Chabod, Federico
Nato ad Aosta nel 1901 e morto a Roma nel 1960, C. fu tra i massimi storici del 20° sec., i cui studi spaziarono dalla storia tardo-medievale alla contemporaneistica, dalla storia delle idee a quella economica. Trovò in M. uno dei centri più profondi e costanti dei suoi interessi fin dalla tesi di laurea sul Principe, condotta sotto la guida di Pietro Egidi nell’Università di Torino e discussa nel luglio del 1924. La tesi, alla quale era giunto dopo larghe ricerche sulla genesi delle Signorie nell’Italia settentrionale, fu pubblicata, rielaborata e ampliata (Azzolini 1989-1990) l’anno successivo, e rimarrà il suo maggior contributo su Machiavelli. C. si era intanto visto affidare la curatela di un’edizione introdotta e commentata del Principe che uscì nello stesso 1924, suscitando l’immediato consenso di Benedetto Croce, il quale ben coglieva uno dei caratteri fondamentali dell’interpretazione di C., consistente nel dar
risalto, accanto al molte volte studiato Machiavelli teorico, al Machiavelli uomo “d’immaginazione” [...]; e cioè uomo di passione e di fantasia, la cui vita interiore culminò in un gran sogno, il sogno del Principe (B. Croce, Nuove pagine sparse, 2° vol., 19662, p. 229).
Già nei lavori d’esordio C. fu capace di tracciare una strada tutta sua, che non era quella dell’erudizione positivistica, pur pienamente posseduta e messa a profitto, ma ancor meno era l’altra che in quegli anni si esprimeva nell’approccio giuridico-sistematizzante di Francesco Ercole, di cui C. respingeva tanto il metodo quanto la curvatura tra l’autoritario e il nazionalistico che proprio allora tale approccio si apprestava a ricevere nella cultura fascista. Il proposito di battere altra via rispetto alle letture attualizzanti di M., intese a farne il profeta dell’Unità d’Italia o il teorico dello Stato etico, era peraltro ben trasparente nel bisogno profondo, da cui C. si mostrava mosso, di comprenderne l’opera non solo nel quadro della società che l’aveva vista nascere e nei confronti del quale essa intendeva agire, ma anche alla luce della complessa e inquieta personalità umana del suo autore.
Considerata pertanto sotto l’aspetto storico, piuttosto che l’opera di un precusore, anticipatrice di una nuova Italia, quella di M. appariva a C. «l’espressione teorica, il riassunto ideale dello svolgimento della vita italiana fra il Tre e Quattrocento» (Scritti sul Rinascimento [1950], 1965, p. 171). Tale interpretazione faceva centro essenzialmente sul Principe, che C. considerò sempre il vertice di M., e in ogni caso l’opera sua più tipica. Sul piano intellettuale come su quello pratico, essa rappresentava l’esito estremo delle dinamiche che nell’Italia centro-settentrionale avevano condotto alla crisi dei comuni, e attraverso il progressivo isterilimento delle dialettiche sociali su cui questi erano sorti, avevano finito con l’imporre la nuova figura del signore ordinatore e pacificatore. Sennonché tale signore, proprio per il modo in cui si era imposto sulla scena e per la stessa materia sociale che era chiamato a governare, non era in realtà, a giudizio di C., che l’espressione compiuta di quella perdita di sostanza etico-civile che aveva reso la società comunale incapace di pervenire a forme più mature e compiute di statualità. Era proprio per contrastare questo processo di decadenza che M. aveva scolpito, quasi estraendoli ed essenzializzandoli dalla recente storia italiana, i tratti del principe nuovo:
Questo mondo, vuoto di profondi motivi morali e politici, senza forza di masse, vivente solo nella isolata virtù di individui sparsi, i quali imprimono la propria orma in una materia fiacca e senza coesione, viene espresso nella sua primordiale e suprema natura nel Principe (Scritti su Machiavelli [1925], 1964, p. 56).
Così, nel delineare il principe nuovo, M. per un verso mostrava la sua straordinaria intelligenza storica, capace di penetrare il senso di tutta un’epoca; ma per altro verso, indicando il soggetto del riscatto proprio nella solitaria figura del principe, avulsa da qualsiasi realtà etica e sociale, forgiava uno strumento del tutto interno alla crisi stessa. Donde per C. non solo il carattere di «illusione» del Principe, ma anche alcuni degli equivoci più significativi in cui M. era caduto, come quello sulle armi mercenarie, considerate e quasi ossessivamente assolutizzate quali causa, piuttosto che effetto, della crisi italiana.
L’altro aspetto della sua interpretazione generale – non meno importante del primo e parimenti produttivo di notevoli analisi specifiche – consisteva nel cogliere nella personalità e nella psicologia di M. una «possente immaginazione creatrice» (Scritti su Machiavelli [1925], 1964, p. 56) che al Fiorentino consentiva di elaborare la propria esperienza storica e trascenderla in una lezione di verità, l’autentica verità dell’agire politico. Della politica M. aveva saputo comprendere meglio di quanto fosse mai avvenuto prima i lineamenti essenziali e l’intima necessità. In ciò, facendo propri i termini dell’interpretazione crociana di un M. scopritore dell’autonomia e della necessità della politica, C. indicava l’acquisizione universale e imperitura, sul piano del pensiero, dell’opera di M.; acquisizione alla quale egli era appunto potuto pervenire grazie alla potenza e alla produttività della sua «immaginazione»:
ecco sin da ora – scriverà nel suo ultimo importante lavoro machiavelliano – quel non fermarsi mai all’analisi, pur lucida, di una determinata situazione politica, anzi il bisogno direi istintivo di risalire d’un subito da quei dati di fatto a considerazioni di carattere generale, d’intravvedere in quel concreto episodio una delle tante e mutevoli incarnazioni di qualcosa che non muta, perché eterno – la lotta per la potenza, e cioè l’agire politico. Nelle considerazioni di questo funzionario intorno agli eventi del giorno, in relazioni ufficiali al suo governo, irrompe già la grande “immaginazione” machiavelliana: e vale a dire l’improvvisa e folgorante intuizione, in tutto simile a quella del grande poeta, che in un evento qualsivoglia coglie e afferra il ritmo di una vicenda eterna ed universale, connaturale agli uomini (Scritti su Machiavelli [1925], 1964, p. 373).
A questa interpretazione di M., già sostanzialmente delineata nella monografia del 1925, C. rimarrà sempre fedele, avendo peraltro modo di approfondirla e specificarla in diversi lavori successivi: dal saggio del 1927 in cui, in polemica con Friedrich Meinecke, argomentava a favore di una composizione di getto di tutto il Principe, alla ‘voce’ pubblicata nel 1933 nell’Enciclopedia Italiana, dalla conferenza del 1952 su Metodo e stile di Machiavelli, ove il motivo esegetico dell’«immaginazione politica» gli consentiva di formulare notevoli osservazioni sullo stile, fino al corso accademico dell’anno seguente su Il segretario fiorentino, nel quale ripercorreva il lento accumularsi dell’esperienza politico-diplomatica di Machiavelli.
Conseguenza della sua tesi di fondo sul significato storico del Principe e della sua «inattualità» era che non certo in senso moderno poteva parlarsi di «nazione» e di «Stato» in M., come avveniva nelle tante letture a cui con sobrietà e quasi implicitamente C. si era opposto fin dai suoi primi scritti (Sasso 1964). Privo di carattere nazionale quando tale carattere lo si fosse inteso alla maniera romantica, il Principe aveva però per C. altro e maggiore significato ‘nazionale’. In senso generale, perché dava giustificazione sul piano del pensiero di ciò che la storia europea veniva elaborando nel suo seno: ossia la formazione di quegli Stati nazionali che M. legittimava, in forza del suo naturalismo, nella loro particolarità e nella loro assoluta indipendenza da ormai tramontati ideali universalistici. Per questo verso il Principe apriva il nuovo corso della storia europea come storia di nazioni. Ma l’operetta aveva inoltre un valore nazionale in senso tutt’affatto particolare, perché offriva agli italiani, se non certo una profezia della loro unità, un più intimo richiamo alla serietà e alla durezza della lotta politica. Ed era questa una severa lezione che C., lasciando risuonare nella sua pagina accenti desanctisiani, ma anche gentiliani e forse gobettiani, vedeva impartita da M. ai suoi stessi contemporanei contro lo spirito dei tempi.
Nel corso universitario che più tardi (1943-44) dedicò all’idea di nazione, C. osservava che nello svolgimento storico di tale idea – con considerazioni che poi varranno in parte anche per la nozione di Stato – a M. va assegnata una funzione che potrebbe esser detta di premessa, in quanto fu bensì con lui che divenne non più proponibile, nella storia del pensiero politico europeo, l’universalismo medioevale, ma il suo interesse andava piuttosto all’unità statale che non alla nazione. E quindi, se anche in lui è possibile scorgere varie attenzioni per il ‘carattere’ e la ‘natura’ dei popoli, per un altro e più sostanziale aspetto egli si colloca al di qua della genesi della moderna idea di nazione, nei confronti della quale costituisce certo una premessa importante, ma piuttosto remota.
Bibliografia: Gli scritti su M. di C. sono riuniti nel 1° vol. delle Opere di Federico Chabod. Scritti su Machiavelli, Torino 1964, più volte ristampato e da ultimo con prefazione di C. Vivanti (1993). Vanno inoltre tenuti presenti gli Scritti sul Rinascimento, Torino 1965, e quindi i due corsi universitari, usciti postumi, entrambi a cura di A. Saitta, E. Sestan: L’idea di nazione, Bari 1961, e Storia dell’idea d’Europa, Bari 1961.
Su C. interprete di M. si vedano la recensione di G. Sasso agli Scritti su Machiavelli, «La cultura», 1964, 2, pp. 646-59; G. Sasso, Il guardiano della storiografia. Profilo di Federico Chabod e altri saggi, Bologna 20022, pp. 1-210; G. Sasso, Storiografia e decadenza, Roma 2012, pp. 122-33.
Si vedano inoltre: L. Azzolini, Note in margine alla tesi di laurea di Federico Chabod: “Del Principe di Niccolò Machiavelli”, «Annali dell’Istituto italiano per gli studi storici», 1989-1990, 11, pp. 635-63; E. Cutinelli-Rendina, Rileggendo gli Scritti su Machiavelli di Federico Chabod, in Nazione, nazionalismi ed Europa nell’opera di Federico Chabod, Atti del Convegno, Aosta 5-6 maggio 2000, a cura di M. Herling, P.G. Zunino, Firenze 2002, pp. 1-40.