educazione
Un percorso necessario per inserirsi nel mondo
L'educazione è un processo costituito da una serie di atti e di apprendimenti finalizzati all'inserimento dell'individuo nella società. Le principali istituzioni educative sono la famiglia e la scuola. Il potere e l'efficacia dell'educazione sono evidenti e facilmente verificabili, mentre è ancora difficile da misurare il ruolo svolto dal patrimonio genetico individuale. Nell'età moderna le pratiche educative sono profondamente cambiate, innanzi tutto a causa delle profonde trasformazioni politiche, economiche e sociali; ma è anche mutata la concezione stessa dell'infanzia e dell'adolescenza, alle quali non si guarda più soltanto in funzione del futuro raggiungimento della maturità, ma come a fasi dotate di autonoma importanza
Apprendere alcune regole. A chiunque è capitato, almeno una volta, di osservare il comportamento di qualcuno e di pensare o dire: "Che maleducato!". Di sicuro questo comportamento non corrispondeva a quanto ci era stato insegnato si dovesse fare (e che di solito vedevamo fare) in una situazione data. Per esempio, ognuno sa che, se viene portato in tavola un vassoio di dolci, 'non è buona educazione' mangiarli tutti, ma è bene prenderne uno e, dopo che si sono serviti gli altri, riprenderne quando ci vengono offerti di nuovo. Nel comportarci in questo modo seguiamo una regola che ci è stata insegnata e la cui applicazione riceve un apprezzamento positivo da chi ci sta intorno.
Se ci facciamo caso, la gran parte dei nostri comportamenti si basa sull'applicazione, più o meno consapevole, di regole che abbiamo appreso e che sempre, o quasi sempre, vediamo seguire dagli adulti e dai nostri coetanei. Queste regole le abbiamo interiorizzate, cioè le abbiamo fatte nostre, abbiamo attribuito loro un valore positivo, cerchiamo di rispettarle e desideriamo che anche gli altri le rispettino. Se, tornando all'esempio dei dolci, qualcuno prima di noi mangia tutti i dolci, non solo ci restiamo male, ma penseremo o diremo: "Maleducato!".
Regole diverse in società diverse. Ma queste regole non sono le stesse in ogni società né, all'interno della medesima società, in ogni epoca. Facciamo alcuni esempi. Sempre a tavola, siamo abituati a usare coltello e forchetta. Ebbene, vi sono società in cui è 'buona educazione' mangiare con le mani o con le bacchettine. Anche nella nostra società, prima della contrastata introduzione dell'uso della forchetta, era 'buona educazione' mangiare con le mani. E ancora: nella nostra società guardarsi negli occhi mentre si parla è segno di franchezza, di attenzione a quanto dice l'altro; nella società giapponese, invece, guardare qualcuno negli occhi, specie se si tratta di un superiore, è offensivo ed è segno di cattiva educazione. Da noi, quando ci si incontra, ci si stringe la mano: gli inglesi usano di rado tale gesto, mentre i giapponesi fanno un leggero inchino.
Gli esempi potrebbero continuare, ma il succo del ragionamento è che l'educazione cambia a seconda delle società e delle epoche. Oggi, però, con il forte aumento dei contatti e degli scambi fra le diverse società, possiamo osservare una tendenza, probabilmente crescente, a un'attenuazione delle differenze nei comportamenti, così come nei modi di pensare e nei gusti, e quindi nell'educazione.
L'educazione, in sostanza, è un processo costituito da un susseguirsi di azioni che tendono a indirizzare il nostro modo di pensare e a plasmare i nostri comportamenti, adeguandoli per quanto possibile a quelli della società di cui siamo parte.
In base a questa definizione potremmo giungere alla conclusione che tutto educa, in qualsiasi forma e in ogni momento della nostra vita. Uno scambio di idee con un nostro amico, un evento in cui siamo coinvolti, una notizia di cui veniamo a conoscenza, un film che abbiamo visto, una nuova legge e così via: sono tutti elementi che possono spingerci a modificare il nostro comportamento.
Ma esistono anche azioni che sono specificamente e intenzionalmente finalizzate a formare il nostro modo di pensare e di agire (apprendimento): queste assumono una particolare intensità nelle fasi iniziali della vita (infanzia e adolescenza) e hanno lo scopo, a partire dall'insegnamento della lingua materna, di renderci partecipi delle fondamentali idee generali, delle tradizioni e dei modi di comportarsi propri della società in cui viviamo, per consentire a ognuno una graduale e positiva partecipazione alla vita sociale.
Queste idee generali costituiscono i criteri e i valori fondamentali che consentono ai membri di una società di interpretare in modo condiviso la realtà e di entrare in rapporto fra loro. Le idee di spazio e di tempo; l'idea che sia la Terra a girare intorno al Sole e non viceversa, come era nella concezione tolemaica in vigore fino al 16° secolo; il valore che attribuiamo alla vita umana ("non uccidere"); il rispetto verso sé stessi e verso gli altri; il modo di vestire, e altro ancora. Si tratta di idee e valori la cui condivisione è fondamentale, al pari della lingua materna, per vivere senza particolari difficoltà o problemi nella nostra società. I principali attori di questa educazione iniziale sono due istituzioni molto importanti: la famiglia e il sistema educativo, cioè la scuola.
L'ambiente sociale influenza il nostro modo di essere già a partire dalla vita intrauterina (cioè ancora prima della nascita): un contesto affettivo positivo tra i genitori, una buona alimentazione della mamma, un ambiente familiare tranquillo, l'esposizione a suoni delicati e alla musica sembra abbiano un effetto positivo sul feto e addirittura sulla futura formazione del carattere. Al di là di queste considerazioni, il neonato è subito influenzato dall'ambiente in cui vive. Per esempio, un bambino a cui i genitori parlano molto fin dalla nascita avrà grandi probabilità di parlare prima di un bambino allevato in un brefotrofio, la cui socialità è in genere molto più limitata. Un bambino a cui i genitori parlano con un linguaggio da adulti avrà più probabilità di parlare bene che non un bambino a cui i genitori si rivolgono imitando il linguaggio del bambino.
Ma soprattutto i comportamenti dei genitori (risposte affettive, sicurezza, coerenza, chiarezza delle regole, e così via) avranno un'incidenza spesso determinante sulla formazione del carattere e della personalità. Quella familiare è un'educazione informale, che comunque ‒ come ci insegnano la psicologia e la psicoanalisi ‒ avrà effetti che ci accompagneranno per tutta la vita. La famiglia, quindi, e in primo luogo i genitori, hanno un ruolo determinante e duraturo nella nostra storia educativa.
Un problema aperto. Si è molto discusso, e si discute tuttora, sui fattori che condizionano l'intelligenza e la personalità di ognuno: sono fattori ambientali (tra i quali rientra l'educazione) o piuttosto fattori genetici, ereditati direttamente dai nostri genitori? È un problema di non facile soluzione, soprattutto perché non abbiamo ancora la capacità di misurare scientificamente il peso dei fattori ereditari. Storicamente le posizioni degli studiosi si sono differenziate fino a dividersi, in alcuni casi, fra sostenitori unilaterali dell'ambientalismo o dell'ereditarietà.
Oggi si ritiene più opportuno, al riguardo, assumere una posizione intermedia, basata sulla considerazione che, mentre ancora poco sappiamo a proposito dell'ereditarietà (che pure esiste), molto di più possiamo affermare riguardo agli effetti dell'educazione. E questo anche sulla base di ricerche scientifiche e di esperienze significative, in primo luogo quelle relative ai gemelli monozigotici (nati, cioè, da una sola cellula uovo, che successivamente si divide dando luogo a due individui sostanzialmente identici). Questi hanno un patrimonio genetico identico: eppure è risultato in molti casi che, se allevati in ambienti diversi, sviluppano caratteristiche differenti, a riprova dell'importanza e dell'efficacia dell'educazione ricevuta.
Ragazzi selvaggi. Altre significative conferme dell'importanza dell'educazione sono date dai ragazzi selvaggi. Si tratta di ragazzi che, smarriti o abbandonati dai genitori, sono stati allevati da animali e quindi sono cresciuti al di fuori della società civile. Come è stato testimoniato da più casi, questi ragazzi, al di là dell'aspetto fisico, non hanno un comportamento umano. Non solo, ma il loro reinserimento nella società umana ‒ soprattutto una volta superata una certa età ‒ risulta di fatto impossibile.
Uno di questi ragazzi, trovato in Francia (nei boschi dell'Aveyron) nella prima metà dell'Ottocento, è diventato famoso a causa degli studi che il medico Jean Itard condusse su di lui nel tentativo (fallito) di reintrodurlo nella società. Questo ragazzo, inizialmente scambiato per un sordomuto, pur riuscendo a comprendere, come molti animali, il significato di alcune parole e di certi gesti, non fu mai in grado di parlare. Certamente, anche quel ragazzo era dotato di un proprio e specifico patrimonio genetico umano, ma questo patrimonio, in assenza di un'educazione adeguata (cioè impartita al momento e nei modi giusti in relazione alla maturazione fisiologica del bambino), è di per sé insufficiente a produrre un essere pienamente umano.
Nella nostra società l'educazione, oltre che dalla famiglia, è impartita anche dalla scuola: una grande istituzione che ha lo specifico compito di istruire i giovani. A questo proposito è opportuno un chiarimento. Non tutti, infatti, condividono l'idea che la scuola debba educare e sostengono che si debba limitare a istruire, riservando alla famiglia il compito dell'educazione. Costoro distinguono fra educazione (formazione di orientamenti, ideali, valori, gusti, aspirazioni) e istruzione (insegnamento di conoscenze, nozioni, tecniche). Di fatto, però, è difficile stabilire un confine fra educazione e istruzione, cioè immaginare un'educazione che al tempo stesso non istruisca o un'istruzione che al tempo stesso non educhi. Se, per esempio, i genitori desiderano per i figli un futuro brillante, non possono farlo senza al tempo stesso insegnare loro modi di comportamento adeguati (essere sempre puliti e ordinati, salutare correttamente, parlare bene, saper stare a tavola e così via), cioè anche istruendoli. Analogamente, se gli insegnanti spiegano ai loro allievi una poesia, si impegnano per farli scrivere correttamente, studiare la storia, le scienze e così via, difficilmente potranno farlo senza al tempo stesso metterli in contatto con la sensibilità del poeta, il gusto della lingua, i personaggi e gli eventi del passato, una particolare concezione della scienza e della natura. Tutti questi elementi incidono sicuramente, insieme alla personalità e allo stile dello stesso insegnante, sui comportamenti e sulla formazione di gusti, ideali, valori, aspirazioni degli allievi, cioè anche sulla loro educazione. Quanto sia difficile separare educazione e istruzione è infine dimostrato indirettamente dal fatto che, quando si vuole indicare il sistema scolastico, gli stessi esperti ricorrono indifferentemente alle espressioni sistema di istruzione e sistema educativo.
Anche la scuola, come la famiglia, ha lo scopo di favorire l'inserimento nella vita sociale. Essa lo fa, però, in primo luogo istruendo, cioè cercando di far acquisire ai ragazzi, da un lato, i principali elementi del patrimonio culturale della società (dalla lingua alla storia, dalla scienza alla tecnica e così via) e, dall'altro, le conoscenze e le abilità più o meno specialistiche necessarie per inserirsi nel mondo del lavoro.
Fino a pochi anni fa l'educazione impartita dalla scuola era intesa come un passaggio obbligato, e al tempo stesso un'opportunità, per appropriarsi di quel bagaglio di conoscenze/competenze che sarebbero poi servite per tutta la vita. Oggi, con l'enorme sviluppo delle comunicazioni, con l'intensificazione degli scambi commerciali, della ricerca scientifica e il conseguente flusso di innovazioni (insomma, con quell'insieme di fenomeni che chiamiamo globalizzazione), l'idea di un bagaglio culturale acquisito una volta per tutte è completamente tramontata.
A essa si sta via via sostituendo quella della necessità di ricorrere, in modo più o meno frequente, a opportunità educative anche in età adulta. E questo non solo e non tanto per recuperare conoscenze non acquisite in età infantile e adolescenziale (si pensi, per esempio, all'alfabetizzazione), quanto per mantenersi all'altezza dei forti e continui cambiamenti nella vita sociale e nel lavoro. L'esigenza di formazione in età adulta, pertanto, non riguarda soltanto una parte svantaggiata, ma più frequentemente l'insieme della popolazione. Di conseguenza, oggi si parla sempre più dell'esigenza di un sistema di educazione permanente, cioè di un sistema educativo che consenta l'accesso all'istruzione lungo l'intero arco della vita.
Tutti noi abbiamo un'idea di educazione, più o meno chiara e meditata. Tutti noi, cioè, qualora avessimo un figlio, riusciremmo bene o male a educarlo, almeno sulla base della nostra esperienza. Troviamo però, almeno nella cultura occidentale e in modo discontinuo nel tempo, molte teorie sull'educazione (chiamate teorie pedagogiche) tese a definire cosa sia l'educazione, quali le sue finalità, quali i modi in cui debba essere impartita. Ciascuna teoria presuppone una visione del mondo, dei rapporti sociali, della vita individuale e delle sue diverse fasi (infanzia, adolescenza, età adulta, vecchiaia); ciascuna teoria presuppone altresì una concezione morale, cioè un pensiero che opera scelte nei sistemi di valori, di regole e di credenze di una società, o che intende introdurne di nuovi. Queste teorie tendono storicamente a modificarsi con il mutare delle condizioni materiali della società, da cui discendono anche nuove esigenze educative, di sapere e di saper fare. È per questi motivi che oggi si parla molto spesso di esigenze di riforma della scuola, le cui modalità di organizzazione e funzionamento, le cui finalità e pratiche di insegnamento/apprendimento (didattica) vanno appunto adattate al mutare delle dinamiche culturali e sociali.
Nell'età moderna le idee e le pratiche educative sono molto cambiate a seguito della Riforma protestante, dell'Illuminismo e della Rivoluzione francese e subito dopo dei rilevanti cambiamenti economici e sociali (si pensi alla rivoluzione industriale, ai connessi fenomeni di urbanizzazione e al nascere delle grandi città) e dello sviluppo dei grandi sistemi pubblici di istruzione.
I principali cambiamenti muovono da una mutata concezione dell'età infantile e adolescenziale. Al bambino ‒ che in precedenza era per lo più considerato come un uomo incompleto, non ancora pienamente formato ‒ viene riconosciuta una sua legittimità, cioè gli vengono riconosciuti significato e importanza proprio in quanto bambino, che diventa in tal modo, e a pieno titolo, portatore di diritti (diritti dei minori). In questo percorso un ruolo di rilievo si deve attribuire ad alcuni pensatori, che hanno molto influenzato le nostre attuali concezioni dell'infanzia e dell'educazione.
Fra questi sono soprattutto da ricordare Jean-Jacques Rousseau (18° secolo), che nel suo Emilio ci parla di un'educazione non autoritaria, basata sull'esperienza e sul rapporto con la natura (l'educatore deve fare in modo che "l'infanzia maturi nell'infanzia", riconoscere l'importanza del fatto che "i ragazzi siano ragazzi prima di essere uomini"); Maria Montessori (19°-20° secolo), le cui teorie educative e didattiche, basate sullo sviluppo della spontaneità e della libertà del bambino, ebbero una grande diffusione a livello internazionale; John Dewey (19°-20° secolo), secondo cui l'educazione, che è un aspetto e un momento della vita e non una preparazione alla vita, deve muovere dalla realtà del bambino e non da idee e pratiche estranee alla sua esperienza.