Sessantotto
La contestazione giovanile
La nozione di Sessantotto non si riferisce solo all’anno 1968, ma a una più ampia stagione (tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta) di ribellione delle giovani generazioni, attratte dall’ideale di rivoluzionare la società e la politica. Quelle rivolte esercitarono una profonda influenza sui processi di trasformazione dei comportamenti e della mentalità e di creazione di nuove forme di mobilitazione
Con il termine Sessantotto si indica il movimento di studenti e operai che esplose alla fine degli anni Sessanta del Novecento nelle università, nelle scuole, nelle fabbriche e nelle piazze, contestando i valori tradizionali e le istituzioni. Tale contestazione prese di mira sia la società occidentale – e dunque il capitalismo – sia quella di tipo sovietico – e dunque il socialismo nella sua realizzazione storica.
In effetti, tra i vari movimenti del Sessantotto vi furono anche differenze profonde, nelle motivazioni e negli obiettivi. Il dato comune era soprattutto quello anagrafico, essendo i gruppi che lo promossero costituiti prevalentemente da giovani. Si trattò, per certi versi, della ribellione di una generazione.
Un primo segnale della rivoluzione giovanile venne dagli Stati Uniti. Già alla metà degli anni Sessanta, infatti, scoppiarono rivolte nei campus universitari americani in difesa dei diritti civili, contro le discriminazioni razziali che colpivano gli afroamericani e contro la guerra in Vietnam, giudicata imperialistica.
Lo scenario della rivolta si era esteso, nel frattempo, all’Europa, a partire dalla Francia. In questo paese non vi era una questione come quella del Vietnam, la disoccupazione non era a livelli drammatici e la condizione degli immigrati non era in alcun modo confrontabile con quella degli afroamericani negli Stati Uniti. Eppure un diffuso malessere sociale, caratterizzato dalla polemica contro il ‘gollismo’ – la politica francese era dominata dal nazionalismo del generale Charles de Gaulle –, sfociò in un movimento di protesta che coinvolse l’università, il mondo del lavoro, le istituzioni pubbliche e il potere politico. Le grandi manifestazioni del ‘maggio francese’, nel 1968, contribuirono al tramonto politico del presidente de Gaulle.
In Italia, invece, la diffusione del movimento giovanile fu per molti versi prodotta dal fallimento dei progetti riformistici messi in atto dalla Democrazia cristiana e dal Partito socialista con i governi di centrosinistra. Il sistema scolastico italiano e quello universitario, inoltre, erano molto arretrati e inadatti a una società in rapida evoluzione. Infine, chiusosi ormai il ‘miracolo economico’, molti giovani operai del Sud, immigrati nelle grandi città del Nord, vivevano in condizioni di grave disagio. Si innescò, in tale contesto, un’ondata di contestazione politica e sociale, prevalentemente operaia e studentesca, che in anni successivi degenerò anche in estremismo e violenza.
Tratti comuni di tutti i movimenti europei del Sessantotto furono, poi, la polemica contro l’imperialismo (con gli Stati Uniti come principale bersaglio) e la critica frontale rivolta ai partiti della sinistra e ai sindacati, accusati di essersi integrati nel sistema. Molteplici furono, però, le ‘bandiere’ dei diversi gruppi: dall’anarchismo all’ammirazione per la figura di Mao Zedong, dal femminismo al culto di Che Guevara.
In Francia le ribellioni vennero presto riassorbite. In Germania, invece, presero vita alcune organizzazioni clandestine terroristiche, come la Rote Armée Fraktion («Frazione armata rossa»).
Il paese con la scia terroristica più profonda fu però l’Italia, dove il Sessantotto generò vari e diversi gruppi extraparlamentari di sinistra (tra cui Lotta continua, Potere operaio, Avanguardia operaia, i maoisti e così via), alcuni dei quali imboccarono, poi, la strada della violenza. Il gruppo più attivo in tale direzione si rivelò quello delle Brigate rosse, che vide nella pratica del terrorismo l’unica possibilità per realizzare la rivoluzione in Italia.
Il lascito del Sessantotto, malgrado ciò, non si risolse di certo nell’estremismo di alcune organizzazioni. Era emersa in quel periodo, per esempio, l’esigenza di una concezione meno autoritaria e più aperta della scuola. La stagione della rivolta avrebbe poi dato impulso a una maggiore partecipazione politica di due componenti sociali, i giovani e le donne, fino ad allora tendenzialmente marginalizzate. Nel discorso pubblico si era manifestata, inoltre, una nuova sensibilità per i temi della pace e dei diritti civili, destinati ad assumere con gli anni a venire una rilevanza crescente.