Gran Bretagna, storia della
La culla del liberalismo
La storia della Gran Bretagna e delle sue diverse componenti ‒ l'Inghilterra, la Scozia, il Galles e l'Irlanda ‒ è stata caratterizzata sin dall'epoca dell'invasione normanna (11° secolo) da tratti peculiari rispetto alla storia delle grandi formazioni politiche dell'Europa continentale. Questo sviluppo particolare ha ricevuto ulteriori ed essenziali impulsi dalle rivoluzioni del 17° secolo e poi, tra Sette e Ottocento, dal trionfo dell'industrialismo e dalla straordinaria potenza dell'Impero britannico
Abitato sin dall'epoca preistorica, il territorio dell'attuale Gran Bretagna fu occupato dai Celti nel corso del 1° millennio a.C. e dai Romani a partire dal 1° secolo a.C. Inquadrato nell'Impero come provincia con il nome di Britannia, fu abbandonato dai Romani tra il 4° e il 5° secolo d.C., quando si fece più intensa la pressione delle tribù germaniche degli Angli e dei Sassoni. Tra il 6° e il 9° secolo si sviluppò la cosiddetta eptarchia: un complesso di sette regni anglosassoni che, poco per volta, andarono unificandosi grazie alle comuni lotte contro i Britanni, a un più generale processo di cristianizzazione e all'iniziativa di alcuni energici sovrani quali, in primo luogo, Egberto (802-839) e Alfredo il Grande (871-899).
Tra il 9° e l'11° secolo gli Anglosassoni dovettero confrontarsi con la crescente pressione dei Danesi e poi soprattutto dei Normanni, che invasero il paese con Guglielmo il Conquistatore. Questi, dopo la vittoria di Hastings (1066), fu incoronato re d'Inghilterra (1066-87) e diede vita a un sistema di potere fortemente centralizzato, basato su una rigida divisione tra i vincitori normanni e i vinti anglosassoni. Grosso modo nello stesso periodo anche l'Irlanda, la Scozia e il Galles si organizzarono in unità politiche in varia misura indipendenti.
Tra 1154 e il 1485 il Regno d'Inghilterra fu governato dai Plantageneti. Il primo sovrano inglese della dinastia ‒ dotata peraltro di ampi domini sul suolo francese ‒ fu Enrico II (1154-89), che intraprese una vasta opera di riorganizzazione in senso centralistico del Regno. Egli entrò in contrasto con l'aristocrazia feudale, con la Chiesa e con i rappresentanti delle città e diede inizio, grazie alla giurisdizione dei suoi tribunali, alla tradizione della common law inglese (il "diritto comune"), vale a dire a un sistema di creazione del diritto affidato alla pratica giurisprudenziale e alle sentenze pronunciate dai giudici in relazione a singoli casi processuali.
Tra 12° e 13° secolo, tuttavia, i suoi successori furono costretti a scendere a patti con i ceti feudali e a emanare un documento di fondamentale importanza per la successiva storia costituzionale inglese: la Magna Charta libertatum (1215), che riconosceva alla nobiltà, alla Chiesa e alle città un'ampia serie di diritti e di prerogative, limitando al tempo stesso i poteri della Corona.
Nei decenni successivi fu anche creata e consolidata un'importante e duratura istituzione di rappresentanza, il parlamento, che venne suddiviso in una Camera dei lord (in cui sedevano la nobiltà e gli ecclesiastici) e in una Camera dei Comuni (che dava voce alla borghesia cittadina). Rispetto agli sviluppi in atto nell'Europa continentale, il potere regio mantenne ampie prerogative che risultarono ulteriormente rafforzate, dopo una prolungata crisi, al termine dei due grandi conflitti che segnarono la storia inglese del 14° e del 15° secolo: la guerra dei Cent'anni (1337-1453), che oppose la Francia all'Inghilterra e che costò a quest'ultima la perdita irreversibile dei propri domini sul continente, e la guerra delle Due Rose (1455-85), una guerra civile in cui si scontrarono, per la successione al trono, le due famiglie degli York e dei Lancaster, e che si concluse con l'avvento al potere della dinastia dei Tudor.
I Tudor salirono al trono con Enrico VII (1485-1509) e rimasero al potere sino all'inizio del 17° secolo, quando Elisabetta I (1558-1603) ‒ una delle figure più significative della storia inglese ‒ morì senza eredi. Essi riuscirono fin dal principio a dare un impulso decisivo al rafforzamento dello Stato e del potere regio. Con Enrico VIII (1509-47), istituirono una vera e propria chiesa nazionale ‒ la Chiesa anglicana (anglicanesimo) ‒ completamente sottratta all'autorità del papa e sottoposta a quella del sovrano. E con Edoardo VI (1547-53), legarono l'anglicanesimo al protestantesimo. Rispetto a questo processo, il breve regno di Maria la Cattolica (1553-58) ‒ che sposò il re di Spagna Filippo II suscitando forti apprensioni nel paese ‒ segnò una brusca inversione di tendenza. Con Elisabetta I, tuttavia, l'anglicanesimo tornò a consolidarsi, seppure nel contesto di una perdurante opposizione da parte dei cattolici e dei puritani che, vicini al calvinismo, premevano per una riforma radicale della Chiesa inglese.
Il regno di Elisabetta ‒ che affrontò con successo le mire aggressive della Spagna e un insieme di pericolose trame interne legate alla figura di Maria Stuarda, regina di Scozia ‒ segnò una fase di straordinaria ascesa dell'Inghilterra, sia sul piano culturale e artistico sia soprattutto sul terreno dello sviluppo economico e sociale e su quello della potenza marittima e coloniale del paese. Esso pose in tal modo le premesse di un primato imperiale destinato a durare per secoli.
Subito dopo la morte della sovrana furono gli Stuart, con Giacomo I (1603-25), a salire al trono. I loro ripetuti tentativi di dare vita a un regime di tipo assolutistico, e in alcuni momenti di restaurare lo stesso cattolicesimo, ruppero i delicati equilibri politici, sociali e religiosi dell'epoca Tudor, sullo sfondo di una complessa situazione internazionale e di altrettanto complessi rapporti tra Inghilterra, Irlanda e Scozia (della quale gli Stuart erano sovrani). Ne derivarono due rivoluzioni: la rivoluzione puritana di Cromwell, che nel 1649, dopo lunghi anni di guerra civile e di duri scontri tra la Corona e il parlamento, portò alla decapitazione del re Carlo I (1625-49) e alla proclamazione della Repubblica, di cui Cromwell divenne la figura dominante; e, dopo la restaurazione degli Stuart con Carlo II (1660-85) e poi con Giacomo II (1685-88), la 'Gloriosa rivoluzione' del 1688 che portò sul trono Guglielmo III d'Orange (1689-1702) e la moglie Maria II Stuart, segnando il fallimento definitivo di ogni progetto assolutistico e l'avvento di un sistema monarchico di tipo costituzionale e parlamentare fondato sul rispetto dei diritti civili e sulla tolleranza.
Pochi anni più tardi, nel 1707, durante il regno della regina Anna (1702-14), l'ultima sovrana Stuart, i regni di Inghilterra e di Scozia furono formalmente unificati nel Regno Unito di Gran Bretagna il quale, un secolo più tardi, doveva diventare, in seguito a un nuovo contestatissimo Atto d'unione (1801), Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda.
Gli Hannover al potere. Tra il 1714 e il 1901 la Corona rimase ininterrottamente nelle mani dei sovrani della casa di Hannover: Giorgio I (1714-27), Giorgio II (1727-60), Giorgio III (1760-1820), Giorgio IV (1820-30), Guglielmo IV (1830-37), e la regina Vittoria (1837-1901). In questi anni il sistema politico britannico assunse progressivamente i tratti che ancora oggi lo caratterizzano: i tratti cioè di una monarchia parlamentare in cui il sovrano regna ma non governa, esercitando piuttosto funzioni di garanzia, e in cui i poteri di governo sono invece affidati a un primo ministro che deve godere della fiducia della maggioranza parlamentare.
Questo sistema ‒ dominato sino al principio del Novecento dalle due forze dei whigs e dei tories e poi dei liberali e dei conservatori ‒ si impose già nel Settecento e sopravvisse alla tempesta scatenata in Europa dalla Rivoluzione francese e dall'età napoleonica. Nel corso dell'Ottocento andò progressivamente democratizzandosi con tre importanti riforme elettorali che ‒ nel 1832, nel 1867 e nel 1884 ‒ estesero progressivamente il diritto di voto ai ceti popolari (anche se il suffragio universale maschile e quello femminile furono introdotti soltanto nel 1919 e nel 1928).
La rivoluzione industriale. Nel contesto di questa sostanziale continuità, la Gran Bretagna conobbe radicali trasformazioni sul piano dello sviluppo economico e sociale con la cosiddetta rivoluzione industriale, acquisendo e mantenendo su questo terreno, per quasi tutto il corso dell'Ottocento, un netto primato rispetto a tutte le altre grandi potenze europee e diventando al tempo stesso il paese per eccellenza della borghesia e del liberismo. Grazie alla sua straordinaria potenza economica, che almeno in parte si era già affermata prima della stessa rivoluzione industriale, la Gran Bretagna divenne infine la più grande e dinamica potenza imperiale del mondo. Questo ulteriore e decisivo primato, già raggiunto all'epoca della guerra dei Sette anni (1756-63) e delle guerre con la Francia rivoluzionaria e napoleonica (1792-1815), si mantenne sostanzialmente intatto per tutto l'Ottocento ‒ nonostante la perdita delle colonie nordamericane (1775-83) ‒ consolidandosi ulteriormente nella cosiddetta età dell'imperialismo (1870-1914). Ne fu un simbolo efficacissimo l'incoronazione della regina Vittoria come imperatrice dell'India nel 1876.
Al principio del Novecento, di fronte alla prepotente ascesa della Germania e degli Stati Uniti, la Gran Bretagna ‒ sotto la dinastia tuttora regnante dei Windsor ‒ iniziò a perdere gradualmente il suo duplice primato di grande potenza economica e imperiale. Sul piano della politica interna, una trasformazione di grande rilievo fu prodotta dalla nascita (1906) e poi dallo sviluppo del Partito laburista, che nel giro di brevissimo tempo divenne la principale forza di opposizione al Partito conservatore (al posto del vecchio Partito liberale), riuscendo in più occasioni, dagli anni Venti del Novecento sino ai nostri giorni, ad andare al governo con programmi in vario modo ispirati ai principi del Welfare State (benessere, Stato del). L'obiettivo era quello di un intervento dello Stato a tutela dei diritti sociali dei cittadini, favorendo il loro accesso a beni indispensabili quali in primo luogo la salute, l'istruzione e un livello minimo di reddito.
Un altro sviluppo interno di grande importanza fu legato alla questione irlandese, che fu almeno in parte risolta con la creazione nel 1921 dello Stato libero d'Irlanda (futura Repubblica d'Irlanda) e che tuttavia doveva drammaticamente riaccendersi e protrarsi per molto tempo in relazione alla questione dell'Irlanda del Nord.
Sul piano della politica internazionale, la Gran Bretagna partecipò alla Prima guerra mondiale contro gli imperi centrali (1914-18), uscendone vincitrice. Risultò vincitrice anche nella Seconda guerra mondiale (1939-45) contro le potenze dell'Asse e il Giappone ‒ dopo aver tentato fino all'ultimo momento una fallimentare politica di concessioni alla Germania hitleriana.
Nel secondo dopoguerra acconsentì senza eccessive resistenze alla dissoluzione del proprio impero coloniale. Si schierò quindi saldamente con gli Stati Uniti negli anni della guerra fredda, mantenendo in seguito una forte vocazione atlantica e una debole vocazione europea. Tra i grandi leader che hanno dominato la politica britannica del Novecento si deve ricordare Winston Churchill, che governò il paese con grande determinazione negli anni drammatici del secondo conflitto mondiale. Un ruolo di grande rilievo ha esercitato, più di recente, anche Margaret Thatcher, al governo dal 1978 sino al 1990, che ha guidato una vera e propria offensiva neoconservatrice alla quale ha posto fine, nel 1997, la vittoria dei laburisti guidati da Tony Blair.