Ecologia del paesaggio
Le caratteristiche proprie della vita, descritte dalle teorie scientifiche più avanzate, portano a riconoscere il paesaggio come sistema biologico. Di conseguenza, lo studio del paesaggio può oggi svilupparsi ed entrare a pieno titolo nel campo dell'ecologia. Ciò ha portato a formare un 'corpus teorico' consolidato, di cui fanno parte alcuni modelli strutturali che superano il semplicistico concetto di ecomosaico e i processi biologici che permettono di studiare comportamenti e alterazioni del vivente. Tali apporti teorici sono in grado di rinnovare diversi aspetti dell'ecologia generale ‒ da quelli più legati alla componente faunistica fino all'ecologia urbana ‒ e soprattutto della scienza della vegetazione. Aspetti culturali della componente antropica e aspetti paesaggistici della componente vegetale possono così essere integrati nella valutazione ecologica di un sistema complesso, al di là delle limitazioni imposte dai rispettivi campi di studio. La teoria ha permesso di sviluppare metodi di analisi e valutazione del paesaggio e delle sue parti basati anche su indicatori ecologici coerenti con il criterio clinico-diagnostico, che si impone come sempre nello studio dei sistemi viventi. Ne risulta, di fatto, la figura dell'ecologo del paesaggio come medico dei sistemi ambientali, in grado di applicare i principi e i metodi dell'ecologia del paesaggio in modo innovativo a campi della massima importanza: la conservazione della natura, la pianificazione del territorio, la valutazione strategica dell'ambiente, lo studio della biodiversità, la progettazione ambientale.
Gli enti sanitari e ambientali si occupano oggi di alcuni aspetti della diagnosi ambientale, basandosi prevalentemente sul controllo dell'inquinamento. Tuttavia, spesso non viene preso in considerazione alcun danno dovuto alle disfunzioni strutturali e spaziali dei sistemi ecologici. Non si percepisce quindi che la tutela del paesaggio è strettamente correlata con la tutela della salute: da un lato, la salute dei sistemi ecologici, con loro specifiche sindromi; dall'altro, la salute dell'uomo, minacciata dalle influenze negative trasmissibili da patologie del paesaggio.
I campi di applicazione più significativi per quanti si occupano di problemi legati al paesaggio in Italia sono: pianificazione territoriale, pianificazione ambientale, conservazione della natura, progettazione di reti ecologiche, ripristino di aree estrattive, formazione di parchi urbani, studio di valutazione ambientale, valutazione ambientale strategica e così via. Si tratta di ambiti in cui il paesaggio non può essere mai ridotto a mero supporto geografico o a sola percezione visiva.
È quindi necessario comprendere che l'ecologo del paesaggio rappresenta una figura professionale indispensabile in tutti i campi applicativi menzionati (comprese le loro articolazioni) e va sostanzialmente identificato con il medico dell'ambiente, figura preziosa per la società, se è vero che si vuole salvaguardare e migliorare l'ambiente secondo i principî della sostenibilità. Ricordiamo peraltro che l'ecologia del paesaggio supera il concetto attuale di sostenibilità e considera il sistema ecologico territoriale non come un mosaico di parti ma come un tessuto interagente; tale sistema non richiede unicamente interventi locali sostenibili, ma attende piuttosto di essere rivitalizzato con interventi capaci di migliorare settori più vasti e complessi. In questo senso, occorre sostituire il concetto di sostenibilità con quello più innovativo di 'riabilitazione strategica'.
La vita si manifesta come sistema complesso dissipativo e autoorganizzante: tale sistema è capace di ricevere ed elaborare informazioni, di riprodursi, di avere una storia e di essere il principale attore dell'evoluzione. La vita quindi non è limitata all'organismo; essa non può esistere senza l'ambiente, con cui scambia necessariamente materia, energia e informazioni. Tale scambio è talmente importante che l'emergere della vita sulla Terra ha radicalmente modificato l'evoluzione dell'intero Pianeta. Come è noto, a partire da circa 2,3 miliardi di anni or sono, con l'aumentare della concentrazione di ossigeno nell'atmosfera e, conseguentemente, nel mantello e nella crosta, la vita e l'ambiente si sono evoluti in modo coordinato, perfezionando la loro organizzazione, tanto che il mondo attorno agli organismi è oggi formato in prevalenza da sistemi viventi e l'integrazione vita-ambiente ha raggiunto livelli assai marcati. Per le ragioni suddette, i livelli biologici di organizzazione non si possono limitare a cellula, organismo, popolazione e comunità, ma devono includere anche i sistemi ecologici propriamente detti: paesaggio, ecoregione, ecosfera (tab. 1).
Per definire tali livelli biologici vi sono tre gerarchie parallele per ogni scala di analisi, basate su criteri biotici, spaziali e funzionali. Essi di solito non vengono considerati come integrati, mentre è proprio la loro integrazione che permette di riconoscerli come sistemi complessi adattativi. A scala territoriale, in un determinato ambito geografico, si può definire il paesaggio come integrazione di comunità, ecosistemi e macrocore in un unico sistema, cioè considerarlo come sistema complesso di ecocenotopi. Si ricordi che ogni sistema biologico presenta caratteri propri e caratteri esportabili. Per esempio, i processi che permettono la definizione della vita sono caratteri esportabili (cioè comuni a più livelli dello spettro biologico) anche se ogni specifico livello esprime questi processi in modo proprio, dipendente dalla scala, dalla struttura, dalle funzioni e dall'informazione di quello specifico livello. Di conseguenza, come ogni altro sistema biologico, il paesaggio svolge, pur se con modalità proprie, le stesse funzioni vitali degli altri livelli, quali quella di riprodursi, assorbire materia ed energia, eliminare cataboliti, nascere e morire, e via di seguito.
Il progredire dei paradigmi scientifici negli ultimi decenni ha aiutato a comprendere il paesaggio come sistema biologico. Tutti i sistemi viventi, infatti, seguono una termodinamica di non-equilibrio e possono essere definiti come complessi, gerarchici, dinamici, adattativi, autotrascendenti, autopoietici, dissipativi, e così via. Essi seguono il principio delle 'proprietà emergenti', per cui un tutto organico è maggiore della somma delle sue componenti. Questo approccio sistemico permette di evidenziare un modello generale con le seguenti caratteristiche: (a) le condizioni termodinamiche individuano un 'attrattore', che rappresenta una condizione di dissipazione minima per un sistema; (b) possibili macrofluttuazioni (per es., dovute ad accumulo di energia o a disturbi) producono instabilità e dirigono il sistema verso un nuovo stato di ordine; (c) questo nuovo stato permette a sua volta un aumento di dissipazione e porta il sistema verso un nuovo attrattore. Ciò implica che, oltre agli attrattori, siano importanti anche i cosiddetti 'operatori', cioè i processi di trasformazione.
Questo modello generale, che Ilya Prigogine chiama di 'ordine attraverso fluttuazioni', si manifesta in tutti i sistemi caratterizzati da flussi di energia: il sistema assorbe energia fino a un valore soglia, per poi dissiparla mediante una trasformazione irreversibile. Interessa soprattutto i sistemi viventi, da quelli fisiologici di organismo (in cui avvengono, per es., contrazione muscolare, ritmi metabolici, liberazione di ormoni) a quelli ecologici di comunità o di paesaggio (per es., successione ecologica, trasformazione dei paesaggi). Dobbiamo ancora osservare che, passata la soglia di instabilità, il sistema si trova di fronte a 'biforcazioni', cioè alla possibilità di riordinarsi rispetto a nuovi attrattori, generati per esempio da disturbi. A ogni biforcazione il sistema opera quindi una 'scelta' sulla base di informazioni spesso imprevedibili. Anche per questo si parla di irreversibilità e si supera così l'interpretazione riduzionista. Si noti che una struttura prodotta da una successione di fluttuazioni amplificate non può essere compresa se non in riferimento al proprio passato, caratterizzato da eventi imprevedibili e perciò da considerare unico e non riproducibile; risulta dunque evidente che è importante fare ricorso a un metodo storico per arrivare a comprendere tale passato, indispensabile nello studio della dinamica del paesaggio.
Il concetto di paesaggio, inteso come sistema unitario di componenti naturali e antropiche fra loro integrate, ha origini antiche: esso è nato nel periodo protoagricolo, quando le esigenze di esplorazione del territorio diventarono questione di sopravvivenza. Le raffigurazioni di mappe che risalgono a 4000 anni fa nel territorio dei Camuni mostrano una prima acquisizione del concetto di paesaggio. Nei popoli di più antica civiltà, come quello ebraico, il termine paesaggio (noff) compare già nel Libro dei Salmi, 3000 anni fa. Nel mondo romano il paesaggio veniva denominato da Columella regio, sottolineandone l'aspetto geografico. Nel Rinascimento iniziò a essere usato in Italia il termine attuale, derivato dal francese paysage (dal latino pagus), ma soprattutto in ambito letterario e artistico, come riassuntivo dei caratteri propri di un Paese. L'interpretazione geografica e soprattutto quella percettiva hanno impedito di far entrare pienamente il concetto di paesaggio nel settore scientifico della biologia, almeno fin quando Alexander von Humboldt (1846) definì il paesaggio come "insieme di tutti i caratteri propri di un determinato territorio". Fu però necessario aspettare ancora un secolo per parlare di ecologia del paesaggio: ma il termine Landschaftsökologie fu a sua volta utilizzato nel mondo scientifico internazionale soltanto a partire dal 1982, con la fondazione della IALE (International Association for Landscape Ecology).
Essendo un ramo disciplinare giovane, l'ecologia del paesaggio si articola oggi in quattro-cinque indirizzi di pensiero principali: (a) geografico, che promuove lo studio del paesaggio come entità geografica nella quale si integrano le varie componenti; (b) corologico-percettivo, caratterizzato dallo studio dei processi spaziali validi a ogni livello di scala, dove il paesaggio è definito come 'mosaico', percepito in modo differente a seconda degli animali, ossia specie-specifico; (c) ecosistemico-matriciale, che si fonda sullo studio delle configurazioni di elementi componenti (distinguibili in macchie e corridoi) su una base paesistica dominante, riconoscibile come matrice; (d) olistico-multifunzionale, che persegue lo studio, nel senso della molteplicità funzionale, dell'insieme olistico di subunità paesistiche definibili come 'ecotopi', naturali e antropici.
Solo da poco si è cercato di superare tali divergenze. La nostra proposta di revisione della disciplina, pubblicata nel 2002 con il titolo suggerito da Richard T.T. Forman Landscape ecology: a widening foundation, è un esempio in questa direzione, inserito nel contesto della 'scuola biologico-integrata'. L'importanza della landscape ecology è accresciuta dal fatto che, a questa scala gerarchica della vita, gli ecosistemi naturali e quelli antropici si integrano con pari dignità a scale spazio-temporali compatibili fra loro, cosa che non si verifica né ai livelli inferiori né a quelli superiori. Tale livello risulta quindi l'unico valido in senso operativo per attività oggi cruciali, quali la conservazione della natura e la pianificazione del territorio, anche perché l'ecologia del paesaggio può comportarsi come 'transdisciplina', capace di indirizzare e integrare gli altri contributi a livello applicativo verso tali attività.
I principali modelli strutturali del paesaggio sono due: quello cosiddetto 'a frammentazione' o 'mosaico ecologico tradizionale', e quello cosiddetto 'variegato' o 'mosaico ecologico a geometria variabile'. Tali modelli rappresentano due visioni opposte: una ecosistemica e una specie-specifica; per lo studio del paesaggio come sistema biologico essi si rivelano spesso troppo semplicistici. Ogni sistema biologico, infatti, mostra una struttura complessa, formata da insiemi funzionali ben definiti (per es., a livello cellulare i mitocondri, oppure a livello di paesaggio una macchia boscata) in un contesto di substrati variabili nello spazio-tempo (per es., rispettivamente il citoplasma, la matrice paesistica). È meglio quindi parlare di 'tessuto ecologico' o ecotessuto (fig. 3), cioè di una struttura multidimensionale individuata da un mosaico di base e da una serie gerarchica di mosaici correlati, nonché da una serie di informazioni integrabili ma non rappresentabili sotto forma di mosaico.
La maggiore importanza del concetto di ecotessuto sta proprio nella consapevolezza delle modalità di integrazione dei processi in un paesaggio. Devono infatti essere integrati: (a) un range di scale spaziali, da quella regionale a quella locale; (b) un insieme di mosaici e di informazioni tematici con le loro variabili; (c) un insieme di scale temporali che esprimono l'evoluzione dinamica del paesaggio. Questi risultati possono essere a loro volta riuniti in una carta operativa di integrazione, alla quale riferire ulteriori ordinamenti dei dati. Si deve notare che il mosaico di base è solitamente individuabile come quello delle tessere vegetate, in quanto spetta alla vegetazione il ruolo di maggior controllore del flusso di energia e di materia, la capacità di costruzione dell'ambiente e d'interazione con il suolo nonché la formazione di un microclima. Oltre al termine tessera, si può utilizzare, per un elemento del paesaggio, anche il termine 'ecotopo'. L'ecotopo va però inteso non solo come 'biogeocenosi' (biotopo + fisiotopo, con denotazione ecosistemica, ma anche come espressione di un 'ruolo paesistico', cioè come nicchia territoriale con funzioni legate al contesto del paesaggio di cui fa parte. L'ecotopo, formato almeno da due tipi di tessere diverse, può essere inteso come la parte più piccola in cui si può suddividere un paesaggio. Un insieme di ecotopi diversi può formare una 'unità di paesaggio' (UdP) distinguibile.
La struttura condiziona la funzionalità di un sistema, ma è un certo processo o un insieme di processi che determinano o modificano una specifica struttura. I processi dinamici che riguardano il paesaggio come livello biologico sono legati alle caratteristiche biotiche di questo, ne rappresentano la fisiologia e si possono ricondurre a nove grossi gruppi di funzioni.
Processi generali di regolazione naturale o antropica. - Per verificare il regime funzionale di base di un sistema ecopaesistico è necessaria la distinzione tra l'habitat umano (HU) e quello naturale (HN). L'HU è definibile come l'insieme delle aree dove la popolazione umana vive o sono amministrate in modo permanente (anche attraverso l'apporto di energia sussidiaria), limitando la capacità di autoregolazione dei sistemi naturali. Dove questa capacità invece non è limitata si è in presenza di HN. Tuttavia, nelle macchie e corridoi dominati dall'uomo è possibile trovare componenti naturali, come nei paesaggi naturali è possibile trovare elementi antropici. Il mosaico di HN e HU è quindi diverso dal mosaico dell'uso del suolo, coerentemente al concetto di ecotessuto (fig. 3). La funzionalità di base può essere ulteriormente specificata distinguendo veri e propri apparati ecologico-funzionali. Di essi, quattro sono tipici dell'HU (residenziale, sussidiario, produttivo, protettivo), sette dell'HN (resistente, stabilizzante, ecotonale, resiliente, connettivo, escretore, idrogeologico). Un apparato è formato da sistemi funzionali di tessere ed ecotopi (o comunque di elementi), ognuno dei quali è caratterizzato da molteplici funzioni paesistiche: si può parlare infatti di multifunzionalità dei paesaggi.
Processi legati allo 'scheletro' (geomorfologici). - Nello studio del paesaggio, la cui base scheletrica è dovuta alle formazioni e ai processi geomorfologici, interessa distinguere mosaici di ambienti dominati da processi geodinamici stabili, instabili, intermedi, distribuzione e caratteri di aspetti geopedologici, come pure di aspetti idrologici. La ricerca dei livelli di caratterizzazione biologica dei paesaggi geomorfologici apre oggi campi di studio interdisciplinari di notevole interesse. Per esempio, le distribuzioni di frequenza di proprietà geomorfologiche misurabili (altitudine e pendenza dei monti, sinuosità dei fiumi, estensione della copertura del suolo in UdP, relazioni pendenza-area drenante) sembrano differire in rapporto al grado di bioticità dei paesaggi geomorfologici.
Processi correlati alla struttura del paesaggio. - Questi processi si possono dividere in tre vasti gruppi: (a) processi generanti una certa struttura, come molti disturbi ‒ che sono strutturanti, quando non siano fuori scala ‒ o come attività di popolazioni animali (per es., specie 'ingegnere'), o umane (per es., infrastrutture territoriali); (b) processi dipendenti da una certa struttura, soprattutto dalla forma di elementi paesistici (tessere, corridoi) oppure dal pattern distributivo di tessere e corridoi in una matrice paesistica (per es., gli effetti di interdigitazione, margine, penisola, porosità, ecc.); (c) processi modificanti una certa struttura, che possono essere naturali, quali incendi, inondazioni, movimenti di terra, fattori climatici, migrazioni di specie, oppure antropici, quali urbanizzazione, abbandono dei coltivi, deforestazione, escavazioni ecc. I più importanti di questi processi sono quelli di frammentazione e di polarizzazione delle UdP.
Processi legati alla presenza di delimitazioni. - I limiti di un paesaggio, o delle sue componenti, dipendono dai segni che definiscono il cambiamento nei processi che lo caratterizzano, nel passaggio da una zona dominata da un processo a un'altra dominata da altri processi. La delimitazione può avere margini netti, oppure gradienti (ecotoni), o entrambi, e non sempre è formata da un elemento tangibile. Le delimitazioni possono esprimere anche un grado di barriera o di filtro per certe funzioni del paesaggio. L'uomo è molto attivo nel delimitare gli elementi paesistici, e ciò non va considerato sempre come fatto negativo, in quanto è potenzialmente strutturante. I processi più tipici sono quelli ecotonali, che producono molteplici effetti quali: zonazione di flusso, filtro, margine, trasmissione selettiva, evidenza di funzione ecotessutale. Margini e fasce ecotonali acquistano una nuova importanza nell'ecologia del paesaggio, perché costituiscono un sistema analogo a quello delle membrane cellulari in un tessuto.
Processi legati alla capacità di movimento dei componenti. - Sono distinguibili in base ai vettori da cui dipendono, che possono essere biotici (animali e uomo) e abiotici (vento, acqua, fluidi, gravità), oppure a seconda che siano processi attivi o passivi. Sono inoltre differenziabili, in base all'entità di spostamento, in movimenti che si verificano all'interno del paesaggio in esame, all'interno di un suo elemento componente o che interessano invece scale più ampie e quindi più paesaggi. Grande rilevanza assume il concetto di connettività fra elementi del paesaggio, in cui si possono distinguere fattori di connessione e circuitazione, ma anche differenze fra corridoi propri, impropri ed ecotopi con funzione di connettivo. Può essere inserito in questo capitolo (come pure nel successivo) il concetto di source and sink (sorgente e gorgo), che conduce ai concetti di metaclimax e di metapopolazione, cioè insiemi interconnessi di subunità a stadi evolutivi diversi. Un tipico sistema di spostamento di notevole importanza è costituito dal reticolo fluviale, che svolge anche il compito di apparato escretore. Infatti, la capacità di depurazione dei cataboliti provenienti dagli ecomosaici circostanti è dovuta alla struttura e alle funzioni del corridoio complesso, formato dal fiume e dalla vegetazione di ripa.
Processi di informazione e comunicazione. - Catene interagenti di organismi e comunità si comportano come reti di informazione in un ecotessuto, tanto che attraverso di esse è possibile il mantenimento di un certo livello di metastabilità. Il paesaggio è un sistema informativo essenziale per i processi di coevoluzione e selezione di gruppo, perché la caratterizzazione genetica è legata a tre livelli di scala: cellula, popolazione e paesaggio.
Michel Godron ricorda che la crescita degli ecosistemi agricoli nell'Olocene rappresenta un nuovo mutualismo, che ha prodotto la nascita di paesaggi con elevata circolazione di informazioni. Si può anzi affermare che la strategia evolutiva dei sistemi biologici ha sviluppato le componenti umane, per rafforzare le sue reti cibernetiche con la gestione e pianificazione del territorio, a condizione però che l'uomo non alteri il rapporto natura-cultura. Si tenga presente, infatti, che molti fenomeni di riorganizzazione, sia nel disegno del territorio che nello spostamento di popolazione, apparentemente decisi dall'uomo, hanno in realtà un controllo a livello gerarchico più alto e l'uomo rimane un semplice esecutore inconscio di una necessità ecologica (per es., abbandono delle campagne, giardini naturaliformi, reliquati naturali fra i campi, ecc.).
Processi legati alla capacità riproduttiva di un ecotopo. - Questi processi si manifestano in modo diverso rispetto a quanto avviene a livello di popolazione e, comunque, rispondono alle funzioni riproduttive valide per tutti i sistemi biologici (tab. 2). Premesso che la capacità riproduttiva di un ecotopo è essenzialmente dipendente dalla presenza e dalle caratteristiche della componente vegetale, è necessario introdurre i concetti di 'evento zero' e di memoria ecologica. Il primo ha il significato di perturbazione letale (per es., incendio a piccola e media scala, schianti o taglio raso), il secondo è composto da due parti, ovvero regole interne all'elemento paesistico (per es., propagule bank) e relazioni di contesto (per es., filtri di dispersione). Anche la colonizzazione da parte delle specie vegetali (e talvolta animali) gioca una parte importante nella riproduzione del paesaggio, così come la gestione antropica, se non si dimostra troppo invasiva.
Processi legati alla densità di popolazione. - Per studiare questi processi è necessario ricorrere al concetto di habitat standard pro capite, HS (misurato in m2/abitante o ha/individuo), ossia inverso della densità ecologica (e non geografica) di popolazione. L'HS si può intendere come la somma dei diversi contributi degli apparati paesistici che formano lo spazio vitale di un organismo. Anche per una stessa specie, il valore dell'HS cambia in rapporto alla fascia bioclimatica e al tipo di paesaggio. Gli Ungulati, per esempio, possono avere home range molto diversi in paesaggi differenti, ma tali misure si riducono a un unico valore di soglia in rapporto all'HS necessario per ogni tipo di paesaggio. Tale quantità si riferisce più agli apparati che garantiscono un buono stato ecologico e paesistico 'di sistema' rispetto a quelli che forniscono risorse trofiche o climatiche. Nel caso di popolazioni umane, non sempre è così: nei paesaggi antropizzati, infatti, si può arrivare a valori di HS nettamente inferiori persino all'HS teorico minimo (HS*). Tuttavia, nei paesaggi agricoli e agro-forestali, HS non può scendere sotto valori pari ad almeno 2-3 volte l'HS*, per ragioni di funzionalità; il che può spingere l'eventuale eccedenza di popolazione a urbanizzarsi per non distruggere quel tipo di paesaggio.
Processi correlati al livello di metastabilità. - Per studiare questi processi è necessario riferirsi a una funzione dei mosaici vegetati detta 'biopotenzialità territoriale', o BTC. Essa si basa sul concetto di resistance stability, i principali tipi di ecosistemi vegetati della biosfera e i loro dati metabolici (biomassa, produttività primaria, respirazione, R/PG, R/B). La BTC misura il grado di capacità metabolica relativa e il grado di mantenimento antitermico relativo dei principali ecosistemi vegetati, in Mcal/m2 anno. La BTC misura quindi il flusso di energia che un sistema ecologico deve dissipare per mantenere il suo livello di ordine e metastabilità. Attraverso tale funzione, si può dimostrare che la massima metastabilità di un paesaggio non può essere la somma delle massime metastabilità dei suoi elementi. Inoltre, si può evidenziare la stretta correlazione esistente in una UdP fra i diversi gradi di HU e HN e la relativa BTC media, che permette ‒ fra l'altro ‒ di distinguere i vari tipi di paesaggio. Il valore della BTC, associato a dati territoriali, permette l'individuazione di soglie regionali di trasformazione del paesaggio e il controllo delle maggiori dinamiche paesistiche (fig. 5).
La dinamica di trasformazione dei paesaggi sembra essere regolata almeno da quattro operatori principali e da due attrattori. Gli operatori sono: i processi evolutivi e geologici, che operano in tempi molto lunghi; i processi di colonizzazione e riproduzione, che operano in tempi da medi a corti; i processi cibernetici, di adattamento al flusso di informazioni, in tempi medio-brevi; i processi di disturbo locale, in tempi anche assai brevi. Gli attrattori sono: la congruenza spaziale, che agevola le trasformazioni e le stabilizza e la potenzialità di aumento della metastabilità, senza la quale nessuna trasformazione ha senso evolutivo. Le modalità di trasformazione seguono principalmente il modello generale sistemico a cui si è già accennato.
Ogni sistema biologico, quindi anche un paesaggio, oltre a trasformarsi, può andare incontro ad alterazioni del suo stato, che possono diventare patologiche in diverse condizioni, spesso fra loro collegate, per esempio quando: (a) il livello di metastabilità della scala superiore del sistema non è più in grado di incorporare il disturbo; (b) una buona parte dei processi di informazione è bloccata o compromessa in modo grave; (c) la potenzialità biologica delle componenti di scala inferiore è danneggiata seriamente; (d) alterazioni permanenti sono causate alle principali strutture e funzioni del sistema stesso. Il processo di incorporazione dei disturbi a grande scala è riscontrabile qualora la capacità biologico-territoriale media del sistema paesistico rimanga pressoché costante per lunghi periodi, anche in presenza di grandi cambiamenti locali. Un esempio viene dallo studio delle trasformazioni della Lombardia, che presenta una BTC media quasi costante (≈1,95 Mcal/m2 anno) da circa due secoli. Tuttavia, a scale inferiori, si possono nascondere problemi anche gravi, in special modo quando vi siano discontinuità di incorporazione dei disturbi dalla scala locale a quella regionale.
Si ricorda che le diagnosi ambientali dipendono dal confronto fra le condizioni del sistema ecologico in esame e quelle di uno stato considerato come 'normale'. In altre parole, è il rapporto tra patologia e fisiologia dei sistemi che permette una diagnosi in senso clinico del paesaggio in esame. Bisogna capire di quanto il sistema si sposta dallo stato di normalità a causa degli stimoli patogeni e, con una proiezione delle informazioni, valutare dove potrebbe arrivare il danno alla struttura e alle funzioni, in un tempo adeguato. Per 'normalità' di un paesaggio, o di una sua subunità, si intende l'insieme dei caratteri ecologici, tipici di una specificità paesistica riconoscibile (suburbana, rurale, agricola, agro-forestale, lagunare, ecc.) nel suo proprio stato di equilibrio metastabile. L'identificazione delle cause che producono la patologia riscontrata in realtà necessita di una buona conoscenza: della 'anatomia' e della fisiologia del paesaggio, nonché dell'insieme dei disturbi patologici. È inoltre necessaria una buona anamnesi, che rinnovi l'importanza della storia, e di un'analisi semeiotica, in cui anche gli studi percettivi possano apportare un contributo. Si tenga presente, inoltre, che l'eziopatogenesi di una sindrome pur essendo per la gran parte dei casi di natura interpretativa, risulta comunque di grande importanza, come si può rilevare nel caso della sindrome di industrializzazione agraria nelle regioni centro-europee (fig. 6). Di 'sindromi del paesaggio' si può e si deve quindi parlare. Esse sono raggruppate in sei categorie: alterazioni strutturali; alterazioni funzionali; sindromi di trasformazione; perturbazioni catastrofiche; degradazioni da inquinamento; sindromi complesse.
L'ecologo, come il medico, non può compiere valutazioni su un sistema vivente limitandosi a ordinarne, anche se con avanzati metodi di cluster analysis, i parametri e pretendendo così di conoscerne il comportamento generale. Per il principio delle proprietà emergenti, deve studiare innanzi tutto gli apparati specifici, le modalità di trasformazione, i complessi strutturali e funzionali propri dell'entità vivente in esame. Uno schema metodologico generale, valido per lo studio di un'unità di paesaggio (UdP), può essere sintetizzato come segue.
Sintomi, inquadramento e delimitazione dell'unità di paesaggio. - Lo studio va effettuato a diverse scale per registrare i sintomi di alterazione, collocare il territorio in oggetto nel suo sistema paesistico e individuare i limiti dell'unità di paesaggio in esame.
Rilevamento e anamnesi: componenti territoriali attuali e risalenti al passato. - Si rilevano le principali componenti dell'uso del suolo attuali (per es., boschi, prati, campi, frutteti, urbano e industriale), distinguendo le caratteristiche ecologiche; si georeferenziano le carte antiche (almeno due stati precedenti); si ricostruiscono e si misurano le tematiche equivalenti nel passato, comprese le reti stradali e ferroviarie; si stima la popolazione attuale e nel passato, ecc.
Operazioni di analisi e valutazione dell'unità di paesaggio. - La sequenza delle operazioni di analisi e valutazione è spesso iterativa, motivo per cui è difficile programmare fasi consequenziali: meglio cercare di suddividerle in tre parti riguardanti struttura, funzioni e trasformazioni. Per esempio, per la struttura paesistica si analizzano e valutano: la carta delle pendenze e dei crinali, la carta della rete fluviale e delle sorgenti, la fisionomia della vegetazione, la presenza e la distribuzione della fauna, le preesistenze storiche e archeologiche, i tipi di barriere e margini, la diversità strutturale sui tipi di elementi, il pattern strutturale di insieme, la distribuzione degli apparati paesistici, la determinazione degli habitat umano e naturale, la dimensione frattale di componenti rilevanti, ecc. Per le funzioni paesistiche si considerano i dati climatici, la carta della pericolosità idrogeologica, le considerazioni sui processi geologici (e le glaciazioni), la valutazione ‒ con metodi propri dell'ecologia del paesaggio ‒ dei tipi di vegetazione, la dinamica della BTC della vegetazione, la dinamica e la densità ecologiche della popolazione (possibilmente anche della fauna), la dinamica degli apparati paesistici e dell'HU, il regime dei disturbi presenti, l'habitat standard pro capite (per HU e HN), ecc.
Diagnosi dello stato ecologico. - Si elaborano considerazioni clinico-diagnostiche sulle precedenti analisi e valutazioni. Si confronta lo stato ecologico con i modelli di normalità ottimale. Per esempio, si considerano l'influenza del tipo di disturbi, le macchie residuali, lo stato della rete ecologica, la compatibilità ecologica delle attività industriali, il cambiamento del tipo di paesaggio, la sintesi delle principali sindromi dell'unità di paesaggio e così via.
Criteri terapeutici di intervento e controlli. - Gli interventi necessari possono essere molti, ma non tutti vanno trattati in modo approfondito; la loro articolazione dovrà seguire criteri di priorità. Dopo aver inserito le conseguenze dovute a eventuali progetti nei principali modelli diagnostici, evitando possibilmente le simulazioni informatiche, si dovrà constatare una tendenza di effettivo miglioramento dello stato ecologico dell'unità di paesaggio.
La visione biologico-integrata dell'ecologia del paesaggio porta a un rinnovamento dell'ecologia generale, capace di renderla meno riduzionista e di correggere processi basilari, come quello di successione per stadi deterministici. È in questo quadro che anche la scienza della vegetazione, prioritaria per ogni studio sul paesaggio, riceve forti spinte a rinnovarsi. Non è difficile dimostrare che studi sulla vegetazione basati essenzialmente sull'analisi delle specie (per es., la fitosociologia) sono insufficienti per l'ecologia del paesaggio. Infatti, il livello di organizzazione a cui ci si riferisce è diverso, il concetto di successione ecologica non è valido nella sua definizione tradizionale a livello di paesaggio e le formazioni antropogene non possono essere escluse dall'analisi. Di conseguenza, anche il concetto di 'vegetazione potenziale' è superato, perché basato su condizioni virtuali contro natura e contrario ai principî sistemici ed ecopaesistici: esso va sostituito con il concetto di fittest vegetation.
Si presenta quindi la necessità di un nuovo metodo di valutazione ecopaesistica. Il metodo si avvale dell'utilizzazione di una scheda, progettata per rilevare il livello di autoorganizzazione e per stimare la metastabilità di una tessera vegetata. Vengono osservati e valutati non solo i caratteri ecologici tradizionali, ma anche quelli di ecologia del paesaggio, e con modalità basate sul concetto di ecotessuto, cioè capaci di considerare anche correlazioni complesse e di contesto. I gruppi di parametri sono quattro: T=caratteri dell'elemento del paesaggio (tessera, corridoio); F=fitomassa epigea; E=parametri di ecocenotopo (ecosistema); U=rapporti fra l'elemento e il suo paesaggio. Il modello di riferimento considera i rapporti fra la produttività primaria lorda, quella netta e la respirazione negli ecosistemi vegetali, sintetizzate nel processo BTC/sviluppo con modalità esponenziale nelle fasi da giovanili ad adulte e con modalità logaritmiche nelle fasi di maturità. Il punteggio risultante, totale o per gruppo di parametri, viene confrontato con il rispettivo valore massimo al fine di ottenere una valutazione anche quantitativa del caso esaminato e di poter effettuare confronti anche con altre situazioni. Inoltre, mediante apposite equazioni, si può stimare la capacità biologica territoriale della tessera rilevata.
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