Diacono e notaio della Chiesa ambrosiana (m. tra il 1061 e il 1064), al quale una fonte tarda attribuisce il cognome Cotta. Tra i principali esponenti del movimento dei riformatori, predicatore con Arialdo contro la corruzione del clero milanese, rifiutò di comparire al sinodo di Fontaneto (1057) e per tale ragione subì la scomunica. Nonostante l'appoggio di Stefano X alla sua causa, fu oggetto di un'aggressione che lo condusse successivamente alla morte.
Intorno al 1056 si associò ad Arialdo nella predicazione contro la simonia e il concubinato del clero milanese, iniziata qualche tempo prima da Anselmo da Baggio (il futuro Alessandro II), e ben presto s'impose, soprattutto per le sue grandi doti di eloquenza che gli procurarono l'epiteto di dux verbi ("signore della parola"), come uno dei capi della pataria. Invitato, con Arialdo, a presentarsi davanti a un sinodo convocato nel novembre 1057 a Fontaneto presso Novara dall'arcivescovo di Milano Guido da Velate, contro il quale in particolare erano rivolte le accuse di L. e dei suoi compagni, preferì avviarsi, in compagnia di Arialdo, verso Roma per esporre al papa la situazione della Chiesa milanese. Scomunicato per questo suo rifiuto, inseguito da alcuni sicarî e ferito gravemente presso Piacenza, dovette rientrare a Milano. Qui riprese poco dopo la lotta, forte ormai dell'appoggio di Stefano X, dal quale Arialdo aveva ottenuto l'assoluzione dalla scomunica e l'invio a Milano, in missione, di Anselmo da Baggio, nominato nel frattempo vescovo di Lucca, e Ildebrando di Soana. Ma la grave tensione degli animi non accennò ad assopirsi e L., intorno alla Pasqua del 1058, fu di nuovo aggredito e ferito. Morì qualche anno dopo, sembra per i postumi delle due gravi ferite, e al suo posto, tra i principali esponenti del movimento riformatore, subentrò il fratello Erlembaldo (v.).