Ebrei
Il rapporto tra Federico II e gli ebrei può essere considerato sotto diversi aspetti: i suoi rapporti con gli ebrei siciliani dell'Italia meridionale; i suoi rapporti con gli ebrei tedeschi; ma anche, dal punto di vista economico e sociale, il ruolo degli ebrei nella produzione, nell'artigianato e negli ambienti culturali. In particolare vale la pena di considerare l'evoluzione al tempo di Federico II della definizione degli ebrei, sia tedeschi che siciliani, come servi camere nostre o servi camere regie, un'espressione che sarebbe stata usata fino agli ultimi anni del XV sec., con una forte influenza sulla condizione degli ebrei nel Mediterraneo e in Europa.
Consideriamo, per prima cosa, l'evoluzione delle comunità ebraiche in Sicilia, Italia meridionale e Germania. Gli ebrei hanno avuto un posto costante nella storia della Sicilia. Ricordati già all'epoca di Cicerone, quindi sotto papa Gregorio I e nella Sicilia islamica, erano attivi soprattutto nel commercio, come dimostra la celebre raccolta di documenti della Genizah del Cairo. Alla vigilia della conquista normanna, gli ebrei siciliani, sotto l'influenza della Spagna musulmana e del Magreb, erano pienamente arabizzati. L'uso dell'arabo nella vita quotidiana degli ebrei perdurò oltre il XIII secolo. Erano "ebrei di religione, arabi di lingua", nella formulazione di Henri Bresc (2001). Abili nella produzione artigianale, protetti sotto l'Islam che garantì la libertà di culto a ebrei e cristiani, gli ebrei siciliani formavano alla metà dell'XI sec. un valido nucleo, pari forse al 5 per cento della popolazione isolana. Anche nel resto della penisola, la forte concentrazione degli ebrei in Puglia, come pure nell'entroterra e sulla costa tirrenica, rese possibile la formazione di centri di culto e di cultura abbastanza attivi. Le comunità ebraiche dell'Italia peninsulare risalgono all'antichità, come dimostrano i resti archeologici conservati a Verona e altrove.
L'arrivo dei normanni non cambiò la condizione degli ebrei siciliani e meridionali in maniera significativa, anche se le comunità furono considerate come patrimonio personale dei conquistatori, che, per esempio, poterono devolvere alla Chiesa gli introiti provenienti dalla comunità di Palermo. La testimonianza di Beniamino di Tudela, viaggiatore spagnolo, ci dà comunque un'idea della prosperità della comunità ebraica palermitana e di altre città. Per quanto riguarda Palermo, gli ebrei si concentrarono a sud del quartiere del Cassaro, circa a metà strada tra la sede del governo, il Palazzo Reale e il porto: una zona particolarmente adatta, in virtù dell'abbondanza di acqua, alla produzione tessile.
Ben diversa è la storia delle comunità ebraiche della Germania. Dopo secoli di silenzio gli ebrei dei vecchi insediamenti della Renania subirono durissime persecuzioni durante la prima (1096) e la seconda crociata (1148). Gli imperatori tedeschi, con l'aiuto di alcuni vescovi, tentarono di proteggere le comunità ebraiche che consideravano come loro possesso, facendo parte del fisco imperiale, una condizione che si rivelò utile sia al re che agli ebrei. Purtroppo queste comunità di askenaziti (termine ebraico usato per 'tedeschi') divennero sempre più chiuse, e generalmente meno aperte al mondo circostante rispetto agli ebrei stanziati in Italia o in Spagna.
Così, nei primi anni del Duecento, Federico II si ritrovò a governare su comunità ebraiche con caratteristiche diverse in Germania e nel Regno di Sicilia. Qui Federico incoraggiò artigiani ebrei alla produzione della seta, offrendo loro una condizione di semimonopolio. Nel 1239-1240, conscio dell'abbandono della produzione dell'indaco e dell'henna dopo la partenza dall'isola degli agricoltori arabi, e dopo l'ampliamento di terre adatte alla produzione del grano, l'imperatore estese agli ebrei di "Garbum", con cui si poteva intendere sia l'isola di Gerba sia il Magreb in generale, l'invito a insediarsi nei dintorni di Palermo, con la propria sinagoga (dato che i loro riti differivano da quelli degli ebrei indigeni siciliani). Senza dubbio Federico intese sostituire ai saraceni ribelli espulsi dall'isola un gruppo di nordafricani che possedessero la tecnologia necessaria ma che, allo stesso tempo, fossero politicamente neutrali. È necessario evidenziare questo ruolo produttivo degli ebrei, dato che dalla legislazione federiciana, e in particolare dalle Costituzioni di Melfi del 1231, risulta che l'imperatore volesse controllare l'usura degli ebrei, limitando la percentuale di interesse che questi potevano chiedere sui pegni. La legislazione federiciana comunque non riflette pienamente le realtà economiche del Mezzogiorno italiano che vedevano gli ebrei coinvolti in attività produttive (come attesterà più tardi Tommaso d'Aquino nella sua celebre lettera alla duchessa di Brabante, il De regimine Judaeorum). Il riferimento all'usura prende in considerazione in effetti le indicazioni del concilio lateranense del 1215 e testimonia i rapporti fra il Papato e Federico II sul trattamento degli ebrei. Così anche la legislazione di Messina del 1221, che impose agli ebrei di sesso maschile l'obbligo di portare la barba, paragonando gli ebrei alle prostitute e ordinando a entrambi i gruppi di indossare un abito che li distinguesse dal resto della popolazione, rifletteva il pensiero ecclesiastico di quegli anni. Nelle leggi del 1231, Federico insisteva comunque sul fatto che i suoi sudditi cristiani non perseguitassero ebrei e saraceni, già soggetti a una feroce persecuzione. L'atteggiamento dell'imperatore verso gli ebrei siciliani e meridionali era chiaro: egli valutava l'utilità economica delle comunità e, nonostante la presenza di toni severi nella sua legislazione, voleva proteggere gli ebrei da atti insensati.
Al centro di questa politica c'era anche il concetto del possesso degli ebrei. Per capire l'evoluzione di questa idea bisogna tornare in Germania. Gli ebrei tedeschi, soggetti al fisco imperiale sotto Federico Barbarossa, divennero agli occhi di Federico II i 'servi' della Camera regia. Un'idea già espressa altrove (per esempio nella legislazione aragonese e castigliana del 1176 e del 1190 dedicata alle città), ma che dalla corte federiciana si diffuse in altre regioni europee. L'espressione servi camere nostre fu utilizzata in un privilegio del 1236 a favore degli ebrei tedeschi. La ragione per il rilascio di questo documento è l'accusa fatta a Fulda, secondo la quale alcuni ebrei avrebbero ucciso e sacrificato un giovane cristiano per utilizzarne il sangue nella preparazione del pane azimo o pasquale. Un'accusa che seguì altre meno gravi, ma altrettanto insidiose, mosse in Inghilterra dopo il 1144. Non solo per convinzione personale, ma anche per evitare agitazioni pubbliche contro gli ebrei l'imperatore decise di nominare una commissione per investigare sulle accuse. I membri della prima commissione, tedeschi, non riuscirono a trovare un accordo e così Federico chiese al re Enrico III d'Inghilterra di poter interrogare di persona alcuni ebrei inglesi convertiti al cristianesimo che potessero testimoniare sulle pratiche rituali ebraiche. Questi assicurarono all'imperatore che il consumo di sangue, animale o umano, era assolutamente vietato dalla Torah e dal Talmud, i libri sacri degli ebrei. Con questo Federico tentò di mettere fine all'agitazione antiebraica, ma con meno successo rispetto a quello che aveva sperato.
L'utilizzazione del Talmud nella dimostrazione dell'innocenza degli ebrei contrastava infatti con la crescente tendenza a condannare lo stesso libro nei circoli ecclesiastici, anche a Roma, dove pure il papa fu convinto dall'imperatore che le accuse erano infondate. Così nel privilegio concesso agli ebrei, o piuttosto emesso per annunziare a tutti i suoi sudditi tedeschi i diritti degli ebrei, Federico insisteva affinché le comunità ebraiche fossero sottoposte alla sua diretta giurisdizione. Questa servitù ebraica era analoga a quella dei ministeriales, cioè il gruppo di cavalieri, tecnicamente non liberi, che dipendevano dal re o dai principi tedeschi: non era una condanna o uno status veramente servile, né gli ebrei furono mai in una condizione di schiavitù, ma l'imperatore insisteva sul concetto che chiunque dimostrasse rispetto verso i suoi servitori avrebbe dimostrato rispetto anche verso la Corona. Dopo l'emissione del suo atto in favore degli ebrei tedeschi si può osservare l'impiego dello stesso giudizio negli atti, per esempio, di alcuni duchi austriaci, nonché una più ampia diffusione in Boemia e anche altrove.
Un interesse particolare suscita l'ampio utilizzo dello stesso concetto in Sicilia. Poco dopo l'emissione del privilegio tedesco troviamo in un documento di Federico del 1237 la nomina di uno dei suoi medici ebraici a servus camere nostre; l'atto ebbe una certa influenza, visto che lo stesso status fu confermato da Manfredi e poi da Pietro III d'Aragona nel 1283 ai discendenti di quel medico. Federico estese inoltre la condizione di servus della Camera anche ai suoi sudditi saraceni, come si legge nel registro della cancelleria del 1239-1240. Dalla Sicilia aragonese l'idea si diffuse anche in Spagna, dando un nuovo significato alla vecchia definizione degli ebrei come 'servi' del regio fisco. La stessa formula fu anche alla base della condizione degli arabi di Lucera chiamati servi camere nostre. In particolare in epoca angioina analoghe formule furono utilizzate nella Spagna tardomedievale per descrivere i mudejares, i musulmani rimasti sotto il governo cristiano.
Tutto questo, in realtà, non dimostra una particolare tolleranza di Federico verso gli ebrei. Il concetto di tolleranza è infatti moderno e Federico, come i suoi contemporanei, vide negli ebrei un gruppo soggetto alla dominazione cristiana e nell'ebraismo una religione 'fossile', pur riconoscendo agli ebrei il diritto di osservare il proprio culto (come testimonia il fatto di aver permesso agli ebrei magrebini di Palermo di avere una nuova sinagoga). La scienza ebraica, araba, greca e orientale in genere, fu sempre di forte richiamo per Federico II. Con l'espulsione degli arabi dalla Sicilia, l'imperatore necessitò di una nuova fonte di sapienza e di scienza. Con l'aiuto di Michele Scoto Federico fu messo in contatto con scienziati ebraici in Spagna e in Provenza, in modo da procurarsi un accesso alla filosofia islamica e greca (molti dei classici greci erano conosciuti nel mondo islamico attraverso la traduzione in arabo). Così anche i suoi contatti con eruditi ebrei non indicano una vera e propria tolleranza, ma furono solo un segno del suo desiderio di avere accesso alla scienza orientale. Federico ebbe rapporti con lo studioso castigliano Giudah ibn Malka (Judah-ha-Cohen), l'allievo prediletto, allora diciottenne, dell'influente rabbino di Toledo Meir Abulafia. Giudah incontrò Federico in Italia poco dopo. Quel che è importante è il nesso stretto tre la corte federiciana e gli eruditi di Toledo, considerato come il massimo centro per la produzione e il commento delle opere arabe del tempo.
Anche l'Italia meridionale divenne, a un livello più basso rispetto a Toledo, un centro di traduzioni. La famiglia Ibn Tibbon, ebrei provenzali di origine spagnola, fornì testi a Jacob Anatoli, cognato di Mosè Ibn Tibbon, che ebbe un ruolo importante per le sue traduzioni dell'Almagesto di Tolomeo e delle opere di Averroè. Vale la pena di ricordare la presenza nell'Italia meridionale di una versione della classica opera di Maimonide, la Guida dei Perplessi, che influenzò Tommaso d'Aquino nei suoi tentativi di riconciliare la religione e la filosofia aristotelica. Bisogna anche sottolineare il fatto che per la maggior parte gli eruditi ebrei in contatto con Federico o con Michele Scoto furono stranieri, sia spagnoli sia provenzali. Le tradizioni scolastiche degli ebrei nel Regno di Sicilia erano sempre più modeste, anche se nella generazione successiva Faraj di Girgenti tradusse opere di medicina dall'arabo per Carlo I d'Angiò.
Prima di concludere, è interessante riflettere sulla reputazione che Federico II ebbe nella storiografia ebraica. Nel XVI sec. il marrano portoghese Samuel Usque, nel suo lacrimevole racconto delle persecuzioni degli ebrei, trovò conforto nel favore mostrato agli ebrei da un re che può essere identificato con Federico II. In punto di morte il re consigliò al figlio di premiare gli ebrei per la loro fedeltà. Il figlio allora decise che la migliore ricompensa possibile sarebbe stata la loro conversione al cristianesimo e così un nuovo ciclo di persecuzioni iniziò. Nell'aneddoto raccontato, lo scrittore confuse Manfredi con Carlo d'Angiò, che perseguitò con ferocia gli ebrei dell'Italia meridionale. Però l'immagine di un re siciliano filoebraico perdurò nella memoria degli ebrei delle regioni del Mediterraneo ben oltre la morte di Federico.
fonti e bibliografia
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Ebrei e Sicilia, catalogo della mostra, a cura di N. Bucaria-M. Luzzati-A. Tarantino, Palermo 2003.