Fedro
Le favole della Roma antica
Nato schiavo, vissuto a Roma nella prima metà del 1° secolo d.C., Fedro è autore della più importante e apprezzata raccolta di favole della letteratura latina, in cui egli riprende e sviluppa il modello costituito dalle favole di Esopo. Poco apprezzato dai suoi contemporanei, fu riscoperto in età moderna; ammirato per il suo stile semplice ma efficace, a lui si ispirarono vari autori moderni
di favole
Sulla vita di Fedro le uniche informazioni sono fornite da alcuni cenni presenti nella sua stessa opera: nato forse attorno al 20 a.C. (sotto l'impero di Augusto), visse sotto il principato di Tiberio, Caligola e Claudio; la sua morte deve essere avvenuta attorno al 50 d.C. Egli è uno dei pochissimi autori della letteratura latina di nascita non libera: originario della Tracia, regione della Grecia, era schiavo di Augusto, da cui fu liberato (le origini barbare e servili lo accomunano a Esopo); ebbe anche problemi giudiziari sotto il regno di Tiberio, forse ‒ come egli fa intendere ‒ perché le sue favole provocarono l'irritazione di Seiano, il crudele prefetto del pretorio di Tiberio.
L'insieme delle sue favole giunge a poco più di novanta, tutte in versi (in senari giambici, che sono i versi usati da precedenti autori di commedie latine, quali Plauto e Terenzio), divise in cinque libri. Tuttavia, molte favole, nel corso dei secoli, devono essere andate perdute; circa una trentina ci sono giunte fuori dalla sua raccolta, in una appendice messa insieme da un umanista del Quattrocento, Niccolò Perotto (per questo, si parla di Appendix Perottina).
Nel prologo alla propria raccolta, Fedro dichiara esplicitamente di essersi ispirato al modello della favola esopica: "La materia che Esopo, il creatore della favola, ha trovata, io l'ho rifinita in versi senari. Doppio è il pregio di questo libretto: che suscita il riso e che insegna, con il suo consiglio, la vita dell'uomo prudente. Se poi qualcuno volesse dir male del fatto che gli alberi parlano, e non gli animali soltanto, si ricordi che noi scherziamo con favole inventate". Fedro è consapevole del valore letterario e morale delle proprie favole: esse, sì, divertono, ma trasmettono anche un messaggio morale. Infatti, come già in Esopo, ogni personaggio animale o vegetale (solo talvolta i personaggi delle favole sono uomini, tra i quali spicca Esopo stesso) rappresenta il simbolo di una qualità o, più frequentemente, di un difetto umano. In questo modo la favola illustra, con la sua trama, le regole che dovrebbero guidare o che guidano (non sempre secondo giustizia) il comportamento degli esseri umani: "l'uomo prudente", cui si riferisce Fedro, è colui che sa comprendere come va il mondo degli uomini e sa, perciò, evitarne i pericoli.
In modo ancora più netto, nel prologo del terzo libro Fedro presenta ed esalta la favola come il mezzo con cui i poveri e gli oppressi possono protestare contro le ingiustizie dei potenti, ma nascondendo tale protesta in un racconto apparentemente fantasioso: "Ora in breve spiegherò perché sia stato inventato il genere della favola. La schiavitù oppressa, poiché non osava dire ciò che avrebbe voluto, trasferì in favolette i propri sentimenti, ed evitò le accuse per mezzo di scherzose finzioni. Io ho trasformato i sentieri aperti da Esopo in una via e ho escogitato più storie di quante egli ne abbia lasciate […]. Il mio proposito non è accusare i singoli ma mostrare la vita così come è e i comportamenti degli uomini". È chiaro che, quasi sempre, i comportamenti umani che egli illustra sono la prepotenza, l'arroganza, la vuota superbia, la stupidità e la vanità.
Non a caso, la prima favola della raccolta è dedicata al prepotente che cerca di presentarsi come vittima proprio per giustificare la propria violenta aggressione: il lupo che beve allo stesso ruscello dell'agnello, ma più in alto, lo accusa di intorbidargli l'acqua; quando l'agnello osserva che ciò è impossibile, perché egli si trova più in basso, il lupo tira fuori un altro pretesto, accusando l'agnello di aver parlato male del lupo, sei mesi prima. "Rispose l'agnello: "Ma io non ero ancora nato!" "Per dio ‒ dice il lupo ‒ è tuo padre che parlò male di me". E così, lo afferra e lo sbrana, uccidendolo contro giustizia. Questa favola è scritta per quegli uomini che opprimono gli innocenti con ingiuste accuse".