Gregorio IV
Nato a Roma in data sconosciuta, venne eletto papa dopo il breve pontificato di Valentino, con larga partecipazione dell'aristocrazia laica, così come era già accaduto per il predecessore.
Non si conosce molto della sua formazione: il Liber pontificalis narra che G. era figlio del nobile romano Giovanni, che Pasquale I lo fece suddiacono e in seguito presbitero del titolo di S. Marco. Anche G., come è detto di molti dei suoi predecessori, ritenendosi indegno di tale carica ("Dicebat enim se ad tale ministerium inutilem fore"), si nascose nella chiesa dei SS. Cosma e Damiano nel tentativo di sfuggire a tale nomina; trovato lì, venne portato a forza dal clero e dal popolo romano al Laterano.
Avvenuta l'elezione, G. dovette attendere circa sei mesi per essere consacrato, il 29 marzo dell'828. Il particolare è taciuto dal biografo ufficiale del Liber pontificalis che si limita a scrivere "post electionem simul et consecrationem praesulatus sui caepit permaximum studium habere". Gli Annales regni Francorum narrano invece della lunga anticamera del neoeletto prima di poter essere consacrato in attesa dell'arrivo di un legato imperiale che avrebbe dovuto accertare la regolarità della sua elezione.
La notifica ufficiale di un'elezione papale al sovrano, mediante l'invio del relativo "decretum", non era cosa nuova, dal momento che l'uso era già stato introdotto dagli imperatori bizantini nel VI secolo. Neppure il fatto di una "examinatio" disposta dal sovrano nel caso di una "electio" papale controversa era una novità; cosa veramente nuova era l'attesa, prima di procedere alla consacrazione dell'eletto, della presenza sul posto di un messo imperiale, munito dei poteri necessari per condurre un'inchiesta sulla regolarità dell'elezione. Erano trascorsi appena tre anni da quando Lotario I aveva emanato la Constitutio Romana e imposto la formula del Sacramentum cleri et populi Romani (novembre 824), e già gli effetti (in particolare del cap. 3 della Constitutio romana) si facevano sentire: la "iussio" imperiale diveniva indispensabile per la consacrazione del nuovo pontefice. Secondo O. Bertolini, le motivazioni che portarono ad attendere per quasi un anno l'arrivo di un messo imperiale prima di consacrare G. vanno ricercate non tanto nella volontà romana di non contravvenire alla Constitutio lotariana, quanto nella scena politica venutasi a creare a Roma dopo la morte di Valentino.
L'elezione di G. fu voluta dall'aristocrazia laica e questa volta, contrariamente a quanto era avvenuto per Valentino, non dal clero, che mostrò invece una ferma volontà di opposizione. Fu probabilmente questo il motivo della lunga attesa per la consacrazione. Probabilmente il clero cercò di invalidare l'elezione, formulando precise accuse contro gli avversari (violenze lesive delle norme canoniche). Per O. Bertolini furono proprio i fautori di G. a sollecitare l'inchiesta; l'imperatore inviò quindi i suoi "missi" per accertare le accuse. Essendosi conclusa l'indagine in modo favorevole all'aristocrazia laica, il clero non poté più persistere nel rifiuto di procedere alla consacrazione dell'eletto. Tutto ciò viene taciuto dal biografo ufficiale che si limita a sottolineare, riferendosi all'elezione di G., la volontà di scegliere un successore "sub cuius doctrina atque imperio cuncta senatorum nobilitas rite degere potuisset" e non fa alcun cenno al contegno del clero; questo silenzio, per Bertolini, è segno che le misure lotariane dell'824 erano mal sopportate in Roma. Nel Liber pontificalis le notizie vengono selezionate accuratamente: si tralascia di descrivere la venuta e la missione del legato imperiale, e si dà invece ampio spazio al racconto delle attività di restauro e di costruzione patrocinate dal nuovo pontefice.
G. impegnò gran parte delle sue energie nel restauro di edifici romani (sacri e non): in ambito urbano, il biografo del Liber pontificalis dedica particolare attenzione agli interventi di G. nel "titulus Marci" di cui era stato presbitero; il pontefice ricostruì la chiesa di S. Marco "a fundamentis", dopo aver demolito l'edificio precedente, e la decorò con un mosaico absidale raffigurante Cristo benedicente circondato da santi e dallo stesso G., rappresentato con nimbo quadrato e il modellino della basilica in mano (Le Liber pontificalis, II, p. 74). L'edificio di G. corrisponde alla basilica attuale. Nella parte superiore del mosaico si sviluppa l'iscrizione dedicatoria in cui si ricorda il santo eponimo nel cui nome il pontefice dedicante può chiedere a Dio di vivere a lungo e di essere guidato verso il cielo dopo la morte (vv. 4-5: "vivendi tempora longa donet et ad caeli post funus sidera ducat") (R. Krautheimer-S. Corbett-W. Frankl, II, p. 220). G. restaurò i "sarta tecta" della diaconia di S. Adriano sulla via Sacra e rinnovò la chiesa di S. Giorgio in Velabro nella zona più orientale del Foro Boario (Le Liber pontificalis, II, p. 76). Sull'entità e le caratteristiche dei suoi interventi nella chiesa di S. Giorgio gli studiosi sono divisi; l'ipotesi più accreditata è quella di R. Krautheimer per il quale la struttura principale dell'edificio attuale è omogenea ed è da assegnare al rifacimento di G., a cui sono stati attribuiti anche i resti della decorazione pittorica posti sulla parete della navata ovest e numerosi frammenti di sculture architettoniche. Resti di suppellettile marmorea, relativi al monastero di S. Saba sull'Aventino, sono stati datati al suo pontificato. G. ristrutturò in maniera sostanziale anche la basilica di S. Maria in Trastevere modificando l'area dell'abside e del presbiterio; questo venne costruito rialzato rispetto al livello della chiesa che occupava tutta l'area dell'abside e parte della navata. Sotto l'altare, originariamente posto al centro della navata centrale, vennero trasferiti i corpi dei ss. Callisto, Cornelio e Calepodio, che, in un momento imprecisato, sembra fossero già stati precedentemente traslati nella zona meridionale della chiesa; alcune reliquie di papa Cornelio erano già state traslate da Adriano I nella chiesa di S. Cornelia, all'interno della "domusculta Capracorum" (Le Liber pontificalis, I, p. 506). La "confessio" era provvista di "fenestella" visibile dalla parte orientale del presbiterio. Alla stessa fase edilizia sono state riferite ventitré lastre di pluteo, conservate nel portico e nell'ingresso della basilica (ibid., II, p. 80). Tra i numerosi oggetti di suppellettile e di arredo liturgico che G. donò alla basilica, il biografo ricorda anche "gabathae" d'oro su cui si leggeva un'iscrizione votiva posta dal "domnus Gregorius quartus papa" (ibid., pp. 78-9).
G. inoltre istituì un monastero "iuxta latus" di S. Maria in Trastevere dedicato ai ss. Callisto e Cornelio. Al suo pontificato è stato attribuito anche un lacerto di decorazione pittorica, con teste di santi, su un frammento di parete affrescato a palinsesto rinvenuto alle pendici del Palatino; l'affresco è stato messo in relazione con la diaconia di S. Lucia "quae ponitur in VII vias", ricordata nel Liber pontificalis (II, p. 79) per alcune donazioni elargite dal pontefice e la cui localizzazione rimane problematica. Presso S. Giovanni in Laterano rifece il triclinium nel patriarchio (ibid., p. 76 n. 7). In ambito suburbano G. restaurò "a fundamentis" e decorò con "picturis variis" la basilica cimiteriale di S. Saturnino nel sopratterra del cimitero ipogeo di Trasone, sulla via Salaria "nova", che ospitava i sepolcri dei ss. Crisanto e Daria (ibid., p. 74). Di questo edificio attualmente non è rimasta alcuna traccia, ma A. Bosio segnalò la presenza dei resti di una basilica, da identificare probabilmente con quella di S. Saturnino, che doveva trovarsi a circa 1220 m dalla Porta Salaria dove ancora oggi si conserva qualche tratto di un insediamento catacombale. Anche la basilica vaticana di S. Pietro fu interessata dagli interventi edilizi di G.; questi ristrutturò la facciata dell'atrio, probabilmente l'oratorio posto al piano superiore del corpo d'ingresso (identificato con S. Maria Mediana, detta anche S. Maria "in Turri" o S. Maria "ad Grada" o "in Gradibus"), il nartece e, infine, il mosaico della facciata. Presso l'obelisco, costruì alcuni ambienti con funzione residenziale. Inoltre G. fece traslare il corpo di Gregorio Magno nell'estremità orientale dell'ultima navata di sinistra della basilica di S. Pietro, all'interno dell'oratorio di S. Gregorio che decorò con un mosaico absidale. Qui traslò anche le reliquie dei ss. Sebastiano, Gorgonio e Tiburzio collocandole in altari separati (ibid.). G. restaurò poi l'acquedotto Sabatino che, da una parte, portava l'acqua al Gianicolo e permetteva il funzionamento dei mulini, dall'altra alimentava la fontana nell'atrio della basilica di S. Pietro e i bagni a essa adiacenti. Nel territorio di Ostia e Porto G. costruì due domus: una nella "curtis Draconis", l'altra nella "curtis Galeria" da localizzare all'interno della "domusculta Galeria" fondata da papa Adriano I al XII miglio della via Portuense, in località Ponte Galeria. Ma l'opera sicuramente più imponente fu quella di progettare e costruire un borgo fortificato presso il porto di Ostia antica, del quale seguì personalmente la realizzazione e che chiamò "Gregoriopolis" (ibid., p. 82). Le mura edificate da G., di cui manca allo stato degli studi un riscontro materiale, circondarono un borgo che si era sviluppato intorno al santuario martiriale di Aurea.
Per quel che riguarda la condotta di G. nei confronti dell'Impero - nodo centrale del suo pontificato - P. Brezzi sostiene che un papa consacrato nel modo sopra descritto, così legato e all'aristocrazia romana e all'imperatore franco, non poteva non rimanere coinvolto negli affari della famiglia carolingia. Anche in questo caso dobbiamo constatare che il biografo del Liber pontificalis non accenna neanche brevemente alla missione più rilevante compiuta da Gregorio IV. L'anno successivo alla morte dell'imperatrice Irmingarda (3 ottobre 818), Ludovico il Pio si era risposato con Giuditta e aveva avuto da questa un figlio, Carlo; l'arrivo di un nuovo erede portò all'incrinatura dell'equilibrio che era stato raggiunto con l'emanazione della Ordinatio Imperii.
Ludovico il Pio infatti, nell'817, per garantire l'unità del Regno aveva stabilito, contrariamente al costume franco (a cui Carlomagno era stato fedele), di associarsi nell'impero il figlio maggiore Lotario nominato suo unico successore. I figli cadetti, Ludovico il Germanico e Pipino, si sentirono ovviamente defraudati dei loro diritti e, pungolati da Giuditta, madre del futuro imperatore Carlo il Calvo, si unirono contro il fratello. Il problema era quello di arrivare a un'equa partizione del Regno che includesse anche il quarto erede Carlo; partizione sempre più fortemente auspicata dalla fazione che vedeva uniti, in una prima fase, Pipino, Ludovico il Germanico e Giuditta. La dieta di Worms (829) determinò un cambiamento repentino delle alleanze; Ludovico il Pio infatti, dietro pressione dell'imperatrice Giuditta, aveva riveduto la sua Ordinatio assegnando al figlio Carlo, di sette anni, non solo il titolo regio ma anche l'Alemannia, l'Alsazia, la Rezia e parte della Borgogna. Ciò provocò nuovi disordini e il riavvicinamento di Pipino e Ludovico a Lotario, che nel frattempo sembra fosse stato inviato in Italia. Lotario, grazie probabilmente anche all'aiuto di Wala, abate di Corbie, riuscì a convincere G. a intervenire al suo fianco, contro le decisioni del padre, nel nome dell'unità imperiale e dell'intesa familiare. Nell'833 il pontefice, oramai convinto di dover garantire l'inviolabilità della Ordinatio Imperii giurata nell'817, varcò le Alpi insieme a Lotario e al suo esercito, e si unì ai due fratelli insorti col miraggio di far da paciere nel grave conflitto. Per il papa questa probabilmente rappresentò l'occasione di farsi garante dell'unità e della pace; prima di oltrepassare le Alpi, G. spedì una lettera ad Agobardo, arcivescovo di Lione (769-840), e ad altri prelati franchi, convocandoli presso di sé non appena fosse giunto in Francia ed esortandoli a pregare per il successo della sua missione (Regesta Pontificum Romanorum, nr. 2575).
Con gran sorpresa il pontefice scoprì che la maggior parte dei vescovi franchi era schierata con l'imperatore e aveva risposto all'appello di quest'ultimo riunendosi a Worms. Solo Agobardo e pochi altri si schierarono a favore di G.; in una lettera dello stesso 833 a Ludovico il Pio, il vescovo di Lione difende la purezza di intenzioni del papa, intervenuto non per combattere ma bensì per difendere la pace e l'inviolabilità della Ordinatio Imperii sancita dallo stesso imperatore "insieme a Dio" e infranta senza ragione. In una missiva di risposta dei vescovi franchi rimasti fedeli a Ludovico il Pio, capeggiati da Drogone di Metz, conosciuta solo attraverso la replica dello stesso G. (ibid., nr. 2578), il papa, considerato semplicemente un "fratello", veniva accusato di aver dimenticato il giuramento di fedeltà fatto all'imperatore, del quale anche lui era suddito, e di agire in modo illegittimo; inoltre i vescovi franchi minacciarono G., qualora avesse persistito nella ribellione, di non riconoscerlo più capo della Chiesa d'Occidente e di scomunicarlo se, come aveva intimato, avesse usato contro di loro delle pene canoniche. La risposta che G. inviò a questi (redatta, sembra, insieme ad Agobardo, Wala e Pascasio Radberto) fu altrettanto dura e polemica, una specie di manifesto storico dei diritti del papato nei riguardi dell'Impero. Il pontefice scrisse a quei prelati di non aver affatto dimenticato il giuramento prestato all'imperatore e che, proprio per non divenire uno spergiuro, agiva nel tentativo di impedire che l'unità della Chiesa e dell'Impero fosse infranta a causa del comportamento sconsiderato dell'imperatore, origine di tutti i disordini. G. sottolineò che il governo delle anime, affidato al papa, era di gran lunga superiore al governo delle cose temporali, delegato all'imperatore, e affermò con forza la legittimità della sua azione pacificatrice. E ancora sostenne, appellandosi ai Padri della Chiesa e ai suoi predecessori, che era diritto e dovere di Pietro e del papa di inviare messi per evangelizzare e pacificare i popoli. Infine G. ingiunse loro di non opporsi alla sua missione di pace e di unità. È noto che Lotario, accusato dal padre di trascinare alla ribellione i suoi fratelli, aveva chiesto di incontrare l'imperatore, che trovandosi di fronte uniti i tre figli e il pontefice, non poté che accettare. L'incontro ebbe luogo non lontano da Colmar, a Rothfeld; Tegano, biografo di Ludovico, narra che l'imperatore durante quell'incontro non accettò le richieste dei figli e che pochi giorni dopo lo stesso pontefice si incontrò con Ludovico, nel tentativo di mediare una riconciliazione. Ma contemporaneamente molti fedeli dell'imperatore vennero convinti a defezionare e ad allearsi con i tre figli insorti. Ancora Tegano racconta che l'imperatore, resosi conto della situazione, incoraggiò i pochi rimastigli fedeli a lasciarlo e a unirsi agli avversari, dal momento che non avrebbe voluto esser causa della loro morte, e che questi in lacrime obbedirono.
Dunque lo stesso G. fu ingannato e l'obiettivo di mediare una pace tra padre e figli fallì. L'imperatore, oramai solo, fu catturato, suo figlio Carlo rinchiuso nel monastero di Prüm e Giuditta fu costretta a partire per l'Italia. Il papa, rattristato di aver contribuito involontariamente all'evento ricordato dalle fonti come il "Campo della Menzogna", tornò in Italia "itineris poenitudine correptus" recando con sé Giuditta, destinata al confino a Tortona. G. non volle assistere all'assemblea riunita da Lotario nell'ottobre dell'833 a Soissons, nel monastero di St. Médard, durante la quale l'imperatore fu costretto a umiliarsi riconoscendo pubblicamente, davanti a una folla di chierici e di laici, le proprie colpe (sacrilegio, omicidio, violazione dei giuramenti e delle leggi divine e umane) e a rinunciare "spontaneamente" alla dignità imperiale.
Ma gli eventi di Soissons non ebbero lunga vita, Ludovico il Pio ancora una volta riuscì a tornare alla testa dell'Impero, nell'834 fu reintegrato con una solenne cerimonia nella cattedrale di S. Stefano a Metz e mantenne il potere sino alla sua morte, avvenuta a Ingelheim il 20 giugno 840. Sembra peraltro che nell'837 l'imperatore progettasse di recarsi a Roma per riallacciare i contatti con il pontefice e per tentare di allontanarlo da Lotario, ma non se ne fece mai nulla. Poco dopo la morte di Ludovico il Pio ripresero più aspre le lotte tra gli eredi; questa volta Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo (Pipino era morto poco prima) lottavano uniti contro Lotario; G. tentò timidamente di porsi come mediatore, inviando al campo di quest'ultimo l'arcivescovo di Ravenna Giorgio, ma non ottenne alcun successo. La contesa venne risolta dopo lunghe trattative il 16 agosto 843, col trattato di Verdun, che ripristinò la divisione del Regno stabilita da Carlomagno. Questi sono gli anni in cui G. sembra abbandonare definitivamente i problemi "internazionali" per rivolgere l'attenzione a questioni interne divenute sempre più impellenti. Tutti i suoi tentativi, fatti dopo l'840, di ripresentarsi come mediatore tra Lotario e i suoi fratelli o furono trascurati da ambo le parti o giunsero tardivi. Vi è un'unica lettera di Adriano II a Carlo il Calvo dell'anno 870 (dunque di quasi trent'anni successiva agli avvenimenti) nella quale il pontefice sostiene che le disposizioni dell'843 (trattato di Verdun) erano state sottoposte a G. per una conferma e inoltre che quest'ultimo ne fece redigere una copia, custodita nell'archivio pontificio (Regesta Pontificum Romanorum, nr. 2926).
Ma G., sin dagli anni Trenta del secolo, era alle prese con un problema divenuto sempre più incombente, quello dei Saraceni, che negli anni del suo pontificato erano arrivati a occupare la Sicilia (831). Le loro incursioni nelle città dell'Italia meridionale erano divenute sempre più frequenti e più volte i Saraceni erano giunti a saccheggiare persino Civitavecchia. La stessa Roma era ormai in pericolo. G., trovatosi solo ad affrontare il problema, non potendo contare in quegli anni sull'aiuto dell'imperatore franco, decise, come già ricordato, di creare un borgo fortificato nei pressi di Ostia antica, al fine di proteggere l'entrata al Tevere e dunque la stessa Roma. La fondazione di "Gregoriopolis" terminò fra l'842 e l'843; l'esempio di G. sarà poi seguito da Leone IV, che diede il suo nome alla città creata cingendo di mura il Vaticano e ricostruì Centumcellae, e da Giovanni VIII che fortificò il borgo circostante la basilica di S. Paolo fuori le Mura.
Dalla fine degli anni Venti del secolo G. appoggiò numerose attività missionarie: nell'826 favorì la missione in Danimarca di Anscario, monaco di Corvey, fondatore della prima Chiesa danese, evangelizzatore della Svezia (era giunto sino a Birka) e eletto poi primo vescovo di Amburgo; nell'831-832 il pontefice lo ricevette e gli consegnò il pallio, nominandolo legato pontificio per l'intera Scandinavia e per tutte le missioni slave. G., infine, istituì nell'anno 834 la festività dedicata a Tutti i Santi (nel calendario liturgico romano, 1° novembre), festività che solo quattro anni dopo verrà estesa da Ludovico il Pio a tutto l'Impero. G. morì dopo sedici anni di pontificato il 25 gennaio dell'844 e fu sepolto nella basilica vaticana.
fonti e bibliografia
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