Uomo politico italiano (Ribera, Agrigento, 1818 - Napoli 1901). Avvocato e patriota, ebbe un ruolo decisivo nel convincere Garibaldi a compiere la spedizione dei Mille. Proclamata l'Unità d'Italia, abbandonò le posizioni repubblicane, aderendo alla monarchia. Divenuto presidente del Consiglio (1887-91), fu fautore di una politica 'forte' all'interno e all'estero, sostenne la Triplice Alleanza (con Germania e Austria) in chiave antifrancese e promosse l'espansione coloniale. Tornò al governo nel 1893 e fronteggiò con durezza la protesta sociale (Fasci siciliani, moti in Lunigiana). Fu travolto dal naufragio delle ambizioni coloniali nella sconfitta di Adua (1896).
Recatosi a Napoli (1845) per esercitare l'avvocatura, ebbe contatti con elementi liberali e nel periodo anteriore al 1848 fece da tramite fra costoro e i patrioti della Sicilia. Scoppiata la rivoluzione a Palermo (12 genn. 1848), fu membro del comitato di guerra e poi deputato alla Camera dei comuni, dove appartenne all'opposizione repubblicana che appoggiò anche nel suo giornale, L'Apostolato. Fallita la rivoluzione (1849), esulò in Piemonte, dedicandosi agli studi e al giornalismo, collaborando alla Concordia del Valerio e al Progresso del Correnti. Espulso dal Piemonte dopo i moti milanesi (1853), si recò a Malta, dove pure fondò un giornale (La Staffetta) e intraprese lavori storici (Dei diritti della corona d'Inghilterra sulla Chiesa di Malta, 1855), tenendosi in corrispondenza con Mazzini e con Rosolino Pilo. Espulso, andò a Londra, poi a Parigi, finché la reazione succeduta all'attentato Orsini (1858) non lo costrinse di nuovo ad andare ramingo per l'Europa. In questi anni, intanto, i suoi intensi contatti con gli esuli di parte democratica e con Mazzini lo spinsero ad abbandonare l'autonomismo siciliano e a schierarsi decisamente per la soluzione unitaria: e però nel 1859, mentre prendeva posizione con Mazzini contro la guerra regia, si recava in Sicilia a organizzarvi l'insurrezione (luglio-ag.), e l'anno successivo contribuiva in modo determinante a far decidere Garibaldi a compiere la spedizione di Sicilia. Di tale spedizione egli fu, in certo modo, il cervello politico, sia per la sua attività di amministratore, sia per la parte ch'egli ebbe nello sforzo di rinviare l'annessione finché non fossero liberate anche Roma e Venezia (tesi sostenuta anche nel giornale Il Precursore). Da ciò la guerra acerba che gli mosse il partito moderato, culminata in alcuni episodi clamorosi. Proclamata l'unità, il C., eletto deputato (1861), sedette a sinistra: ma persuaso ormai che la monarchia fosse garanzia di unità e generatrice di forza spirituale per la nazione, vi aderì, staccandosi clamorosamente da Mazzini (marzo 1865). Continuò tuttavia a combattere i governi di destra sui giornali (La Riforma) e in Parlamento. Alla caduta della destra (1876) assunse la presidenza della Camera; l'anno successivo un suo incontro con Bismarck a Gastein e a Berlino condusse a gravi impegni dell'Italia in senso antifrancese, senza correlativi vantaggi in altri settori. Ministro degli Interni dal 27 dic. 1877, fu però costretto a dimettersi il 7 marzo 1878, di fronte all'accusa di bigamia sollevata contro di lui per avere sposato il 26 genn. Lina Barbagallo, vivente ancora Rosalia Montmasson da lui sposata, non regolarmente, a Malta il 27 dic. 1854. Tornò al ministero degli Interni il 4 apr. 1887 con Depretis, al quale succedette il 29 luglio seguente come presidente del Consiglio. Assertore di una politica "forte" all'interno e all'estero, C. fu strenuo sostenitore della Triplice Alleanza e deciso avversario della Francia, promotore dell'espansione coloniale (col trattato di Uccialli, 1889, sperò di sottoporre l'Etiopia al protettorato italiano), e di leggi fondamentali per l'amministrazione interna. Dimessosi il 31 genn. 1891, tornò al governo il 15 dic. 1893: fronteggiò con durezza i moti popolari che allora scoppiarono (Fasci siciliani, moti in Lunigiana, 1893-94), affrontò le accuse che gli si mossero in relazione agli scandali della Banca romana, tentò accordi con la Francia per alleggerire l'eccessiva soggezione italiana alla Triplice Alleanza, ma, impegnatosi a fondo in Africa, fu travolto dal disastro di Adua (1º marzo 1896). Ispirato da un alto concetto di sé e dell'Italia, ma racchiuso in un mondo ideale ormai tramontato di fronte al sorgere di nuove forze politiche e sociali, C. ministro, in realtà, non s'innalzò sopra la contemporanea vita politica italiana, ma piuttosto esaurì le sue forze in vani conati di energia e di grandezza, anticipando taluni motivi ripresi poi dal nazionalismo e dal fascismo. Legati alla sua particolare personalità e alle sue incertezze furono i tentativi, entrambi falliti, di riavvicinamento alla S. Sede (1887 e 1894-95).
I suoi scritti e discorsi furono poi riuniti in ampie raccolte: Discorsi elettorali, 1887; Scritti e discorsi politici (1849-90), 1890; I Mille, 1911; Politica estera, 1912; Carteggi politici inediti (1860-1900), 1912; Questioni internazionali, 1913; Ultimi scritti e discorsi extraparlamentari (1891-1901), 1913; Discorsi parlamentari, 3 voll., 1915; Lettere dall'esilio (1850-60), 1918; Pensieri e profezie, 1920; Politica interna, 1924.