femminismo
Emancipazione e liberazione delle donne
Il femminismo è un movimento che si oppone alla concezione tradizionale della donna come subalterna e inferiore all'uomo: tale inferiorità non è altro che la disuguaglianza creata da secoli di predominio maschile. Come movimento organizzato il femminismo nasce nell'Ottocento, ma il patrimonio di idee a cui attinge ha le sue radici nella cultura illuministica. La lotta delle femministe per la parificazione giuridica, economica e politica ha determinato una profonda rivoluzione anche nel costume, con un radicale ripensamento della cultura occidentale e dei rapporti personali e familiari
Il termine femminismo fu coniato solo verso la fine dell'Ottocento per indicare un movimento politico e sociale per l'emancipazione delle donne.
Già in precedenza, tuttavia, varie voci femminili avevano espresso pubblicamente posizioni di denuncia e rifiuto della subordinazione femminile e della diversità di potere tra i sessi. Tra queste pioniere del femminismo ricordiamo la gentildonna francese Christine de Pizan, che nel 1405 scrisse la Città delle dame negando la tesi di un'inferiorità innata delle donne. Ma le radici culturali del femminismo vanno ricercate soprattutto nelle idee illuministe di eguaglianza, universalità della ragione e diritti inalienabili (diritti dell'uomo). Durante la Rivoluzione francese, per la prima volta le donne ebbero la possibilità di organizzarsi istituendo club femminili e di rivendicare quella universalità dei diritti da cui le escludeva un'interpretazione della categoria 'uomo' ristretta al sesso maschile. I diritti delle donne si intitola un'opera pubblicata nel 1792 dall'inglese Mary Wollstonecraft: un'aperta polemica con le idee di Rousseau secondo cui le donne nascevano per piacere all'uomo e dovevano essere educate all'obbedienza e al futuro ruolo di mogli. Un classico del femminismo è la Dichiarazione dei diritti delle donne e delle cittadine scritta da Olympe de Gouges nel 1792, in cui si rivendica il diritto delle donne all'assoluta eguaglianza politica e giuridica.
Il femminismo è essenzialmente un movimento delle donne per le donne. Alcuni importanti pensatori femministi però furono uomini. Nel 1646, all'epoca della Rivoluzione inglese, John Lilburne affermava che tutti gli esseri umani, di entrambi i sessi, sono uguali e hanno pari dignità. Nel 1790 il marchese di Condorcet sosteneva che i diritti naturali vanno riconosciuti a tutti gli individui della specie umana.
A metà dell'Ottocento il pensatore liberale inglese John Stuart Mill propugnava l'abolizione della "tirannia maschile" nel matrimonio e la totale eguaglianza dei diritti per i due sessi. Agli stessi anni risale il primo libro sui diritti delle donne pubblicato in Italia, La donna e la scienza di Salvatore Morelli, il quale nel 1877 fece approvare in Italia la prima legge che riconosceva alle donne la capacità giuridica.
Nella seconda metà dell'Ottocento il femminismo acquista le caratteristiche di un movimento organizzato: dai discorsi sulla parità e sull'eguaglianza si passa all'azione concreta per la conquista dei diritti politici e civili. La battaglia per la parità nel campo dell'istruzione e per il suffragio, cioè il diritto di voto, sono i due grandi temi del femminismo ottocentesco.
La Gran Bretagna fu il paese pioniere nella rivendicazione del diritto di voto per le donne: il primo comitato per il suffragio femminile sorse a Manchester nel 1865. In questa prima fase il femminismo finì per identificarsi con il movimento per i diritti politici delle donne; femministe e 'suffragette' divennero sinonimi.
Il primo paese in cui le donne ottennero il diritto al voto fu l'Australia (1902). In Europa la strada fu aperta dalla Finlandia e dalla Norvegia (1906 e 1907), seguite tra il 1915 e il 1922 da altri 17 paesi, anche extraeuropei tra cui gli Stati Uniti. Nel 1931 fu la volta del Portogallo e della Spagna. In Francia il suffragio femminile fu introdotto nel 1944, in Italia un anno dopo, in Grecia nel 1952, in Svizzera solo nel 1971.
Nel campo dell'istruzione il processo di parificazione fu ancora più lento e faticoso. In Francia solo un decreto del 1924 sanciva la parità dell'istruzione secondaria femminile e maschile. In Inghilterra le università si aprirono alle donne verso la metà dell'Ottocento, ma le facoltà di medicina e di giurisprudenza le esclusero ancora per lungo tempo; anche quando le donne riusciranno a ottenere l'ingresso nelle università, non saranno ammesse agli albi professionali. In Italia la professione di giudice sarà accessibile alle donne solo dal 1963.
Nel 20° secolo, sull'onda della contestazione giovanile del Sessantotto, il movimento femminista conosce una nuova stagione e si impone all'attenzione con gesti clamorosi e provocatori. Nel 1968, in occasione dell'elezione di Miss America le femministe statunitensi incoronarono una pecora e gettarono reggiseni e cosmetici in una "pattumiera della libertà". A Parigi le femministe francesi deposero sulla tomba del Milite ignoto una corona con la scritta "Alla moglie ignota del milite ignoto". Ovunque sorsero Centri femminili che organizzarono programmi di assistenza sociale, per esempio per la tutela delle donne vittime di violenza. Il nuovo movimento femminista degli anni Settanta, che prende nettamente le distanze da quello ottocentesco, nasce da una profonda delusione: l'acquisizione dei diritti politici e civili non ha portato l'auspicato, radicale mutamento della società; i modelli culturali maschili continuano a essere dominanti, e le donne restano una "maggioranza oppressa". Le libertà acquisite sono puramente formali: si afferma la convinzione che occorra passare dalla semplice emancipazione alla liberazione delle donne andando alle radici della differenza di potere tra i due sessi. Dall'esigenza di capire l'origine e la perpetuazione di questa asimmetria nasce tutta una serie di feconde riletture in chiave femminista dell'antropologia, della storia, del diritto, persino della teologia.
Gli anni Settanta vedono la mobilitazione delle femministe per la legalizzazione dell'aborto, cioè l'interruzione volontaria della gravidanza, in nome di una maternità consapevole. Contrariamente a ciò che spesso si pensa, l'aborto non è esaltato dalle femministe, che lo considerano una decisione estrema e dolorosa, e non un sistema di controllo delle nascite.
Alla richiesta di legalizzazione dell'aborto, infatti, le femministe degli anni Settanta affiancarono la battaglia per la diffusione della contraccezione. La campagna delle femministe trovò l'appoggio di buona parte dell'opinione pubblica maschile, e dalla fine degli anni Sessanta numerosi paesi iniziarono a introdurre leggi che depenalizzavano l'interruzione volontaria della gravidanza.
Negli anni Settanta si approfondisce la divergenza tra due correnti del femminismo: quella che pone l'accento sulla differenza e quella che insiste sull'eguaglianza tra i due generi. Secondo la prima, esiste una irriducibile diversità tra donne e uomini; rivendicare l'eguaglianza significa costringere le donne ad adottare modi di essere e di pensare maschili e quindi estranei e ostili, mentre la vera emancipazione consisterebbe nella creazione di una nuova cultura improntata ai valori e ai principi femminili. Secondo le sostenitrici dell'eguaglianza, invece, i generi maschile e femminile ‒ a differenza del sesso, che è un fatto biologico ‒ non sono realtà date dalla natura; si tratta di ruoli, modelli di comportamento e di pensiero frutto della storia e della cultura. Come affermava la scrittrice francese Simone de Beauvoir, "donne si diventa". La teoria della differenza rovescerebbe in positivo, definendoli come tratti specificamente e originariamente femminili, gli effetti di una divisione del lavoro e del potere segnata dal predominio maschile.
Queste divergenze teoriche però non hanno paralizzato il movimento femminista, impegnato oggi più che mai a intervenire là dove le donne sono vittime della violenza o vedono calpestati i loro diritti: nei paesi del Terzo Mondo e in quelli dilaniati dalla guerra, ma anche nei paesi avanzati dell'Occidente.