Gelasio II
Giovanni da Gaeta nacque tra il 1060 ed il settembre 1064 da Giovanni Coniuolo, appartenente ad una nobile famiglia di Gaeta. Il padre era già morto nel 1068 e Giovanni, affidato alla madre ed allo zio, che si occupò della sua educazione insegnandogli a leggere e a scrivere ed accostandolo alle prime opere letterarie, fu destinato alla vita clericale.
Ancora negli anni dell'infanzia entrò come "puer oblatus" nel monastero benedettino di Montecassino, all'epoca retto dall'abate Desiderio il cui governo segnò il periodo di massimo splendore del monastero. Sotto Desiderio si realizzò infatti un grande ampliamento della biblioteca, fu eretta una nuova, più imponente, chiesa e la forza d'attrazione irradiata dalla fondazione religiosa determinò una considerevole crescita della comunità monastica. In quegli anni l'abbazia costituì un centro intellettuale di straordinario livello, nel quale operarono personalità di primo piano. Tra gli altri Guaiferio, cronista ed agiografo, poi abate del monastero di S. Massimo a Salerno; Amato da Montecassino, autore della Historia Normannorum; Costantino Africano, che trasmise all'Occidente il sapere medico di origine greco-araba; il futuro abate Oderisio; Leone Marsicano e Pietro Diacono, rispettivamente autore e continuatore della Chronica monasterii Casinensis e infine il celebre maestro di retorica e autore di diverse opere sulla "ars dictandi", Alberico da Montecassino. Da questo Giovanni ricevette la sua formazione nelle arti liberali e al suo insegnamento egli dovette le sue eccellenti doti stilistiche.
Nella grande abbazia benedettina, fino al 1088, Giovanni partecipò in veste di correttore alla trascrizione del Registro di papa Giovanni VIII e probabilmente poté anche avere visione del Registro di papa Leone I; qui egli ricevette infine anche gli ordini minori e raggiunse il rango di suddiacono (non prima del 1074-1075).
Tra il 1074-1075 e l'agosto 1088 compose i suoi primi lavori letterari. L'attribuzione è certa per tre opere agiografiche: secondo il probabile ordine cronologico, la Vita di Erasmo d'Antiochia, scritta per lo zio (cfr. Bibliotheca Hagiographica Latina [...], nr. 2584; ibid., Novum Supplementum, nr. 2584), la Vita di Eustachio scritta per un monaco di Montecassino di nome Adenulfo (Bibliotheca Hagiographica Latina [...], nr. 2761; ibid., Novum Supplementum, nr. 2761g) e la Vita di Ippolito (Bibliotheca Hagiographica Latina [...], Novum Supplementum, nr. 4055f), per un certo Roffredo, probabilmente arcivescovo di Benevento (1076-1106). Si tratta di vite di martiri, che stanno a metà tra la biografia e il racconto della passione, che nell'elaborazione stilistica lasciano intravedere l'insegnamento di Alberico. Nel contenuto, accanto a una erudizione non comune, che si riflette nelle numerose citazioni, queste opere rivelano la singolare disinvoltura del giovane monaco nel maneggiare i modelli. Secondo le necessità, egli li riduce o li amplia o altrimenti cerca di renderli più pregevoli limandoli, oppure li rielabora completamente, approntando nuove versioni, per ottenere così l'obiettivo di consolidare e rafforzare la devozione. Pietro Diacono cita oltre alle tre opere sicure una Passio s. Anatoliae (Bibliotheca Hagiographica Latina [...], nr. 417; cfr. anche F. Dolbeau, Recherches sur les oeuvres littéraires du pape Gélase II. B, pp. 371-83) ed un componimento poetico su s. Cesario di Terracina, che sarebbero stati composti da Giovanni. Una Vita di s. Gregorio di Nazianzo, trasmessa frammentariamente da un leggendario e da un breviario conservati a Benevento (Biblioteca Capitolare, rispettivamente mss. 17, 22), entrambi del XII secolo, è stata riconosciuta da F. Dolbeau (Recherches sur les oeuvres littéraires du pape Gélase II. A, pp. 102-26) come opera di Giovanni, compilata a Montecassino attingendo con maestria da diverse fonti, forse poco prima della sua chiamata in Curia. Altre due operette liturgiche sono pure attribuite a Gelasio II.
La sua formazione culturale e l'attività svolta presso il grande "scriptorium" benedettino predestinarono Giovanni per la successiva carriera ecclesiastica nella corrente del papato riformatore. Secondo la notizia dello storico inglese Eadmer (morto dopo il 1118), che dal maggio 1098 al 1099 fu al seguito di Urbano II, Giovanni era stato introdotto nella Cancelleria pontificia già da Desiderio di Montecassino dopo la sua elezione al pontificato nel 1086. Qui egli svolse forse dapprima le funzioni di scrittore. Dopo la morte di Vittore III (16 settembre 1087) fu creato, da papa Urbano II eletto il 12 marzo 1088, cancelliere della Chiesa di Roma: dall'agosto 1088 "pro tempore" (dal 23 settembre figura con il rango di cardinale diacono) e ufficialmente con ogni probabilità dal 1089. Giovanni, all'epoca poco più che ventottenne, era stato raccomandato a Urbano II per dirigere la Cancelleria apostolica probabilmente per la sua cultura, ma soprattutto per le sue qualità di "dictator" e per le competenze acquisite nella sua attività di correttore del Registro di Giovanni VIII. Il papa voleva utilizzare le sue capacità per riportare lo stile della corrispondenza pontificia alla purezza di un tempo. Il successore di Urbano II (morto il 29 luglio 1099), Pasquale II (eletto il 13 agosto), confermò Giovanni a capo della Cancelleria trovando in lui un leale consigliere e "un sostegno della sua vecchiaia" (Liber pontificalis).
Nel suo servizio quasi trentennale a capo della Cancelleria pontificia, Giovanni influenzò in maniera decisiva lo stile curiale. Durante questo periodo ebbe luogo una radicale riforma della scrittura, che portò all'affermazione della leggibile minuscola come scrittura tipica dei documenti pontifici. La tesi a lungo sostenuta che la reintroduzione del "cursus leoninus" nei documenti pontifici sia dovuta a Giovanni non può più essere sostenuta, dato che ora è noto che l'uso del "cursus" si riscontra saltuariamente nella Cancelleria pontificia anche dopo il VII secolo. Tuttavia, dall'entrata in servizio di Giovanni si registra un sensibile aumento nel suo impiego, che certamente va ricondotto al suo intervento. Sottoscrizioni autografe di privilegi pontifici testimoniano la sua attività per quasi ogni anno del suo ufficio (cfr. P. Kehr). In caso di necessità egli stesso fungeva da "scriptor": sono infatti conservati due documenti pontifici interamente di sua mano (Regesta Pontificum Romanorum, nr. 5410 per Cava; nr. 5414 per Trani). Probabilmente anche il voluminoso Registro di Pasquale II, oggi perduto, fu compilato personalmente da Giovanni. Dopo la morte di Pasquale II, avvenuta il 21 gennaio 1118, il 24 gennaio successivo gli elettori del papa (la composizione del Collegio tramandata dal biografo di G., Pandolfo, non è del tutto affidabile) si riunirono nella chiesa di S. Maria in Pallara presso il Palatino, un luogo considerato sicuro nei pressi delle case dei Frangipane, nobile famiglia che dal decennio 1060-1070 si era schierata a sostegno del partito riformatore. La scelta, su cui probabilmente pesò l'influenza del cardinale Pietro di Porto, cadde all'unanimità sul cancelliere pontificio, il quale da Montecassino, dove si trovava al momento della morte di Pasquale, era stato condotto a Roma. L'elezione espresse la volontà dei cardinali di garantire una continuità personale in una situazione particolarmente difficile per la Chiesa. Alcuni contemporanei nutrirono però il timore che il neoeletto, come diretto testimone dei drammatici avvenimenti degli scontri del 1111, che avevano portato all'accordo estorto di ponte Mammolo, potesse continuare la politica di Pasquale II, ritenuta talora troppo esitante. Anche nel corso del sinodo Lateranense del 1116, infatti, in un violento scontro con Bruno di Segni, abate di Montecassino e principale rappresentante, in seno alla Chiesa di Roma, di un partito che premeva per una politica più energica contro Enrico V, il cardinale Giovanni aveva difeso la politica papale. Già la scelta del nome probabilmente dissipò però queste riserve: Giovanni assunse infatti quello di Gelasio II, esprimendo in tal modo la volontà di tutelare, nel conflitto tra potere spirituale e temporale, i diritti del pontefice e di ridimensionare le pretese dell'imperatore. Con questa scelta, il nuovo pontefice si richiamava direttamente all'autore della dottrina dei due poteri, Gelasio I, la cui tesi a partire da Gregorio VII (cfr. Gregorii VII Registrum, in M.G.H., Epistolae selectae, II, 2, a cura di E. Caspar, 1923, nr. 553) era stata usata come fondamento del primato del potere spirituale su quello temporale, per sostenere le aspirazioni ierocratiche del papato. Il nome Gelasio indicava così l'intenzione del neoeletto di continuare gli sforzi dei suoi predecessori per la riforma della Chiesa e di volersi ricollegare idealmente alla Chiesa delle origini incarnata da Gelasio I. Prima ancora che la procedura elettorale fosse conclusa, accadde però un episodio del tutto inatteso: Cencio (II) Frangipane fece irruzione con la forza nella chiesa, catturò il pontefice ed i suoi elettori e li rinchiuse nella sua casa. Non poté però resistere a lungo alla pressione della nobiltà e della popolazione romana e fu costretto, forse anche per intervento del fratello Leone, a rilasciare i prigionieri. La preoccupazione che il nuovo papa si lasciasse manovrare come un docile strumento dell'imperatore si dimostrò ingiustificata, come testimoniano gli avvenimenti successivi. Alla notizia dell'inatteso approssimarsi di Enrico V, il cui arrivo era stato annunciato per Pasqua, il 2 marzo, in circostanze sfavorevoli, G. e i cardinali fuggirono da Roma e si rifugiarono a Gaeta. I messaggeri spediti da Enrico V nell'Italia meridionale tentarono invano, prospettando il riconoscimento dell'elezione del pontefice e promettendo la pace, di spingere G. ad un accordo secondo la volontà dell'imperatore. Il papa eletto intendeva riservare il chiarimento della controversa questione delle investiture ad un sinodo convocato per il giorno di s. Luca (18 ottobre) a Milano o a Cremona e si rifiutò di tornare a Roma. Enrico fece allora eleggere antipapa a Roma, l'8 marzo 1118, il cardinale Maurizio Burdino, già arcivescovo di Braga, con il nome di Gregorio VIII. Il 9 e il 10 marzo, delle "quattro tempora", data prescritta in occasione dalla liturgia, a Gaeta fu celebrata la consacrazione sacerdotale e papale di Gelasio II. Dopo la consacrazione, il papa ricevette a Gaeta il guanto di fedeltà del duca Guglielmo II di Puglia (1111-1127), ma anche di Roberto di Capua, di Riccardo di Aquileia e di altri baroni pugliesi. Con il duplice legame vassallatico che scaturì da questo atto, egli continuò la linea politica seguita da Pasquale II, di evitare, mediante un legame diretto dei feudatari minori pugliesi con la Curia di Roma, un eventuale dissolvimento degli Stati normanni e di assicurare al contempo l'influenza della Chiesa. Il 25 marzo G. lasciò Gaeta e si recò a Capua, dove la domenica delle Palme, il 7 aprile, emanò la scomunica contro Enrico V e l'antipapa, rendendola nota attraverso emissari in tutta Europa, e soprattutto in Germania dove inviò il legato Cunone di Palestrina. Dopo Pasqua, il papa proseguì per S. Germano e per l'abbazia di Montecassino, dove durante il mese di giugno si riposò dai disagi subiti. Dopo la partenza delle truppe imperiali, il 5 luglio G. riuscì a rientrare con il suo seguito a Roma sotto la protezione dei Normanni. S. Pietro e il Laterano rimasero tuttavia nelle mani dell'antipapa. Già il 21 luglio 1118 i Frangipane presero di nuovo le armi contro G., che nella chiesa di S. Prassede sull'Esquilino (dunque nel territorio controllato dalla famiglia) voleva celebrare la festa della santa. G. sfuggì a stento ai suoi nemici. I motivi della condotta ostile dei Frangipane non sono tuttora chiari. Forse animosità personali contro G. giocarono un ruolo, dato che sotto il pontificato del suo successore, Callisto II, si manifestò di nuovo da parte della famiglia una almeno parziale e temporanea collaborazione col papato riformatore. Ma l'ostilità contro G. fu forse il primo segnale di un più sostanziale cambiamento di politica della famiglia e un primo tentativo di esercitare un'influenza diretta sull'elezione del pontefice, come dimostra l'elezione avvenuta nel dicembre 1124 quando, con il sostegno dei Frangipane, fu creato fra i tumulti quale successore di Callisto II Onorio II in opposizione a Celestino II. G. dovette riconoscere che la sua sicurezza a Roma non poteva essere garantita e gli avvenimenti di luglio dovettero dare l'ultima spinta alla decisione, probabilmente maturata già da tempo, di trasferirsi a Pisa. Prima di allontanarsi da Roma, il pontefice prese diversi provvedimenti generali: nominò Pietro da Porto suo vicario, affidò al cardinale prete Ugo il governo di Benevento e nominò Stefano Normanno prefetto di Roma. Dopo di ciò, il 2 settembre, accompagnato da alcuni cardinali preti e diaconi e anche da alcuni nobili romani, partì per nave verso Pisa, dove fu accolto molto amichevolmente. Il 26 settembre consacrò la cattedrale di S. Maria, cominciata nel 1064 su progetto del Buscheto ma ancora incompiuta, e confermò i diritti metropolitani dell'arcivescovo, concessi da Urbano II e comprendenti la sottomissione della Chiesa di Corsica. G. proseguì via mare verso Genova. Qui, il 10 ottobre, consacrò il duomo intitolato ai ss. Lorenzo e Siro. Poiché la strada attraverso la Lombardia per andare a tenere l'annunciato sinodo era evidentemente troppo pericolosa, il papa andò a Marsiglia, dove la sua presenza è testimoniata il 23 ottobre. Tra il 7 e il 15 novembre 1118, a St-Gilles-du-Gard, ebbe luogo l'incontro tra G. e Norberto di Xanten (noto anche come Norberto di Magdeburgo), che voleva ottenere l'assoluzione per aver violato le norme canoniche sulla sua ordinazione sacerdotale e richiese al papa il permesso scritto di potere predicare liberamente e senza limitazioni. Secondo la Vita Norberti, fu allora emanato un diploma con il sigillo del papa, che però non è conservato. Dopo che il papa, arrivato senza mezzi finanziari in Francia, ebbe ricevuto ricchi doni (tra di essi quaranta cavalcature) dagli abati Ponzio di Cluny e Ugo di St-Gilles, risalì il Rodano. A Maguelonne ricevette da Sigiero, abate di St-Denis di Parigi, l'invito di re Luigi VI ad incontrarlo a Vézelay. Il papa indisse un sinodo in Alvernia per il 1° marzo del 1119. Passando per Montpellier, Tavels, Quillan e Tornac, procedette verso Avignone. Da qui per Orange, St-Paul, Le Puy e Valence si spinse fino a Vienne, dove, all'inizio del 1119, tenne un concilio, ne annunciò un altro e si incontrò con l'arcivescovo Guido. Passando per Lione, continuò il viaggio per Mâcon. Qui si ammalò gravemente e si fece portare a Cluny, al cui abate aveva confermato le proprietà del monastero già il 12 aprile 1118. Dopo la solenne accoglienza, G. tentò di designare Cunone di Palestrina suo successore, ma aderì poi alla sua proposta di consigliare l'elezione di Guido di Vienne. Il 29 gennaio 1119 G. morì a Cluny e fu sepolto nella chiesa dell'abbazia.
Con ogni evidenza G. intese il suo pontificato non come un periodo di transizione, ma si propose una serie di cambiamenti sostanziali nella politica del papato. Egli non soltanto confermò una serie di privilegi, ma si sforzò energicamente di risolvere i problemi già emersi sotto Pasquale II. Lo dimostra la sua condotta verso i Normanni, così come la decisa resistenza contro Enrico V. Anche nei confronti della Chiesa inglese, G. si mostrò un intransigente difensore dei diritti papali. Nel conflitto per il primato tra York e Canterbury le pretese dell'arcivescovo di Canterbury, riconosciute solo provvisoriamente da parte pontificia, minacciarono di portare all'indipendenza di questa Chiesa da quella di Roma e di offrire al sovrano inglese la possibilità di separare la Chiesa nazionale dal papato. Il conflitto si inasprì ulteriormente dopo l'elezione di Rodolfo, fedele partigiano di Enrico I, a nuovo arcivescovo di Canterbury (1114-1122). G. proseguì la politica di Pasquale II e proibì nuovamente a Rodolfo di ricevere la "professio" dall'eletto di York, Thurstan di Bayeux. Il papa intervenne con decisione anche nelle vicende spagnole e nel dicembre 1118 concesse ai soldati cristiani che fossero caduti in battaglia contro i Saraceni un'indulgenza plenaria (Regesta Pontificum Romanorum, nr. 6665). Concesse inoltre un'indulgenza parziale in cambio di offerte per la ricostruzione della chiesa di Saragozza. L'entità delle donazioni necessarie per questa indulgenza fu demandata alla valutazione dei vescovi spagnoli. G. fu così all'origine dell'incremento, visibile lungo tutto il XII secolo, di indulgenze in cambio di elemosine e visite alle chiese. Altre indulgenze per S. Sofia di Benevento (18 aprile 1118), per Genova (10 ottobre 1118) e per il monastero di St-André ad Avignone (13 dicembre 1118) che gli sono attribuite sono false.
Inoltre sembra che G. avesse programmato innovazioni radicali in occasione di un grande concilio che si sarebbe dovuto tenere all'inizio di marzo 1119 a Vienne, come narra la contemporanea storia del monastero di Morigny. I drammatici avvenimenti del suo breve pontificato e i disagi fisici che ne conseguirono impedirono la realizzazione di questi progetti. Anche per questo motivo, G. creò pochi cardinali. Certa è soltanto la promozione di Pietro Rufus (Ruffo), nipote di Pasquale II, a cardinale diacono di S. Adriano, mentre probabile è quella di Romano a S. Maria in Portico. Come cardinale e come papa, G. mostra di avere conservato la devozione per i martiri che emerge dalle vite da lui composte: da un'iscrizione della chiesa di S. Maria in Cosmedin, che era il suo titolo cardinalizio, risulta infatti che egli destinò alla chiesa oltre a lasciti finanziari anche le reliquie di oltre novanta santi. Dopo la fine della lotta per le investiture con il concordato di Worms e la celebrazione del concilio Lateranense nella primavera 1123, Callisto II fece allestire nella "camera pro secretis consiliis" del Palazzo del Laterano un ciclo di affreschi con didascalie, nel quale era rappresentato il trionfo dei papi "legittimi" sugli antipapi nominati da re e imperatori. La serie, oggi nota solo attraverso disegni del XVI secolo, comincia con Alessandro II e Cadalo e finisce con Callisto II e Burdino. G. manca: evidentemente Callisto II non volle condividere con il predecessore la sua vittoria sull'antipapa Burdino. Nell'affresco dell'abside (ugualmente perduto) della contigua cappella di S. Nicola da Bari, che probabilmente fu pure progettato da Callisto, ma terminato solo successivamente, G. fu invece compreso tra i papi della riforma e ritratto in un gruppo di quattro figure, insieme con Leone Magno, Urbano II e Pasquale II, alla sinistra di s. Nicola. Come gli altri, presenta anche lui l'aureola. Nel calendario benedettino G. è venerato come beato il 29 gennaio.
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