Mesopotamia
La terra fra due fiumi dove iniziò la storia
Se si prende la nascita della scrittura come punto di riferimento per separare la storia dalla preistoria, allora i popoli che abitarono la Mesopotamia nei tre millenni precedenti la nascita di Cristo devono essere considerati coloro che hanno dato inizio alla storia. La loro regione fu chiamata Mesopotamia («terra tra i due fiumi») dai Greci che così definirono l’ampia pianura, oggi corrispondente quasi interamente all’Iraq, compresa tra il Tigri e l’Eufrate. Qui nacquero le prime città della storia dell’uomo
I fiumi Tigri ed Eufrate sgorgano dalla catena del Tauro e – lasciate le regioni montuose – entrano nel deserto siriano (all’altezza dell’attuale confine meridionale della Turchia) e lo percorrono con andamento quasi parallelo, in direzione sud-est. Attualmente confluiscono, nell’ultimo tratto, in un unico corso d’acqua, lo Shatt-el-‘Arab, e sfociano uniti nel Golfo Persico, o Arabico (in epoca antica, fino al 2° secolo d.C., i due fiumi sboccavano separatamente nel mare).
Se non fosse per la presenza di questi due poderosi fiumi (lunghi rispettivamente 1.950 e 2.700 km) e dei detriti che essi hanno depositato (cui si deve la fertilità del suolo), la regione sarebbe un prolungamento verso oriente di quel desolato deserto che dalla Siria si spinge fino ai contrafforti dei Monti Zagros, limite occidentale dell’altopiano iranico. Gli antichi stessi erano ben consapevoli di questa condizione e chiamavano i due fiumi «vita del paese».
La Mesopotamia non è uniforme: la sua vasta area si divide in diverse fasce ecologiche. A meridione, dove le acque dei due fiumi stentavano a entrare nel mare (a causa delle maree o del mare grosso), si estendono ancora oggi vaste zone palustri, ricche di canne da costruzione e molto pescose. La zona intermedia è adatta all’agricoltura e, dato che presenta vaste distese steppose, si presta bene anche all’allevamento del bestiame. L’Assiria invece ha carattere collinoso, idoneo per altri tipi di coltivazioni.
Fu nella Bassa Mesopotamia (regione chiamata anche Babilonia) che, fra il 5° e il 4° millennio a.C., ebbe luogo quel grande cambiamento che è stato definito rivoluzione urbana: nella parte meridionale della Babilonia, la Sumeria, apparve – abbastanza improvvisamente – la prima città.
Dobbiamo intenderci sulle parole: già nel 9° millennio a.C. erano stati costruiti agglomerati di case (tutte più o meno simili) circondate da un muro difensivo (quale, per esempio, Gerico, in Palestina), ma questi non costituiscono città vere e proprie. La città di Uruk in Sumeria (e questa sì dev’essere considerata ‘una vera’ città) appariva, invece, nel 4° millennio a.C. come una metropoli enorme, circondata da un muro difensivo che si diceva fosse stato costruito dal mitico eroe Gilgamesh. Al suo interno, nel cuore, vi era una zona di edifici monumentali, che servivano al culto e alle funzioni civili; fra questo centro e le mura si estendeva la fascia in cui vivevano e lavoravano persone di condizioni economiche diverse, di vari mestieri e professioni, organizzate in lavoratori dipendenti e dirigenti. La circolazione e lo scambio dei beni erano molto fitti: si era creata una classe di mercanti che organizzavano l’esportazione e l’importazione di beni anche con paesi molto distanti. La ricchezza accumulata era poi ridistribuita tra coloro che prestavano il loro lavoro, da un lato a seconda dell’impegno e del tempo, dall’altro a seconda del livello sociale (ovvero se si trattava di uomini e donne liberi, o di servi, o di persone prive di mezzi di sostentamento); un tale complesso movimento di beni richiese la formazione di una élite di persone istruite in grado di amministrare questo traffico.
Tutto ciò può oggi sembrarci ovvio, perché lo troviamo comunemente nelle nostre città, ma per quell’epoca fu un enorme balzo in avanti. Prima esistevano solo piccoli centri, villaggi, senza edifici monumentali, in cui i membri delle famiglie svolgevano più o meno tutte le attività necessarie, senza che quasi nessuno si specializzasse in una tecnica o un compito particolare. Il movimento delle merci era molto limitato, e non si sentiva assolutamente l’esigenza di qualcuno che ne tenesse i conti.
Certamente l’abbondanza d’acqua portata dai due grandi fiumi, il Tigri e l’Eufrate, è stata uno dei presupposti per lo sviluppo che condusse alla metropoli, in quanto rese possibili raccolti abbondanti, che – a loro volta – consentirono un eccesso di produzione, ovvero una quantità di grano maggiore di quanto servisse per l’alimentazione. Questo eccesso fu accumulato e scambiato con altri beni o servizi.
Fu inoltre possibile mantenere persone che si occupassero di altro oltre che della produzione del cibo per nutrirsi. Così si poterono formare i mercanti e gli amministratori; inoltre gli apprendisti ebbero tempo per acquisire le tecniche più raffinate per produrre sigilli incisi, vasi, oggetti in bronzo o statue di pietra, barche o navi, edifici e templi. In altreparole, si realizzò la specializzazione delle professioni, in quanto i lavori che richiedevano lunghi apprendistati e sofisticate conoscenze tecniche trovavano nella città un mercato per i loro rari prodotti. Ma specialisti erano anche i sacerdoti e i sovrani, le cui funzioni erano essenziali per la vita dello Stato.
La fitta rete di rapporti economici e sociali, che la città come centro (metropoli) rese quindi possibile, creò le condizioni per realizzare altre due importanti novità sociali: la creazione di gruppi di persone che godevano di diverso accesso ai beni prodotti (in altre parole, i privilegiati, ricchi, e coloro che avevano molto poco o persino nulla) e la nascita della scrittura. L’onda lunga di questi avvenimenti, che hanno impresso il loro carattere non solo ad altre antiche civiltà, giunge fino alla nostra società attuale con l’uso delle professioni altamente specializzate, della scrittura e con la funzione di centro economico, sociale e amministrativo svolta dalle grandi metropoli. Ma ci sono altre idee di cui siamo debitori a quei popoli antichissimi.
L’invenzione della scrittura fu certamente attuata dai Sumeri, cui si deve anche lo sviluppo di Uruk; ma si deve notare che, nella Mesopotamia meridionale, convivevano, mescolate insieme ai Sumeri, genti che parlavano una lingua semitica, della stessa famiglia dell’ebraico e dell’arabo odierni. Questa lingua si chiama accadico e nel 2° millennio a.C. si sviluppò nei due dialetti: il babilonese a sud e l’assiro a nord (Assiri e Babilonesi). I Sumeri parlavano una lingua così diversa dall’accadico come, oggi, il cinese è differente dall’italiano.
Tuttavia, pur così diversi per lingue, i popoli mesopotamici diedero forma a una grande civiltà a carattere indubitabilmente unitario, che durò per oltre tre millenni.
Il sumerico si estinse alla fine del 3° millennio a.C. e rimase in uso solamente come lingua dotta, come il latino dal Medioevo in poi, mentre l’accadico divenne la lingua diplomatica (in certi periodi), cioè utilizzata nelle relazioni tra i popoli, di tutto il Vicino Oriente. È di notevole interesse che la civiltà mesopotamica, nei suoi inizi, sia frutto della cultura di due popoli dalle lingue così diverse, che trovarono il modo di fondersi tra loro grazie al culto per il sommo dio Enlil.
La Mesopotamia fu terra di città: Uruk, Ur, Eridu, Shuruppak, Larsa, Girsu e Nippur nel Sud; Eshnunna, Babilonia, Kish, Isin, Sippar nel Centro; Mari (oggi in Siria), Assur, Ninive, Kalku, Dur-Sarrukin, tutte per certi periodi capitali assire, Arbela e infine Nuzi (presso Kirkuk) verso i confini con l’Iran; Harran, a occidente, vicino all’Eufrate (oggi in Turchia, presso il confine turco-siriano).
Queste sono soltanto le più importanti, ma molte altre sono fiorite e hanno costituito centri commerciali, religiosi ed economici. Molte città erano poi unite da canali che facilitavano l’irrigazione o il trasporto, mentre strade fornite di punti di sosta (antenati dei caravanserragli di epoca ottomana) rendevano agevoli i traffici commerciali.
In epoca storica (ovvero, da quando possediamo documenti scritti, vale a dire dalla prima metà del 3° millennio a.C.) la Mesopotamia appare popolata dai Sumeri, in numero preponderante nel Sud, e da genti semitiche, più numerose nel Centro e nel Nord. L’etnia sumerica già nel 3° millennio a.C. ci appare in via di estinzione, assorbita da quella semitica.
Abbiamo notizie di due grandi stati nel Centro, il regno della città di Kish e quello della città-Stato di Mari, sul medio Eufrate: entrambi erano essenzialmente semitici, ma nel Sud solo l’impero del re Sargon (2335-2279 a.C.), sovrano di Akkad (da cui il nome della lingua, accadico), fondò un grande Stato in cui i Semiti erano in maggioranza (23°-22° sec. a.C.). Dopo l’invasione degli altrimenti ignoti barbari Gutei, scesi dai monti iranici, l’elemento sumerico riprende il sopravvento con l’impero della III dinastia di Ur (21° secolo a.C.). Nel 2° millennio restano solo piccole isole dove si parla sumerico, mentre altre genti semitiche, penetrate dal deserto siriano, costituiscono nuovi apporti etnici: entrati nel 3° millennio, gli Amorrei costituiscono il gruppo etnico più importante dal 2° millennio in poi.
Infine, nel 1° millennio un’ulteriore ondata migratoria porta gli Aramei a divenire il gruppo dominante. L’ingresso degli Amorrei prima e degli Aramei poi non avvenne in modo rovinoso, come accadde quando le genti germaniche irruppero nell’Impero Romano con invasioni devastanti (barbariche, invasioni), ma si verificò, per lo più, come lenta, continua infiltrazione – pur con episodi di scontri militari, ma questo fu un fenomeno secondario –, legata allo scambio di prodotti tra nomadi (pastori) e sedentari (agricoltori).
Nella religione la fusione tra la tradizione sumerica e quella semitica (cui appartiene la componente accadica) appare nel modo più evidente: le due componenti, infatti, non entrarono in collisione, ma s’integrarono l’una con l’altra. I Sumeri veneravano un numero vastissimo di dei, mentre si riduceva a poche decine il numero delle divinità dei Semiti. Entrambe le componenti confluirono nel pantheon mesopotamico, e si distribuirono secondo una scala gerarchica ordinata e fissa.
Il primo degli dei era An (il cui nome significa «cielo» in sumerico), che rappresentava la volta del cielo.
An tuttavia non governava l’Universo, il cui dominio era affidato al suo primogenito, Enlil (tale nome, sumerico, significa «signore-vento»), il quale, come il vento appunto, si credeva potesse toccare l’irraggiungibile volta del cielo così come percorreva la Terra. Il dio costituiva quindi il mezzo che fungeva da ponte tra il mondo dell’uomo e il cielo dove, come le stelle, risiedevano gli dei.
Il culto di Enlil aveva il suo centro nella città di Nippur, che fu sempre considerata città santa, sede di templi, accademie per scribi e scuole di esorcisti-medici. Enlil era il dio di tutto ciò che appartiene all’aria: non solo il vento, quindi, ma anche il soffio del respiro, ragione per cui si riteneva che la vita fosse stata elargita dal dio.
Un soffio particolare è quello del fiato che si emette quando si pronuncia una parola: pertanto la ‘parola’ del dio possedeva il supremo potere di pianificare e decidere le leggi del Cosmo. La parola rende noto ciò che pensiamo; solo parlando possiamo far conoscere le nostre idee. Allo stesso modo il dio Enlil rende all’esterno la forza divina, quella realtà sacra che ha preso da suo padre An: la parola di Enlil porta lo splendore del cielo degli dei nell’Universo, rendendolo un insieme ordinato e bello, invece che un caos di forze scatenate e contrastanti, senza ordine e bellezza alcuni.
Infine, ricordiamo come anche nei Vangeli e nella Bibbia si parla della ‘parola’ di Dio; s. Giovanni, per esempio, dice: «In principio era il Verbo (cioè la parola)». Con il dio mesopotamico Enlil troviamo il più antico prototipo di questa idea.
Gerarchicamente sottoposti a Enlil erano il dio Enki (il cui nome accadico, Ea, è da riferirsi alla parola semitica per «vita») e la dea-madre Nin-hursanga. Enki era il dio di quell’oceano sotterraneo detto Abzu (da questa parola, più probabilmente, e non dal greco, deriva il termine abisso), che conteneva tutte le acque dolci: era dall’Abzu che scaturivano, tra gli altri, anche i due fiumi Tigri ed Eufrate.
Se dominio di Enlil era l’aria, quello di Enki erano quindi le acque dolci: come queste rendono possibile la vita trasformando un arido deserto in fertili campi, così l’azione del dio consente alla vita di prosperare. In questo ambito Enki è anche il dio delle purificazioni e degli esorcismi, quei rituali atti a cacciare i demoni e gli spettri che, con la loro presenza, causano all’uomo ogni sorta di sfortuna, dolore e malattia.
Nin-hursanga regnava anch’essa nel sottosuolo, era l’oscurità della Terra nella quale si poneva il seme che ella faceva germogliare: allo stesso modo, ella era la dea della maternità, sia degli animali sia delle donne.
Accanto a queste quattro somme divinità, dobbiamo ricordare il dio patrono di Babilonia, Marduk, del quale un poema, intitolato Quando in alto (sono anche le parole con cui inizia il poema), narra la lotta contro la dea del mare, Tiamat, regina del caos, che egli affronta per salvare il mondo ordinato e luminoso degli dei. Vinti Tiamat e il suo esercito di mostri, Marduk col corpo di lei crea la Terra e il cielo, e col sangue di Kingu, capo dei mostri, impastato col fango, crea l’uomo (cosmogonia). A seguito di questa gloriosa impresa, Enlil abbandona il dominio dell’Universo, affidandolo a Marduk.
Il poema Quando in alto, che narra questo mito, fu scritto nell’11° secolo a.C., allorché la città di Babilonia intraprese una politica che ne fece il centro più importante della Mesopotamia. Il poema rimase come una bandiera, nei lunghi secoli in cui Babilonia lottò contro gli Assiri per la sua indipendenza. Esso inoltre, col passaggio dei poteri fra Enlil e Marduk, sanciva la fine del mondo sumerico e l’affermazione definitiva di quello accadico. Il racconto delle gesta e degli attributi delle divinità funziona quindi come una specie di manifesto politico in riferimento alle lotte per il potere tra gli uomini.
Un cenno, a questo proposito, deve essere rivolto al dio Assur. A differenza di tutti gli altri dei, che erano venerati in tutta la Mesopotamia, questo dio era considerato dai soli Assiri come il dio supremo. Probabilmente in origine Assur era la divinità dello sperone roccioso proteso sul Tigri, su cui fu fondata la prima città assira, anch’essa di nome Assur; per i suoi devoti egli rappresentava la massima divinità e gli altri dei erano considerati come suoi aspetti particolari o sue manifestazioni in ambiti specifici.
La ragione addotta dai sovrani assiri per le guerre di conquista di paesi sempre più lontani era la necessità di porre tutto l’Universo sotto il patronato del dio Assur, che, quale dio supremo, rappresentava l’ordine divino contrapposto al caos delle forze incontrollate. Insomma, nell’Impero assiro dei secoli 8° e 7° a. C. abbiamo i precursori dell’idea sia di ‘popolo eletto’ (in quanto unico a venerare Assur, che quindi da essi s’era fatto conoscere) sia di ‘guerra santa’.
Come per la letteratura e la religione, anche per l’arte si deve parlare della simbiosi sumero-accadica. La civiltà mesopotamica, così originale negli aspetti già illustrati, ha realizzato importanti risultati sia nelle arti figurative sia nell’architettura. Se i dipinti sono stati quasi totalmente distrutti dal tempo, restano le immagini incise sui sigilli, dove troviamo grande varietà e vivacità. La statuaria ha lasciato testimonianze notevoli, e i rilievi, specialmente nei palazzi dei sovrani assiri, coprivano intere pareti, raffigurando con movimento, spirito d’osservazione ed energia le guerre e le grandi imprese dei re.
In architettura si deve ai popoli della Mesopotamia l’invenzione del mattone di argilla, indispensabile per costruire, dal momento che nella regione mancano pietra e legname (materiali da costruzione). Col mattone furono edificati i grandi complessi templari e quelli dei palazzi reali. Tipica costruzione mesopotamica è la ziqqurrat, ossia la torre a gradini, eretta all’interno del recinto templare, che costituiva il punto d’incontro della Terra con il cielo degli dei.
Nel campo delle misure, va ricordato che unità di peso usate per gran parte dell’antichità, anche romana, come la mina (pari a 0,50 kg) e il siclo (1/60 di mina), derivano il loro nome dall’accadico manum (in sumerico mana; manum, come verbo vuol dire «contare») e shiqlum (pari a 8,3 g). Infine, il nome cammello viene dall’accadico gamlum, termine che però designava il dromedario, animale originario dell’Asia anteriore, mentre il cammello fu importato più tardi dall’Asia centrale.
La struttura del mondo degli dei costituì il modello per il mondo degli uomini. Il re fu sempre considerato come il rappresentante degli dei in terra, un uomo diverso dagli altri, perché a lui spettava il compito di realizzare i voleri divini.
In questa direzione il re intraprendeva guerre e spedizioni commerciali per estendere i confini del mondo ordinato secondo il volere degli dei, quale gli era rivelato dagli oracoli; in questo modo avrebbe spinto sempre più lontano le forze turbolente del disordine e del caos. Il re era per gli uomini quello che Enlil era per gli dei.