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Le origini dello stato irlandese si possono far risalire al Trattato anglo-irlandese del 1921, in base al quale venne istituito il Libero Stato Irlandese, che avrebbe esercitato la sua sovranità sullo 80% dell’isola, mentre sei contee nella provincia dell’Ulster – quella che oggi è l’Irlanda del Nord – sarebbero rimaste sotto la sovranità del Regno Unito. La risoluzione della questione dell’Irlanda del Nord, che ha rappresentato per lungo tempo la priorità della politica estera di Dublino, ha trovato la sua temporanea conclusione nella stipula del cosiddetto Accordo del Venerdì Santo (Belfast Agreement) del 1998. In base a questo, l’Irlanda rinunciava alle proprie pretese territoriali nei confronti dell’Irlanda del Nord e, insieme al Regno Unito, attribuiva ad entrambi i popoli dell’isola il diritto all’autodeterminazione attraverso referendum nelle rispettive nazioni. L’accordo ha inoltre rafforzato i legami istituzionali tra Irlanda e Irlanda del Nord.
I rapporti con il Regno Unito, ex potenza coloniale, sono gradualmente migliorati e i legami economici tra i due paesi sono forti. Insieme al Regno Unito, l’Irlanda è entrata a far parte della Comunità economica europea nel 1973, beneficiando così dell’afflusso di sussidi comunitari che si sono rivelati uno dei più rilevanti fattori di crescita economica del paese. Nonostante ciò, e nonostante in Irlanda si registri un basso livello di euroscetticismo, la tradizionale politica di neutralità tenuta da Dublino nel panorama internazionale ha comportato altalenanti rapporti con l’Eu. Oltre ad opporsi alle iniziative in materia di sviluppo della difesa comune europea, l’Irlanda – la cui costituzione prevede che le modifiche ai trattati comunitari debbano essere sottoposte a referendum – ha bloccato, nel 2001 e 2008, la ratifica dei trattati di Nizza e Lisbona, approvandoli solo nel 2002 e 2009.
L’Irlanda, che non ha preso parte alla Seconda guerra mondiale, alla sua conclusione non ha aderito alla Nato, portando avanti una politica di neutralità. Ciò non ha però impedito lo sviluppo di una profonda collaborazione con gli Stati Uniti, per i quali l’Irlanda costituisce una sorta di hub economico, oltre ad essere paese di destinazione di cospicui investimenti statunitensi, diretti primariamente nel settore tecnologico. D’altro canto l’emigrazione irlandese verso gli Stati Uniti è stata un elemento importante dei rapporti tra i due paesi, sebbene questa si sia notevolmente ridotta nel corso degli ultimi due decenni grazie alla crescita economica verificatasi in Irlanda.
Il governo ha formalmente dichiarato l’Irlanda una repubblica nel 1948. Il sistema di governo è parlamentare. Il presidente, attualmente Mary McAleese, al secondo mandato dal 2004, è eletto per sette anni e ha un ruolo principalmente cerimoniale. I due principali partiti sono Fianna Fáil (‘Soldati del destino’), che nacque come partito di opposizione al Trattato anglo-irlandese, e Fine Gael (‘Famiglia degli irlandesi’), che era invece a favore del trattato. Fianna Fáil, che ha guidato il paese per lungo tempo, è oggi inquadrabile nello schieramento di centro, mentre Fine Gael è inquadrabile nello schieramento di centro-destra. Con la prematura caduta del governo Cowen, in carica dal 2007, le elezioni anticipate del 25 febbraio 2011 hanno mostrato una significativa inversione di tendenza: Fianna Fáil, al governo dalla seconda metà degli anni Novanta senza interruzioni, ha infatti perso numerosi seggi (dai 77 del 2007 ai 20 attuali). Il nuovo Taoiseach (‘primo ministro’) è dunque Enda Kenny, del partito Fine Gael.
L’Irlanda è entrata nella Comunità Economica Europea nel 1973. Tuttavia, in linea con la sua politica di neutralità, Dublino ha negoziato una clausola di esenzione (opting out) sui futuri accordi concernenti la difesa, riservandosi quindi la possibilità di non parteciparvi. Inoltre l’Irlanda non partecipa allo ‘Spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia’, e ha perciò mantenuto la propria competenza in materia di controlli alle frontiere, immigrazione e cooperazione giudiziaria. Nel 2001 gli irlandesi hanno respinto con un referendum il Trattato di Nizza, bloccando temporaneamente l’allargamento dell’Unione Europea. Il risultato è stato determinato da diversi fattori: in particolare, l’opposizione dello Irish Green Party e del Sinn Féin sottolineava la perdita di influenza irlandese nell’Eu (il peso dell’Irlanda alle votazioni a maggioranza qualificata del Consiglio dei ministri Eu è sceso dal 3,5% al 2%), la possibile minaccia alla politica di neutralità irlandese a causa dello sviluppo di una forza militare europea, e la perdita di parte dei trasferimenti europei, dovuta all’ingresso dei membri dell’Europa orientale. Un secondo referendum nel 2002 ha però approvato la ratifica del trattato.
Le cause del rifiuto opposto dagli irlandesi al Trattato di Lisbona del 2008 sembrano legate, oltre alla politica di neutralità, anche al desiderio di poter continuare a nominare un membro della Commissione Europea e di mantenere la propria sovranità in materia di disciplina fiscale, di diritti dei lavoratori, di diritto di famiglia (una delle questioni sollevate ha riguardato l’aborto, che in Irlanda è legale solo se la madre è in pericolo). Nel settembre 2009 gli elettori hanno però votato di nuovo, approvando a grande maggioranza anche questo trattato.
Gli irlandesi sono prevalentemente di origine celtica, mentre una minoranza discende dagli Anglo-Normanni. L’inglese è lingua ufficiale ed è usato comunemente, l’irlandese (gaelico) è parimenti lingua ufficiale ed è insegnato nelle scuole. La maggioranza della popolazione è cattolica (92%) e il cattolicesimo è un elemento fondamentale della cultura e della vita nazionale. Vi sono poi alcune minoranze, tra cui anglicani (Chiesa d’Irlanda, 3%), musulmani (1%), presbiteriani, metodisti ed ebrei. La libertà di religione è generalmente rispettata.
Sotto il profilo delle dinamiche demografiche, mentre fino agli anni Ottanta erano numerosi gli irlandesi che emigravano all’estero, con il boom economico degli anni Novanta tale tendenza si è capovolta. L’Irlanda ha infatti attirato numerosi lavoratori stranieri e il tasso di migrazione netto è divenuto positivo (con un picco di 11,5 su 1000 abitanti tra il 2000 e il 2005). Tuttavia, la crisi economica e la disoccupazione hanno determinato una nuova inversione di tendenza nel 2010, anno in cui l’emigrazione, soprattutto dei giovani, è tornata a crescere.
Dal punto di vista delle politiche sociali, l’istruzione è obbligatoria per tutti i ragazzi dai 6 ai 15 anni. Più del 95% dei bambini frequenta le scuole primarie pubbliche, il 20% delle quali è gestito da istituti cattolici. Anche le scuole secondarie sono prevalentemente pubbliche e circa la metà è gestita dalla Chiesa cattolica.
Infine, l’Accordo del Venerdì Santo prevedeva, tra le altre disposizioni, la creazione di una commissione irlandese per i diritti umani, che collaborasse con la commissione dell’Irlanda del Nord; tale commissione è stata istituita nel 2001.
La corruzione è problematica molto diffusa nel sistema politico irlandese. Stilando l’indice di corruzione percepita, nel 2009 Transparency International ha infatti denunciato l’estesa corruzione politico-istituzionale, frutto delle diffuse pratiche nepotistiche, di patronato e mancanza di trasparenza nel processo decisionale. La bassa diffusione della corruzione al di fuori del sistema politico permette tuttavia all’Irlanda di avere un basso livello di corruzione percepita.
Le libertà e i diritti individuali e collettivi sono tutelati dalla legge e rispettati nella prassi.
Negli anni Sessanta l’economia irlandese versava ancora in uno stato di forte arretratezza rispetto alle economie dell’Europa occidentale. Dalla metà degli anni Novanta, però, l’Irlanda ha fatto registrare un elevatissimo tasso di crescita economica (che ha raggiunto il 10,7% nel 1999), tanto da meritarsi il soprannome di ‘tigre celtica’.
Tale crescita è stata in gran parte frutto di politiche di attrazione degli investimenti esteri: il paese ha infatti optato per una politica fiscale espansiva, imperniata su una tassazione alle imprese molto bassa. Il riferimento va in particolare alla Corporate Tax, l’aliquota sul reddito delle società, fissata al 12,5% a fronte di una media Eu pari a circa il 23% – e non a caso criticata da numerosi membri dell’Unione Europea, che la considerano un vantaggio sleale nell’attrarre investimenti diretti esteri. Grazie a ciò e a una politica di liberalizzazioni e privatizzazioni, l’Irlanda ha oggi raggiunto il quinto posto nella classifica mondiale dell’indice di libertà economica. I flussi degli investimenti diretti esteri si sono concentrati principalmente sui settori dell’information technology, dei servizi finanziari, della chimica e della farmaceutica.
L’industria, che ha notevolmente beneficiato dell’afflusso di investimenti dall’estero, è arrivata a pesare, nel 2007, per il 34% del pil nazionale. La proprietà straniera degli assetti industriali irlandesi ha tuttavia comportato un rilevante trasferimento dei profitti oltreconfine e un notevole divario tra pil e pnl – pari rispettivamente a 227 e 197 miliardi di dollari nel 2009.
Di rilievo è inoltre il settore dei servizi finanziari, soprattutto bancario e assicurativo. Nel febbraio 2008 le attività complessive degli istituti di credito operanti in Irlanda, inclusi quelli esteri (che hanno sede principalmente nell’International Financial Services Centre di Dublino, dove operano quasi 50 delle più grandi banche del mondo), ammontavano a 1.400 miliardi di euro, ovvero il 77% del pil di quell’anno.
La crescita degli anni Novanta ha resistito fino al 2007, ma il sopraggiungere della crisi finanziaria ha causato una delle peggiori recessioni mai subite dal paese (−7% del pil nel 2009). Tra i principali fattori all’origine della crisi vi sono lo scoppio di una bolla immobiliare e la forte esposizione del sistema bancario irlandese sul mercato dei derivati. Nonostante l’intervento del governo, che ha nazionalizzato alcune banche (il salvataggio degli istituti di credito ha necessitato di una spesa di 50 miliardi di euro, circa un quinto del pil) e ha immesso liquidità nell’economia durante la crisi di credito, il rischio di bancarotta nazionale è stato superato soltanto grazie alla concessione di un ingente prestito congiunto da parte del Fondo monetario internazionale e dei membri dell’Eu.
Non avendo proprie riserve di petrolio e carbone – materie prime attraverso cui l’Irlanda ricava rispettivamente il 50% e il 16% dell’energia consumata – e disponendo di limitate riserve di gas, l’Irlanda è fortemente dipendente dalle forniture energetiche dall’estero. Le fonti rinnovabili, tra le quali l’eolico riveste notevole importanza, producono il 3,8% dell’energia consumata. Nel paese non sono invece presenti impianti nucleari, a causa della forte opposizione dell’opinione pubblica. In questo contesto, le possibilità che l’Irlanda possa ridurre nel breve-medio periodo la propria dipendenza energetica estera appaiono esigue.
L’Irlanda è storicamente un paese neutrale, le cui forze militari non sono mai state coinvolte in un conflitto. La spesa militare è dunque molto ridotta (oggi equivale allo 0,6% del pil) e il servizio militare non è obbligatorio.
Pur potendo fare affidamento su una clausola di esenzione per ciò che concerne l’ambito della politica di difesa europea, l’Irlanda contribuisce con un contingente alla Forza di reazione rapida dell’Eu e anche ad una delle sue missioni internazionali all’estero (la missione Eufor, in Bosnia-Erzegovina). L’esercito irlandese, di ridotte dimensioni, è inoltre impegnato in due missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite: Minurcat, nella Repubblica Centrafricana e in Ciad, dove ancora nel 2010 l’Irlanda forniva il secondo contingente per numero di soldati, dopo il Togo; e la missione in Libano Unifil, a cui il paese contribuisce in misura decisamente minore.
Pur non essendo membro dell’Alleanza atlantica, dal 1999 l’Irlanda partecipa al programma Partnership for Peace; più di recente, ha contribuito anche alla missione Isaf in Afghanistan e, con un numero più consistente di soldati, alla missione Kfor, in Kosovo.
Nel novembre 2010 il governo irlandese ha deciso, anche a seguito delle pressioni dell’Unione Europea, di chiedere un prestito di emergenza al Fondo monetario internazionale (Imf) e alla stessa Eu. Il totale erogato dalle due organizzazioni internazionali ammonta a 85 miliardi di dollari, e i fondi Eu sono provenuti esclusivamente dalle casse britanniche, svedesi e danesi.
La decisione del governo irlandese è stata accolta dai cittadini con vibrate proteste, generate dalla limitazione dell’esercizio di sovranità finanziaria cui ha dovuto acconsentire Dublino e dalla circostanza che parte del prestito sia provenuta dal Regno Unito. In futuro il prestito non potrà infatti che condizionare la politica irlandese, dal momento che lo spazio di manovra del governo sulla propria politica economica sarà più vincolato.
L’accordo tra governo irlandese, Eu, Banca Centrale Europea e Imf prevede infatti che, in cambio del prestito, l’Irlanda debba ricondurre il proprio deficit sotto la soglia del 3% del pil entro il 2015, promuovere la competitività (soprattutto nei settori legale e medico) e risanare il sistema bancario. Il piano quadriennale irlandese 2011-14 prevede tagli complessivi per 10 miliardi.