Eritrea
Stato del Corno d’Africa, sul Mar Rosso. La capitale è Asmara, lingua prevalente è il tigrino. Abitata da comunità di lingua semitica (tigrini e altri) e cuscitica (afar, begia ecc.), si compone di una fascia costiera islamizzata e terre alte a prevalenza cristiana. L’E. settentr. fu col Tigrai la culla dell’antica civiltà etiopica (➔ Aksum). L’espansione islamica sottrasse le regioni marittime al controllo dell’Etiopia cristiana. Nel 16° sec. i turchi stabilirono basi lungo la costa, rioccupate più stabilmente nel 19° sec. col sostegno egiziano. L’Italia giunse nell’area nel 1869, con l’acquisto della Baia di Assab da parte della compagnia marittima Rubattino di Genova, che nel 1882 la cedette allo Stato italiano. Questo occupò il porto di Massaua (1885) togliendolo ai turco-egiziani e quindi avanzò sull’altopiano, scontrandosi con l’impero etiopico e subendo nel 1887 la sconfitta di Dogali. Nel Trattato di Uccialli del 1889, l’Etiopia riconobbe tuttavia la sovranità italiana sulle terre a E del fiume Mareb, dove nel 1890 si costituì la colonia dell’E., nome coniato dal generale F. Martini ispirandosi alla denominazione greca del Mar Rosso. L’E. fu base del disastroso tentativo di invasione italiana dell’Etiopia, fallito con la sconfitta di Adua, nel 1896. Tuttavia nel successivo trattato di pace il negus Menelik II confermò il riconoscimento della colonia italiana. Portata la capitale all’Asmara, sull’altopiano, gli italiani la collegarono alla costa con un’ardita ferrovia. L’impresa coloniale vide in epoca fascista investimenti infrastrutturali, il prodigioso sviluppo di Asmara e un corposo tentativo di colonizzazione demografica delle terre dell’altopiano con contadini italiani. Nel 1939 gli italiani erano il 10-12% dei ca. 750 mila abitanti totali. Gli indigeni furono interessati da un massiccio reclutamento di truppe coloniali (➔ ). Tutto ciò incise profondamente sull’assetto socio-politico e culturale dell’E., differenziandola rispetto alla società della vicina Etiopia e affinando e rafforzando un’identità eritrea, al di là della frammentazione etnico-linguistica e religiosa della colonia. Con l’occupazione italiana dell’Etiopia (1935-41), l’E. venne ampliata con l’annessione di una parte del Tigrai, nel quadro dell’Africa orientale italiana. Gli inglesi la occuparono nel 1941 e la tennero in amministrazione provvisoria dopo la definitiva rinuncia italiana alle colonie contemplata dal trattato di pace del 1947. Contesa fra l’Etiopia – che ne reclamava l’annessione su basi storiche e forte di un importante movimento unionista radicato fra gli eritrei cristiani – e una linea indipendentista (e a tratti filoinglese) sostenuta specialmente dai musulmani della costa, l’E. fu federata all’Etiopia come «unità autonoma» (1952) in ottemperanza a un compromesso varato dall’ONU (1950). Dotata di bandiera, assemblea e governo propri, era soggetta alla sovranità ultima della corona etiopica. Il conflitto costante fra centralismo imperiale e istanze d’autonomia eritree si risolse con l’abrogazione della federazione decisa dall’imperatore Haile Selassie, che annesse l’E. come semplice provincia (1962), ma l’atto di forza scatenò la reazione armata degli irredentisti e avviò un lunghissimo conflitto, senza che il governo etiopico riuscisse mai ad avere ragione del secessionismo, sostenuto anche dall’esterno (specialmente da Paesi musulmani). La guerra civile eritrea, che fu tra le cause della rivoluzione etiopica e del crollo della monarchia (1974), mise alla prova il successivo regime socialista di Addis Abeba (➔ Derg), ugualmente contrario alla secessione. La repressione centralista indusse gli eritrei, peraltro scissi fra le posizioni differenziate di cristiani e musulmani, a coordinare la lotta antietiopica. Nei primi anni Ottanta la principale forza secessionista, l’Eritrean people’s liberation front (EPLF), di impostazione marxista-leninista, forgiò un’alleanza strategica con gli autonomisti del vicino Tigrai etiopico, segnando una svolta fondamentale per la causa eritrea. Furono le forze di questa coalizione che nel maggio 1991 abbatterono il regime etiopico di Menghistu Haile Mariam. L’E. acquisì di fatto la propria indipendenza, formalizzata con referendum popolare nell’aprile 1993. Il regime del People’s front for democracy and justice (PFDJ), erede dell’EPLF, guidato da Isaias Afewerki, si configurò presto come decisamente autoritario. Per alcuni anni le relazioni con il nuovo regime etiopico di Meles Zenawi furono buone, mentre si ebbero tensioni col Sudan (sede di un gran numero di profughi e dissidenti eritrei). Nel 1995-96 E. e Yemen combatterono una breve guerra per il controllo delle Isole Hanish (poi riconosciute allo Yemen). L’economia conobbe una fase di crescita, legata in particolare al ruolo dell’E. come sbocco sul mare per l’Etiopia (porto di Assab), ma i rapporti fra i due Paesi entrarono in crisi proprio su questioni daziarie e commerciali, fino a degenerare nel 1998 in una sanguinosa guerra scatenata da una contesa di confine per il controllo della piccola area di Badme. Nel 2000 un accordo di pace aprì la via a una forza ONU (ritirata nel 2008) e a una commissione internazionale sul confine, il cui verdetto fu tuttavia contestato da Addis Abeba. Gravi tensioni permasero fra i due Paesi. L’E. ha sostenuto attivamente le milizie islamiche somale. Nel 2008 una contesa di confine si è aperta anche con Gibuti. La situazione di conflitto, la fine della relativa crescita economica dell’immediato dopo-indipendenza e la totale militarizzazione del Paese hanno esasperato i tratti repressivi di un regime già autoritario. Dal 2001 la libertà di stampa è sospesa e la formazione di partiti d’opposizione proibita. Le elezioni generali previste dalla Costituzione del 1997 (non ancora promulgata) non si sono mai tenute.