così si instaurerebbe un circolo vizioso che lega l'individuo alla sostanza d'abuso.
Le droghe e i loro principî attivi agiscono primariamente a livello del sistema nervoso centrale come agonisti, diretti o indiretti, dei recettori di membrana che normalmente legano i neurotrasmettitori utilizzati dai neuroni per comunicare tra loro. Così, mentre l'anfetamina stimola indirettamente, attraverso la liberazione di dopamina, i recettori dopamminergici, l'eroina stimola direttamente i recettori oppioidi. Il segnale generato dalla stimolazione di questi recettori viene trasdotto dalla membrana cellulare all'interno della cellula attraverso la produzione intracellulare di molecole diffusibili, i secondi messaggeri (AMP ciclico, inositolo trifosfato, calcio), che a loro volta innescano una cascata di enzimi fosforilanti proteine (le chinasi). I substrati proteici di queste chinasi sono molteplici e la loro fosforilazione può produrre effetti immediati (cioè gli effetti comportamentali acuti) attraverso la fosforilazione di canali ionici voltaggio-dipendenti, ed effetti a lungo termine, attraverso la fosforilazione di proteine che diventano così capaci di traslocare nel nucleo e agire come fattori di trascrizione. Questi fattori di trascrizione (pCREB, pERK, pELK ) attivano la sintesi di una serie di fattori (geni immediati precoci, IEG) come il Fos, il June, che attivano a loro volta la trascrizione di altre proteine importanti per la neurotrasmissione (per es., la sintesi della preprodinorfina, il precursore di un tipo di oppioidi endogeni).
Alternativamente o parallelamente, l'aumento del calcio intracellulare induce la liberazione di (BDNF, NGF, GDNF, FGF, ecc.) che agiscono su recettori di membrana ad attività tirosinchinasica su vari substrati proteici. Si ritiene che l'attivazione da parte delle droghe di questa complessa cascata di fosforilazioni proteiche sia il substrato di processi di neuroplasticità sinaptica che si esprimono con varie modificazioni adattative indotte dalle droghe, come la tolleranza, la dipendenza fisica e la . L'esposizione ripetuta alle droghe modifica la morfologia delle spine dendritiche; tali effetti sarebbero mediati dall'azione delle droghe sui fattori di trascrizione cerebrali e sarebbero a loro volta il substrato morfologico della sensitizzazione comportamentale. Tuttavia, la morfina e i farmaci psicostimolanti, pur producendo ambedue sensitizzazione comportamentale e modificando in maniera simile l'espressione dei fattori di trascrizione, provocano effetti opposti sulla morfologia delle spine dendritiche. Analogamente, sia un'iperespressione sia una completa delezione di un IEG come il δ Fos B nel nucleo accumbens del ratto producono sensitizzazione comportamentale. Evidentemente non è per il momento possibile legare in maniera univoca gli effetti molecolari e morfofunzionali delle droghe ai loro effetti comportamentali.
Attualmente si possono distinguere tre principali teorie sulla tossicodipendenza. Secondo la la dipendenza è strumentale all'evitamento del malessere connesso con l'astinenza causata dall'interruzione dell'assunzione di droga dopo una cronica esposizione a essa. Secondo questa tesi la droga viene inizialmente consumata per i suoi effetti piacevoli, mentre dopo l'esposizione cronica la sua mancanza produce uno stato di malessere che solo quella riesce a eliminare. La continua esposizione alla droga provocherebbe l'attivazione di un processo antiedonico che si oppone ai suoi effetti piacevoli. Il soggetto sarebbe quindi costretto a consumarla per contrastare gli effetti antiedonici del processo opponente la droga. Questa ipotesi, pur attraente, non spiega la grande difficoltà del tossicodipendente a uscire dalla sua condizione. Egli infatti, percorrendo in senso inverso lo stesso cammino attraverso il quale la droga induce dipendenza, dovrebbe poter facilmente ritornare alla condizione di non dipendenza. Basterebbe, per conseguire questo risultato, uno svezzamento con metadone a scalare. È ben noto, al contrario, che questo trattamento, pur efficace nei confronti della dipendenza fisica è privo di validità nei confronti di quella comportamentale o psichica. Un'altra inadeguatezza di questa teoria è la difficoltà di spiegare il fatto che stimoli condizionati alla droga sono in grado di provocare craving anche dopo molti anni di astinenza.
Secondo la , la ripetuta esposizione alle droghe produce una sensitizzazione della responsività del sistema neuronale della motivazione, e cioè del sistema dopamminergico mesolimbico. La sensitizzazione del sistema mesolimbico produrrebbe quell'abnorme aumento delle proprietà incentive di stimoli condizionati alla droga che, secondo questa teoria, costituisce l'essenza della tossicodipendenza. Questa teoria è affetta anch'essa da inadeguatezze. Una prima incongruenza deriva dal fatto che l'osservazione che l'esposizione alla droga induce sensitizzazione agli effetti incentivi della droga non estende necessariamente questa proprietà agli stimoli a essa condizionati. Inoltre, dato che il meccanismo della sensitizzazione è di natura non associativa, la sua azione dovrebbe applicarsi a tutti gli stimoli condizionati, indipendentemente dal fatto che siano associati alla droga o ad altri rinforzi. Se così fosse il tossicodipendente dovrebbe manifestare craving in risposta a qualsiasi stimolo condizionato. Ciò tuttavia non corrisponde all'elevata specificità degli stimoli condizionati alla droga nell'indurre craving. Un altro problema della teoria della sensitizzazione incentiva è il fatto che il cardine di questa tesi, ovvero la proprietà delle droghe di indurre sensitizzazione comportamentale, non si osserva nell'uomo.
La non fa derivare le abnormi proprietà incentive degli stimoli condizionati alla droga da un meccanismo non associativo come la sensitizzazione, ma da un meccanismo di apprendimento associativo. Secondo tale tesi gli stimoli condizionati alla droga acquisiscono eccessive proprietà incentive a causa di un abnorme processo di apprendimento, che deriverebbe dalle caratteristiche peculiari della liberazione di dopammina nella shell del nucleo accumbens da parte delle droghe. Infatti, questo effetto non è sottoposto, nel caso delle droghe, ad abitudine. Ciò fa sì che l'esposizione ripetuta alle droghe rinforzi in maniera abnorme l'associazione tra le stesse e stimoli a esse contingenti, così da conferire a questi stimoli eccessive proprietà incentive. Questa teoria, al contrario delle due precedenti, rende conto della ben nota specificità di stimolo del craving e dell'efficacia praticamente indefinita degli stimoli condizionati alla droga nell'indurre craving.
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