Poetessa (Amherst, Massachusetts, 1830 - ivi 1886). Ebbe vita priva di eventi esteriori, scegliendo, dopo i trent'anni, il volontario isolamento nella casa paterna. Non ebbe contatti diretti col mondo intellettuale e si stacca infatti dal contesto letterario della letteratura romantica americana, cui cronologicamente e geograficamente appartiene: la più avvertibile presenza letteraria americana rimane senza dubbio quella di Emerson, ma le immagini e il linguaggio poetico della D. tradiscono altri e più lontani influssi. Da quello shakesperiano, addirittura dominante, a quello dei poeti "metafisici" del Seicento inglese, per giungere infine alla Bibbia da cui questa poetessa del dubbio ontologico e dell'angoscia religiosa trasse vocabolario, immagini e perfino ritmi. La tematica della poesia dickinsoniana è senza zone intermedie: dalle piccolissime cose della vita quotidiana che rappresentano la cornice esterna della sua esistenza, ai grandi temi della vita dell'anima (amore, morte, eternità) che ne rappresentano le angosce essenziali e permanenti e che acquistano effettiva dimensione lirica nel dominante tema della solitudine, che per la D. si risolve in stato di sospensione e paura, senso di esclusione ed esasperata consapevolezza della fragilità del reale. Il vocabolario, ricchissimo, allinea accanto a termini di ricercata evocatività parole attinte a piene mani nei settori più varî (dalla terminologia giuridica a quella scientifica, dalla culinaria alla teologia). La sua fama, tutta postuma, s'iniziò con l'edizione dei Poems (1890), si accrebbe con la pubblicazione delle sue lettere (1894, ediz. accresciuta 1931) e ancor più con la scoperta d'un cospicuo gruppo di altre poesie, Further poems (1929). L'intera opera è riunita nell'ediz. critica definitiva curata da Th. H. Johnson: Poems (3 voll., 1955); Letters (3 voll., 1958).