Gian Domenico Romagnosi
Una corretta lettura sia delle pagine economiche sia di quelle ‘civili’, cioè dedicate alla filosofia, al diritto e alla politica, fa emergere l’originalità del pensiero romagnosiano che spazia tra i diversi rami del sapere senza mai perdere di vista quel consorzio civile che non è solo opera della legislazione e del diritto, ma è il risultato di un triplice perfezionamento o incivilimento: morale, politico, economico. Dunque, la dottrina economica non può essere studiata come teoria a sé, ma deve essere posta in connessione con il diritto e con la politica. In una simile ottica il soggetto del diritto non è più l’uomo perfetto o l’ideale di cittadino virtuoso, ma l’uomo concreto con le sue aspirazioni.
Gian Domenico Romagnosi, nato a Salsomaggiore, allora ducato di Parma e Piacenza, l’11 dicembre 1761, inizia da subito, sotto la guida del padre Bernardino, notaio, a familiarizzare con quell’educazione al confronto che sarebbe stata una delle costanti del suo modo di affrontare i temi dello stare assieme.
Dal 1775 al 1782 è al Collegio Alberoni di San Lazzaro di Piacenza, ove frequenta il triennio di filosofia, il successivo di teologia e parte del terzo di morale e inizia a costruire quella forma mentis del vetera novis augere e della libertà di pensiero che lo avrebbe spinto a cercare di conciliare fede e scienza e a delineare un sapere a uso della società civile.
Laureatosi in giurisprudenza a Parma l’8 agosto 1786 e divenuto notaio a Piacenza il 30 dicembre successivo, partecipa in quegli anni alle sedute della Società letteraria di Piacenza, ove tiene una serie di conferenze fra le quali emerge chiaramente la sua «missione di uomo dotto»: la ricerca di una scienza dell’uomo in società finalizzata al «tranquillo e sereno godimento di beni dell’ordine civile», come leggiamo nel Discorso sull’amore delle donne (pronunciato nella sessione pubblica del 23 giugno 1789, ed edito a Trento nel 1792). In uno scritto coevo, pubblicato postumo nell’Opera omnia e titolato Sopra i fondamenti della politica legislazione (1790) avrebbe definito questo godimento «pubblica felicità» o «interesse sociale». E il compito di definire questo interesse spetta all’economia che non può essere che civile.
Dal 1791, anno in cui esce la sua prima opera sistematica, la Genesi del diritto penale, al 1803 è nel principato vescovile di Trento. Qui, nella veste di pretore della città, consigliere aulico, avvocato, segretario del governo provvisorio filofrancese, affina ulteriormente la sua vocazione di filosofo sociale, di giurista civile delle autonomie e di studioso originale del ruolo dell’opinione pubblica nel definire, rifiutare, accettare il perseguimento di quella pubblica felicità che è il fine di ogni governo che sappia tenere conto degli insegnamenti della Rivoluzione francese. Pubblica felicità che era già stata delineata nei suoi caratteri generali dai «buoni economisti italiani» a iniziare da Antonio Genovesi e da Pietro Verri.
Dal 1803 al 1806 è docente di diritto naturale e pubblico all’Università di Parma con scarso successo fra gli studenti che disertano le sue lezioni e tra l’ostracismo dei colleghi.
Nel 1805 pubblica l’Introduzione allo studio del diritto pubblico universale e concepisce un Prospetto generale delle scienze, di cui ci sono giunte solo le prime trentadue pagine, ove delinea il suo scopo: dare unità sistematica alle scienze umane, in primo luogo a quelle politiche «il cui fine è l’utilità» (Ghiringhelli 2002, p. 119).
Nel 1807 ottiene la nomina a professore di diritto civile all’Università di Pavia, a cui avrebbe rinunciato due anni dopo per la nomina a docente, de facto direttore, a Milano nella «Scuola di alta legislazione ne’ suoi rapporti colla pubblica amministrazione».
Inizia, così, alla soglia dei cinquant’anni quello che possiamo definire il suo periodo aureo nel quale sarebbe diventato il «grande vecchio» di quella corrente di pensiero volta a delineare e a creare una società nazionale italiana.
Nel 1815, sul finire del Regno d’Italia napoleonico, pubblica anonima – ma l’ultima riga dell’opera permette di scoprire il nome dell’autore (difatti leggiamo «Rammenta o Mortale Aver Genio Natura Occulto Sempre Inesauribile», le cui iniziali formano il suo cognome) – Della costituzione di una monarchia nazionale rappresentativa, in cui sono delineati i caratteri generali di quell’economia pubblica o politica meglio precisati negli anni successivi.
Con il ritorno degli austriaci in Lombardia è tra i sospettati di cospirazione e, per vivere, dopo che nel 1812 un’emiplegia aveva colpito la parte destra del suo corpo, chiede di insegnare privatamente a Milano. Fra i suoi allievi vi è Carlo Cattaneo, ma, in seguito all’arresto come sospetto carbonaro l’8 giugno del 1821 e all’assoluzione il 24 settembre 1822, gli viene revocato il permesso d’insegnamento così come non gli è consentito di emigrare a Corfù all’Università Ionia dove lo avrebbe voluto lord Friedrick Guilford (1766-1827).
Nel 1824 esce la terza edizione della Genesi del diritto penale ove, nei paragrafi 1008 e 1009, critica la tendenza di Jeremy Bentham (1748-1832), i cui scritti conosce nelle traduzioni francesi, a far prevalere il concetto di utilità generale, vista in maniera troppo meccanicistica come generalizzazione degli interessi individuali.
Due anni dopo nella terza lettera Sull’ordinamento della cosa pubblica a Giovanni Valeri (1775-1827), giurista dell’Università di Siena, scrive che per edificare una filosofia a uso della società civile occorre cominciare dal genere di vita di un popolo e quindi «dall’ordine teoretico e pratico del perfezionamento economico, che costituisce il primo e fondamentale articolo dell’incivilimento» (in Scritti filosofici, a cura di S. Moravia, 1974, p. 351): si tratta dell’anticipazione delle analisi economiche alle quali avrebbe dedicato gli ultimi anni della propria vita.
Difatti, a partire dal 1827 sino alla morte, con la sua collaborazione-direzione degli «Annali universali di statistica», editi a Milano da Francesco Lampato (1774-1829), Romagnosi si propone di dedicarsi agli studi di statistica e di economia civile «campo in cui restava quasi tutto da rifare».
Nasce quella ‘scuola romagnosiana’ di cognizioni utili e di indirizzi teorici e pratici per formare un’opinione pubblica libera e cosciente, che sarebbe stata portavoce degli interessi di quel ceto borghese che voleva uscire dall’isolamento degli otto Stati in cui era divisa la penisola e delineare i caratteri di una nazione italiana non solo unita politicamente ed economicamente, ma specchio delle vive municipalità che ne caratterizzavano la vita sociale. Non è un caso che fra i più fedeli seguaci di questa scuola vi fossero i milanesi Cattaneo e Giuseppe Ferrari (1811-1876), il novarese Giacomo Giovanetti (1786-1849), i senesi Giovanni Valeri e Celso Marzucchi (1800-1870), il brianzolo Cesare Cantù (1804-1895).
In una lettera datata 10 novembre 1832 e inviata a Giovan Pietro Vieusseux (1779-1863) direttore dell’«Antologia» di Firenze, Romagnosi precisa che i suoi scritti e le sue dottrine devono essere intesi come «vedute generali» e come indicazioni di metodo per arrivare a un’operativa scienza della cosa pubblica. Spettava alla sua scuola e a chi avesse voluto seguire le sue indicazioni rendere tutto ciò operativo nella società.
L’8 giugno 1835 si spegne nella sua casa di Milano sita al numero 1298 di Borgo del Gesù. Due giorni dopo le sue spoglie vengono traslate a Carate Brianza, ove sono tuttora conservate.
La complessità e l’interdisciplinarità della dottrina romagnosiana dell’incivilimento, distribuita in più di dodicimila pagine edite, si sono spesso prestate a un’analisi settoriale dell’elaborazione di Romagnosi privilegiandone l’aspetto giuridico o quello filosofico. In realtà, come scrive lo stesso Romagnosi nelle lettere a Valeri e in quelle a Vieusseux, la sua civile filosofia come «madre del diritto e della politica» è un’arte sociale nella quale confluiscono e convivono i diversi rami del sapere e dello studio della vita degli Stati. Così l’economico è uno degli aspetti dell’arte del vivere civile ed è collegato con il diritto e la politica.
Ed è questo uno degli scopi delle sue Note sugli «Annali universali di statistica» a partire dal luglio 1827 quando si pone il Quesito. Il modo usato da alcuni scrittori di oggidì nel trattare le Dottrine economiche è forse plausibile?
Una volta precisato che economia è l’ordine con il quale il giudizio umano vuole realizzare qualunque cosa e che economia politica «dovrebbe significare l’ordine delle civili società» (Quesito, in Opere di G.D. Romagnosi riordinate e illustrate da Alessandro De Giorgi, 6° vol., 1845, p. 12), ecco che il fine dello studioso è analizzare e indicare l’ordine sociale delle ricchezze allo scopo di
procurare il possesso delle cose godevoli in una quantità proporzionata ai bisogni della vita in guisa che vengano diffuse per quanto si può equabilmente e facilmente sul massimo numero degli individui sociali (Quesito, cit., p. 13).
Avrebbe ulteriormente precisato, nel saggio Punto di vista degli articoli di economia e di statistica uscito nel fascicolo di maggio-giugno 1834 degli «Annali universali di statistica», che i propri scritti economici, nel delineare i caratteri del perfezionamento «materiale» o economico delle società e degli Stati, tendono a «superare il divorzio fra l’economia ed il jus publico e privato» e a documentare che «la dottrina economica è essenzialmente la scienza delle cose godevoli, operata col concorso degli individui, dei consorzi e dei governi» (Memoria, in Opere di G.D. Romagnosi, cit., p. 8).
È il tentativo non solo di formare economisti, ma di avviarli sulla strada che li emancipi «dal gergo del banco e degli opifici» e colleghi i loro «inventari» o statistiche del reale con il modello di benessere sociale. Ricorrendo al linguaggio odierno possiamo sostenere che Romagnosi rimarca l’assoluta necessità di collegare l’economia con la politica economica onde giungere a una dottrina operativa, cioè a una dottrina delle potenzialità del mondo reale.
Da queste definizioni come da quelle riguardanti la statistica, la storia, la logica, basi della civile filosofia, e dal loro confronto con il diritto ecco che quest’ultimo assume la veste di difensore dell’equità sociale che, come leggiamo in Della necessità di unire lo studio della politica economia con quello della civile giurisprudenza (1832), si può definire l’utile giusto: «pareggiare fra i privati l’utilità mediante l’inviolato e sicuro esercizio della comune libertà» (in Opere di G.D. Romagnosi, cit., p. 68). Dunque, l’economia e il diritto rappresentano le due facce della legge di natura. La prima è quella che traccia le motivazioni e le soluzioni; la seconda, il diritto, è la regola che dirige. L’economia, di conseguenza, è l’ordine con il quale il giudizio umano vuole realizzare qualsiasi cosa all’interno di un sistema sociale.
Qui ritorna la concezione romagnosiana della natura, permeata di quell’ottimismo del secolo dei lumi e, per certi versi, della mano invisibile di Adam Smith (1723-1790) che, se lasciata libera e assecondata, tende a ben fare e porta Romagnosi a riflettere su quanto aveva scritto nell’Introduzione allo studio del diritto pubblico universale (1825):
la natura, col legare gli uomini al suolo, che li sostiene, spinge imperiosamente la socialità al suo compimento, fissa le nazioni con la proprietà […] e collega le nazioni con la società libera del commercio (in Opere di G.D. Romagnosi, cit., p. 338).
Agricoltura e proprietà sono la fonte primaria e il risultato delle ricchezze nella società. Diventa allora significativo, nell’ottica romagnosiana, localizzare e quantificare il grado e la distribuzione del benessere in ogni comunità.
Nella continua tensione verso l’individuazione delle diverse scienze e arti atte ad aiutare i governanti e le nazioni a conoscere lo stato reale del loro grado di progresso o incivilimento, la statistica, come «esposizione dei modi di essere e delle produzioni interessanti delle cose e degli uomini presso di un dato popolo» (Questioni su l’ordinamento delle statistiche, in Opere di G.D. Romagnosi, cit., p. 646), non assolve solo la funzione di scienza quantitativa che misura le caratteristiche e i fatti di una società, come sottolineavano Jean-Baptiste Say (1767-1732), Charles Dupin (1784-1873) e Melchiorre Gioia. Difatti il suo essere connesso con lo Stato e le società la porta a divenire civile e ad avvicinarsi alle altre scienze sociali «esibendo i giudizi definitivi di fatto su lo stato economico, morale e politico di quel dato popolo, di modo che si possa paragonare e riscontrare col modello ideale di ragione concepito dalla teoria» (Questioni su l’ordinamento delle statistiche, cit., p. 651).
Le statistiche civili quindi, come aveva in parte sottolineato Gioia, servono sia all’uomo di Stato sia alla pubblica amministrazione per conoscere la situazione reale dei bisogni e del grado di vita di quel popolo e per quantificare la potenza o debolezza di quello Stato.
Nel contempo, serve a delineare quel patrimonio comune di idee e fatti che è alla base di un’opinione pubblica libera, informata e che mira a una politica economica che, come scrive nell’Ordinamento della economica dottrina (1833, recensione al Manuale di economia politica, trad. it. del 1831 di Elements of political economy di James Mill), combatta contro una non equa distribuzione di «mezzi materiali indicati sotto il nome di capitale» (in Opere di G.D. Romagnosi, cit., 6° vol., 1845, p. 29). Romagnosi non prosegue nell’analisi del termine capitale, limitandosi a definirlo non armonico all’ordine sociale delle ricchezze.
Parimenti, pur accorgendosi che con l’incivilimento si vanno diramando e sminuzzando i poteri reali e personali degli individui, cosicché «ogni sorta di professioni utili concorre nelle funzioni economiche» (Quesito, cit., p. 16), non approfondisce la divisione nella società fra classi produttive e classi improduttive, convinto com’è che una classe non esiste e non agisce se non per mezzo del tutto, che tende a diffondere un processo di mobilità all’interno di ogni consorzio umano e porta «all’affermarsi di una società agricola caratterizzata dalla piccola proprietà diffusa, segnata dalla logica del buon padre di famiglia che brama di vedere tutti i figli suoi collocati» (Quesito, cit., p. 14).
Questo continuo richiamo alla società nelle sue diverse articolazioni (privato-pubblico, libertà-ordine, società-Stato) e al loro studio attraverso la statistica civile e l’economia politica è finalizzato a un’ottimistica visione, di matrice settecentesca, di Stato ideale e incivilito fondato sul primato dell’armonia della società agricola e non sul principio dell’evoluzione del modello industriale inglese, basato sull’astratto principio che ogni nazione possa produrre tutto senza tener conto dei bisogni reali.
Gli «Annali universali di statistica» sotto la spinta e l’intervento diretto di Romagnosi contribuirono grandemente, assieme all’«Antologia» di Vieusseux, a diffondere le teorie della scienza economica classica sul tema del valore e della distribuzione arricchendole, come ha scritto Francesca Duchini in La scienza economica classica (1975), di apporti personali, senza cogliere, però, a fondo l’importanza dell’analisi del percorso di sviluppo.
Una simile interpretazione statica del pensiero dei maestri inglesi era frutto sia della tradizione pragmatica dei «buoni» economisti italiani del Settecento, sia dell’influenza della cultura economica francese, sia della realtà degli Stati preunitari ove predominava un sistema in prevalenza agricolo, artigianale e commerciale.
Così Smith è il «celebre» fondatore dell’economia come scienza delle ricchezze e dell’utile come interesse sociale e individuale, che ha una sua logica a prescindere dalla politica e dalla morale. E Bentham, nel giudizio del Salsese, pur avendo il merito di aver sottolineato la centralità del concetto di utile nell’analisi della società e, di conseguenza, come principio motore dell’attività umana, e pur essendo uno stimato «giureconsulto», non va al di là del valore pragmatico e quantitativo dell’equivalenza fra utile e pubblica felicità.
A Thomas R. Malthus (1766-1834) nel 1830 dedica una memoria dal titolo Sulla crescente popolazione nella quale ribadisce il giudizio già espresso nel 1827 nelle Definizioni in economia politica, secondo il quale l’apprezzabile tendenza a ben definire porta Malthus a teorizzazioni troppo astratte tanto che
non si curò di vedere se la terra dèsse mille pani al giorno per alimentare mille uomini: egli pensò che il povero, solo perché è povero, deve astenersi dal far nascere figli (in Opere di G.D. Romagnosi, cit., 6° vol., 1845, p. 113).
È la concezione dell’economia come media virtus, né troppo sociale (come la volevano i seguaci di Henri de Saint-Simon) né troppo individuale (secondo Smith), in base alla quale si delineava una società basata su una giusta e moderata libertà individuale, come avrebbe sostenuto il 15 maggio 1846 Antonio Scialoja in Per la inaugurazione della cattedra di economia politica nella Regia Università di Torino.
Per quanto concerne gli economisti di cultura francese l’attenzione di Romagnosi si sofferma soprattutto su Say, su Simonde de Sismondi e su Saint-Simon.
Di Say sottolinea la definizione di economia politica come scienza che si prefigge l’individuazione dei mezzi attraverso i quali si formano, si distribuiscono e si consumano beni, ma ne critica la concezione meramente quantitativa della statistica e il non saper cogliere il necessario e naturale nesso con le regole o diritti della società, limitandosi cioè a studiare l’ordine di fatto, tralasciando l’ordine di ragione dell’origine e dell’andamento delle ricchezze.
Ne critica, poi, le semplicistiche definizioni di scambio come compravendita e di commercio come trasporto delle merci mentre si tratta «di servigi utili che vengono pagati assieme col prezzo immediato delle cose» (Disputa sull’idea di commercio, in Opere di G.D. Romagnosi, cit., p. 943) essendo il commercio una funzione economica «per la quale uno liberamente dà e l’altro liberamente ricambia una cosa rispettivamente stimata utile, con reciproco accontentamento» (p. 944). È un altro segno di quella critica dell’economia politica come scienza esclusiva della produzione delle ricchezze che lo porta a considerare ugualmente negative sia le analisi di Charles-Barthélemy Dunoyer (1786-1862) sia quelle di Sismondi (1773-1842).
In realtà, lo studio delle dottrine economiche sismondiane, accanto a quello dei suoi scritti storici, di cui esalta i sedici volumi della Histoire des républiques italiennes du Moyen-âge (4 voll., 1807-1808; II ed. 16 voll., 1809-1818), serve a Romagnosi per confermare l’asserto dello svizzero che «la pubblica economia è un ramo di Governo» (Della libera universale concorrenza, in Opere di G.D. Romagnosi, cit., 6° vol., 1845, p. 38).
Nel contempo precisa che Sismondi non riesce a uscire dalla sfera delle faccende economiche, quantunque abbia collegato economia e politica poiché trascura la funzione esercitata dalle leggi nell’incremento delle ricchezze nonostante ne apprezzi la franchezza con la quale afferma che «la massa degli inglesi sembra dimenticare, al pari dei filosofi, che l’aumento delle ricchezze non è lo scopo dell’economia politica, ma il mezzo di cui essa dispone per procurare la felicità a tutti» (Nouveaux principes d’économie politique, 1827, p. 9).
Con il medesimo spirito in due articoli apparsi sugli «Annali universali di statistica» nel 1827 e nel 1832 Romagnosi affronta i fondamenti teorici della dottrina economica e politica di Saint-Simon (1760-1825). Nel primo, intitolato Abbozzo storico delle dottrine alle quali fu dato il nome di industrialismo, riprende e accetta la definizione di sansimonismo di Dunoyer secondo il quale si tratta di una dottrina che definisce «stato industriale, una società composta unicamente di dotti, di artigiani e di artisti» (in Opere di G.D. Romagnosi, cit., 6° vol., 1845, p. 153). Si tratta, secondo Romagnosi, di una visione limitata della «ruota economica» che è composta di agricoltura, industria e commercio.
Nel secondo scritto, Dei reati che nocciono all’industria […] Del sansimonismo, definisce il pensiero del francese «un disegno di un grande reato nocivo alle industrie, alla circolazione delle ricchezze, ed al cambio delle produzioni» (in Opere di G.D. Romagnosi, cit., 6° vol., 1845, p. 269). Difatti si è di fronte a una teoria che vuole «far progredire i rami di un albero distruggendo il tronco», ove il tronco è la proprietà privata, i rami sono le attività economiche e l’albero è la società. L’unico merito riconosciuto ai seguaci di Saint-Simon è quello di avere recuperato il ruolo fondamentale degli studi economici nel delineare i dettami del progresso che, identificato con l’abolizione delle proprietà privata e l’introduzione della comunione dei beni, diventa un insieme di «zotiche assurdità visionarie da sfogarsi nelle case dei pazzi» (p. 278).
Occorre ritornare agli esempi storici dei buoni scrittori italiani di economia e ripartire da loro e dalle loro vedute nello studiare e nel giudicare le dottrine economiche ‘alla moda’ in Inghilterra e in Francia se si vuol perseguire l’incivilimento di una società.
Per Romagnosi l’economia, che non può che essere politica, è un insieme di scienza e arte in quanto per essere realmente efficace e propositiva deve essere speculativa e applicativa o pratica ovvero scientifica e reale. Il suo fine è quello sia di svelare la «giustizia naturale» del sistema sia di tracciare il modo per realizzarlo (cfr. Parisi Acquaviva 1984, p. 153).
Francesco Ferrara nella sua Teoria sulla statistica secondo Romagnosi (1836) pone in luce come per gli economisti italiani e, più in generale, per chi vuole studiare la realtà le teorie romagnosiane siano simili al «ragionare di un medico» e siano un momento importante di confronto nella definizione di un programma sociale nel quale l’economia politica sia generatrice di libertà e non si limiti al mero calcolo mercantile. Poco importa che Romagnosi abbia definito questo progetto di sistema di libertà economiche e sociali come caratteristico della «scuola italiana» degli economisti, mentre rientra nella corrente di pensiero europea dell’economia dei vincoli. Ciò che deve essere invece rimarcato è che, da convinto riformatore sociale, abbia tracciato quelle vedute generali per costruire una cultura economica a uso della società civile e dell’uomo di Stato che avrebbe influenzato tutta l’età risorgimentale.
Opere del prof. G.D. Romagnosi, t. 10, Collezione degli articoli di Economia Politica e Statistica Civile, Firenze 1835.
Opere di G.D. Romagnosi riordinate ed illustrate da Alessandro De Giorgi, 2° vol., parte I, Scritti sul diritto filosofico, Milano-Padova 1842; 6° vol., parte I e II, Economia politica e statistica, Milano-Padova 1845.
Le più belle pagine di Giandomenico Romagnosi scelte da Arcangelo Ghisleri, Milano 1931.
Lettere edite e inedite. Raccolte e annotate a cura di Stefano Fermi, Milano 1935.
Scritti filosofici, 2° vol., Storia civiltà progresso, a cura di S. Moravia, Firenze 1974.
G. Valenti, Le idee economiche di Gian Domenico Romagnosi. Saggio critico, Macerata 1890.
A. Dainelli, Politica ed economia nel pensiero di Gian Domenico Romagnosi, Bologna 1933.
Economisti italiani del Risorgimento, a cura di A. Garino-Canina, Torino 1933.
K.R. Greenfield, Economics and liberalism in the Risorgimento. A study of nationalism in Lombardy, 1814-1848, Baltimore 1934 (trad. it. Bari 19642).
P. Barucci, Economia e ‘incivilimento’ di Gian Domenico Romagnosi, «Giornale degli economisti e Annali di economia», nov.-dic. 1961, 20, pp. 701-50.
Atti del Convegno di studi in onore di Giandomenico Romagnosi nel bicentenario della nascita, «Studi parmensi», 1961, 10.
E.A. Albertoni, La vita degli Stati e l’incivilimento dei popoli nel pensiero politico di Gian Domenico Romagnosi, Milano 1979.
Gli Italiani e Bentham. Dalla ‘felicità pubblica’ all’economia del benessere, a cura di R. Faucci, 1° vol., Milano 1982, pp. 77-103.
Per conoscere Romagnosi, a cura di R. Ghiringhelli, F. Invenici, Milano 1982.
D. Parisi Acquaviva, Il pensiero economico classico in Italia (1750-1860), Milano 1984.
F. Sofia, Una scienza per l’amministrazione, Roma 1988, pp. 381-415.
Le cattedre di economia politica in Italia. La diffusione di una disciplina ‘sospetta’ (1750-1900), Milano 1988.
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