῾IRĀQ
(XIX, p. 528; App. I, p. 737; II, II, p. 63; III, I, p. 892; IV, II, p. 226)
Popolazione. − In base al censimento del 1987 la popolazione irachena, esclusi i nomadi, ammontava a 16.335.199 abitanti (75% Arabi, 20% Curdi, 3% Persiani, 2% Turchi), in massima parte musulmani (prevalentemente sunniti) con varie comunità cristiane (cattolici 200.000), oltre a 55.000 Yazidi, 12.000 Mandei e 2500 Ebrei. Nella seconda metà degli anni Ottanta il coefficiente di accrescimento annuo è stato pari al 3,1%. Anche sul piano demografico si sono fatte sentire le conseguenze del conflitto scatenato contro l'Iran, che secondo stime attendibili è costato all'῾I. 250.000 morti e mezzo milione di feriti, oltre a provocare la deportazione (1989) di circa 300.000 Curdi. Nel 1991 le operazioni belliche intraprese dalla coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti sotto l'egida dell'ONU, in seguito all'invasione del Kuwait da parte delle forze irachene, hanno causato all'῾I. circa 150.000 morti, un terzo dei quali civili.
In seguito alla demarcazione della frontiera, nel 1984 è passata alla Giordania un'area di una cinquantina di km2.
Attività economiche. - La fine della guerra con l'Iran (agosto 1988) aveva consentito di riprendere gli ambiziosi progetti che si proponevano di ridurre la dipendenza dell'economia irachena dal petrolio. Si tendeva a contrarre l'intervento statale, a vantaggio dell'iniziativa privata, specialmente nell'agricoltura, che occupava meno del 30% della popolazione attiva. Nel 1987 sono state vendute o affittate a privati le fattorie statali che nel 1984 occupavano 188.000 ha. La superficie coltivata complessiva era di 5,4 milioni di ha nel 1990, con una produzione delle colture non irrigue soggetta a forti fluttuazioni: frumento 14 milioni di q nel 1985, ma solo 8 nel 1990; orzo 13,3 milioni di q nel 1985, e 1 nel 1990. In forte espansione la produzione di riso (circa 1,5 milioni di q nel 1985, ben 7,3 nel 1988, ma di nuovo 2 milioni di q nel 1990), stabile quella del mais (1 milione di q nel 1990). La produzione di datteri (3,5 milioni di q in media negli anni Ottanta, 4,9 milioni di q nel 1990) alimentava, oltre alle esportazioni (1,6 milioni di q nel 1988-89), anche una fiorente industria di trasformazione (zucchero, alcool, aceto e concentrati proteici).
Di fronte a un costo delle importazioni alimentari (carne, cereali, pollame, zucchero) valutato sui 2,5 miliardi di dollari annui, continuava a essere considerato prioritario l'obiettivo dell'autosufficienza, che richiedeva un incremento del 25% nella superficie coltivata; donde l'esigenza di un più efficace sfruttamento delle risorse idriche. Le acque dell'Eufrate consentivano di irrigare circa 750.000 ha, e 400.000 ha quelle del Tigri. Quest'ultimo, con i suoi affluenti settentrionali, era destinato ad alimentare un complesso sistema d'irrigazione imperniato sugli sbarramenti di Bakhma e Mandawa (sul Grande Zab), Mōṣul e Kirkūk, dove nel 1983 è stata inaugurata la prima parte di una bonifica di 300.000 ha. Altri progetti (destinati anche a ridurre le conseguenze negative degli sbarramenti costruiti o previsti sul Tigri e sull'Eufrate in Siria e Turchia) erano in corso di attuazione sull'Eufrate (diga di Qādisiyya ad al-Ḥadīṯa), mentre era già in avanzata fase di costruzione il ''terzo fiume'' dell'῾I., un collettore destinato a drenare nel Golfo le acque superflue provenienti da 1.500.000 ha di terre irrigue delle regioni centrali e meridionali. Si progettava anche di potenziare l'allevamento di bovini (circa 1,68 milioni di capi nel 1990, contro 148.000 bufali, 9,6 milioni di ovini, 1,65 di caprini, 60.000 cammelli e altrettanti cavalli, 25.000 muli e 415.000 asini) e di pollame (77 milioni di capi). Nel 1989 la pesca nelle acque interne ha fornito 18.200 t.
Tutti i progetti di sviluppo economico sono stati azzerati per effetto dell'invasione del Kuwait, a cui le Nazioni Unite hanno reagito decretando il blocco dei rapporti economici e finanziari con l'῾Irāq. Le successive operazioni militari condotte dalla coalizione antiirachena, e la rivolta sciita seguita alla cessazione delle ostilità hanno distrutto quasi completamente le centrali elettriche, gli acquedotti e altre infrastrutture civili, soprattutto nelle regioni meridionali. L'insurrezione curda ha, a sua volta, paralizzato l'attività economica nel Nord.
Il petrolio continua a costituire il fondamento dell'economia irachena. Prima dell'inizio della guerra con l'Iran nel 1980, l'῾I. esportava greggio al ritmo di 160 milioni di t annue, collocandosi al secondo posto nella graduatoria mondiale degli esportatori dopo l'Arabia Saudita. Le ostilità hanno immediatamente ridotto a zero la capacità di esportazione dei terminali petroliferi nel Golfo (Minā' al-Bakr e Ḥōr al-῾Amaya), mentre all'inizio del 1982 la Siria bloccava l'oleodotto al-Ḥadīṯa-Bāniyās, lasciando come uniche possibilità di sbocco l'oleodotto Kirkūk-Dörtyol (collegato ai giacimenti meridionali tramite la ''condotta strategica'' a flusso invertibile Rumayla-al-ḤadīṯaKirkūk) e il trasporto stradale. La produzione di greggio crollava pertanto a 59 milioni di t nel 1984, per risalire a 82,3 nel 1986 e 100,5 nel 1990 grazie all'entrata in funzione di sbocchi alternativi: una ''bretella'' tra i giacimenti meridionali e la condotta transaudita Petroline (1985), e un secondo oleodotto transanatolico da Kirkūk a Yumurtalik (1987). Nel 1984 è cominciato lo sfruttamento del giacimento di Baghdād Est, dalla capacità stimata in 680 milioni di t. Dopo l'invasione irachena del Kuwait le esportazioni di petrolio si sono ridotte praticamente a zero in conseguenza dell'embargo decretato dalla comunità internazionale; soltanto alla fine del 1991 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha autorizzato l'῾I. a esportare limitate quantità di greggio per far fronte alla carestia.
Le riserve complessive di greggio ammontavano nel 1988 a circa 13 miliardi di t, abbastanza da garantire 131 anni di produzione ai livelli del 1987. Il gas naturale, prodotto al ritmo di 5,3 miliardi di m3 per anno (1984), può contare su riserve per un migliaio di miliardi di m3. Tra le altre risorse del sottosuolo figurano i fosfati (utilizzati dal 1984 nella produzione di fertilizzanti a Bayǧī e al-Qā᾽im) e lo zolfo, che alimenta impianti a Mišraq (Mōṣul) e Kirkūk per la produzione di acido solforico e altri derivati. Il settore industriale comprendeva anche, prima della guerra del 1991, impianti tessili (Mōṣul) e siderurgici (Hōr al-Zubayr), zuccherifici, officine di montaggio di autoveicoli e trattori, fabbriche di materiale elettrico e farmaceutico. Dal 1986 circa un decimo della produzione di cemento (11 milioni di t) veniva esportato in Egitto; in seguito all'entrata in funzione di sei nuovi impianti idroelettrici nel 1987, una parte dell'energia prodotta dall'῾I. (23,4 miliardi di kWh) era fornita alla Turchia.
Vie di comunicazione e commercio. - Prima della guerra con l'Iran erano stati inaugurati due nuovi porti, a Umm Qaṣr e Hōr al-Zubayr. Prima dell'invasione del Kuwait si stava sviluppando la navigazione fluviale ed era in corso la costruzione di nuove linee ferroviarie per 2400 km (Baghdād-Umm Qaṣr; Baghdād-Kirkūk-Arbīl-Mōṣul-Turchia), mentre un'autostrada collegava la capitale al Kuwait.
L'esportazione di idrocarburi (diretta principalmente verso Europa, USA, Giappone, Brasile, Iugoslavia e Turchia) forniva prima del 1991 oltre il 95% delle entrate; le importazioni (materiale bellico, materie prime e semilavorati, generi alimentari) provenivano soprattutto da Giappone, Germania (ex Federale), Francia, Italia, Brasile e Gran Bretagna. Proprio le spese militari, che avevano costretto l'῾I. a contrarre debiti all'estero per 65 miliardi di dollari (1988), in massima parte nei confronti dei paesi arabi del Golfo e dei principali fornitori di materiale bellico (Francia e URSS), costituiscono uno dei fattori che hanno indotto il regime di Baghdād a invadere il Kuwait.
Bibl.: S. Chubin, C. Tripp, Iran and Iraq at war, Londra 1988; M. Farouk-Sluglett, P. Sluglett, Iraq since 1958: from revolution to dictatorship, ivi 1988.
Storia. - L'impegno iracheno per un'intesa privilegiata con la Siria e per un raccordo con gli stati del cosiddetto ''Fronte della fermezza'', ostili cioè alle intese tra Egitto e Israele, si protrasse con successo sino a delineare (ottobre 1978) un patto con Damasco per una Carta costituzionale e per organi di direzione politica comuni. Parallelamente alla crisi interna che portò all'uscita dei comunisti dal Fronte nazionale (marzo 1979), si ebbe, però, l'ascesa del vice-presidente della Repubblica, Ṣ. Ḥusayn, ai vertici dello stato, dell'esercito e del partito; egli divenne così unica e massima autorità, pure a causa dell'abbandono della carica di presidente della Repubblica da parte del gen. A.H. al-Bakr (16 luglio).
Si sviluppò dunque un complesso riorientamento degli indirizzi iracheni, contrassegnato dal ripristino di buoni rapporti con l'Egitto, con i principali stati della penisola arabica e con la Turchia, e dall'aggravarsi delle relazioni con l'Iran (dove ormai aveva trionfato la rivoluzione khomeinista) e con la stessa Siria, alleata di Teherān. Mentre le elezioni del 20 giugno 1980 evidenziavano il largo controllo di Ḥusayn sul paese, il rilancio dei rapporti economici con l'Occidente e con gli Stati Uniti (la ripresa ufficiale delle relazioni diplomatiche avvenne il 26 novembre 1984) rappresentò un altro tassello per garantire all'῾I. un retroterra di appoggi in vista dell'imminente attacco all'Iran.
L'offensiva di Baghdād oltre il confine iraniano per la conquista, in particolare, dell'Iran centro-meridionale, rivendicato come Arabistan, ebbe inizio a metà settembre 1980 e, grazie all'accurata preparazione, portò rapidamente all'occupazione di numerosi centri urbani. Tuttavia Teherān non soltanto evitò il collasso ma, adottate nel corso del 1981 eccezionali misure di riorganizzazione politico-militare, cominciò a far pesare la propria superiorità come potenziale umano, data la lunghezza dei fronti di lotta (circa 1500 km) e la possibilità − contrariamente alle aspettative − di protrarre a lungo il conflitto. Fu all'incirca nello stesso periodo che velivoli israeliani distrussero la centrale nucleare di Tamūz presso Baghdād. Un anno dopo − marzo 1982 − le truppe irachene cominciarono ad arretrare dai territori conquistati dopo aver subito notevoli perdite, fino a ripiegare oltre il confine nella zona di Bassora (luglio). L'῾I. fu costretto a chiedere crescenti aiuti economici e militari ai paesi amici (Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti), assumendo sempre più il ruolo di strenuo oppositore della rivoluzione sciita. A partire dai primi mesi del 1984 lo scontro assunse il carattere di una guerra di logoramento, in cui non mancarono, però, violente offensive iraniane che nel novembre 1985 consentirono alle forze di Teherān l'attraversamento dello Šaṭṭ al-῾Arab e la conquista della penisola di Fao.
Per allentare la pressione iraniana l'῾I. ricorse soprattutto all'impiego di armi chimiche e ad attacchi aerei su Teherān e sull'area del Golfo, a cui l'Iran rispose con il lancio di missili a lunga gittata. La situazione conflittuale determinatasi in una regione di vitale importanza sia sul piano strategico che per il traffico petrolifero indusse gli Stati Uniti e i paesi occidentali a presidiare il Golfo, dalla seconda metà del 1987, con forze aereonavali. I molteplici sostegni permisero così all'῾I., nella primavera del 1988, di riprendere l'iniziativa e di recuperare terreno intorno a Bassora (allentando la pressione sullo Šaṭṭ al-῾Arab), fino a indurre l'Iran ad accettare la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU (n. 598; 20 luglio 1987), che imponeva il cessate il fuoco (agosto). I negoziati di pace così avviati tra i due paesi proseguirono però tra notevoli difficoltà.
Dopo la fine delle ostilità l'῾I. non rinunciò a perseguire un ruolo egemonico nella regione; entrata a par parte (1989) del Consiglio di cooperazione araba insieme a Egitto, Giordania e Yemen, Baghdād s'impegnò nella guerra civile libanese appoggiando il generale falangista M. ῾Awn, in opposizione alla Siria che sosteneva il governo di Salim al-Hoss.
Ṣ. Ḥusayn, confermato al potere dalle elezioni dell'aprile 1989, si trovò di fronte un'economia dissestata, a causa delle distruzioni belliche e della pesante situazione debitoria nei confronti dei ricchi paesi petroliferi della penisola arabica. Inoltre emergeva una disparità di vedute nella politica petrolifera con quei medesimi paesi, nel complesso contrari a fissare aumenti nel costo del grezzo. Stretto nella morsa dei rimborsi da effettuare, dotato di un arsenale bellico cospicuo che ne sollecitava le ambizioni, l'῾I. nell'estate del 1990 indirizzò le sue mire espansionistiche verso il Kuwait, ovvero contro lo stato di cui sempre era stata contestata la legittimità perché considerato un artificioso risultato delle manovre colonialistiche.
Fidando che l'appoggio occidentale non si sarebbe tramutato in ostilità e che il mondo arabo avrebbe proseguito le trattative, il governo iracheno attuò il 2 agosto 1990 l'occupazione del Kuwait. Le reazioni internazionali furono invece di aspra e immediata condanna, mentre si verificava anche una spaccatura nello schieramento dei paesi arabi. Il Consiglio di sicurezza dell'ONU nell'agosto del 1990 impose un rigido sistema di sanzioni economiche contro l'῾I., e nel novembre autorizzò l'uso della forza per costringere le forze irachene a ritirarsi dai territori occupati. L'azione degli Stati Uniti e dei loro alleati, dopo un'accurata preparazione fondata in particolare sull'intesa con l'Arabia Saudita, che mise a disposizione il suo territorio come base per le azioni belliche, culminò in un'offensiva militare di vasto respiro nel gennaio-febbraio 1991. Questa portò alla liberazione del Kuwait e alla completa sconfitta dell'῾I., cui furono inflitti gravi danni materiali e notevoli perdite umane (v. guerra del golfo, in questa Appendice). Pure molto gravi i danni materiali e le perdite umane prodotti dall'azione militare irachena, che distrusse il territorio del Kuwait, ne incendiò i pozzi petroliferi e causò l'inquinamento del Golfo, con ripercussioni irreparabili sull'ambiente. A grande durezza è ancora improntata l'azione irachena di repressione dei moti indipendentisti sciiti e curdi nel tentativo d'impedire lo smembramento del territorio.
Sottoposto alla prosecuzione dell'embargo e costretto dalle clausole della risoluzione del Consiglio di sicurezza del 3 aprile a pesanti condizioni armistiziali, l'῾I. si trovava ad attraversare un difficile dopoguerra, segnato anche dalle reiterate minacce, da parte degli Stati Uniti, di ripresa delle ostilità sotto l'accusa d'inadempienza alle clausole dell'armistizio. Un elemento di novità era costituito dalla cauta revisione dell'atteggiamento verso Baghdād che emergeva nel mondo arabo: nel marzo 1992 il presidente egiziano H. Mubārak e quello siriano Ḥāfiz Asad, tra i più fermi oppositori dell'aggressione al Kuwait, prendevano le distanze dall'ipotesi di nuovi interventi contro l'῾Irāq. Il 26 agosto 1992 il Consiglio di sicurezza dell ONU ha approvato, nonostante le proteste dell'῾I., una modifica di confine a favore del Kuwait, relativa alla zona petrolifera di Rumayla e alla città portuale di Umm Qaṣr.
Bibl.: K.S. Abu Jaber, The Arab Ba'th Socialist Party, Syracuse (N.Y.) 1966; L'Iraq revolutionnaire 1968-1973, Baghdād 1974; C. Lojacono, Partiti politici e governi in Iraq 1920-1975, Roma 1975; F. Tana, L'esperienza del Baath in Iraq e la sua vocazione egemonica, in Il Golfo della crisi, Milano 1983; A.B. Mariantoni, F. Oberson, Gli occhi bendati sul Golfo, ivi 1991; A. Baram, Culture, history and ideology in the formation of Ba'thist Iraq, 1968-1989, New York 1991; M. Rezun, Saddam Hussein's Gulf wars: ambivalent stakes in the Middle East, ivi 1992.
Letteratura. - Negli anni Settanta la necessità e il desiderio di un cambiamento di forma e di contenuto sono sentiti da tutti gli scrittori iracheni, in special modo dai poeti. Nella poesia si affiancano così tendenze diverse non sempre chiaramente distinguibili data la frequente coesistenza, anche nell'opera di uno stesso poeta, di pessimismo e di lirismo, di realismo e di esistenzialismo, d'impegno politico e d'individualismo.
Così ῾Abd al-Razzāq ῾Abd al-Wāḥid (n. 1930) è un poeta realistasperimentale pervaso di angoscia e insicurezza, Sa῾dī Yūsuf (n. 1934), il più noto poeta dell'esilio, sviluppa, pur senza trascurare l'estetica, temi politici fusi con aspetti personali e ottiene il premio Salerno 1990-91. A una corrente che potremmo definire ufficiale e i cui temi sono la questione palestinese, i problemi del mondo in via di sviluppo e le lodi a personaggi illustri appartiene Muḥammad Ǧamīl Šalaš (n. 1930). Accanto a questi si trovano poeti lirici quali Sāmī Mahdī (n. 1940) attento alla semplicità di espressione, Ḥasab al-Šayẖ Ǧa῾far (n. 1939) che cerca di fondere la tradizione letteraria araba e il presente iracheno, Ḥamīd Sa'īd (n. 1941) in cui traspaiono, come in molti altri poeti, rapporti diretti e indiretti con la cultura occidentale e sovietica, mentre Muḥammad Ǧahdi al-Ǧawāhirī (n. 1903) continua a rappresentare il nuovo classicismo.
Con il tempo i problemi, interni e internazionali, si rivelano assai complessi, determinando nella più recente generazione di poeti, fra cui 'Alī Ǧa'far al-'Allāq (n. 1945), l'abbandono di qualsiasi ottimismo e la presenza della violenza quale tema ricorrente insieme al simbolismo e al ripiegamento su se stessi.
In questo periodo di cambiamenti politici e sociali la narrativa assume un ruolo speciale nel riflettere la società irachena. Si diffonde una corrente sperimentale dai modi e dalle sfumature diverse che coesistono, anche nello stesso autore, con il realismo. Narrazioni oggettive vengono sostituite da narrazioni a più voci, come in al-rag' al-ba'īd ("L'eco lontana", 1980), in dialetto di Baghdād, di Fu'ād Takarlī e nell'opera epistolare di Muḥammad Šākir al-Sab'a. Contemporaneamente, i personaggi principali diventano anti-eroi, monologhi interiori fanno la loro apparizione, come in ῾Abd al-Raḥman Maǧīd Rubay῾ī (n. 1939), l'esistenzialismo e l'incomunicabilità divengono i temi delle opere di Muḥammad H̱uḍayr (n. 1940) e di Gium'a al-Lāmī (n. 1943), mentre 'Abd al-Raḥman Munīf (n. 1933) ricerca anche nel proprio passato letterario elementi da fondere con il presente, e ῾Abd al-Sattār Nāṣir (n. 1947) utilizza nelle sue novelle simbolismo e immagini sessuali.
Il teatro è apparso alla fine del secolo 19° presso gli ordini cattolici, soprattutto domenicani, con adattamenti di opere occidentali; soltanto dopo la prima guerra mondiale si diffuse nella comunità islamica.
Negli anni Trenta drammaturghi, come Maḥmūd Nāḍim e Mūsā al-Šah Bandar, affrontarono temi familiari e sociali insieme a scrittori cristiani, come Salmān al-Sa᾽iġ (1886-1965). Anche dopo la seconda guerra mondiale le tematiche sono rimaste immutate, come nel teatro in versi di Ḥālid al-Šawwāf (n. 1924) e in quello di Burhān al-Dīn al-Ayyūšī. A partire dagli anni Cinquanta Yūsuf al-῾Anī (n. 1927) inizia la sua feconda attività di drammaturgo, rappresentando nelle sue numerose opere, utilizzandone anche il linguaggio, il mondo delle classi più modeste di Baghdād, trascurando la borghesia, che è stata per anni al centro dell'attenzione dei letterati. Il confronto fra un passato corrotto e un presente costruttivo, come in Nūr al-Dīn Fāris, si fonde nel teatro più recente con le problematiche sorte dai cambiamenti sociali in atto. Così Ġāzī Maǧdī ha sperimentato un nuovo teatro popolare rappresentante il mondo operaio.
La critica letteraria ha continuato a essere assai vivace grazie a gran parte dei poeti, fra cui il sempre attivo 'Abd al-Waḥḥāb al-Bayātī, e degli scrittori ricordati, cui si deve aggiungere il palestinese Ǧabrā Ibrāhīm Ǧabrā (n. 1919). Parallelamente un impulso allo sviluppo dell'analisi critica e della produzione letteraria è venuto dall'Unione degli scrittori, dei poeti e degli artisti in esilio.
Bibl.: M. Moosa, Social consciousness in the Iraqi drama, in The Muslim World, 1981, n. 3-4, pp. 228-46; V. Strika, Correnti e figure della narrativa irachena contemporanea, in Rendiconti Accademia Nazionale dei Lincei, 34 (1979), pp. 355-84; P. Smoor, Modern poets of Iraq 1948-79; cochroach or martyr in the inn by the Persian Gulf, in Oriente Moderno, 1-6 (1990), pp. 7-38.
Archeologia. - La ricerca archeologica in una regione come la Mesopotamia, della quale la parte più cospicua è inclusa nell'attuale ῾I., ha compiuto, negli ultimi quattro lustri, sensibili progressi, non tanto per il numero e la spettacolarità delle scoperte, che pure non sono mancate, quanto per la metodologia della ricerca. Questa ha condotto a risultati storicamente sempre più significativi nella misura in cui al rinvenimento si è aggiunta la ricostruzione integrale di contesti e di momenti della lunga storia mesopotamica. I risultati più importanti sono quelli ottenuti nell'ambito cronologico dei due periodi estremi della lunga sequenza della storia mesopotamica: l'età preistorica e protostorica tra 6° e 4° millennio a.C. e quella più recente tra 4° secolo a.C. e 7° d.C. che, fino a non molti anni fa, si appiattiva sotto la generica classificazione di ''periodo tardo-mesopotamico''.
Fino allo scoppio della Guerra del Golfo, l'῾I. ha visto all'opera missioni archeologiche di molti paesi in una bella gara di ricerche che naturalmente il paese, che è la culla della civiltà umana, ha sempre stimolato e continua a stimolare. Studiosi francesi, inglesi, tedeschi e americani hanno rinnovato la tradizione che aveva visto queste scuole impegnate nell'archeologia mesopotamica fin dal secolo scorso e soprattutto nella prima metà di questo secolo; accanto a essi, russi, giapponesi, austriaci, belgi, polacchi, oltre naturalmente agli stessi iracheni, hanno allargato lo spettro delle scoperte e degli interessi di ricerca specialmente in occasione dei grandi progetti di ''salvataggio'' nel decennio scorso, sui cui risultati torneremo oltre.
Ma il più rilevante salto qualitativo in questo ventennio si è prodotto soprattutto grazie alla nuova impostazione metodologica della ricerca, ormai fondata sull'interpretazione esaustiva del manufatto come documento di passate presenze umane, affiancata dall'analisi delle tracce delle trasformazioni apportate dall'uomo all'ambiente. Sono passati in secondo piano il fascino della scoperta come tale e l'acquisizione soltanto del bell'oggetto, sostituiti dall'integrale ricostruzione di società del passato. È l'impostazione che si è avvalsa e si avvale in maniera decisiva dell'apporto delle scienze fisiche, matematiche e naturali per consentire una sistematica interpretazione e acquisizione del contesto da cui scaturisce la più corretta ricostruzione. L'introduzione, la diffusione e il consolidamento di questa metodologia in ῾I. è stato in gran parte merito della presenza di missioni italiane che, inserendosi a partire dal 1963 in un campo ampiamente frequentato, hanno saputo introdurre i principi e le procedure operative del modo più attuale e avanzato di fare archeologia.
A questa impostazione prevalentemente scientifica si è affiancata, sempre da parte italiana, una concezione più propriamente politica che mira a porre, in maniera prioritaria, il problema del rapporto con gli studiosi e le genti locali e soprattutto le esigenze di un patrimonio culturale da conoscere e tutelare come tale e non soltanto in funzione di personali interessi di ricerca.
Questi principi sono stati alla base della fondazione, a Baghdād, nel 1969, dell'Istituto italo-iracheno di scienze archeologiche e del Centro italo-iracheno del restauro dei monumenti: attraverso di essi, tuttora in funzione, le competenze e le esperienze di studiosi e di specialisti italiani sono state messe a disposizione della gestione di risorse culturali che, per la loro estensione e densità, appartengono a tutta l'umanità. Il rilevamento fotogrammetrico di architetture, di siti e di aree di scavo, l'approccio sistematico al territorio, cioè l'acquisizione di informazioni attraverso l'elaborazione e l'interpretazione di immagini multitemporali e multispettrali da satellite, da aereo e da bassa e bassissima quota, le prospezioni geofisiche, le metodologie di determinazione cronologica assoluta, l'utilizzo dell'archivio biologico, le analisi dei materiali finalizzate alla conservazione degli stessi, il problema della protezione del materiale lapideo e delle strutture in mattoni crudi, sono stati alcuni dei temi più interessanti e innovativi di questo apporto. Alle novità metodologiche si aggiungono i risultati storici dovuti alle missioni italiane in ῾I. dal 1963 a oggi. Anzitutto il formidabile contributo recato dall'esplorazione di Seleucia, di Choche e di Ctesifonte, nell'᾽I. centrale, circa 35 km a sud di Baghdād, ha permesso di acquisire dati ormai incontrovertibili su quello che fu un centro fondamentale di produzione della cultura ellenistica − Seleucia sul Tigri − protagonista dell'irradiazione dell'ellenismo in Asia. È stato questo un grande tema delle ricerche condotte, fin dagli anni Sessanta, dalla scuola torinese; esso oggi costituisce uno degli argomenti più significativi d'indagine nell'ambito dell'archeologia orientale. Nello stesso tempo la continuità degli insediamenti (Choche e Ctesifonte) in età partica e sasanide ha portato contributi di grande rilevanza per specificare, nel tempo, dal 2° secolo a.C. al 7° d.C., i momenti più rilevanti di queste fasi delle antiche civiltà orientali.
All'esplorazione di Seleucia si sono affiancati i contributi delle ricerche a Babilonia con il recupero della lunga storia urbanistica della città, dai villaggi ''protoeufratiani'' alla città di Alessandro e a quella di età partica e sasanide; ad Hatra, la capitale delle tribù arabe nell'῾I. settentrionale, che ha conosciuto un eccezionale sviluppo culturale tra la fine del 1° secolo a.C. e l'inizio del 3° d.C., ove gli studiosi italiani hanno contribuito allo studio sistematico dell'urbanistica della città e all'analisi architettonica della grande temenos che ne costituisce il centro; a Nimrūd ove, riprendendo gli scavi degli anni Cinquanta di una missione inglese, si è proceduto all'ulteriore esplorazione sistematica di quella che fu una delle capitali assire.
Accanto alla presenza italiana occorre ricordare i risultati di quella gara internazionale tra archeologi che si è svolta in ῾I. nell'ultimo ventennio e che ha visto alcuni successi significativi: tra essi ci sembra importante ricordare alcune emergenze, derivate soprattutto dai grandi progetti di ''salvataggio'' lanciati dal governo iracheno in aree di cui era prevista l'inondazione per creare grandi riserve per l'irrigazione. È stato il caso della regione di Ḥamrīn sul Diyālā, poco dopo il suo ingresso in ῾I., vicino al confine con l'Iran. Qui l'esplorazione di numerosissimi siti affidati a più missioni internazionali ha permesso, grazie alla sintesi operata dalle metodologie di studio del territorio introdotte dagli studiosi italiani, di recuperare la storia di una regione che ha visto, tra 5° e 4° millennio, nascere un primo sistema di irrigazione con brevi canali derivati dal fiume, che si basava sul dislivello del suo corso in modo da ricondurre l'acqua a valle bagnando il terreno, senza però consentire l'evaporazione che vi avrebbe lasciato una notevole quantità di sali. È stato possibile comprendere la natura e lo sviluppo degli insediamenti scavati dalle diverse missioni internazionali appositamente invitate dalle autorità irachene e la trasformazione delle tipologie insediative quando, all'inizio del 1° millennio a.C., un movimento tellurico deviò più a sud, come è oggi, il letto del fiume (v. anche ḥamr·in, in questa Appendice).
Altri progetti importanti sono stati quello di al-Ḥadīṯa sull'Eufrate, dove si sono recuperati anche alcuni interessanti insediamenti militari romani facenti parte del limes mesopotamico, e quello di Eski Mossul nel Nord dell'῾I., con importanti ritrovamenti di età preistorica e assira.
Anche se purtroppo non felicemente concluso, per impropri faraonici restauri, dobbiamo ricordare lo sforzo fatto dagli studiosi iracheni per l'esplorazione di Babilonia e l'eccezionale scoperta a Nimrud, sempre a opera degli studiosi iracheni, delle tre favolose tombe di principesse assire, tra 9° e 8° secolo a.C., che offrono documenti di alto valore intrinseco, ma anche di grandissimo significato storico: essi sono infatti la prova del punto di partenza di quella cultura ''orientalizzante'' che, dalla fine dell'8° secolo, investirà la Grecia e l'Italia con risultati di estrema importanza anche per le civiltà occidentali.
Bibl.: E. Strommenger, M. Hirmer, L'arte della Mesopotamia dal 5000 a.C. ad Alessandro Magno, Firenze 1963; A. Moortgat, Die Kunst des Alten Mesopotamien. i. Sumer und Akkad, Colonia 1982; Id., Die Kunst des Alten Mesopotamien. ii. Babylon und Assur, ivi 1984; AA.VV., La terra tra i due fiumi, Catalogo della mostra, Torino 1985; A. Invernizzi, Sumeri e Accadi, Firenze 1992; Id., Babilonesi e Assiri, ivi 1992.
Arte. - Molto poco si conosce del dibattito artistico attualmente in corso in ῾Irāq. Il ferreo controllo governativo su ogni attività artistica (poetica come figurativa e cinematografica) ha gravemente isterilito l'ispirazione e la dialettica espressiva, limitando l'attività artistica alla celebrazione retorica, stanca e ripetitiva, del presidente Ṣaddām Ḥusayn e delle sue opere in favore del popolo. Ne è sortita un'arte di regime sostanzialmente priva di contenuti e formalmente inaccettabile, legata com'è a un rimasticamento acritico delle esperienze artistiche del realismo socialista o del linguaggio delle avanguardie europee. I percorsi più interessanti sono quindi quelli degli artisti (pittori, scultori, grafici, ceramisti) che vivendo e operando all'estero hanno goduto, quanto meno, di ampia libertà espressiva. Questi, comunque, hanno sofferto e soffrono del distacco dal loro paese e della difficoltà − comune praticamente a tutti gli artisti musulmani contemporanei − di trovare un'espressione che al contempo mostri le radici storiche e culturali (nel caso iracheno il ventaglio è assai vasto, dalle opere assire e babilonesi a quelle islamiche), e attualizzi un linguaggio artistico universale, moderno e personale. Tale ricerca e la difficoltà che tale percorso implica è evidente nei più noti artisti iracheni che, quasi sempre partiti da modelli figurativi classici (con rivisitazione delle consuetudini più radicate, come l'uso decorativo della scrittura araba), sono approdati a esiti assai disparati.
Ismā῾īl Fattāḥ Turk (n. 1934), per es., è uno scultore diplomato a Baghdād e Roma, autore di opere monumentali e sculture murali che decorano diversi quartieri di Baghdād. Šākir Ḥasan Sa῾īd (n. 1925) ha studiato a Baghdād e Parigi, vantando una partecipazione alla Biennale di Venezia (1976) e a quella di San Paolo del Brasile (1979); è fondatore di due movimenti artistici, Gruppo di Baghdād per l'arte moderna 1951 e Gruppo unidimensionale 1970. Il percorso di questo artista è emblematico: vivace testimone del folklore popolare dei dintorni di Baghdād (pitture intrise di riferimenti a simbologie, abitudini e superstizioni locali), pian piano sviluppa una visione misticheggiante che lo allontana dal reale per spingerlo, lentamente, su una dimensione astratta nella quale i suoi estimatori vedono permanere sinceri afflati religiosi. Zyā᾽al-῾Azzāwī (n. 1939) prima di divenire pittore ha studiato archeologia, interesse mai rinnegato e che emerge con forza in questo artista residente a Londra, un po' didascalico (opere di denuncia sociale sulla condizione della gente comune irachena; lavori sui Palestinesi) ma di buon talento. Al-῾Azzāwī ha esposto alla Triennale di Delhi (1974), alla Biennale di Venezia (1976) e in molte personali fra cui quelle di Beirut, Casablanca, New York, Tunisi, Londra, Francoforte. Sa῾ad Šakir (n. 1935) è indubbiamente un valido ceramista, erede di un'importante tradizione classica; si è specializzato a Londra e ha esposto in numerose gallerie. Una sua grande opera murale decora la sede dell'Organizzazione internazionale metereologica in Svizzera. Uno dei più noti artisti iracheni è ῾Alī al-Ǧābiri (n. 1948), residente a Roma, allievo di P. Fazzini, e già presente alle biennali veneziane (1976, 1988, 1990). Agli esordi, dopo la rivoluzione del 1968, si dedica a una pittura che tiene in gran conto la tradizione araba; promuove il gruppo dei Percettivisti e si esprime mettendo al centro della sua esperienza la figura umana. È l'artista che toglie il velo alle donne, inserisce colombe della pace in un contesto curdo e libera i prigionieri politici. La sofferta esperienza degli anni della guerra porta ῾Alī al-Ǧābiri a esperienze assai diverse, ove anche la lezione europea di alcune correnti artistiche (espliciti richiami a Burri e poi al movimento dell'arte povera) è individuabile nei materiali usati, mentre i titoli dei lavori recenti testimoniano del suo travaglio: Effetto della guerra sulla terra, Ambiente danneggiato, Resti di un bombardamento. Totalmente inserito nel panorama italiano appare invece Fadhil Ukrufi (n. 1955), scultore e pittore oltre che poeta; dalla sua opera traspare tutta l'inquietudine dell'artista ideologicamente schierato, arabo e in esilio. Fra gli altri artisti iracheni più attivi ricordiamo Sa'di al-Ka'ibi (n. 1937), Noori al-Rawi (n. 1925), Waled Shammery (n. 1958), Rafa al-Nasiri (n. 1940), Lateef Etawi (n. 1954), tutti più o meno testimoni della difficoltà di sopravvivenza dell'artista in un contesto sociale e politico estremo. Vedi tav. f.t.
Bibl.: Lega scrittori, giornalisti e artisti democratici iracheni in Italia, L'arte Irachena nell'esilio, Firenze 1980; Mesopotamia. Sumer. La Terra fra i due Fiumi, Catalogo della mostra, Torino 1985; V. Strika, J. Khalil, The Islamic architecture of Baghdad, Napoli 1987; La Biennale di Venezia, Cataloghi delle esposizioni, Venezia 1976, 1988, 1990.
Architettura. - Alla prima generazione che costruì l'῾I. moderno come uno stato arabo, ne seguì una seconda educata con il sistema inglese, durante il periodo del protettorato. È a questa generazione che si deve l'apertura dell'῾I. alle idee occidentali le quali, combinandosi con la tradizione locale, crearono interessanti esperienze sia letterarie sia figurative. È anche a questa generazione che si deve il merito di aver fondato la scuola di architettura di Baghdād, una delle più rispettate nel Medio Oriente.
La terza generazione, quella che vide sorgere la repubblica araba irachena, nonché la presente, sono state spettatrici di enormi cambiamenti, con un ῾I. uscito da un ruolo di provincialismo e divenuto una nazione ricca, capace d'investire ingenti capitali, derivanti dalle ricchezze petrolifere, in infrastrutture che hanno fatto dell'῾I. un paese all'avanguardia nel Medio Oriente.
Questa improvvisa ed enorme affluenza di ricchezza, durata fino all'inizio della guerra con l'Iran nel 1985, ha fatto di Baghdād un crogiuolo di attività sia urbanistiche che architettoniche, con il concorso di esperti di tutto il mondo. La capitale in quegli anni divenne un grosso cantiere, punto focale del nuovo ῾I., che stava allora attraversando una nuova rinascenza.
Baghdād riassume in sé molti aspetti: il mantello civico di Babilonia, la dignità della città circolare creata da al-Manṣūr nel 762, la gloria della città dorata delle Mille e una notte di Ḥārūn al-Rašīd, come testimoniano le cupole d'oro di Kāḏimiyya. Una città con una tale storia, a seguito di un periodo di grande espansione economica, correva il rischio di perdere le qualità originarie caratteristiche della sua individualità. Il grande merito dell'amministrazione municipale, la Amanat al-῾Āṣima, fu di adeguare Baghdād alla realtà del 20° secolo, di ristabilirne la supremazia nel mondo arabo, ma nello stesso tempo di controllarne e contenerne uno sviluppo indiscriminato.
Agli inizi degli anni Ottanta, l'architetto urbanista iracheno R. Chadirji ricevette l'incarico di coordinatore del nuovo piano di sviluppo e di ristrutturazione della città. Si deve a lui se i migliori consulenti internazionali affluirono a Baghdād, e se poterono lavorare con successo. A lui si deve anche l'adozione della politica d'integrazione tra il vecchio e il nuovo, con la cosiddetta ''teoria della compatibilità'', secondo cui la maggioranza del tessuto tradizionale doveva essere preservata o ristrutturata, incoraggiando al contempo uno sviluppo urbanistico che fosse in armonia con l'ambiente storico esistente.
Il centro di Baghdād venne diviso in sette zone da ristrutturare: Bāb alŠayẖ, Ḥayfā Šāri᾽, Ḥulafā᾽ Šāri᾽, Kāḏimiyya, Abū Nuwās, il milite ignoto e la città ospedaliera. La ristrutturazione della zona di Ḥulafā᾽ Šāri᾽ fu affidata alla TAC (The Architects Collaborative) di Boston (USA); quella di Ḥayfā Šāri᾽ al consorzio iracheno-irlandese Maath al-Alousi di Baghdād, e alla Reinecke Consult dell'Irlanda. La zona di Bāb al-Šayẖ venne divisa in due parti: una fu affidata alla Arup Associates International (Gran Bretagna) in collaborazione con C. Mutschler (Germania); l'altra a R. England (Malta), Sh. Robson (Gran Bretagna), e alla Architects Planning Partnership (USA). La zona di Abū Nuwās, Batāwīn e al-῾Alwiyya fu affidata allo scandinavo A. Erikson.
Tra i progetti più interessanti che hanno attirato l'attenzione internazionale si devono ricordare i seguenti: il concorso internazionale per la Moschea di stato a Baghdād (1984), il palazzo per le conferenze (1982-85) e il monumento al milite ignoto (1981-85), sempre a Baghdād. Il concorso internazionale per la moschea a Baghdād fu vinto da Venturi & Rauch (USA), Taller de Arquitectura (Spagna), Makyia Associates (῾I.), Kathan al-Madfai (῾I.). Il palazzo per le conferenze di Baghdād (1982-85) fu eseguito dallo scandinavo H. Siren. Il monumento al milite ignoto fu eseguito da M. d'Olivo e G. Caloisi, con la collaborazione artistica dell'iracheno H̱ālid al-Rahal. Va inoltre menzionato il valido apporto dato da organizzazioni internazionali come la Banca Mondiale, la CEE/FED, Norconsult e altre.
In particolare si deve ricordare il progetto di al-Dora, nel sobborgo di Baghdād, realizzato dalla Norconsult nel 1982. In questo centro per 30.000 abitanti si è saputa integrare con successo la tecnologia contemporanea con la tradizione locale. In esso si ritrovano elementi arabi tradizionali (portici, cupole, piazze) che hanno arricchito lo schema progettuale avvicinandolo alla mentalità degli abitanti.
Tra gli architetti iracheni contemporanei di maggior spicco che hanno contribuito ad arricchire non soltanto il patrimonio architettonico e urbanistico del loro paese ma anche lo sviluppo scientifico e didattico, emergono i nomi di R. Chadirji e M. Makyia.
Chadirji, già citato per il suo contributo come coordinatore e consulente per la ristrutturazione di Baghdād, va ricordato inoltre per i suoi libri e quaderni, rispettivamente Towards a regionalised international architecture e Regional Modernism, testi di grande importanza per ogni architetto urbanista. Tra i suoi edifici spiccano il Medical Auxiliary Training Centre del 1966 a Baghdād; il progetto per la Moschea di Londra del 1969; la banca Rafidain e il Central Post and Telegraph Building a Baghdād, ambedue del 1971.
Makyia ha insegnato a lungo alla facoltà di Architettura di Baghdād, e ha lavorato in ῾I., Kuwait, Masqaṭ e Londra. La sua architettura, ispirata alla tematica e al linguaggio islamico, rivela la statura di un grande studioso ed esperto. Tra le sue opere ricordiamo il concorso per la moschea di stato a Baghdād (1984), la banca Rafidain a al-Kūfa (1980), la banca Rafidain a Karbalā᾽ (1982), il progetto per la conservazione della città di Masqaṭ in Oman (1977) e infine la moschea di stato in Kuwait (1978-84).
A più di un anno dalla fine della Guerra del Golfo, che ha visto l'῾I. battuto dalle forze della coalizione, non è ancora possibile sapere quali degli edifici e attrezzature sono andati distrutti.
Bibl.: Baghdad resurgent, in Mimar, 6 (1982), pp. 56-71; Royal Institute of British Architects, Transactions, Rifat Chadirji, 2 (1983), pp. 85-91; Conference centre ῾Irāq, in SD (Space & Design, Giappone), 230, 11 (1983), pp. 71-79; Al Dora, in Middle East Construction, 8, 7 (1983), p. 40; Mohamed Makyia, ibid., 8, 11 (1983), pp. 35-38; Mosques, Iraq/Baghdad, in Architecture d'Aujourd'hui, 228 (1983), pp. 28-35; Mosques, competition ῾Irāq, Baghdad, State Mosque, in Mimar, 11 (1984), pp. 44-63; R. Chadirji, Regional Modernism, ibid., 14 (1984); Id., Concepts and influences: towards a regionalised international architecture, Beirut 1985.
Cinema. - Benché la prima sala cinematografica fosse stata aperta a Baghdād nel 1908, soltanto nel 1940 apparve quello che si ritiene il primo film iracheno, Layla wa Baghdād ("La notte e Baghdād") di A. Kāmil Mursī. La nascita vera e propria del cinema iracheno avvenne però alcuni anni più tardi, soprattutto grazie all'impegno di alcuni attori di teatro. Tra questi attori-registi meritano un posto di riguardo H̱alīl Šawqī, autore di al-Ḥaris ("Il guardiano", 1968), e Qamiran Ḥusnī, a cui si deve un interessante ritratto della borghesia cittadina, Sa῾īd Effendi (1955). Con il passare degli anni l'῾I. ha dovuto sempre più impegnarsi in coproduzioni (Turchia, Libano ed Egitto sono solitamente i paesi partner) per reperire sufficienti finanziamenti. Per questo motivo gli studi di Baghdād sono spesso meta di registi stranieri, quali gli egiziani Tawliq Sāliḥ e Salāḥ' Abū Sayf, considerati cinematograficamente iracheni. A Sayf si deve la regia di una superproduzione storica dal titolo al-Qādisiyya, presentata a Cannes nel 1981.
Bibl.: S. Nouri, A la recherche du cinéma irakien, Parigi 1986.