intellettuali
Produrre e trasmettere il sapere
Il termine intellettuali, a partire dall'Ottocento, ha indicato l'insieme di coloro i quali svolgono una professione di tipo culturale (studiosi, scrittori, e così via). Nel corso del Novecento gli intellettuali si sono spesso impegnati direttamente in politica, dando luogo alla figura dell'intellettuale militante. Secondo alcuni, però, l'intellettuale e il politico sono due professioni completamente diverse, per vocazione e per metodo, e mescolarle significa mettere in pericolo l'autonomia critica del sapere
L'uso corrente di un termine per indicare il particolare ceto sociale degli intellettuali risale alla metà dell'Ottocento, quando il romanziere russo Pëtr Boborykin introdusse il termine intelligencija, quasi contemporaneamente diffuso e reso celebre dallo scrittore russo Ivan Turgenev. Con questa parola si intendeva un vero e proprio gruppo sociale separato dal resto della popolazione e composto da professionisti il cui reddito e il cui prestigio derivavano sostanzialmente dalla produzione e dalla trasmissione del sapere.
Una seconda accezione del termine emerse invece nel 1898 grazie al Manifeste des intellectuels, pubblicato in Francia dal quotidiano parigino L'aurore: si trattava di un documento firmato da scrittori, critici e studiosi che intendevano appellarsi all'opinione pubblica per la revisione del caso Dreyfus (Alfred Dreyfus, ufficiale francese di famiglia ebrea, fu accusato di spionaggio a favore della Germania, condannato ingiustamente nel 1894 e riabilitato solo nel 1906). Famosa è anche la lettera aperta pubblicata da Émile Zola nel 1898, sullo steso quotidiano e allo stesso scopo. Intellettuali, nel caso del Manifeste, non erano i membri di un gruppo sociale, ma singoli uomini di cultura che ritenevano di potere e dovere mettere il proprio lavoro al servizio degli interessi generali della società.
In questo secondo significato, l'intellettuale era, in fondo, l'erede dei philosophes dell'Illuminismo o del dotto (Gelehrte) efficacemente descritto dal filosofo tedesco Johann Gottlieb Fichte (idealismo). Uno dei più noti esponenti dell'Illuminismo, Jean-Baptiste d'Alembert, nel Saggio sugli uomini di lettere (1753) aveva contrapposto al letterato cortigiano, sempre pronto a ossequiare i potenti, la figura del philosophe, caratterizzato dal disprezzo del lusso, da uno stile di vita sobrio e dalla dedizione agli studi. Analogamente Fichte, nelle Lezioni sulla missione del dotto (1794), aveva esaltato la libera circolazione del sapere, l'autonomia dei dotti e la necessità che essi conoscessero i problemi del loro tempo e promuovessero la cooperazione tra gli uomini.
Nella Russia rivoluzionaria il significato di intelligencija e quello di intellectuels finirono per interferire e in una certa misura, con lo sviluppo delle dottrine di Lenin, per fondersi: gli intellettuali costituivano un gruppo sociale e, contemporaneamente, si assumevano l'impegno universale di educare le masse al socialismo. In Italia, dove la parola 'intellettuali' era diventata di dominio pubblico con il Manifesto degli intellettuali fascisti redatto da Giovanni Gentile nel 1925, furono le teorie del comunista Antonio Gramsci (antifascismo), diffuse nel secondo dopoguerra, a indicare il ruolo degli intellettuali, intesi come veicolo del consenso all'interno della società civile. In queste prospettive, pur diverse tra loro, l'intellettuale era anche un militante, ossia si impegnava in prima persona per l'affermazione di determinati ideali etico-politici.
Una prospettiva del tutto diversa è invece quella introdotta dal sociologo tedesco Max Weber, che nel suo scritto La scienza come professione (1919) aveva sostenuto che il lavoro intellettuale è diverso e distinto, per vocazione e professione, dall'impegno politico. Gli intellettuali, a suo parere, dovevano essere specialisti del sapere e avevano l'importante compito di aiutare i propri interlocutori a "rendersi conto di fatti imbarazzanti" e, in generale, a comprendere la realtà; non dovevano avere "secondi fini", non dovevano cedere alla tentazione di trasformarsi in profeti o demagoghi e non potevano diventare capi politici, professione che richiedeva, secondo Weber, un differente specialismo.