Mazzini, Giuseppe
Il maggior profeta del Risorgimento italiano
Giuseppe Mazzini fu la personalità che, più di ogni altra, lottò per l’indipendenza degli Italiani dalla dominazione straniera e per la loro costituzione in uno Stato unitario. Fervente repubblicano e democratico, quando l’Italia conseguì l’unità egli fu per un verso un grande vincitore, ma per l’altro uno sconfitto, poiché il nuovo Stato divenne una monarchia senza la partecipazione delle masse popolari. Si batté strenuamente per la conquista di Roma, considerata il simbolo dell’unità nazionale
Giuseppe Mazzini nacque a Genova nel 1805, figlio di Giacomo, medico, e di Maria Drago, che lo educò a un senso religioso della serietà della vita e dei doveri che essa impone. Studente, fu conquistato dalle idee democratiche e repubblicane. Animato da vivi interessi per la letteratura secondo uno spirito accesamente romantico, maturò altresì presto una dominante passione per l’azione politica.
Nel 1827 si iscrisse alla Carboneria, organizzazione rivoluzionaria segreta composta da gruppi ordinati secondo una rigida gerarchia, in cui presto assunse una posizione di primo piano. Arrestato dalla polizia sabauda nel 1830 e rinchiuso nella fortezza di Savona, l’anno seguente prese la via dell’esilio. Un grave scacco fu per lui il vano tentativo, nel 1831, di appoggiare con una spedizione dalla Savoia i moti scoppiati nell’Italia centrale.
A Marsiglia, ormai convintosi dell’insufficienza dell’opera delle piccole sette di cospiratori, fondò nel 1831 la Giovine Italia, un’organizzazione chiamata a lottare per un’Italia unita, democratica e repubblicana, da radicarsi nel popolo mediante una propaganda capace di rendere pubblici i propri principi e di ottenere un ampio consenso tra gli Italiani. Il popolo era visto da Mazzini come l’unico soggetto capace di conquistare, mediante l’insurrezione, la propria libertà. La mano di Dio avrebbe guidato il braccio del popolo; di qui la formula della religione politica mazziniana: «Dio e popolo».
Mazzini credeva fortemente in un progresso fondato sugli individui animati dal senso dei loro doveri verso gli altri, sulla famiglia, sulle nazioni e sull’umanità. All’Italia rinata spettava il compito di fondare una Terza Roma, dopo quella dei Cesari e dei papi, avente la missione di propagandare la fratellanza e la libertà universali. Reagendo agli insuccessi cui andò incontro l’azione sua e dei suoi seguaci, Mazzini nel 1834 fondò in Svizzera la Giovine Europa per favorire in tutto il continente le lotte dei popoli oppressi, convinto che la libertà dell’Italia avrebbe potuto essere salvaguardata unicamente da quella degli altri paesi europei.
Superata la «tempesta del dubbio» – una profonda crisi causata da un momentaneo smarrimento per la coscienza delle sofferenze provocate da dolorosi e anche sanguinosi fallimenti – nel 1837, espulso dalla Svizzera, si trasferì in Inghilterra, dove entrò in contatto con grandi intellettuali tra i quali John Stuart Mill e Thomas Carlyle, che nutrirono per lui una profonda ammirazione. Intanto il pensiero di Mazzini dall’interesse per l’indipendenza italiana e la libertà delle nazioni si era allargato alla questione sociale. Avverso al socialismo e al comunismo, egli sostenne la necessità di difendere gli interessi delle classi lavoratrici mediante opportune riforme sociali e politiche, il mutuo soccorso e le cooperative. In Inghilterra diede vita all’Unione degli operai italiani.
Divenuto una personalità di fama ormai internazionale, Mazzini dovette subire i contraccolpi quanto mai negativi dell’esito sfortunato dei moti insurrezionali scoppiati in Romagna nel 1843 e 1845 e della spedizione fallimentare tentata nel 1844 dai fratelli Bandiera, ufficiali della marina austriaca. Malgrado non ne fosse responsabile, fu messo sotto accusa per il suo «avventurismo».
Nel 1848 l’ondata rivoluzionaria scosse l’Europa e l’Italia. Allo scoppio della prima guerra di indipendenza italiana Mazzini, contrario alla politica del re di Sardegna Carlo Alberto che mirava a estendere il proprio regno nell’Alta Italia annettendo la Lombardia, tenne fermi gli ideali dell’unità italiana e, dopo la vittoria degli Austriaci sui Piemontesi, esortò le correnti democratiche e repubblicane a condurre una guerra di popolo contro lo straniero.
Costituitasi nel febbraio 1849 la Repubblica Romana, Mazzini ne divenne il capo, dando prova di elevate capacità di governo. Una volta che la repubblica fu travolta dalle truppe francesi inviate a riportare Pio IX sul trono papale, Mazzini si recò esule prima in Svizzera e poi in Inghilterra.
Nel corso degli anni Cinquanta tentò di riprendere l’iniziativa rivoluzionaria in Italia. A questo scopo fondò nel 1853 il Partito d’azione ma tutte le azioni da lui promosse andarono incontro alla repressione. L’insuccesso più grave fu la spedizione di Carlo Pisacane a Sapri nel 1857.
L’azione rivoluzionaria di Mazzini scontava pesantemente il fatto che, nonostante contasse soprattutto sull’adesione popolare, egli non fosse mai stato in grado di ottenere l’appoggio attivo di significativi nuclei di lavoratori. Le grandi masse contadine rimasero del tutto impermeabili al suo messaggio.
Proprio mentre Mazzini doveva confrontarsi con la crisi della sua strategia che faceva appello all’insurrezione popolare, nel regno di Sardegna il conte di Cavour, capo del governo di Vittorio Emanuele II, promuoveva una linea che mirava alla formazione di un regno dell’Alta Italia sotto i Savoia e alla confederazione degli Stati italiani, cercando in particolare l’alleanza dell’imperatore francese Napoleone III, che divenne un dato di fatto nel 1858. Nello stesso anno dell’insuccesso della spedizione di Pisacane, le delusioni verso le posizioni di Mazzini indussero personalità come Garibaldi e altri democratici a staccarsi da lui confluendo nella Società nazionale di indirizzo cavouriano.
Nel 1859 il Piemonte guidato da Cavour entrò, in alleanza con la Francia, in conflitto con l’Austria dando origine alla seconda guerra di indipendenza; Mazzini vide così decisamente sfuggirsi l’iniziativa per opera della monarchia sabauda e delle forze di indirizzo moderate avverse alla repubblica e alla democrazia. Le sue speranze si riaccesero quando nel maggio 1860 Garibaldi, con la spedizione dei Mille, diede inizio alla conquista che si sarebbe conclusa con la liberazione del Mezzogiorno. Egli ritenne allora che si aprissero nuove prospettive per un’insurrezione popolare, per la repubblica democratica e il compimento dell’unità con la conquista di Roma e del Veneto. Ancora una volta, tuttavia, subì una disillusione, poiché Garibaldi si era accordato con il re Vittorio Emanuele II accettando che l’unità italiana si compisse come estensione della monarchia sabauda.
Dopo il compimento parziale dell’unità d’Italia nel 1861 (mancavano ancora il Veneto, il Trentino e soprattutto Roma), Mazzini, colui che più di ogni altro aveva lottato per essa, si trovò a essere per molti aspetti uno straniero in patria. L’Italia monarchica e fondata sul dominio politico e sociale di una ristretta minoranza non soltanto non era quella per cui si era battuto, ma lo respingeva. Nel decennio seguente, Mazzini non mancò di sostenere la necessità di portare a compimento l’unità del paese, che sarebbe stata per gran parte raggiunta nel 1866 con l’acquisizione del Veneto e nel 1870 con la caduta del potere temporale dei papi.
Nell’ultimo periodo della sua vita Mazzini dedicò molte delle sue energie alla questione sociale e alla battaglia per l’elevazione delle condizioni delle classi lavoratrici. Prese parte a Londra alla fondazione della Prima internazionale dei lavoratori nel 1864 opponendosi alle posizioni dei marxisti e degli anarchici, poiché, in quanto riformista democratico, non condivideva le loro teorie rivoluzionarie. Nel 1870, recatosi a Palermo per preparare un’insurrezione popolare, venne arrestato e rinchiuso a Gaeta per alcuni mesi. Mazzini morì nel 1872 a Pisa, clandestino, sotto il nome di dottor Brown.