Nell’antica Roma, potere assoluto di governo, originariamente illimitato, riconosciuto in età repubblicana, in campo sia militare sia civile, ad alcuni tra i magistrati di volta in volta eletti (consoli, pretori, eventualmente il dittatore e altri magistrati straordinari) e ancor prima ai re etruschi. Chi deteneva l’i. disponeva di un apparato personale destinato a divenire il simbolo stesso dell’autorità pubblica: sedeva sulla sella curule, era seguito dai littori e portava con sé i fasci, contenenti le verghe con in mezzo una scure, con cui si significava il potere sulla vita e la persona dei cittadini. Nell’i. erano comprese alcune importanti facoltà: lo ius edicendi, con il quale il titolare del potere rendeva pubblicamente noti i suoi programmi di governo, o i criteri cui si sarebbe ispirato nell’esplicare la sua attività; la coercitio, la facoltà di giudicare e punire chiunque si fosse macchiato di crimini contro la comunità; la iurisdictio; lo ius agendi cum populo, il potere di convocare e presiedere i comizi popolari, che non potevano autoconvocarsi; lo ius agendi cum patribus, il potere di convocare e presiedere il Senato, che pure non poteva autoconvocarsi. In età tardo-repubblicana l’i., tradizionalmente attribuito ai magistrati cittadini a seguito di elezione, o ai governatori di singole province a seguito di prorogatio delle funzioni proprie dei magistrati, cominciò a essere conferito con leggi ad hoc a privati cittadini (per lo più grandi strateghi militari) per lo svolgimento di missioni prive dei limiti temporali e spaziali, cui era invece sottoposto in origine l’esercizio di quel potere.