irrigazione
Canali d'acqua che solcano la terra
Le tecniche di irrigazione, conosciute e applicate da millenni, hanno aiutato l'uomo a trasformarsi da cacciatore nomade ad agricoltore stanziale, consentendo quindi la nascita delle grandi civiltà. I Romani furono esperti nella costruzione di opere idrauliche, ma questa tecnica si perse nell'alto Medioevo e fu recuperata solo grazie al lavoro dei monaci, per poi svilupparsi nuovamente nel Rinascimento e consolidarsi con il successivo sviluppo dell'agricoltura intensiva
Quando l'uomo iniziò a trasformarsi da cacciatore e raccoglitore ad agricoltore dovette risolvere nuovi problemi. Uno di questi era la produttività della terra: dopo pochi anni, il terreno su cui coltivava diventava improduttivo, perché esausto e poco irrigato. La soluzione più semplice era quella di continui spostamenti in cerca di nuovi terreni da sfruttare. Questo tipo di economia, nonostante fosse migliorativo rispetto al passato, imponeva comunque una società seminomade, con scarse radici sul territorio.
La prima, vera soluzione al problema si ebbe quando l'uomo, intorno al 9° millennio a.C., iniziò a coltivare le terre vicino ai grandi fiumi (agricoltura). La nascita delle prime comunità stabili, le migliori condizioni di vita e lo sviluppo dell'economia da un lato fecero crescere la popolazione delle comunità, con la nascita di villaggi e centri di scambio; dall'altro, tuttavia, obbligarono a dissodare una sempre maggiore quantità di terreni, non più e non sempre vicini a fiumi e torrenti. Da questa nuova realtà emerse la necessità di portare l'acqua ai campi più distanti e alle stesse abitazioni. Nacquero così i primi canali per l'irrigazione: una necessità imprescindibile e conosciuta in tutte le comunità umane, dalla Mesopotamia all'Egitto, dalla Cina all'India settentrionale, fino al Sud-Est asiatico.
I ritrovamenti archeologici ci dicono che già intorno all'8000 a.C., in Mesopotamia, furono costruiti complessi sistemi di irrigazione per portare le acque del Tigri e dell'Eufrate in campi distanti anche alcuni chilometri dai fiumi e per rendere produttive aree sempre più vaste della pianura. Analoghi ritrovamenti sono stati fatti nella valle dell'Indo.
Sappiamo anche che i canali principali e quelli secondari rivestivano una tale importanza nelle prime grandi civiltà che per la loro gestione nacquero vere e proprie strutture amministrative, formate da operai, amministratori, soldati e guardie locali, per la manutenzione e la difesa dei tratti loro assegnati.
In Egitto è noto il grande sviluppo che ebbe l'agricoltura lungo la valle del Nilo a partire dal 4°-3° millennio a.C., grazie soprattutto alle piene del fiume, che fertilizzavano i campi con il limo lasciato sui terreni. Anche gli Egizi, tuttavia, appresero ben presto le tecniche di canalizzazione del fiume, che permisero di portare l'acqua a distanze rilevanti, attraverso canali artificiali, usati sia per l'irrigazione sia per l'approvvigionamento delle popolazioni.
In Italia furono gli Etruschi ad avviare le prime importanti opere di irrigazione, soprattutto lungo la valle del Po; ma furono i Romani, con tecniche via via più sofisticate, i veri artefici della nascita di un capillare sistema idrico e irriguo: una rete di canali e acquedotti che portava le acque per decine di chilometri dalle sorgenti fino alle grandi città e alle nuove zone colonizzate.
I Romani affinarono nei secoli le tecniche costruttive e i materiali per canalizzare le acque, le vasche per la loro raccolta, i sistemi di pompaggio, i sifoni per permettere il superamento dei dislivelli (acquedotti). Esportarono le loro abilità da ingegneri non solo in tutta l'Italia, ma anche nelle Gallie e soprattutto sulle coste africane del Mediterraneo, dove resero fertili ampie aree dell'interno.
La dissoluzione dell'Impero Romano portò con sé la quasi totale scomparsa delle reti irrigue in Europa e in Africa a causa delle guerre e delle incursioni delle popolazioni barbariche. Fu solo con l'insediamento stabile degli Arabi in Sicilia, nel 9° secolo d.C., che l'ingegneria idraulica ebbe un nuovo sviluppo in Italia: con essa presero piede anche i mulini ad acqua utilizzati sia per irrigare i campi sia per muovere macine per le farine. Le conoscenze tecniche degli Arabi erano derivate anche in questo ambito dallo studio dei testi antichi (i mulini erano stati introdotti dai Romani nella tarda età imperiale), ma subirono un netto miglioramento in tutto il bacino del Mediterraneo, dove si espanse il loro dominio.
Diversa la situazione nel Nord dell'Italia e dell'Europa: la presenza di grandi fiumi aveva sempre facilitato l'agricoltura, ma le invasioni dei popoli venuti dall'Est prima, e il decadimento dell'intera economia poi, avevano impedito il generale sviluppo della tecnologia. L'agricoltura era scarsamente redditizia e i campi contendevano ancora lo spazio a immense superfici boscose; là dove esistevano avvallamenti, i corsi d'acqua si impaludavano, creando vaste aree insicure e insalubri.
Fu solo con l'espandersi del monachesimo benedettino che l'Italia centrosettentrionale e ampie zone europee iniziarono a essere strappate alla natura selvaggia e restituite alla coltivazione. Per ottenere questo risultato, i monaci e i conversi, aiutati dalle popolazioni dei villaggi che rapidamente si formarono intorno alle maggiori abbazie, iniziarono una paziente opera di costruzione di canali di irrigazione e di scolo. Tra il 9° e il 13° secolo ‒ il periodo di maggior fulgore del monachesimo occidentale ‒ migliaia di ettari di terra coltivabile furono così strappati alla foresta e alla palude.
La storia dell'irrigazione visse un momento di particolare sviluppo tra l'11° e il 14° secolo anche grazie alle grandi opere realizzate dai liberi Comuni prima e dalle signorie poi. L'opera più importante, nell'Italia settentrionale, fu la costruzione del Naviglio Grande, un canale multifunzionale di collegamento tra il Ticino e Milano. Lungo oltre 50 km, nasce dal Ticino e arriva con un sistema di chiuse fino al capoluogo lombardo: nel corso dei secoli, esso è stato utilizzato come via d'acqua (più sicura, nel Medioevo, rispetto alle strade), per lo spostamento umano e dei materiali (in questo modo furono trasportati i blocchi di marmo di Candoglia, estratti dalle cave del Nord del Piemonte, per la costruzione del Duomo di Milano) ma anche e soprattutto per l'irrigazione di oltre 50 mila ettari di terreno a ovest di Milano. Le acque trasportate dal Naviglio sono infatti deviate in centinaia di canali minori e di rogge, cioè piccoli canali dotati di chiuse, che servono, ancora oggi, allo sviluppo dell'agricoltura intensiva lombarda.
Bonifiche e sistemi irrigui si sono moltiplicati in tutta Europa a partire dal 16° fino al 19° secolo: ne sono testimonianza la rete capillare di canali navigabili in Francia, Germania, Paesi Bassi, Gran Bretagna e, in Italia, la costruzione di navigli come quello di Pavia, della Martesana (sempre a Milano), il Naviglio Grande bresciano, il Canale Cavour (che ha origine dal Po presso Chivasso, in provincia di Torino, e va a finire nel Ticino), il Naviglio di Bologna e quello del Brenta, per citare i più importanti.
L'irrigazione oggi è un problema tutt'altro che superato, ed è destinata ad assumere sempre maggiore importanza anche a causa dei mutamenti climatici in corso. Le nuove tecniche di costruzione hanno permesso di realizzare opere faraoniche, impensabili fino a cento anni fa. Basti ricordare la diga di Assuan, inaugurata nel 1971 sull'Alto Nilo o quella delle Tre gole in Cina. E ancora, il gigantesco sistema di condotte in corso di costruzione in Libia, che dovrebbe riportare l'agricoltura in vaste aree desertiche.