etnologia
Lo studio delle società umane nella loro varietà
L'etnologia è una disciplina che nasce nel corso del 19° secolo come studio delle società extraeuropee, dei loro usi e costumi. Gli interessi di questa disciplina si sono poi allargati a tutte le società. L'obiettivo degli etnologi è sia quello di comprendere le singole società, i loro modelli di vita e di pensiero, sia quello di mettere a confronto le varie società umane facendo emergere somiglianze e differenze. L'etnologia ci insegna a capire le differenze culturali e cerca di facilitare il dialogo e la comprensione tra persone di diversa origine e provenienza
Durante il 19° secolo, negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei (Francia, Inghilterra, Germania, Italia) nacquero le Società di etnologia. Si trattava di associazioni che riunivano studiosi interessati agli usi e ai costumi di popoli extraeuropei. Fin dalla scoperta dell'America da parte di Cristoforo Colombo nel 1492, gli Europei erano venuti in contatto con numerosi popoli 'indigeni' (cioè abitanti i luoghi colonizzati), e nei secoli successivi questi contatti divennero più frequenti. Viaggiando in Africa, in Oceania, in Asia, in America Latina gli occidentali scoprirono forme di umanità che in precedenza non conoscevano. Alcuni di loro rimasero affascinati da questi popoli, che mostravano modi di vita molto differenti da quelli europei; altri, al contrario, li guardarono con sospetto e paura e li considerarono arretrati e violenti. L'incontro con queste società spesso non avvenne in maniera pacifica: la volontà dei primi esploratori di appropriarsi di terre e di ricchezze naturali come l'oro e l'argento e degli stessi abitanti di quei luoghi per ridurli in schiavitù portarono a guerre e violenze. L'etnologia, una parola che vuol dire "discorso", "studio" (lògos) dei "popoli" o "etnie" (ethnos), nacque con lo scopo di conoscere meglio queste società. Molti etnologi si proponevano anche di difendere i tradizionali modi di vita di questi popoli dall'invasione degli eserciti, dei coloni e dei missionari che volevano convertirli al cristianesimo e ai modi di vita occidentale.
I primi etnologi non avevano contatti diretti con i popoli che studiavano. Essi si basavano soltanto sulle relazioni di esploratori, missionari, commercianti: per questo sono definiti etnologi o antropologi (antropologia culturale) 'da tavolino'. Nel 19° secolo un grande interesse suscitarono gli oggetti che i viaggiatori e i collezionisti portarono in Europa: si trattava di armi (come il celebre boomerang degli Aborigeni australiani), strumenti da lavoro di agricoltori e artigiani (per esempio, i bastoni da scavo), oggetti sacri e artistici (come le maschere, utilizzate in vari tipi di cerimonie) che ancora oggi possiamo vedere nei musei etnografici di molte città. L'apparente semplicità di questi oggetti e la mancanza di una conoscenza diretta dei popoli studiati spinsero gli etnologi a definire 'primitive' gran parte delle società incontrate dai conquistatori occidentali nell'epoca del colonialismo. Il termine primitivo nasce dal fatto che questi popoli furono considerati simili ai primi abitanti dell'Europa, cioè a esseri umani che vissero nella preistoria, migliaia e migliaia di anni fa.
L'idea secondo cui i popoli studiati dagli etnologi fossero simili ai primitivi della preistoria che abitavano in caverne e palafitte era in realtà errata. Essa nascondeva quello che oggi, in etnologia e in antropologia culturale, si chiama un giudizio etnocentrico.
Etnocentrismo vuol dire mettere al centro del mondo la propria società, considerarla come la più importante e la più progredita di tutte. I Greci, per esempio, consideravano sé stessi come i più civili e definivano gli altri popoli come 'barbari', una parola che vuol dire "coloro che balbettano".
Molti popoli (per esempio, gli Inuit dell'Europa settentrionale, i Bantu dell'Africa, i Maori dell'Oceania) definiscono sé stessi con parole che significano "gli uomini", gli uomini veri. L'uso di termini come 'selvaggi' ("abitanti delle selve", come se si trattasse di animali) o 'primitivi' per definire molte popolazioni non europee si fonda sull'idea che gli occidentali abbiano realizzato la forma più evoluta e più importante di società mentre gli 'altri' sarebbero rimasti indietro nel cammino della storia.
Oggi sappiamo invece che le società studiate dagli etnologi sono molto complesse. Il fatto che, per esempio, alcuni popoli dell'Oceania o dell'America Meridionale abbiano deciso di vivere in palafitte e usino oggetti tecnologicamente semplici non vuol dire che siano 'primitivi': i loro miti e i loro oggetti di arte (sculture, maschere, dipinti), la cura che dedicano ai bambini, agli anziani e agli ammalati rendono le loro società evolute e complesse almeno quanto la nostra.
Quali tipi di abitazioni hanno realizzato le varie società che vivono sulla Terra? Perché sono così diverse l'una dall'altra? Ecco alcune domande a cui gli etnologi hanno cercato di dare una risposta. I tipi di case che gli etnologi hanno ritrovato nella varie società sono in effetti estremamente diverse: gli Aborigeni dell'Australia si riparavano sotto semplici paraventi; gli Irochesi dell'America Settentrionale costruivano case lunghe decine e decine di metri che ospitavano anche centinaia di persone; molti abitanti della Polinesia vivono in capanne (chiamate fale) coperte da tetti di foglie ma prive di pareti esterne; gli Inuit insediati presso il Polo Nord costruiscono i loro iglú con blocchi di ghiaccio; i Dogon del Mali, in Africa, costruiscono case con argilla e paglia. Film e fumetti come Tex hanno invece reso famosa l'abitazione dei nativi americani (chiamati anche 'Indiani'): si tratta della lunga tenda (detta teepee) fatta a forma di cono e aperta in cima per consentire la fuoriuscita del fumo.
Le case, ci insegnano gli etnologi, non servono solo a ripararsi dal caldo e dal freddo; sono anche il luogo in cui si cresce, in cui si vive con i genitori, con gli amici, con le persone anziane. La forma che diamo alla nostra abitazione, gli oggetti che ci mettiamo dentro, il modo in cui li disponiamo dipendono dalla società nella quale viviamo e dalla nostra storia personale. Quella che per molti di noi sarebbe una casa scomoda, povera e fragile, per esempio una semplice tenda, può essere per altri l'abitazione più bella, utile e desiderabile del mondo.
Abbiamo già visto che i primi etnologi non erano grandi viaggiatori e se ne stavano a casa a leggere relazioni di missionari ed esploratori. A partire dai primi anni del Novecento, etnologi e antropologi hanno invece cominciato a praticare quella che si chiama la ricerca sul campo. L'etnologo va a vivere per un certo periodo, di solito almeno un anno, nella società che vuole studiare. Egli impara la lingua locale, abita in genere con una famiglia del posto, cerca di farsi degli amici e di trovare collaboratori che lo aiutino nella ricerca. L'etnologo prende nota di ciò che osserva nei suoi taccuini e utilizza un registratore per le interviste: oggi, sempre più spesso, usa la videocamera per riprendere cerimonie e situazioni della vita quotidiana che lo interessano. Uno dei primi etnologi a praticare la ricerca sul campo, il polacco Bronislaw Malinowski, definì la ricerca etnologica con l'espressione "osservazione partecipante". L'etnologo vive nella società che intende studiare, osserva e partecipa alla vita della società stessa. Una volta concluso il soggiorno presso la società studiata, l'etnologo in genere riporta in un libro i risultati della sua ricerca, facendoci così conoscere qualche aspetto della società in cui è vissuto.
Dopo aver compiuto la ricerca sul campo e aver pubblicato libri e articoli, gli etnologi mettono a confronto i risultati delle loro ricerche e cercano di capire quali somiglianze e quali differenze esistano tra le diverse società. L'etnologo francese Arnold Van Gennep, per esempio, scoprì che in quasi tutte le società umane esistono dei riti di passaggio, cerimonie che avvengono alla nascita, al momento in cui si diventa adulti, quando ci si sposa o quando si muore. Anche la nostra società ha i suoi riti di passaggio: il battesimo per i cristiani, il matrimonio religioso o laico, i funerali sono tutti esempi di riti di passaggio.
Un rito di passaggio che si ritrova in molte società, ma non nella nostra, è l'iniziazione. Presso alcuni popoli africani i giovani, quando stanno per diventare adulti, vengono portati nella foresta dove compiono una serie di prove. Essi devono dimostrare il coraggio e la sopportazione del dolore: vengono loro trasmesse forme di sapere importanti per la vita in società. Al termine di questi lunghi riti diventano 'uomini' o 'donne' adulti ed entrano a far parte a pieno titolo della loro comunità.
Spesso gli etnologi mettono a confronto società che vivono all'interno di aree culturali diverse. Le aree culturali sono parti del mondo in cui sono diffusi, per esempio, una certa lingua, una certa bevanda, un certo tipo di abitazione o di comportamento.
In che misura il nostro modo di agire, di comportarci, di pensare dipende dalla società in cui viviamo? Gli etnologi cercano di dare una risposta a questo interrogativo studiando società diverse. Essi hanno dimostrato che il nostro modo di comportarci è in larga misura condizionato dalla società in cui viviamo. Prendiamo come esempio il cibo. A molti di noi l'idea di mangiare un piatto di cavallette arrostite, un po' di code di serpente o un grande pipistrello arrosto provoca ribrezzo: eppure ci sono società in cui questi cibi, perfettamente digeribili dal nostro intestino, sono considerati ottimi. Al contrario ci sono società nelle quali l'idea di mangiare carne di maiale, di condire l'insalata con l'aceto, di mangiare latte inacidito (cioè formaggio) provoca ribrezzo. Chi ha ragione? Nessuno, dicono gli etnologi: 'buono' e 'cattivo' sono giudizi che dipendono dalle abitudini di una certa società. Lo stesso si può dire, per esempio, degli abiti: indossare un turbante o un velo può apparire strano ad alcuni. Ad altri può invece sembrare curioso indossare un costume da bagno o un paio di scarpe a punta. Vivendo in una società si impara a vestirsi in un certo modo e a considerare strano e bizzarro il modo di vestirsi degli altri.
Per una parte della sua storia l'etnologia si è occupata di popoli lontani ed 'esotici'. Tuttavia, da qualche tempo, gli etnologi hanno cominciato a interessarsi anche alle società europee. Anche l'Europa, essi osservano, è composta di molti popoli o etnie che hanno storie, tradizioni e culture in parte differenti. L'etnologo francese Jean Cuisenier, in un libro che si intitola proprio Etnologia dell'Europa, afferma che almeno 200 etnie sono presenti in questa parte di mondo. Si tratta di popoli che non sono vissuti in isolamento, ma che hanno sempre avuto tra loro relazioni e scambi e che, a volte, si sono fatti la guerra. Ci sono in Europa società che hanno un'origine molto antica, come i Saami che vivono in Lapponia o i Baschi che vivono nei Pirenei, tra la Francia e la Spagna. Gran parte delle lingue e delle etnie europee discendono dagli Indoeuropei, popolazioni che nella preistoria migrarono dall'Asia all'Europa. Grecia e Roma hanno molto influenzato nel corso della storia le società europee, ma non bisogna dimenticare che anche i Fenici, i Berberi, gli Ebrei e i popoli di lingua araba hanno avuto molti scambi con l'Europa. Molte parole della lingua italiana, per esempio azzurro, sono di origine araba e anche i numeri che noi utilizziamo vennero introdotti in Europa dagli Arabi. Infine, ci insegna Cuisenier, ci sono anche in Europa popoli nomadi come gli Zingari (chiamati anche Gitani o Rom). Le società dell'Europa attuale sono il prodotto degli incontri, a volte pacifici e a volte violenti, tra questi diversi popoli.
Nel mondo di oggi è molto aumentato il numero delle persone che danno luogo a emigrazioni, cioè che si spostano dai luoghi in cui sono nati per andare a vivere e a lavorare in altri paesi. Si può dire che non esiste praticamente nessun paese al mondo in cui non vi sia qualche europeo! In un passato recente, soprattutto a causa della povertà, milioni di italiani si trasferirono, per esempio, in paesi come il Brasile, l'Argentina, l'Australia, gli Stati Uniti, il Canada. Anche in Europa ci sono oggi individui che provengono da ogni parte del mondo, soprattutto da paesi dell'Africa, dell'Asia e del Medio Oriente. Essi a volte fuggono da regioni in cui ci sono guerre e carestie. Le persone che vanno a vivere in altri paesi prendono il nome di migranti, dei quali oggi si occupa con grande interesse l'etnologia. Gli etnologi, attraverso lo studio delle abitudini, delle culture e delle tradizioni religiose delle varie comunità di migranti, cercano di facilitare il dialogo e la comprensione tra persone di diversa origine.
Sia che si dedichi a popoli non europei, sia che si dedichi allo studio delle etnie europee, sia che si dedichi ai migranti, l'etnologia è un sapere che si basa sul rispetto delle diverse culture e sulla speranza che il dialogo tra i popoli possa permettere di costruire un mondo migliore.
Bronislaw Malinowski, antropologo ed etnologo di origine polacca, fu il primo a compiere una lunga ricerca sul campo tra il 1915 e il 1918. Il territorio della sua ricerca furono le Isole Trobriand, un arcipelago dell'Oceania situato a nord dell'Australia. Gli abitanti di queste isole, i Trobriandesi, sono orticoltori: il principale prodotto delle loro coltivazioni è l'igname, un grande tubero. I villaggi sono organizzati attorno a una piazza centrale in cui si svolgono riti e danze. In questa società non sono i padri a occuparsi dei figli bensì gli zii materni. Malinowski scoprì che i Trobriandesi non vivevano isolati dal resto del mondo. Essi erano impegnati in uno scambio di oggetti preziosi (collane e bracciali di conchiglia) con gli abitanti di isole lontane anche centinaia di chilometri di mare, che raggiungevano a bordo delle loro canoe.
Ecco come Malinowski presentava l'etnologia nel 1922: "Ciò che mi interessa veramente nello studio dell'indigeno è la sua visione delle cose. Ogni cultura umana dà ai suoi membri una precisa visione del mondo, un preciso gusto della vita. Nei vagabondaggi lungo il corso della storia umana e sulla superficie della terra, è la possibilità di vedere la vita e il mondo dai vari angoli particolari di ciascuna cultura che mi ha sempre affascinato più di ogni altra cosa e mi ha ispirato il desiderio di capire le altre culture e di comprendere altri tipi di vita. Fermarsi per un attimo di fronte a un fatto bizzarro e singolare, riderne e vederne la stranezza esteriore, guardarlo come una curiosità e ammucchiarlo nel museo della propria memoria o nel magazzino dei propri ricordi, questo atteggiamento mi è sempre stato estraneo e ripugnante. Alcune persone sono incapaci di capire l'intimo significato di tutto ciò che appare a prima vista strano e incomprensibile in una cultura diversa. Queste persone non sono nate per fare gli etnologi.
Noi non possiamo conoscere noi stessi se non lasciamo mai i ristretti confini dei costumi, delle credenze e dei pregiudizi entro cui ogni uomo nasce. Niente può aiutarci di più in tale questione di estrema importanza dell'atteggiamento mentale che ci consente di trattare le credenze e i valori di un altro uomo dal suo punto di vista. Né mai l'umanità civile ha avuto bisogno di questa tolleranza più di adesso, quando i pregiudizi, la cattiva volontà e lo spirito di vendetta dividono le nazioni europee, quando tutti gli ideali, nutriti e proclamati come le più alte realizzazioni della civiltà, della scienza e della religione sono stati gettati al vento".
(Bronislaw Malinowski, Argonauti del Pacifico Occidentale).