ROMAGNOSI, Gian Domenico
Nato da nobile famiglia l'11 dicembre 1761 in Salsomaggiore, morto a Milano l'8 giugno 1835. Studiò nel ginnasio dei gesuiti di Borgo S. Donnino (1772-75) e nel collegio Alberoni in Piacenza (1775-81) per laurearsi a Parma nel 1786. Sulle orme paterne esercitò senza fortuna il notariato a Piacenza negli anni 1787-89. Fece le prime prove nella Società letteraria di Piacenza, e nel 1791 acquistava fama nel mondo dei dotti con la pubblicazione della Genesi del diritto penale. Nel settembre di quell'anno fu invitato a Trento dal principe vescovo a coprirvi l'ufficio di giusdicente o pretore che tenne con plauso fino al 1793. Vi rimase poi fino al 1802 a esercitare l'avvocatura. Al soggiorno di Trento risalgono le sue esperienze fisiche. Nel 1799, dopo l'occupazione francese e il ritorno della dominazione austriaca, fu arrestato sotto l'accusa di abuso nell'esercizio delle sue funzioni di pretore. Dopo quindici mesi di detenzione a Innsbruck, riconosciuta la su innocenza, fu rimesso in libertà con gran giubilo della popolazione trentina. Al ritorno dei Francesi nel 1801 fu nominato segretario del governo provvisorio presieduto dal Pilati; ma alla fine del 1802 chiese e ottenne d'insegnare diritto pubblico all'università di Parma. Scrisse per l'occasione la seconda sua più importante opera: l'Introduzione allo studio del diritto pubblico universale (Parma 1805). Nel 1806 il Luosi, ministro di Giustizia del regno d'Italia, lo invitò a Milano per collaborare al progetto del codice penale e di procedura penale. L'anno seguente, dimessosi dalla cattedra di Parma, fu nominato consultore del ministro di Giustizia e professore di diritto civile all'università di Pavia. Passò quindi (novembre 1808) a insegnare l'Alta legislazione nei suoi rapporti colla pubblica amministrazione, nelle Scuole speciali politico-legali, da lui promosse e organizzate a Milano.
Intensa fu l'attività del R. negli anni 1808-14. L'ordinamento giudiziario e amministrativo del nuovo regno d'Italia trovò in lui la mente ispiratrice. Diresse il Giornale di giurisprudenza universale (1812-14) destinato "a schiarire il nuovo sistema di leggi a sussidio dei pubblici funzionarî e dei giudici". Negli otto volumi del Giornale il R. trattò i più importanti problemi di giurisprudenza teorica e pratica, gettò le basi della scienza dell'amministrazione, diede principio alla Ragione civile delle acque. Ritornati gli Austriaci, il R., che s'era naturalizzato milanese fino dal 1813, poté continuare l'insegnamento di alta legislazione fino al settembre 1817, quando furono soppresse le Scuole speciali. Non potendo sperare dal governo austriaco l'insegnamento pubblico, chiese e ottenne d'insegnare privatamente, e frutto del suo insegnamento fu l'Assunto primo della scienza del diritto naturale (Milano 1820). Alla sua scuola si formarono, tra gli altri, Giuseppe Ferrari, Carlo Cattaneo, Cesare Cantù, i cugini Defendente e Giuseppe Sacchi. Nel giugno 1821 il R. fu coinvolto nel processo contro i carbonari sotto l'accusa di correità nel delitto di alto tradimento per omessa denuncia. Il R. era sospettato e vigilato dall'Austria per il suo passato liberale e per i suoi sentimenti italiani. Fondatore e Venerabile della loggia Gioseffina, anche dopo lo scioglimento della loggia incoraggiava segretamente i tentativi per la restaurazione di un regno italico indipendente. Nel 1814 uno schema di costituzione da lui preparato era stato trovato presso il suo giovane allievo Lattuada, uno dei partecipanti alla congiura militare. Il R. lavorava in quest'epoca intorno a un'opera che col titolo Della costituzione di una monarchia nazionale rappresemativa fu pubblicata nella prima parte anonima nel 1815 con la falsa indicazione di Filadelfia (Lugano). Non volle però il R. affiliarsi alla carboneria malgrado le sollecitazioni del Pellico, col quale collaborava nel Conciliatore. Non poté tuttavia sfuggire, per le indiscrezioni dello stesso Pellico, all'accusa di non aver denunciato i cospiratori del'21. Arrestato e inviato a Venezia, occupò gli ozî forzati del carcere nel lavoro sull'Insegnamento primitivo delle matematiche e nella preparazione della sua Difesa. Per difetto di prove legali il 10 dicembre 1821 fu assolto e ritornò a Milano, ove gli fu tolta l'autorizzazione di insegnare. Per rifiuto di passaporto non poté neppure accettare nel 1825 l'invito del governo inglese a insegnare giurisprudenza teorica nell'università di Corfù. Povero, infermo per un attacco di emiplegia che lo aveva colpito nel 1812, il R. visse gli ultimi dieci anni di vita del suo lavoro letterario e forense, soccorso da umili e fedeli amici. Collaborò alla Biblioteca italiana, agli Annali di Statistica, all'Antologia, ecc. Lo attrassero particolarmente in quest'ultimo periodo gli studi di economia, di filosofia teoretica e civile, e scrisse le Vedute sull'arte logica (Milano 1832) e Dell'indole e fattori dell'incivilimento. Né per l'inazione e la povertà a cui l'Austria lo costringeva venne meno la sua fede nella causa liberale e nazionale. Il Cantù ricorda che dopo i moti del'31 il R. comunicava a suo mezzo agli agitatori i piani per la futura organizzazione costituzionale del paese.
Il R. ebbe larghezza di cognizioni e potenza d'intelletto. Vissuto tra due secoli, trasse il sapere del sec. XVIII ai fini di riforma e di organizzazione politica e sociale del secolo nuovo. Portato alla sintesi, gli fece difetto l'unità e solidità dei principî filosofici; e spesso avvolse l'originalità innegabile del suo pensiero in forme volutamente oscure, in espressioni tecniche, in distinzioni scolastiche. Accolse il metodo analitico dominante, ma vide la necessità del proeesso sintetico e inclinò al metodo discorsivo che, associando i fatti e le idee, si ferma agli assiomi medî, che esprimono verità comuni, facilmente accessibili agli uomini di sano e sperimentato giudizio. Educato al sensismo del Condillac, lo superò con lo studio del Bonnet e con questo pose la riflessione attiva come mezzo di conoscenza. Dal criticismo kantiano, pur non avendolo conosciuto direttamente né quindi compreso, derivò il valore dell'io, e dell'apriori ai fini del sapere. Intese il processo conoscitivo come compotenza o come rapporto necessario e solidale della sensazione col senso logico e razionale dell'anima. A suo modo pertanto anche il R. avvertì il bisogno di superare il punto morto del razionalismo e dell'empirismo. La soggettivazione del reale non deve scuotere la certezza dell'esistenza del mondo esterno, che noi conosciamo non in sé, ma per la sua azione in noi.
Tradurre la dottrina in arte di governo e d'incivilimento fu la ragione vera e ultima dell'attività del R. Nella Genesi applicò il metodo analitico allo studio delle penalità contro le astrazioni contrattualistiche. Il diritto di punire sorge da imprescindibili ragioni di difesa e di utilità sociale, e la pena è valido mezzo d'intimidazione e di reazione alle tendenze criminose. La concezione napoleonica dello stato come strumento di educazione e di progresso umano trovò nel R. il degno interprete. Fece rivivere la tradizione di pensiero politico nazionale e nell'Introduzione seppe costruire un sistema di diritto ammirabile per l'estensione e l'universalità, per l'ordine e l'armonia delle parti. Nell'Assunto il R. s'eleva al concetto di un diritto naturale a contenuto variabile, per cui i supremi principî della ragione giuridica naturale prendono forma e significato diverso secondo i tempi, i luoghi, le condizioni di civiltà in cui si applicano. Alla fondazione di una filosofia civile rispondente alle esigenze dello stato nazionale moderno mirò come a meta ultima l'attività scientifica del R. L'ideale dell'umanità prende ormai forme vive e concrete nello stato nazionale, la cui realizzazione non era solo opera astratta di scienza e di tecnica costituzionale e amministrativa, ma doveva considerarsi il risultato necessario della storia italiana, riguardata nel suo divenire che è essenzialmente progresso, incivilimento, cioè perfezionamento morale, politico, economico. La teoria dei diritti dell'uomo doveva essere integrata con la dottrina dell'umanità e della nazione. Filosofia e storia, stato e diritto, economia e morale erano invocate e associate dal R. a dar vita, direzione, giustificazione al moto storico diretto alla formazione dello stato-nazione. Di questo vasto disegno non ci rimangono che frammenti e parti incomplete: ma essi sono tali da farci intravvedere le linee di un grandioso edificio. Le qualità dello scrittore non corrisposero a quelle dell'uomo e del pensatore: perciò fu più ammirato e ricordato che letto, e non esercitò l'influenza che meritava. E le sue dottrine sembrano oggi a noi divinazione di uno spirito lontano e solitario, mentre scaturiscono dall'intimo della nostra storia da lui vissuta e interpretata nelle sue profonde esigenze ideali.
Opere principali del R. in ordine cronologico: Genesi del diritto penale, Padova 1791; 2ª ed., Milano 1807; 3ª ed., Milano 1823-24; Introduzione allo studio del diritto pubblico universale, Parma 1805; 2ª ed., Milano 1825; Istituzioni di diritto amministrativo, ivi 1814; Della costituzione di una monarchia nazionale rappresentativa, I (e unico), Filadelfia (Lugano) 1815; Assunto primo della scienza del diritto naturale, Milano 1820; 2ª ed., Pavia 1827; Dell'insegnamemo primitivo delle matematiche, Milano 1822; Della condotta delle acque, ivi 1822-25; Che cos'è la mente sana?, ivi 1827; Della suprema economia dell'umano sapere, ivi 1828; Della ragione civile delle acque, ivi 1829-1830; Vedute fondamentali sull'arte logica, ivi 1832; Dell'indole e dei fattori dell'incivilimento, ivi 1832.
Opere postume: Ricerche sulla validità dei giudizi del pubblico a discernere il vero dal falso, Milano 1836; Consultazioni forensi, ivi 1836-1837; Istituzioni di civile filosofia ossia di giurisprudenza teorica, voll. 2, Firenze 1839; Della vita degli stati, Milano 1845 (a cura di A. De Giorgi); Diritto naturale politico, ivi 1845 (id.); La scienza delle costituzioni, Torino 1847; 2ª ed., 1848.
Bibl.: Manca ancora una bibliografia completa ed esatta delle opere del R. e una monografia critica sul suo pensiero, considerato nella molteplicità dei suoi aspetti e nella logica intima che lo informò. La migliore collezione delle sue opere è quella curata da C. Marzucchi in 19 volumi, Firenze 1832-39 (rist., Prato 1833-42); la più completa è quella curata da A. De Giorgi in 8 volumi, Milano (Padova) 1841-52 (rist., Napoli-Palermo 1850-77). Cfr. anche Scritti inediti, Bergamo 1862. Per le lettere pubblicate a stampa del R. (non molte), cfr. Belloni, in Boll. st. piacentino, III (1930). Per i manoscritti conservati nella Biblioteca Civica di Bergamo, v. descrizione fattane da mons. A. Locatelli, in Bollettino della civica bibl., n. s., V (1931 seg.). Per i ms. conservati altrove e per una bibliografia degli scritti del R. e sul R., v. le notizie alquanto confuse e non sempre esatte contenute in L. G. Cusani Confalonieri, Notizie storiche e biografiche: bibliografia e documenti, Carate Brianza (Biblioteca del Museo Romagnosi) 1928. Per la vita e le dottrine del R. il meglio si trova ancora negli scritti di G. Ferrari (Milano 1835), C. Cantù (Milano 1835 e poi 1861, 1873-74), A. De Giorgi, (Parma 1874). Cfr. soprattutto: A. Nova, Memorie e documenti per l'Univ. di Pavia, 1878, parte 1ª, pp. 341-395; D. Mistrali, G. D. R. martire, ecc., Borgo S. Donnino 1907.
Per li pensiero del R. ricordiamo: F. Cavalli, La scienza politica in Italia, IV, Venezia 1881; G. Carle, Vita del diritto, 2ª ed., Torino 1890; G. Gentile, passim, in Rosmini e Gioberti, Pisa 1898; B. Croce, Storia della storiografia italiana nel sec. XIX, Bari 1921; A. Norsa, Il pensiero filosofico di G. D. R., Milano 1930; L. Caboara, La filosofia del diritto di G. D. R., Città di Castello 1930; G. Solari, Il pensiero filosofico e civile di G. D. R., in Riv. di filosofia, 1932. Un'ampia letteratura sul R. si può vedere nel Cusani e nel Norsa cit.