GATTAMELATA, Erasmo da Narni detto il
Nato intorno al 1370, morto a Padova il 16 gennaio 1443. Figlio di un fornaio, militò dapprima nelle schiere di Ceccolo Broglio, poi in quelle di Braccio da Montone. Fatto prigioniero nella rotta dell'Aquila (20 giugno 1424), riuscì a fuggire presso Niccolò Piccinino che s'era posto al servizio di Firenze. Ma passato questi a Milano, il G. restò coi Fiorentini sotto Nicolò della Stella. Alla fine del 1427 si mise al servizio di Martino V, che se ne servì dapprima contro la vedova di Braccio, Niccolina Varano, poi contro Bologna ribelle e l'irrequieta Romagna. Nel 1434, col consenso di Eugenio IV, passò al servizio dei Veneziani alleati del papa, ma rimase ancora in Romagna a fronteggiarvi le forze viscontee. Fu poi all'assedio di Lucca, e nell'aprile 1437 passava per primo l'Adda per muovere contro Milano. La piena rompeva il ponte improvvisato: il G., isolato e circondato, si difendeva e riusciva ad attraversare a cavallo il fiume. Pochi mesi dopo il marchese di Mantova, capitano generale della Serenissima, tradiva la repubblica unendosi ai Visconti; e allora tale carica era data, il 5 dicembre 1437, interinalmente, al G. E questi dovette sostenere l'urto del Piccinino, il quale mirava a riconquistare al Visconti Bergamo e Brescia. Non riuscì a impedirgli il passo dell'Oglio; pure l'11 agosto 1438 lo batteva a Rovato. Ma poi, inferiore di forze e quasi tagliato fuori da Verona, eseguì il 24-28 settembre una famosa ritirata, uscendo da Brescia con 4000 cavalli, 1000 fanti e 200 guastatori e conducendoli per la valle del Chiese, di Ledro e di Concei e la difficile sella di Trat, malgrado le insidie dei valligiani ostili, fino ad Arco; e di qui a Rovereto e a Verona. Il Senato veneziano confermò il G. nella carica. Tentò ora il G. di soccorrere Brescia assediata e d'accordo con l'ingegnere dalmata Sorbolo fece trasportare lungo l'Adige fino a Mori, poi per terra attraverso il solco di Loppio, fino a Torbole, sul Garda, 25 barche e 5 triremi. Ma la flotta fu battuta ed egli dovette poi ritirarsi fino a Padova; ma per poco, ché il 20 giugno 1439 giungeva al suo soccorso Francesco Sforza, generalissimo della lega antiviscontea. Il 9 novembre a Tenno sopra Riva lo Sforza e il G. battevano il Piccinino. Questi, assediato nel castello di Tenno, riusciva a sfuggire e il 17 novembre s'impadroniva di Verona. Ma quattro giorni dopo lo Sforza e il G. la riprendevano. Fu questa l'ultima impresa del G. A un mese di distanza si seguirono due attacchi d'apoplessia. Sebbene si ristabilisse tutte e due le volte, e conservasse per altri due anni, oltre al grado, lo stipendio di capitano generale, non fu più in grado di partecipare attivamente alle operazioni, e morì poco dopo.
Verso il 1410 aveva sposato Giacoma della Leonessa di Orvieto, da cui ebbe Gian Antonio, anch'esso uomo d'armi, morto nel 1457. Da Venezia ebbe metà del feudo di Valmareno e fu poi iscritto nel libro d'oro: il figlio gli fece erigere la famosa statua di Donatello.
Il G. fu un soldato valoroso ed energico e, cosa rara in quei tempi, fedele allo stato che serviva, schietto e a volte d'una rude eloquenza. Non fu affatto un diplomatico o un uomo d'eccezionale furberia, come si potrebbe credere dal soprannome, che invero gli si adatta poco e gli derivò forse dal nome della madre, Melania Gattelli; e nemmeno uno sforzesco amante delle lunghe guerre di logorio inframezzate agl'intrighi diplomatici.
Bibl.: A. Fabretti, Biografie dei Capitani Venturieri dell'Umbria, II, Montepulciano 1844; G. Eroli, Erasmo Gattamelata, Roma 1877; G. Graevenitz, Gattamelata und Colleoni und ihre Beziehungen zur Kunst, Lipsia 1906; A. Semerau, Die Condottieri, Jena 1909.