Islamismo
L'islamismo è attualmente la religione di circa novecento milioni di persone. L'appartenenza all'Islam comporta un insieme di credenze e pratiche religiose specifiche, alcuni elementi di una cultura e di una civiltà comuni e una determinata identità politica o comunitaria. L'Islam è dunque nello stesso tempo una religione, una cultura e una comunità. La tradizione islamica è caratterizzata da una profonda continuità storica, ma presenta anche una enorme varietà di manifestazioni.
La religione islamica fu rivelata al profeta Maometto (570 c.-632). Nato alla Mecca, città dell'Arabia occidentale, Maometto vi esercitò in gioventù il mestiere di carovaniere; verso i vent'anni entrò al servizio della ricca vedova Khadīgia, che sposò qualche anno più tardi. Uomo di profonda vocazione religiosa, nel 610 circa Maometto cominciò a ricevere dall'arcangelo Gabriele la rivelazione della vera parola di Dio, il libro del Corano (Qu'rān), rivelazione definitiva che supera i precedenti testamenti di Dio. Il Corano continuò a essere rivelato al Profeta nel corso della sua vita, e fu compilato dopo la sua morte. La versione ufficiale venne redatta sotto il regno del califfo 'Uthmān (646-656). Il Corano è rimasto immutato, sebbene alcuni studiosi occidentali abbiano sostenuto che il testo attuale risale al IX secolo.L'Arabia, una vasta regione desertica situata alla periferia delle grandi civiltà del Medio Oriente, costellata da oasi in cui venivano praticati il commercio e l'agricoltura, era abitata nell'epoca preislamica da una popolazione tribale, di religione pagana, con un certo numero di enclaves cristiane ed ebraiche. Il VI secolo fu un periodo particolarmente turbolento, caratterizzato da un'aspra competizione delle popolazioni nomadi per risorse scarse, ma fu anche un'epoca di ampliamento di orizzonti. Attraverso il commercio arrivavano nella penisola arabica grano, vino, armi e generi di lusso; i missionari vi portarono l'insegnamento cristiano; gli emissari politici provenienti dagli Imperi confinanti bizantino e sassanide istituirono regni tribali fantoccio e diffusero nuove idee politiche. Una parte della popolazione araba preislamica era animista e politeista e credeva negli spiriti della natura, mentre altri celebravano riti e presentavano offerte in luoghi consacrati quali l'ḥarām della Mecca, e altri ancora erano cristiani, ebrei o monoteisti (ḥanī'f) che non appartenevano ad alcuna comunità religiosa. La Mecca, città natale di Maometto, era l'esempio più tipico di questa società eterogenea: in essa vivevano circa 24 clan della tribù dei Quraish, mescolati a residenti non tribali, a viaggiatori, mercanti e visitatori che accorrevano in occasione del pellegrinaggio e della fiera annuali. Sappiamo dal Corano che si trattava di una società in via di trasformazione, in cui gli antichi legami di fedeltà e l'egualitarismo tribali si andavano dissolvendo via via che alcuni si arricchivano a dismisura mentre altri si impoverivano al di sotto della dignità umana. Vedove e orfani venivano abbandonati.
In questo mondo lacerato da conflitti Maometto portò una riaffermazione in lingua araba dell'esistenza di un unico Dio onnipotente, Allāh, creatore dell'universo - un Dio che esigeva buone azioni e buoni pensieri dalle sue creature, e le avrebbe giudicate nel giorno del giudizio ricompensandole o punendole per l'eternità.
Maometto confidò le sue visioni alla moglie e a un manipolo di seguaci che accettarono l'Islam come loro nuova fede; verso il 613 cominciò a predicare in pubblico, riuscendo a convertire forse un centinaio di persone, ma i Quraish gli opposero una resistenza fiera e sprezzante. L'impegno di Maometto nel mondo sfociò in nuove rivelazioni, che lo indicarono come il profeta mandato da Dio, dopo la lunga serie di profeti ebrei, cristiani e arabi, per indurre gli uomini a pentirsi e ad accettare la parola di Allāh. Il conflitto con i Quraish dimostrò a Maometto che la sicurezza politica era essenziale alla sua comunità; alla fine, allorché l'opposizione alla Mecca divenne schiacciante, egli fece nuovi proseliti nella vicina oasi di Medina, dove fu invitato a diventare il capo della comunità locale e l'arbitro delle dispute tra i vari clan. Ciò portò alla famosa egira (hiǵra), la migrazione di Maometto e dei suoi seguaci dalla Mecca a Medina, che segna l'inizio della comunità e dell'era musulmane (622).Gli anni trascorsi a Medina furono decisivi per il carattere della nuova religione e della nuova comunità dei credenti (umma). A Medina Maometto consolidò il proprio potere politico sconfiggendo i rivali locali ed eliminando con l'esilio e le condanne a morte i clan ebraici della città che si erano rifiutati di accettare la nuova dottrina.
Con l'eliminazione degli ebrei l'Islam si definì come una nuova religione, e non solo come una riforma di quelle preesistenti, come una comunità organizzata di credenti accanto al giudaismo e alla cristianità. Le rivelazioni del Corano asserivano che il puro monoteismo di Abramo - fondatore della Ka'ba, il santuario della Mecca -era la prefigurazione dell'Islam. La Ka'ba, e non più Gerusalemme, divenne quindi la direzione della preghiera (qibla) per i musulmani. Questi intrapresero una guerra per sconfiggere la Mecca e conquistarla, onde fare della città la loro capitale e della Ka'ba il principale tempio dell'Islam. Le tribù dell'Arabia occidentale vennero sconfitte e obbligate ad accettare l'Islam e la sovranità dei musulmani. All'epoca della sua morte Maometto era impegnato in una spedizione esplorativa ai confini dell'Impero bizantino.Negli stessi anni il Corano stabiliva i precetti rituali, morali e giuridici della nuova religione. I cinque pilastri dell'Islam - la professione di fede nell'unico Dio, la preghiera, le elemosine, il pellegrinaggio alla Mecca, l'osservanza del digiuno di ramaḍān - divennero le forme cultuali distintive dei musulmani. Il Corano fissò anche la legislazione relativa alla famiglia, che ratificava sostanzialmente il clan patriarcale preesistente, ma controbilanciava le leggi in materia di divorzio e di successione ereditaria che favorivano i maschi con un insegnamento etico che prescriveva rispetto e considerazione del prossimo, e riaffermava il pieno valore della donna come essere umano. La dottrina coranica metteva l'accento sui valori della bontà e della modestia, dell'autocontrollo e della ragionevolezza, e soprattutto sulla sottomissione al Signore, sull'accettazione incondizionata della sua volontà, e affermava altresì la responsabilità morale individuale degli esseri umani di fronte a Dio.
La nuova religione rappresentava una sintesi creativa di tradizioni arabe, ebraiche e cristiane. Simile al giudaismo e al cristianesimo, in quanto derivato dichiaratamente dai precetti del medesimo Dio quali erano stati rivelati ai suoi profeti, l'Islam si distingueva però da queste due religioni per la sua concezione dell'unità, dell'assoluta trascendenza e del potere incondizionato di Dio. Un sistema etico-giuridico a base religiosa, caratterizzato da elementi derivati dalle tradizioni tribali arabe, si fondeva con le concezioni ebraiche della profezia e della legge e con una visione escatologica di stampo cristiano. Emergeva così una nuova comunità religiosa con un proprio sistema giuridico e un proprio insieme di valori morali e di osservanze rituali. In una società tribale fondamentalmente anarchica era stato così creato un centro politico basato su vincoli di tipo religioso. I clan, i gruppi tribali e le famiglie conservavano la loro identità, ma erano ora unificati nella più ampia comunità dell'Islam. L'autorità tribale era stata rimpiazzata dall'autorità di origine divina del legislatore e profeta.A partire da queste trasformazioni l'Islam assunse quelle caratteristiche che lo definiscono tuttora. La Legge resta l'ideale della vita sociale. La devozione e la profondità spirituale del Profeta costituiscono il modello dei mistici musulmani, i ṣūfī, e di tutti gli altri credenti, mentre le capacità carismatiche e la rettitudine di Maometto continuano a incarnare l'ideale musulmano di leadership. L'unità dei credenti, indipendentemente dall'appartenenza tribale, etnica o di altro tipo, l'unione di autorità politica e autorità religiosa, il perseguimento dell'ordine politico e della giustizia sono tuttora i principî normativi della politica islamica. La caratteristica decisiva dell'Islam sarebbe stata da allora in poi la volontà di agire nel mondo quale forza di trasformazione morale e politica.
La conquista arabo-islamica del Medio Oriente avvenne poco dopo la morte del Profeta. Nel 641 gli Arabi avevano conquistato la Siria, la Palestina e l'Egitto, e nel 656 l'Iran. L'Impero sassanide fu distrutto, e sebbene quello bizantino sopravvivesse per secoli, i territori più importanti delle antiche civiltà mediorientali passarono sotto il controllo degli Arabi. Le conquiste successive, tuttavia, furono assai lente. Solo nel 732 gli Arabi riuscirono a impossessarsi del Nordafrica e di gran parte della Spagna, e solo nel 751 completarono la conquista della Transoxiana spingendosi sino ai confini dell'Asia centrale controllata dai Cinesi. Le terre conquistate vennero governate dai califfi, i successori del Profeta: i Rāshidūn ('retti', 'ben guidati', 632-660), gli Omayyadi (661-750) e gli Abbasidi (750-1258). Sebbene gli Abbasidi abbiano regnato sino al 1258, il loro Impero si era disgregato verso il 945.Le conquiste arabe, tuttavia, non comportarono una islamizzazione immediata del Medio Oriente; l'instaurazione di una civiltà islamica in quest'area fu un processo secolare. Le conquiste stabilirono la supremazia politica e geografica dell'Islam, e fissarono i confini all'interno dei quali la nuova civiltà si sarebbe sviluppata. Il califfato fornì la base istituzionale e politica dell'islamismo quale religione dominante, ma nei primi tre secoli esso era ancora soltanto la religione del califfo e della sua corte, dei conquistatori arabi e di un piccolo, seppur crescente, numero di convertiti che tendevano a migrare verso i grandi centri urbani, le città e i villaggi colonizzati selettivamente dagli Arabi. Verso la metà del IX secolo la grande maggioranza delle popolazioni cristiane, ebraiche e zoroastriane del Medio Oriente non era ancora stata convertita all'Islam.
Solo dopo il crollo dell'Impero abbaside, nel X secolo, il Medio Oriente venne islamizzato. Il crollo dell'Impero segnò l'inizio di un periodo di disordini e di anarchia, in cui i capi militari provinciali e locali lottavano per la conquista del potere. La frontiera orientale tra le popolazioni turche nomadi e quelle mediorientali stanziali venne abbattuta e ondate di popolazioni dell'Asia centrale invasero ripetutamente il Medio Oriente. I primi furono i Selgiuchidi (XI secolo), che crearono un Impero di breve durata e trasferirono il potere politico a piccoli principati, governati da sultani sostenuti da élites militari di Turchi nomadi o da gruppi scelti di soldati schiavi. Al dominio dei Selgiuchidi fecero seguito quelli dei Mongoli (XIII secolo), dei Timuridi e di altri ancora. Le guerre continue causarono un decadimento economico dovuto alla crisi del commercio, dell'agricoltura e dei sistemi di irrigazione, e provocarono una serie di disordini sociali. Le chiese cristiane e i proprietari terrieri cristiani e zoroastriani persero le loro proprietà e non poterono andare in soccorso delle loro genti; i missionari musulmani riuscirono allora a far proseliti tra il popolo. Nel X e nell'XI secolo l'Iran e l'Iraq erano in gran parte musulmani; la Siria e l'Egitto furono convertiti nei secoli successivi. Alla fine i sovrani turchi e mongoli contribuirono a consolidare l'area dell'identità islamica.
La formazione di un nuovo impero e la colonizzazione di numerose città e villaggi da parte di una nuova popolazione araba musulmana favorì la creazione di istituzioni culturali ed educative che avrebbero integrato nella religione islamica l'eredità delle culture greca, persiana, ebraica e di altre culture mediorientali. Da questa sintesi sarebbe emersa nel Medio Oriente una nuova civiltà islamica.Due furono i centri a partire dai quali si sviluppò tale civiltà. In primo luogo le corti dei califfi e dei loro successori nelle capitali delle province dell'impero. Dal VII al X secolo le corti dei sovrani a Damasco, Baghdad e Cordova divennero centri della cultura islamica. Con il crollo del califfato, alla metà del X secolo, il dominio musulmano si frazionò in numerosi Stati provinciali, e ciò ebbe come conseguenza la creazione di molteplici versioni della cultura islamica di corte in luoghi distanti quali Bukhārā, Nīshāpūr, Il Cairo e Fez.
Queste corti non erano solo centri di governo e luogo di residenza dei sovrani, dei loro familiari e del loro seguito: esse ospitavano anche accademie di studiosi, filosofi, scienziati, teologi e poeti, nonché teatri che mettevano in scena spettacoli per intrattenere il sovrano e il suo seguito e per impressionare i sudditi. In una corte tipica era possibile ammirare raffinate decorazioni artistiche, assistere a cerimonie coreografiche, partecipare a dibattiti teologici e a letture di poesia e di storia, effettuare osservazioni astronomiche e assistere a intrattenimenti di musica e di danza. I califfi e i sultani contribuirono così a creare un'identità e una civiltà islamiche basate sulle arti, le scienze e la letteratura.
L'architettura e le decorazioni artistiche simboleggiavano la centralità del sovrano nell'ordinamento del cosmo e della società umana. La filosofia e la scienza erano coltivate quali sistemi universali di pensiero che identificavano il sovrano non solo come principe musulmano, ma anche come patrono di ogni civiltà, come emanazione della legge razionale del cosmo stesso. La letteratura araba, le usanze persiane e le filosofie ellenistiche fornivano la giustificazione storica, etnica e cosmica del dominio dei califfi e dei sultani. Il loro ruolo di promotori della filosofia, della letteratura, della scienza e dell'arte li equiparava ai precedenti sovrani non musulmani del Medio Oriente. Questa attività di promozione culturale intendeva simbolizzare l'investitura divina dei califfi, il loro ruolo di tutori dell'Islam, le realtà universali da cui essi derivavano il proprio potere, la gloria della loro storia passata e la loro superiorità sugli altri esseri umani.Le raffinate culture di cui si fecero promotori califfi e sultani esprimevano inoltre la superiorità delle élites dominanti, che definivano le maniere e lo stile di condotta propri del gentiluomo; le persone di status elevato si distinguevano per la loro cultura, per le loro capacità pratiche come corrispondenti, funzionari, finanzieri, cavalieri, intenditori d'arte, per la loro raffinatezza che li poneva al di sopra delle masse e li legittimava a governare. Le bellezze di questa vita dovevano essere assaporate e gustate, e la capacità di goderne era considerata un segno di elezione, che conferiva ad alcuni il diritto di dominare sugli altri. Questa versione dell'Islam affermava il valore supremo dei beni di questa terra quale segno del favore divino. L'identità islamica nelle cerchie aristocratiche era legata al potere e ai piaceri del mondo.
Il secondo centro a partire dal quale si sviluppò una cultura islamica furono i grandi centri urbani, le città e i villaggi colonizzati dai conquistatori arabi. Nel contesto urbano la dottrina del Profeta venne elaborata in modo diverso rispetto alle corti dei califfi e dei sultani. La cultura islamica sviluppata nei centri urbani rispondeva alle esigenze di una comunità araba originariamente nomade che si trovava per la prima volta in condizioni di sedentarietà, inserita in una popolazione eterogenea in cui si mescolavano cristiani, ebrei e zoroastriani. Allorché le strutture tribali si disgregarono, si costituirono nuove comunità che ponevano a contatto arabi musulmani e convertiti da altre religioni, provenienti anche da altre regioni: in esse lettori del Corano, studiosi dei ḥadīth (i detti e le azioni del Profeta), di diritto e di teologia, mistici, asceti, predicatori e uomini pii diedero vita a cerchie di studiosi e di discepoli per discutere i problemi del giorno e il significato della dottrina coranica e degli insegnamenti del Profeta. Questi gruppi informali di studio e di culto si divisero ben presto in varie fazioni politiche: i sunniti accettavano i califfi in carica, mentre gli sciiti sostenevano le rivendicazioni dei discendenti di 'Alī, genero di Maometto, che si proclamavano gli unici califfi legittimi, e i kharigiti, di orientamento più radicale, denunciavano il regime esistente e sostenevano che doveva essere eletto califfo un musulmano realmente pio e retto, a prescindere dalle sue origini.All'interno della corrente sunnita vi era una notevole varietà di orientamenti in merito alla definizione dell'Islam e dei doveri religiosi dei musulmani. Alcuni dottori sunniti affrontarono il problema di definire una prassi di vita islamica, andando incontro al sentito bisogno di un orientamento nella vita quotidiana. Quali norme, regole e leggi avrebbero dovuto disciplinare i rapporti all'interno della famiglia, con i vicini e con gli estranei? Quali azioni erano giuste e quali sbagliate?
Per rispondere a tali interrogativi alcuni studiosi e dottori sunniti si concentrarono sul Corano stesso per dedurne le norme cultuali e giuridiche fondamentali. Altri si rivolsero ai ḥadīth, resoconti dei detti e delle azioni del Profeta che ampliavano gli insegnamenti del Corano, fornendo esempi autoritativi sulla condotta del buon musulmano. Nel IX secolo i ḥadīth vennero raccolti in varie compilazioni e al fine di agevolarne la consultazione furono divisi per materie: purificazione, preghiera, successione ereditaria, condizione delle donne, reati, ecc., dimodoché si potesse far riferimento all'esempio del Profeta in tutte le questioni, dalle più importanti alle più marginali.Altri studiosi si dedicarono al diritto. A Baṣra, Kūfa, Medina, Damasco, Il Cairo e altri centri, giudici e studiosi si riunivano per discutere casi reali e per elaborare un sistema di norme giuridiche islamiche. Verso il IX secolo questi gruppi avevano dato vita a diverse scuole giuridiche, ognuna delle quali aveva sviluppato un corpus coerente di norme mescolate a precetti etici, morali e teologici. Tali norme hanno come oggetto gli obblighi relativi al culto ('ibādāt), i rapporti sociali (mu'āmalāt) e l'organizzazione della comunità (imāmāt). Il diritto islamico di conseguenza è più simile a quello talmudico che non a un diritto statutario. Le dottrine di ogni scuola giuridica si basavano sul Corano, sui ḥadīth, sul consenso della comunità e sul procedimento analogico, e comprendevano oltre ai precetti islamici elementi del diritto canonico, della giurisprudenza rabbinica, del diritto statutario bizantino e sassanide nonché massime popolari bizantine ed ellenistiche.Un altro gruppo di studiosi preferì incentrare l'attenzione, anziché sui problemi della condotta quotidiana, sulle esigenze spirituali e su tematiche teologico-filosofiche. Alcuni intellettuali, stimolati dalle discussioni con i cristiani e dalla traduzione in arabo di opere filosofiche greche ed ellenistiche, si dedicarono alla speculazione teologica e filosofica sui criteri di appartenenza alla comunità, sul libero arbitrio e sulla responsabilità dell'uomo, sulla natura della fede, delle buone azioni e del peccato. I mutaziliti, gli ashariti, i maturiditi e altre scuole assunsero diverse posizioni in merito alla natura di Dio e al suo rapporto col genere umano.
Nel complesso, tuttavia, nella teologia musulmana prevaleva la tendenza a rifiutare il razionalismo estremo e a sottolineare il valore della fede e la dipendenza dell'uomo da Dio.Altri studiosi e uomini pii perseguirono una religiosità di tipo più emozionale, spirituale e mistico, che trascendesse sia la sfera della vita quotidiana che quella della speculazione intellettuale, e consentisse un'esperienza immediata e personale della realtà di Dio. Asceti e mistici affrontarono quindi una serie di tematiche che erano state già dibattute per secoli nelle altre religioni monoteiste: il valore ultimo della vita terrena, la superiorità del celibato rispetto al matrimonio, della povertà rispetto alla ricchezza, del ritiro dal mondo rispetto al coinvolgimento nelle faccende terrene. Laddove la maggior parte dei musulmani era orientata all'accettazione del mondo, e concepiva anzi l'Islam come adempimento dei precetti di Allāh che regolano la vita nel mondo quotidiano della famiglia, del commercio e della comunità, gli asceti e i mistici svalutavano la vita terrena ed esaltavano la povertà, l'accettazione della volontà divina, la negazione di sé e i servigi resi alla comunità.I mistici, denominati in seguito ṣūfī, diedero vita a varie scuole. La scuola del Khorāsān metteva l'accento sulla rinuncia al mondo, sulla povertà volontaria e sulla ricerca di una unione mistica ed estatica con Dio. Al-Bisṭāmī (m. 873) cercava l'annullamento di sé in Dio; ad al-Ḥallaǧ, che subì il martirio nel 923, vengono attribuite caratteristiche esclamazioni che esprimono la pretesa di una identificazione con Dio, come ad esempio: "Io sono la Verità (ana 'l-ḥaqq)".La scuola di Baghdad ebbe un'impronta più moderata. I suoi esponenti insegnavano che la vera spiritualità ha le sue radici nella vita quotidiana. La vera vita mistica consiste nel dedicarsi alle faccende terrene nell'osservanza del Corano, dei ḥadīth e delle norme giuridiche, nel coltivare sentimenti pii e qualità morali, nonché virtù pratiche quali la pazienza, l'amore, la gratitudine e la fiducia in Dio, in modo disinteressato, senza pretendere in cambio ricompense terrene. Per gli esponenti di questa scuola l'aspetto esteriore della conformità ai comandamenti divini si fondeva con la virtù interiore. Al-Ǧunaid (m. 911), il più noto di questi mistici che propugnavano una conciliazione tra la sfera dell'interiorità e la sfera della vita terrena, insegnava che all'annullamento di sé in Dio (fanā') segue il ritorno dalle visioni estatiche alla sobria realtà della vita quotidiana, vissuta dopo l'esperienza mistica nella salda consapevolezza della realtà dell'essere divino (baqā').
Tra il X e il XIV secolo le diverse correnti presenti nel primo islamismo vennero integrate in una forma canonica dell'Islam. Questo processo di consolidamento si deve soprattutto all'insegnamento e agli scritti di al-Ghazzālī (m. 1111). Questi studiò diritto e teologia a Ṭūs e Nīshāpūr nell'Iran orientale, e all'età di 33 anni venne nominato professore alla scuola di Niẓāmiyya di Baghdad, una delle cariche più prestigiose dell'epoca. Al-Ghazzālī scrisse trattati di argomento giuridico e teologico, insegnò a numerosi studenti e fu consigliere di vizir e principi, ma una crisi personale lo indusse ad abbandonare Baghdad per condurre una vita da derviscio pellegrino. Dopo dieci anni tornò a insegnare a Nīshāpūr, e completò la grande sintesi delle tradizioni islamiche che da allora ha conservato un'importanza centrale per l'Islam. La vita e le opere di al-Ghazzālī sono descritte nella sua autobiografia spirituale Munqid min aldalāl ('Ciò che salva dall'errore').Secondo al-Ghazzālī, il vero scopo della vita umana è il conseguimento della giustizia e dell'armonia nell'animo. Il musulmano modello coltiva la propria vita interiore sviluppando le facoltà etiche e intellettuali che gli consentono di conformarsi alle norme che regolano la vita religiosa, familiare e sociale, e interiormente schiudono in lui la capacità di una visione e comprensione spirituale dell'Essere divino. In questo modo il buon musulmano ascenderà i vari gradi delle virtù mistiche, che culminano nell'amore di Dio e nella visione estatica della verità dell'Essere. Mentre al-Ghazzālī accetta la teologia razionale e alcuni elementi della tradizione filosofica, in una famosa opera intitolata Tahāfut al-falāsifa ('Incoerenza dei filosofi') egli rigetta la filosofia dimostrando che la ragione umana da sola non è in grado di scoprire la verità. Al-Ghazzālī sfrondò inoltre il sufismo e il misticismo dalle loro componenti eterodosse di tipo panteistico, antinomico e gnostico, propugnando una forma flessibile ma moderata di sufismo.La concezione di al-Ghazzālī è una mescolanza di filosofia greca - in particolare l'etica aristotelica -, di teologia musulmana, di prassi islamica e di sufismo moderato, e definirà d'ora in poi l'ortodossia islamica sunnita.I sunniti elaborarono quindi i fondamenti della dottrina coranica e dei ḥadīth, facendo dell'islamismo una cultura religiosa monoteista pienamente sviluppata.
Partendo dal Corano, la dottrina sunnita sostiene che l'universo è stato creato da Dio, il quale ha collocato l'uomo nel mondo perché adempia la sua volontà, offrendogli attraverso la rivelazione una guida e un orientamento, per giudicarlo poi per la sua condotta nel giorno del giudizio. L'ortodossia sunnita fissa anche un codice di comportamento del buon musulmano, che deve adempiere la volontà di Dio attraverso la preghiera, l'osservanza del digiuno, il pellegrinaggio e l'elemosina, come prescrive il Corano, attenendosi alle parole del Profeta, rispettando la Legge e conformandosi alle prescrizioni etiche, morali e giuridiche dell'Islam nella propria vita familiare, lavorativa e sociale. Il buon musulmano dovrà osservare le prescrizioni della sharī'a (Legge), accettando altresì i precetti teologici che definiscono la natura dell'Essere divino e della fede nonché la posizione dell'uomo nel mondo, e riconoscendo in particolare i limiti della ragione nella comprensione delle verità religiose; egli coltiverà inoltre le virtù sufiche e praticherà gli esercizi sufici di meditazione. Il buon musulmano, infine, sarà fedele al principio del califfato quale incarnazione della comunità musulmana ideale.A questi precetti si accompagnavano un ideale di moderazione e la sollecitazione a vivere nel mondo senza esserne schiavi, tenendo sempre presente la vita a venire. Il successo nel lavoro e l'accumulazione di ricchezze erano rispettati, al pari delle ineguaglianze di beni e proprietà, ma si condannavano gli eccessi, lo sperpero e l'ostentazione. La ricchezza doveva essere temperata dalla generosità e dalla carità nei confronti dei meno fortunati. Analogamente, la sessualità era considerata un dono di Dio finalizzato alla perpetuazione della specie, ma i rapporti sessuali extramatrimoniali, la fornicazione e l'adulterio non erano ammessi. Nell'ambito politico, l'esercizio del potere veniva considerato essenziale per la sicurezza, la tutela della comunità e la soppressione del male, ma i musulmani pii guardavano con sospetto la corruzione, la violenza e l'arbitrarietà dei governi. Molti di essi rifuggivano dalla partecipazione ai regimi politici, sebbene gli 'ulamā', i dottori sunniti, avessero elaborato delle forme di collaborazione con lo Stato. Essi avevano il compito di amministrare la legge musulmana, di consigliare i sovrani e di sollecitarli a essere clementi e giusti con i loro sudditi. I sunniti accettavano anche il retaggio dei clan, dei lignaggi e delle strutture tribali e clientelari delle società mediorientali. In sintesi, l'orientamento sunnita era caratterizzato dall'accettazione del mondo, senza peraltro conferirgli una piena legittimazione morale in se stesso, e dall'aspirazione al ripristino dell'autentico califfato.Questo variegato insieme di orientamenti religiosi e filosofici, sviluppatosi nelle città musulmane del Medio Oriente nei primi secoli dell'islamismo, costituisce la classica e duratura espressione della fede islamica.
La sistematizzazione sunnita dell'Islam non ebbe un cammino privo di ostacoli. All'interno della corrente sunnita vi furono vivaci dibattiti sulla validità dei differenti orientamenti religiosi. I teologi condannavano l'eccessivo razionalismo dei filosofi; gli studiosi dei ḥadīth condannavano entrambi per la loro superbia e per l'esaltazione delle facoltà razionali che consentirebbero all'uomo di comprendere la verità di Dio. I giuristi criticavano la spiritualità indisciplinata dei ṣufī; questi ultimi rigettavano gli aridi ritualismi dei giuristi. I ṣufī moderati e i mistici più radicali si scontravano sul modo di concepire l'Islam, inteso dai primi come una religione che afferma il valore della vita in questo mondo, e dai secondi come una religione improntata alla negazione del mondo.
All'interno dell'orientamento sunnita vi furono due principali alternative alla sistematizzazione canonica dell'Islam. La prima era una forma di islamismo di stampo teosofico, filosofico o gnostico. Tale concezione, derivata in parte dalla filosofia ellenistica e dal neoplatonismo, era caratterizzata da una visione dualistica dell'universo, secondo cui da Dio sarebbero emanati, o irradiati, gradi successivi di esistenza spirituale, le intelligenze e le sfere celesti, prodotto della autocontemplazione divina. Al confine dei diversi livelli di realtà spirituale vi è il mondo terreno creato, formato in base ai principî perfetti dell'esistenza spirituale ma corrotto dalla presenza della materia. Gli esseri umani appartengono a entrambe le sfere; materiali nel corpo, hanno però un'essenza spirituale o razionale che li rende partecipi dell'Essere divino. Compito dell'uomo è quello di superare i condizionamenti della materialità per diventare puro essere, riunito per stadi successivi ai diversi livelli della realtà spirituale. In questa concezione il destino necessario dell'anima umana è il ricongiungimento con Dio, la ricerca di una trascendenza contemplativa o il superamento dei confini della vita terrena nella purezza dell'universo spirituale.Questa corrente contemplativa di stampo gnostico ebbe varie versioni filosofiche e sufiche. I suoi principali esponenti nell'ambito della filosofia furono al-Fārābī (m. 950) e Avicenna (980-1037), nell'ambito del sufismo i mistici al-Shurawardī (1153-1191) e Ibn al-'Ārabī (1165-1240). Secondo quest'ultimo, il mondo creato è un'emanazione della realtà divina e partecipa dell'Essere divino. La gerarchia dell'esistenza forma un continuum che partendo da un Dio trascendente si estende sino alle forme inferiori dell'essere. In questa gerarchia gli esseri umani si collocano al confine tra il dominio spirituale e quello materiale. Attraverso la comprensione del simbolismo di questa realtà la mente umana può elevarsi al livello dell'esistenza spirituale. La concezione di Ibn al-'Ārabī rappresenta il culmine della teoria gnostica secondo cui la redenzione scaturisce dalla contemplazione spirituale o razionale della natura dell'essere, in opposizione alla concezione ortodossa che vedeva l'Islam come compimento religioso attraverso l'azione nel mondo.
La seconda alternativa all'ortodossia sunnita è costituita dal sufismo cosiddetto 'popolare', che ebbe nondimeno seguaci in tutti i ceti sociali. Questa forma di sufismo si differenzia dalle correnti mistiche sia estremiste che moderate in quanto non si pone come obiettivo la comprensione razionale, la visione spirituale o lo sviluppo di qualità interiori di tipo etico, emozionale o intellettuale, bensì si basa sulla fede in un Dio onnipotente e protettivo, che manifesta la sua presenza nel mondo attraverso i miracoli dei santi e degli uomini pii; questi non sono semplici esseri umani che hanno perfezionato le qualità spirituali, bensì emanazioni dell'Essere divino, guaritori, maghi, taumaturghi e intermediari tra l'uomo e Dio, in grado di trasmettere il suo potere attraverso i miracoli (baraka). Questo tipo di sufismo diede luogo a una forma particolare di culto, che trova espressione nella venerazione dei santi, dei loro discendenti e discepoli e delle loro tombe, che si ritiene continuino a emanare poteri miracolosi. Una forma comune di culto islamico, quindi, è la venerazione delle tombe, mete di pellegrinaggio da parte dei fedeli che vi recano doni in cambio dell'intercessione del santo presso Allāh.
All'esterno dell'area sunnita la prima sfida all'Islam normativo venne dalla shī'a ('partito'), cui aderivano coloro che riconoscevano la pretesa di 'Alī e dei suoi discendenti di essere gli unici califfi legittimi. Originariamente si trattò di una rivendicazione politica sostenuta dai Banū Ḥāsim, i membri della famiglia di 'Alī, dalle loro clientele e da altri, attratti dalla vicinanza di 'Alī al Profeta e dalle sue virtù personali. 'Alī conseguì il califfato (656-661) a seguito dell'uccisione del califfo in carica 'Uthmān, e la sua ascesa al potere provocò una serie di guerre civili che culminarono con la sua uccisione e con l'avvento degli Omayyadi. La famiglia di 'Alī giustificò allora le sue rivendicazioni politiche richiamandosi alla propria investitura divina; il figlio di 'Alī, Ḥusain, ucciso nella battaglia di Kerbelā' (680) fu considerato un martire. Ben presto la shī'a si divise in varie sette, ognuna delle quali sosteneva un differente discendente di 'Alī quale guida legittima della comunità musulmana.Il crollo degli Omayyadi nel 750 e l'ascesa al potere degli Abbasidi contribuirono a un ulteriore frazionamento settario della shī'a. La comunità sciita di Baghdad, guidata da Gia῾far ben Muḥammad, detto aṣ Ṣādīq, 'il fedele' (m. 765), abbandonò l'attività politica trasformandosi in una setta la quale sosteneva che ogni imām (guida spirituale) della discendenza di 'Alī era senza peccato e quindi costituiva la guida infallibile per l'interpretazione del Corano e della verità dell'Islam.
Nell'874, con la morte dell'undicesimo imām, la stirpe di 'Alī si estinse; gli sciiti di Baghdad si convinsero che il dodicesimo imām non era morto, bensì rimaneva nascosto, e che avrebbe fatto ritorno come mahdī, ossia come messia, alla fine del mondo. Gli sciiti imamiti o duodecimani svilupparono una propria tradizione dei ḥadīth e di studi giuridici e teologici, stabilirono un proprio calendario di festività rituali, attribuendo un'importanza particolare al pellegrinaggio e alla venerazione della tomba di 'Alī conservata ad al-Naǧaf e di quella di Ḥusain a Kerbelā'. Gli sciiti divennero quindi un gruppo di fedeli in esilio nel mondo.Un'altra setta sciita, formata dai seguaci del figlio di Gia'far, Ismā'īl, sviluppò dottrine analoghe per quanto riguarda la natura divina degli imām. Gli ismailiti elaborarono una complessa cosmologia, in cui a cicli di profeti seguono cicli di imām sino alla fine della storia, allorché Ismā'īl, il settimo imām del settimo ciclo di profeti, farà ritorno come mahdī, il messia, per instaurare un'era di eterna giustizia. Gli ismailiti o settimiani, a differenza degli imamiti o duodecimani, rimasero politicamente attivi e cercarono di far proseliti tra le minoranze tribali e contadine in Arabia, Siria, Iraq, Nordafrica e nelle città iraniane. Questa setta di carattere rivoluzionario portò al potere i Fatimidi in Nordafrica e in Egitto e altre dinastie nelle regioni del Mar Caspio e del Golfo Persico.Sebbene i sunniti e gli sciiti, specialmente quelli imamiti o duodecimani, abbiano concezioni analoghe per quanto riguarda la devozione nella vita quotidiana, i loro orientamenti religiosi differiscono radicalmente. Mentre i sunniti credono nel rispetto della Legge, nell'ortodossia e nell'intuizione mistica, gli sciiti ritengono che la vera religione consista nella fedeltà all'imām, il quale dopo la morte del Profeta costituisce un legame vivente con Allāh. Mentre i sunniti in generale accettano la vita in questo mondo, considerato il terreno della disciplina religiosa e addirittura di una parziale realizzazione religiosa, gli sciiti - che avevano perso il controllo del califfato e avevano assistito al martirio di Ḥusain - si sentono delusi dal mondo e ne avvertono la corruzione, idealizzando nostalgicamente gli imām dei tempi antichi e anelando al ritorno finale del messia. Mentre i sunniti tendono ad accettare il mondo, gli sciiti aspirano alla redenzione.
I differenti orientamenti ideologici e religiosi sopra illustrati erano incarnati in una miriade di comunità. Il periodo classico di consolidamento della religione e della cultura islamica (dall'VIII al XIV secolo) fu anche l'epoca di un consolidamento sociale e comunitario. L'Islam non era solo una fede religiosa, ma anche il fondamento di appartenenza alla comunità musulmana.L'epoca di Maometto aveva lasciato un retaggio di numerose famiglie, clan e tribù integrate dalla fede comune in una singola umma musulmana. L'umma non annullava le strutture familiari al suo interno; piuttosto, i due sistemi coesistevano sebbene fossero organizzati in base a principî diversi. Il Profeta era nello stesso tempo capo della religione, legislatore e guida politica della nuova comunità.
Nel più ampio mondo mediorientale che i musulmani conquistarono, tuttavia, essi trovarono una struttura sociopolitica diversa. Nell'Impero bizantino e in quello sassanide non vi era identità tra Stato e comunità religiosa. All'interno delle organizzazioni politiche esistevano grandi organizzazioni religiose, come le chiese. Nell'Impero bizantino erano presenti varie chiese cristiane: le chiese di Roma e di Costantinopoli, quelle monofisite siriane ed egiziane, quelle nestoriane mesopotamiche, e altre ancora. Nell'Impero sassanide la popolazione era organizzata in comunità zoroastriane guidate dai mobēd, in chiese cristiane e in congregazioni ebraiche. A loro volta le comunità religiose si articolavano in tribù, famiglie e singoli individui. Si aveva dunque una struttura tripartita in cui l'autorità politica era distinta da quella religiosa: imperatori, capi religiosi e notabili locali erano a capo di strutture di potere distinte. Nel corso del tempo la comunità islamica dell'epoca maomettana si sarebbe trasformata assumendo la struttura tripartita mediorientale.La prima istituzione musulmana fu il califfato: il califfo, successore del Profeta, ne ereditava i pieni poteri in materia sia religiosa che politica. Il califfo fu in un primo tempo l'unica espressione istituzionale dell'umma; sotto la pressione delle circostanze, tuttavia, esso assunse sempre più un ruolo puramente politico. Le dispute sulla successione, nonché la cattiva fama di violenza e arbitrarietà nell'esercizio del potere indebolirono l'autorità dei califfi. Poiché il compito di governare i nuovi territori si dimostrava sempre più gravoso, i califfi vennero inevitabilmente influenzati dalle concezioni e dalle prassi politiche imperiali bizantine e sassanidi.
Nello stesso tempo la leadership religiosa dei musulmani nelle cittadine e nei villaggi colonizzati dai conquistatori arabi fu affidata ai seguaci o ai discepoli dei seguaci del Profeta: lettori del Corano, dottori di diritto e di teologia ('ulamā'), asceti e mistici che elaborarono e codificarono i principî dei ḥadīth, del diritto, della teologia e del misticismo su cui ci siamo soffermati in precedenza. La struttura delle comunità islamiche era determinata da differenze politiche. Coloro che rigettavano l'autorità dei califfi in carica, come i kharigiti e gli sciiti, diedero vita a comunità religiose separate. I sunniti, che in linea di principio accettavano l'autorità del califfo, erano divisi in varie scuole giuridiche. Ne sopravvivono quattro: la hanafita, la malikita, la shafiita e la hanbalita, tutte dotate di eguale autorità sebbene si differenzino nei singoli aspetti. All'interno dell'area sunnita esistevano anche diverse scuole teologiche, nessuna delle quali in via di principio può essere considerata ortodossa, ma che sono accettate come varianti legittime della fede musulmana. Infine, la maggior parte dei musulmani era affiliata alle varie confraternite sufiche, di cui esistevano numerosi ordini destinati a moltiplicarsi nel corso dei secoli. L'esistenza di vari gruppi religiosi all'interno dell'Islam sunnita significava che non vi era alcuna autorità centrale, né un'organizzazione comune o 'chiesa', bensì piuttosto una pluralità di capi religiosi e di comunità indipendenti. L'Islam pertanto non ha un'ortodossia definita.Le scuole giuridiche furono le prime a consolidarsi. Nate come gruppi di studio dediti all'elaborazione del diritto, tali scuole assunsero molte importanti funzioni politiche e amministrative. Verso il IX secolo esse fornivano giudici (qādī), consiglieri in materie legali (muftī), funzionari di corte, testimoni e notai ufficiali per la stesura di contratti e di altri documenti legali, responsabili di amministrazioni fiduciarie, intestazioni di beni, ecc. e, soprattutto, insegnanti. Nel X secolo i dottori delle varie scuole di diritto avevano iniziato a fondare degli istituti di istruzione che fungevano anche da collegi per gli studenti, sovvenzionati da lasciti e donazioni. Nel periodo di disordini che seguì il crollo dell'Impero abbaside giudici e giureconsulti, dottori e maestri si occuparono anche della pubblica amministrazione, sovrintendendo alla riscossione delle imposte, all'ordine pubblico, alla giustizia, ai lavori pubblici, alla risoluzione delle dispute e ai collegamenti tra le comunità locali e le autorità politiche. Nell'XI secolo le scuole di diritto, in qualità di comunità giuridico-religiose, erano diventate la base dell'organizzazione sociale e religiosa dei musulmani in tutto il Medio Oriente.
La seconda caratteristica istituzione della comunità musulmana, le confraternite sufiche o ṭarīqa, si sviluppò più tardi. Al pari dei giuristi, i ṣūfī formarono anch'essi gruppi di studio informali che facevano capo a famosi maestri. Tali gruppi fondarono dei cenobi che fungevano da centri per l'insegnamento e per le attività missionarie. Nell'XI e nel XII secolo le autorità politiche appoggiarono tali gruppi, e i ṣūfī stessi rafforzarono l'autorità degli insegnanti sugli studenti, rinsaldando i legami tra maestri e discepoli. I maestri creavano piccole comunità e inviavano i loro discepoli migliori per fondare nuove 'filiali' in cui venivano praticati gli stessi esercizi spirituali della casa madre. Queste filiali facevano risalire la propria origine a un padre fondatore, e tutte quelle che avevano lo stesso maestro o santo fondatore si consideravano parte della stessa confraternita. Si formarono così le grandi ṭarīqa quali la Qādiriyya, la Shurawardiyya, la Shadhiliyya e altre. Nel XIV secolo tutti i musulmani probabilmente erano affiliati a una scuola di diritto e a una confraternita sufica. Qui essi trovavano gli strumenti e i meccanismi per organizzare la vita della comunità locale e per conservare i propri legami con la più ampia comunità mondiale dei musulmani.Il fatto che i maestri ṣūfī fossero venerati come santi e intermediari tra Dio e gli uomini ebbe anche importanti conseguenze politiche e sociali. I ṣūfī avevano il compito di facilitare i negoziati tra gruppi politici, di formare coalizioni politiche locali, di fare da mediatori nelle controversie, di aiutare nella scelta dei capi, di organizzare il commercio esterno, di insegnare ai giovani, di guarire gli infermi, di officiare nei riti di passaggio e di celebrare le festività. Queste funzioni sociali spesso si svolgevano presso le tombe dei santi, che erano dotate di lasciti e donazioni gestiti dai discendenti, e fungevano da centri di associazione per tutti coloro che veneravano il sepolcro e credevano nei poteri miracolosi del santo che vi era sepolto.
In pratica, dunque, nei primi due secoli dell'Islam si andò affermando una separazione tra il califfato - che continuava a simbolizzare la totalità dell'umma musulmana e a tenere le redini politiche degli imperi - e le numerose, piccole comunità religiose che incarnavano l'autentica dimensione religiosa e dottrinale dell'Islam.
Questa scissione tra autorità politica e autorità religiosa si consolidò a seguito di uno scontro decisivo nel IX secolo. Per frenare l'erosione della propria autorità religiosa, il califfo al-Ma'mūn (che regnò dall'813 all'833) pretese che tutti i dottori di teologia riconoscessero il suo diritto di legiferare in materia religiosa, e in particolare che accettassero la dottrina della natura creata del Corano. Gli studiosi dei ḥadīth, guidati da Aḥmad ibn Ḥanbal, rifiutarono di sottomettersi e alla fine costrinsero il califfo ad abbandonare le sue pretese. Alla metà del IX secolo nell'area islamica vi erano di fatto due tipi di autorità, corrispondenti allo Stato e alla comunità musulmana.Alla fine del X secolo era giunto il momento di impostare su nuove basi il rapporto tra lo Stato e le comunità religiose. I califfi avevano perso i loro poteri effettivi di governo, e la miriade di Stati mediorientali erano governati da sultani sostenuti da un esercito di nomadi e schiavi, legittimati in parte, in termini non islamici, da una nobiltà tribale e dinastica e dalla promozione di una cultura cosmopolita derivata da civiltà locali non musulmane. Se lo Stato non rappresentava più l'incarnazione dell'Islam, esso continuava però ad avere una funzione per la comunità musulmana: i sultani avevano il compito di difenderla dai nemici esterni e, all'interno, dai criminali, dagli eretici e dalla violenza delle fazioni. Ai sovrani era demandato inoltre il compito di patrocinare le istituzioni sociali e culturali della comunità islamica. Essi quindi fecero costruire e sovvenzionarono varie madrasa, ossia scuole di diritto e teologia, nonché cenobi per i ṣūfī. In cambio i ṣūfī e gli 'ulamā' appoggiavano l'autorità statale, collaboravano a volte col governo per la riscossione delle imposte, amministravano la legge e le questioni locali insieme alle élites militari al potere, esortavano il popolo a sottomettersi all'autorità statale. Nacque così un sistema di rapporti di cooperazione tra lo Stato e le élites religiose islamiche che sarebbe durato sino al XIX secolo. Nonostante il permanere dell'ideale musulmano di unità di Stato e religione, molte società islamiche premoderne erano caratterizzate da istituzioni, élites e legittimazioni culturali separate per lo Stato e per la comunità religiosa.La collaborazione tra capi politici e religiosi non impedì che l'Islam costituisse anche la base di una opposizione allo Stato. Più volte i movimenti riformistici invocarono una purificazione della società corrotta, la riunificazione di autorità politica e autorità religiosa e la creazione di autentici Stati islamici. I Fatimidi in Nordafrica ed Egitto (X secolo), i Safawidi nell'Iran nordoccidentale (XIV e XV secolo) e il califfato di Sokoto nell'Africa occidentale (XIX secolo) mobilitarono le popolazioni contadine, nomadi e montanare che rifiutavano di accettare l'autorità dei sultani e le dottrine degli 'ulamā' ufficiali e dei ṣūfī delle città. Alcuni leaders popolari ṣūfī e sciiti condussero ripetutamente delle guerre sante contro i regimi costituiti, e a volte riuscirono a impadronirsi del potere. Questi movimenti di opposizione rinnovavano l'ideale maomettano dell'unificazione sociale di popolazioni frammentate, e abbracciavano versioni riformiste dell'Islam. L'Islam costituì dunque nello stesso tempo un simbolo degli Stati, delle comunità religiose locali alleate a tali Stati e dei movimenti utopici di opposizione.
La civiltà islamica classica era destinata a espandersi penetrando in nuove regioni e in nuovi continenti. Prima della metà dell'VIII secolo le conquiste arabe stabilirono la presenza islamica in Nordafrica e in Spagna; nel X secolo cominciarono a essere convertite le popolazioni turche dell'Asia centrale, e nei secoli successivi i conquistatori turchi portarono l'Islam verso occidente, nell'Anatolia e nei Balcani, dove sostituirono l'Impero ottomano all'Impero bizantino. Inoltre essi portarono l'Islam dall'Afghanistan e dall'Asia centrale nel subcontinente indiano; quindi lo fecero penetrare nel cuore dell'Asia e della Cina.
Così come era accaduto nel Medio Oriente, anche in questo caso i conquistatori insediarono una nuova élite al potere e introdussero nuclei di popolazione musulmana e istituzioni religiose e politiche islamiche; ovunque essi furono accompagnati da 'ulamā' e da maestri ṣūfī. I clienti dell'élite politica furono in genere i primi a essere convertiti. In seguito i missionari fecero proseliti tra la popolazione locale non solo attraverso la predicazione, ma anche rendendosi utili come educatori, arbitri nelle dispute locali e guaritori, impegnandosi in attività caritatevoli e persino promuovendo la bonifica delle terre e lo sviluppo dell'agricoltura. Ci volle parecchio tempo, tuttavia, perché il fascino del potere si traducesse in conversioni di massa.
In altre aree del mondo, come ad esempio in Indonesia, nell'Africa orientale e in quella subsahariana, l'Islam non fu introdotto da guerrieri ma da mercanti e missionari ṣūfī. La presenza di abili mercanti e di raffinati studiosi musulmani ebbe come conseguenza la conversione dei sovrani locali, interessati allo sviluppo delle reti commerciali e a un ausilio nell'amministrazione. La conversione dei sovrani aprì la strada alla conversione della gente comune da parte dei missionari e dei maestri ṣūfī. L'Islam si affermò così nel Sudest asiatico tra il XIII e il XVII secolo e in diverse zone dell'Africa subsahariana a partire dal X secolo, presentandosi in tutte le regioni del Vecchio Mondo come una forza in trionfale espansione.Nei territori conquistati fiorirono nuove civiltà, che integrarono la cultura e le istituzioni islamiche mediorientali con le credenze religiose e le istituzioni politico-sociali locali. Sebbene ogni regione presentasse caratteri specifici che la differenziavano dalle altre, si possono fare alcune generalizzazioni per quanto riguarda l'elaborazione globale dell'Islam nei territori conquistati dai musulmani.
In primo luogo, si formò una rete internazionale di Stati e di Imperi islamici che includevano l'Impero ottomano in Anatolia, nel Medio Oriente arabo, in Nordafrica e nei Balcani, l'Impero safawide in Iran, l'Impero moghūl nel subcontinente indiano, quello shaibanide nell'Asia centrale, nonché una serie di piccoli Stati musulmani nell'Asia centrale, in Indonesia, nell'Africa subsahariana e in altre parti del mondo.
In generale, i sultani o i sovrani degli Imperi si considerarono tutori dell'Islam; adottarono istituzioni educative e giudiziarie musulmane, patrocinarono le confraternite sufiche e difesero l'Islam contro le popolazioni non musulmane. La difesa dell'Islam o, come nel caso ottomano, la sua espansione aggressiva fu la principale giustificazione del loro insediamento al potere.Nello stesso tempo sultani e sovrani cercarono di consolidare una base di legittimazione indipendente dall'Islam. Proseguendo la tradizione delle dinastie preislamiche, essi promossero lo sviluppo di una civiltà laica come base della propria autorità, patrocinando la costruzione di palazzi e moschee, l'arte della pittura e della miniatura dei libri, l'artigianato dei tappeti, delle ceramiche e dei metalli, la musica, la scienza e la filosofia, al fine di simbolizzare una missione culturale universale e cosmopolita, separata dall'Islam o addirittura al di sopra di esso. Alcuni sovrani, come ad esempio Akbar, imperatore indiano, e molti principi dell'Africa occidentale, crearono una propria forma di culto islamico, di solito combinando concezioni musulmane con elementi delle religioni non islamiche locali. I sovrani si proclamavano eletti direttamente da Dio e si consideravano santi e messia per diritto di nascita. Queste religioni di corte miravano a conquistare l'appoggio di una aristocrazia ibrida formata da notabili musulmani e non musulmani, e a sancire la sacralità del sovrano in modo da rendere lo Stato indipendente dalla sua legittimazione islamica. Da questi sforzi scaturirono alcune delle espressioni più straordinarie della cultura islamica dell'epoca imperiale: le moschee dell'Impero ottomano, le miniature dei manoscritti persiani, la musica indiana e via dicendo.
Per tutti gli Stati musulmani si poneva il problema dei rapporti con le varie comunità religiose organizzate presenti nei loro territori. Per quanto riguarda le popolazioni non musulmane, tipico fu il sistema ottomano dei millet, in cui le comunità non musulmane erano tutelate dallo Stato e regolamentavano in piena autonomia le proprie questioni interne in materia di religione e di rapporti familiari e sociali; in cambio erano tenute a pagare le imposte e a riconoscere l'autorità dei sultani. Le popolazioni non musulmane erano considerate autogovernate entro la compagine dell'Impero.
Per quanto riguarda le comunità musulmane, i loro rapporti con gli Imperi variavano da caso a caso, ma la tendenza fondamentale era quella di una integrazione degli 'ulamā' nell'apparato amministrativo. Negli Imperi ottomano e safawide i sultani sostennero le istituzioni educative e giudiziali musulmane, e ne fecero elementi comuni della burocrazia statale; dai sultani dipendevano le nomine alle madrasa e alle cariche giudiziali più importanti; gli 'ulamā' divennero burocrati di carriera e le scuole giuridiche dipartimenti dello Stato.
Un altro fattore comune fu l'accettazione del sufismo in varie forme quale principale espressione della fede, del culto e dell'identità sociale islamici. Gli 'ulamā' stessi accettarono il sufismo nella sistemazione operata da al-Ghazzālī, come forma di illuminismo religioso. Anche le confraternite sufiche, le dinastie di maestri e di uomini pii nonché le tombe dei santi contribuivano a inquadrare le masse musulmane in un ordinamento sociale islamico. L'organizzazione sociale di base del sufismo si imperniava sui singoli maestri di un distretto, di una città o di un villaggio, sui loro discepoli e sui loro seguaci laici. I musulmani si rivolgevano ai maestri ṣūfī per riceverne consigli spirituali e assistenza pratica, effettuavano gli esercizi spirituali sufici (ḏikr) e veneravano le tombe dei santi, invocando il loro intervento miracoloso nella vita quotidiana. Generalmente il santuario o la tomba del padre fondatore o del santo costituiva la casa madre delle confraternite. L'autorità dei ṣūfī veniva trasmessa di generazione in generazione, dai maestri ai discepoli e dai padri ai figli. Si ebbero così delle dinastie o famiglie di santi - come i mir e i khawaga in Asia centrale e gli shurafa' in Marocco. I legami tra maestri e discepoli crearono reti musulmane regionali e addirittura mondiali di logge sufiche correlate. Ovunque le comunità musulmane erano contraddistinte dalla presenza di maestri ṣūfī con i loro discepoli insediati nelle madrasa, nei cenobi e nei santuari, da un certo numero di luoghi sacri con i loro custodi, e da pellegrini mendicanti che affollavano le strade e i vicoli dei villaggi.
In molte regioni la struttura della comunità musulmana si basava su versioni settarie dell'Islam. La dinastia safawide che conquistò l'Iran nel 1500 fece della shī'a la religione dell'Iran. Ampi nuclei ismailiti si trovavano nelle regioni intorno all'Oceano Indiano, nell'Africa orientale e nell'India occidentale. Comunità kharigite erano presenti nell'Arabia orientale, nelle regioni del Golfo Persico e nei territori che costituiscono attualmente la Tunisia e l'Algeria meridionali.Le forme del culto erano altrettanto diversificate quanto le strutture delle varie comunità. Ogni scuola giuridica, ogni confraternita o discendenza sufica e, invero, ogni singolo maestro introdussero le proprie variazioni nella sinfonia globale dell'Islam. La versione forse più comune dell'islamismo era una sintesi delle principali forme di culto. Gli studiosi che aderivano alle prescrizioni della Legge seguivano anche le pratiche devozionali sufiche, e nello stesso tempo provvedevano alla conservazione delle tombe e dei santuari in cui la gente del popolo cercava l'aiuto miracoloso dei santi e di Dio. Anche i musulmani colti credevano nel potere dei talismani e praticavano la divinazione.
Oltre a questa prassi largamente sintetica, il culto islamico offriva un quadro assai variegato. Accanto alle varie scuole teologiche, giuridiche e mistiche, possiamo così trovare culti sincretici praticati nelle corti e nelle cerchie aristocratiche, che mescolavano simboli religiosi musulmani e non musulmani; forme di sufismo teosofiche, gnostiche e panteistiche; culti popolari delle tombe e dei santi, nonché una pletora di pratiche magiche locali. Molti musulmani inoltre seguivano le autorità, le tradizioni e le feste sciite, e veneravano le tombe di 'Alī e di Ḥusain.Forse, tuttavia, la divisione più profonda era quella che opponeva da un lato quanti credevano che l'identità islamica richiedesse una riforma, l'abbandono delle comunità e delle credenze tradizionali e l'accettazione di un particolare stile di vita derivato dal Corano, della cultura religiosa classica e delle sue tradizioni testuali giuridico-teologiche e mistiche, nonché l'adozione di pratiche sociali - in particolare la segregazione delle donne - che si riteneva fossero i tratti distintivi della fede islamica, e dall'altro coloro per i quali le antiche identità comunitarie, le credenze e le pratiche religiose tradizionali continuavano immutate, ma erano ora qualificate come 'islamiche'. Per costoro l'Islam costituiva un'affiliazione religiosa senza essere il fondamento di una trasformazione radicale del loro modo di vivere. Ovunque, accanto ai culti e alle credenze islamiche universali, era dato trovare una varietà di credenze, di culti, di pratiche magiche, di feste, di mete di pellegrinaggio e di cerimonie prettamente locali. Anche queste espressioni erano Islam. Il periodo imperiale fu, paradossalmente, l'epoca del consolidamento e nello stesso tempo della diversificazione del culto islamico.
A partire dal XVIII secolo si sono avute varie ondate di movimenti tesi a una riforma, a una ricostruzione, a una rinascita e a una modernizzazione dell'Islam. Tali movimenti hanno costituito una risposta a un universo politico ed economico in trasformazione, che ha ispirato ripetutamente ripensamenti della natura dell'Islam e del suo ruolo nel mondo contemporaneo.I movimenti di riforma (tagdid) che cominciarono nel XVIII secolo furono fondamentalmente una riaffermazione dell'ortodossia islamica, rappresentata dalla sintesi di sunna, sharī'a e misticismo sufico operata da al-Ghazzālī. Questa riaffermazione si espresse principalmente nella volontà di purificare l'Islam dalle pratiche religiose popolari prevalenti e dall'eccessivo scolasticismo nel diritto e nella teologia, in nome di un ritorno ai fondamenti dell'Islam - ossia il Corano e i ḥadīth del Profeta -, ai principî ma non ai dettagli della legge, nonché alle forme moderate di sufismo.La riaffermazione dell'ortodossia islamica fu principalmente una reazione contro il proliferare di sette, scismi e culti islamici alternativi - le correnti sciite diffuse in India e in Iran, le culture di corte che mescolavano credenze islamiche ed elementi di religioni non islamiche, il misticismo gnostico e teosofico, i culti popolari che incoraggiavano la credenza nel potere magico dei santi e la celebrazione di feste di tipo pagano presso le loro tombe - ma fu anche una reazione al consumo di caffè, di tabacco e di hashish. I movimenti riformisti proponevano un ideale di moderazione e di autodisciplina nella dottrina, nel culto e nella prassi sociale dell'Islam.La riaffermazione dell'ortodossia islamica fu favorita da un insieme di importanti trasformazioni politiche ed economiche, prima fra tutte il crollo dei principali Imperi musulmani. Nel XVIII secolo l'Impero safawide si era sfaldato e l'Iran era passato sotto il dominio di tribù afghane e turche; l'Impero ottomano andava via via perdendo il controllo delle sue province; l'Impero moghūl era minato dai conflitti etnici e dalle invasioni europee.
Un analogo declino degli Stati musulmani si andava verificando in tutto il mondo, determinando inquietudini politiche e un cambiamento negli equilibri locali del potere. L'autorità degli 'ulamā' associati ai regimi degli Stati musulmani venne sovvertita, e i capi religiosi che si erano tenuti fuori dagli apparati di governo furono incoraggiati a mobilitare la popolazione in sostegno dei movimenti di riforma islamici. In molte regioni si andarono organizzando nuove coalizioni tribali per affrontare i rischi e cogliere le opportunità politiche che nascevano dal declino degli Imperi.Trasformazioni meno diffuse ma egualmente importanti si erano verificate inoltre a seguito dell'espansione delle reti commerciali europee e dell'insediamento di basi coloniali e commerciali europee nella regione dell'Oceano Indiano. A Sumatra e in India, ad esempio, la commercializzazione dell'agricoltura e l'espansione delle città determinarono un'aspra competizione tra i vecchi proprietari terrieri e le nuove élites imprenditoriali, la disgregazione delle comunità contadine e l'aumento di popolazioni urbane sradicate.
In questo quadro di cambiamento politico, di trasformazione economica e di conflitto religioso fecero la loro comparsa vari leaders riformatori in India, nell'Impero ottomano, in Marocco e in altre aree. Attraverso la pratica del pellegrinaggio e l'abitudine di pellegrini e studiosi di trascorrere lunghi periodi di studio e di insegnamento nei luoghi sacri della Mecca e di Medina, le due città divennero i principali centri del movimento riformista. In esse altri pellegrini imparavano le nuove dottrine, e al loro ritorno diffondevano le idee riformistiche, spesso in regioni alle prese con conflitti tribali e con lo sviluppo agricolo e commerciale. Così il movimento dei wahhabiti in Arabia, i movimenti dei pathan nell'India settentrionale, dei fara'izi nel Bengala, dei padri a Sumatra e dei senussi in Libia, sebbene differissero notevolmente nei loro caratteri specifici, rientrano tutti nel quadro della diffusione mondiale della riforma musulmana nel XVIII e nel XIX secolo.
Nel XX secolo il riformismo sarà la dottrina portante nella lotta della Libia, della Tunisia e del Marocco contro il dominio coloniale, e il fondamento dell'identità nazionale di questi paesi.Il riformismo islamico esercitava un notevole richiamo in quanto 'simboleggiava' le realtà in via di trasformazione dell'economia politica mondiale. Laddove il culto dei santi e dei luoghi sacri aveva un carattere essenzialmente locale, i principî riformistici rappresentavano gli aspetti condivisi, universali dell'Islam, e potevano riaccendere in società frammentate il senso di una più ampia fraternità islamica. In risposta all'indebolimento e alla disgregazione degli Stati centralistici, il riformismo offriva un'ideologia per la formazione di una rete di collegamenti, per l'integrazione di diverse popolazioni e per la mobilitazione politica. Le confraternite sufiche fornivano in genere il modello organizzativo di base per le comunità islamiche frammentate, e l'ideologia riformista poteva invocare, ad esempio nell'Africa occidentale, l'instaurazione di un califfato, di uno Stato islamico globale.Il movimento riformista esercitava un potente richiamo anche per le sue connotazioni etiche e psicologiche. Esaltando la conoscenza intellettuale, l'autodisciplina emotiva e la responsabilità civile, esso indirizzava i suoi aderenti verso il perfezionamento morale e la cooperazione politica e comunitaria. Il riformismo islamico, al pari dell''etica protestante' teorizzata da Weber, propugnava l'impegno attivo nel mondo, l'adesione a principî astratti e il perseguimento di fini ideali. Nello stesso tempo il riformismo islamico andava contro i culti popolari che mettevano l'accento sulla dipendenza dai santi e sulle pratiche mistiche e magiche quali forme di gratificazione emotiva e psicologica del devoto, privilegiando invece orientamenti religiosi che portano a un controllo attivo del mondo anziché a una consolazione religiosa passiva.
Nell'Ottocento si ebbe una nuova fase nel processo di ripensamento e di adattamento dell'Islam alle esigenze del mondo moderno. Mentre il riformismo fu essenzialmente una riaffermazione dell'ortodossia islamica, il modernismo rappresentò una ridefinizione più radicale dell'Islam nel tentativo di adattarlo alle nuove condizioni politiche della metà e della fine del XIX secolo, un'epoca che vide gli Europei stabilire la propria supremazia militare ed economica, culturale e morale sui paesi musulmani. Anche gli Stati indipendenti dell'Iran e dell'Impero ottomano si trovavano sotto la tutela economica e diplomatica dell'Europa. Alcuni politici, burocrati e intellettuali musulmani - come ad esempio Sayyd Aḥmed Khān (1817-1898) in India, Giamāl ad-dīn al-Afghānī (1839-1897), i membri del movimento dei Giovani Turchi e Muḥammad 'Abduh (1849-1905) in Egitto - percepirono chiaramente e drammaticamente l'incapacità degli Stati musulmani di difendere se stessi e le proprie popolazioni, la relativa debolezza delle loro istituzioni politiche, il loro indebitamento economico, la mancanza di una scienza e di una tecnologia moderne.
L'intelligencija politica invocò allora una ricostruzione o modernizzazione delle società islamiche che potesse liberarle dal dominio europeo e ripristinare il loro legittimo potere e prestigio nel mondo. A tal fine si rendeva necessaria una reinterpretazione dell'Islam che ne eliminasse i retaggi medievali e segnasse un ritorno ai principî del Corano. Nel Corano, affermavano al-Afghānī e altri intellettuali, i musulmani avrebbero trovato la razionalità che è alla base della scienza e della tecnologia moderne, nonché i principî del lealismo, del patriottismo e del costituzionalismo che sono i fondamenti del potere degli Stati moderni; avrebbero trovato orientamenti etici che conducono alla responsabilità morale e all'attivismo sociale. Il Corano, preso nei suoi principî e orientamenti basilari anziché nei suoi dettami specifici, sarebbe stato il fondamento di una interpretazione musulmana della modernità che avrebbe scosso i popoli islamici dal loro letargo e li avrebbe riscattati dalla loro subordinazione, restaurando il potere politico e la vitalità culturale che li avevano resi trionfatori nel passato.I modernisti, mentre concordavano con i riformatori per quanto riguarda il ritorno ai principî del Corano e l'opposizione ai retaggi medievali dell'Islam, non erano però interessati al ripristino delle credenze e delle pratiche ortodosse, bensì all'Islam come forza politica che fosse in grado di mobilitare i musulmani nella lotta contro il dominio straniero e di modernizzare le loro società portandole allo stesso livello delle civiltà europee contemporanee. L'ingresso dell'Islam nel mondo moderno costituiva il programma delle élites politiche, professionali e intellettuali di orientamento riformista. La dimensione politica ebbe un'importanza centrale nel modernismo islamico.
Il riformismo e il modernismo islamici restano tuttora vivi, ma nel XX secolo hanno dato vita a nuove configurazioni ideologiche e religiose. La prima guerra mondiale portò alla distruzione dell'Impero ottomano e alla nascita di un nuovo sistema politico di Stati nazionali nel Medio Oriente e altrove. Negli anni successivi al secondo conflitto mondiale tali Stati acquistarono l'indipendenza. Con alcune eccezioni, come l'Arabia Saudita e il Marocco, e alcune anomalie come l'Iran e il Pakistan, gli Stati nazionali e le identità nazionali di tipo laico sono diventate le forme politiche caratteristiche del XX secolo. Il nazionalismo è stato la dottrina quasi universale della lotta politica contro il dominio coloniale, la principale giustificazione dell'indipendenza e della costituzione in Stato, e l'ideologia privilegiata delle élites politiche, della intelligencija e delle classi superiori di formazione occidentale.
Quasi tutti i moderni Stati nazionali musulmani non solo hanno forgiato una nuova identità politica, ma hanno anche, in varia misura, privato l'Islam del suo carattere di religione di Stato e hanno propugnato una forma laica di società moderna. La natura laica degli Stati moderni in regioni abitate da musulmani deriva sostanzialmente da modelli occidentali, ma ha le sue radici storiche anche nella differenziazione creatasi nell'epoca imperiale tra strutture politiche e comunità religiosa musulmana, nonché nelle tradizioni di una cultura statale e nell'idea di una legittimazione politica indipendente dall'Islam. Le nazioni musulmane moderne hanno in genere disciolto le tradizionali scuole giuridiche e le confraternite sufiche. Alcuni paesi, come la Turchia, hanno addirittura dichiarato illegali le associazioni religiose, sostituendo con tribunali e scuole laiche i tradizionali sistemi giudiziali ed educativi a base religiosa.
Anche se molti paesi musulmani hanno riservato all'Islam un posto privilegiato nelle loro costituzioni, essi hanno riconosciuto in via di principio il diritto di cittadinanza ai non musulmani, ponendo con ciò fine al tradizionale sistema ottomano dei millet. L'Islam non legittima né definisce più i principî sociali e morali di questi Stati. Sebbene vi siano alcune eccezioni, dovute al recente revivalismo islamico, Stati quali l'Algeria, l'Egitto, la Giordania, la Siria, l'Iraq, la Turchia, la Nigeria, l'Indonesia, la Malesia e altri ancora si conformano a questo modello generale.Ciononostante in tutte queste società l'Islam conserva la sua importanza come base della società civile e della religiosità privata, personale. Spesso, invero, l'Islam costituisce implicitamente il reale fondamento dell'identità nazionale. Quando gli Arabi, i Turchi o i Malesi parlano delle proprie nazioni, spesso il loro assunto implicito è che l'Islam sia la forza unificante che crea la nazione. Anche la società civile in molti paesi chiaramente laicizzati si basa sull'Islam. Le forme più comuni di associazione volontaria, a prescindere dai partiti politici e dalle confederazioni studentesche, sono le associazioni religiose con fini assistenziali ed educativi che sponsorizzano moschee, scuole, cliniche, cooperative economiche, club sportivi e persino corsi paramilitari.Inoltre, anche nelle società più laicizzate, l'Islam conserva la sua importanza per l'identità personale e per la religiosità privata. Religione sempre meno basata su osservanze rituali tradizionali, l'Islam acquista sempre più i caratteri di una fede personale, fondata sull'adesione interiore. Privato del riconoscimento da parte dello Stato, l'Islam ha però riaffermato nel complesso la sua importanza nella sfera privata e come base della cooperazione civile e comunitaria. L'attuale revivalismo islamico, indipendentemente dalla sua rilevanza politica, costituisce un'esaltazione di questi aspetti dell'Islam.
Il tratto più rilevante dell'Islam moderno, tuttavia, è il fatto di essere diventato il punto di riferimento di una serie di movimenti di opposizione che propugnano il rovesciamento degli Stati laici e la loro sostituzione con Stati islamici. I primi di questi movimenti cosiddetti fondamentalisti o neoislamici - la Società dei Fratelli musulmani in Egitto, sotto la guida di Ḥasan al-Bannā' e il Jamā'āt-i Islami in India sotto la guida di Mawlana al-Mawdūdī - si formarono negli anni trenta e negli anni quaranta. Questi movimenti e altri analoghi hanno conosciuto una considerevole rinascita negli anni settanta, e costituiscono attualmente una potente corrente sociale e politica nella maggior parte dei paesi musulmani. In anni recenti l'incapacità degli Stati nazionali di soddisfare le richieste popolari di una migliore qualità della vita e di una maggiore eguaglianza nella distribuzione dei redditi, il crollo dell'ideologia socialista, la corruzione e la militarizzazione di molti governi hanno favorito la rinascita di identità islamiche. I contadini immigrati in città, i piccoli commercianti e gli artigiani che si trovano a competere con grandi società spesso internazionali, le masse di studenti che non trovano un lavoro adeguato e non hanno opportunità di carriera, tutti coloro che si sentono destituiti di ogni potere politico, o incapaci di guadagnarsi da vivere, oppure ancora minacciati dalle rivendicazioni di pari opportunità da parte delle donne - tutte queste categorie confluiscono tipicamente nei movimenti del revivalismo islamico.
Tali movimenti propugnano un ritorno all'unione tra Stato e società realizzata da Maometto, ma ora si tratta di un ideale che fiorisce in contesti urbani anziché rurali. Al pari dei movimenti riformisti e modernisti, essi invocano un ritorno ai principî del Corano e agli insegnamenti del Profeta, una riaffermazione della moralità personale sulla base di una rinnovata, intima adesione all'Islam, ma ciò non significa che essi propugnino un ritorno alla religione musulmana tradizionale. Piuttosto, i movimenti neoislamici sono alla ricerca di valori e principî generali che consentano ai musulmani di riorganizzare la propria vita quotidiana adattandosi alle nuove condizioni del mondo. Allorché i musulmani si trovano ad affrontare le tentazioni di una economia basata sui consumi, la disgregazione della solidarietà sociale e la corruzione della politica nazionale, si rivolgono nuovamente al Corano, non già per ricavarne precetti specifici, bensì ricercando in esso una guida che li orienti verso forme di adattamento moralmente giuste alle nuove condizioni. I movimenti di rinascita islamica contemporanei sono essenzialmente movimenti 'moderni'.
Un altro, importante obiettivo dei movimenti neoislamici è quello di creare una solidarietà sociale e di costruire una autentica comunità musulmana basata sulla fratellanza e sulla giustizia; a tal fine essi organizzano gruppi religiosi, scuole, istituzioni di beneficenza, cooperative, e spesso forniscono servizi municipali e assistenziali. L'intento è quello di una reislamizzazione globale della società e la creazione di una economia, di una giustizia e di una amministrazione islamiche.
I movimenti neoislamici sono movimenti di riforma globale che si pongono come obiettivo il ritorno al Corano, il ripristino di una religiosità fondata sull'intima, personale adesione all'Islam e l'instaurazione di un sistema economico egualitario e di un governo basato su un'identità e su principî islamici. Essi propongono un'alternativa globale alle condizioni dello Stato e della società contemporanei.
La caratteristica saliente di questi movimenti è la spinta a rovesciare i governi esistenti. Regimi neoislamici sono stati istituiti in Iran, in Pakistan e in Sudan, mentre in paesi quali l'Algeria e l'Egitto vi è un aperto conflitto tra il governo e i movimenti islamici. Hamas guida una incessante lotta palestinese contro Israele. Molti movimenti islamici sono mossi dalla convinzione che il moderno Stato laico sia una delle principali cause della corruzione della società, e che sia essenziale controllare i poteri dello Stato al fine di instaurare un ordine islamico.Tuttavia la spinta politica non è l'unica componente dei movimenti neoislamici. Spesso al loro interno si crea una divisione tra i radicali, che sono pronti a usare la violenza e danno la priorità alla conquista dello Stato, e i moderati che privilegiano scopi sociali. La spinta politica è inoltre ostacolata dalla mancanza di una concezione istituzionale dello Stato e dell'economia, e dalla tendenza a pensare in termini di moralità individuale.
Per molti musulmani i fini politici sono realmente un simbolo della esigenza di nuovi valori e di autostima in un mondo caratterizzato dall'incertezza, nonché del desiderio di riaffermare l'autorità degli uomini sulle donne come compensazione per le frustrazioni subite nella vita pubblica.Seppure profondamente diverso dalla sua forma originaria, l'Islam contemporaneo continua a imperniarsi sugli stessi simboli e valori: il Corano, gli insegnamenti del Profeta, l'integrazione tra Stato e società, la religiosità personale. I movimenti islamici attuali invocano una riconcettualizzazione dell'Islam come ritorno a una autenticità culturale e a valori religiosi, come instaurazione del benessere sociale e dell'ordine politico. A partire dal XVIII secolo l'Islam si è dimostrato sempre flessibile e adattabile ai bisogni delle popolazioni musulmane dell'epoca moderna.
(V. anche Movimenti integralistici; Religione).
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