lavoro
L’attività umana che crea la ricchezza di un paese
Il lavoro e il capitale combinati insieme sono i due elementi che formano il reddito di un paese: il fattore lavoro è costituito da tutti gli occupati; il fattore capitale è il complesso dei mezzi di produzione (come, per esempio, macchinari o infrastrutture) posseduti dagli imprenditori o dagli azionisti. Il mondo del lavoro è un universo molto vario, costituito da una molteplicità di professioni e occupazioni e da chi le svolge. Alla domanda e all’offerta del lavoro – una ‘merce’ tutta speciale – un’ampia legislazione nazionale affianca le regole contrattuali fra sindacati e imprenditori
Il flusso di individui in entrata e in uscita dal mercato del lavoro si muove secondo ritmi precisi, come in una danza. Gli esperti illustrano le regole che lo guidano con un paragone, chiamato l’apologo del Cinema Italia.
C’è un grande cinema-teatro in una popolosa città, affollato dentro e fuori: ogni sedile al suo interno rappresenta un posto di lavoro. Ci sono poltrone rosse in prima fila, altre poltroncine meno comode, seggiole più semplici ammassate negli alti loggioni: ma è importante notare che tutti i posti sono occupati. C’è perfino chi è riuscito a occupare due seggiole (ha il doppio lavoro) e chi occupa temporaneamente (i precari) il posto lasciato libero dallo spettatore che ha scelto di sgranchirsi le gambe. I meno fortunati fra gli spettatori sono nascosti da una tenda e costretti a non vedere il palco, ma hanno il permesso di rimanere all’interno: si tratta dei cassaintegrati (lavoratori in stato di ‘licenziamento temporaneo’, ma che continuano a essere parzialmente pagati, in attesa che l’azienda esca dalla crisi).
In questo cinema esiste una regola: chi trova il posto a sedere ha diritto a tenerlo finché non ha visto l’intero spettacolo, che è vietato ai minori di 15 anni e dura circa 46 anni, corrispondenti alla media della vita lavorativa.
Fuori dal cinema si accalcano lunghe file di cittadini – i disoccupati (disoccupazione) e quelli in cerca di prima occupazione – che tentano di entrare, scaglionati davanti a diversi ingressi sopra i quali si legge: operaio specializzato, disegnatore, interprete, programmatore, professore... Varcare la porta è un’autentica impresa, ci si riesce solo se il gestore del cinema ha deciso di aumentare il numero dei posti a sedere, oppure se qualcuno esce perché ha visto tutto lo spettacolo o perché si è ammalato o perché... ha vinto al totocalcio!
Attualmente, la maggior parte delle persone trova un lavoro grazie al flusso di quanti lo lasciano, perché i nuovi posti creati dalle aziende sono in numero limitato. Inoltre, quasi come nel gioco della sedia, appena c’è un posto libero viene occupato da chi è già in sala, avvantaggiato nella gara di velocità con chi sta entrando solo in quel momento.
A ingrossare le fila di chi attende ci sono in Italia molte donne e soprattutto moltissimi giovani, poiché in fondo alla fila si trovano coloro che arrivano per ultimi, cioè le nuove generazioni. In Italia la percentuale di occupati fra i giovani e le donne è nettamente minore rispetto agli altri paesi occidentali.
Possiamo immaginare la forza-lavoro (formata dagli occupati e dai disoccupati) come un grande serbatoio di acqua che ogni anno aumenta di volume. Il livello, che corrisponde alla popolazione in età lavorativa, è determinato da tre ‘rubinetti’ e da uno ‘scarico’.
Il primo è un rubinetto di tipo demografico, costituito dai giovani che raggiungono la soglia dell’età lavorativa (a seconda dei Paesi, 15 o 16 anni). Il volume dell’acqua immessa è pari alla quantità di nascite avvenute 15 o 16 ;anni prima: un anno di forte natalità causerà un’ondata di piena, mentre un anno di nascite scarse farà crescere solo di poco il livello della vasca.
I dati demografici possono venire modificati da fattori socioculturali – il secondo rubinetto – come il prolungamento dell’istruzione, che ritarda l’immissione dei giovani nel mercato del lavoro, o il crescente numero di donne che vogliono fare parte della forza-lavoro: infatti, non tutti quelli che arrivano all’età lavorativa intendono lavorare. Infine, all’altra estremità dell’età lavorativa, bisogna considerare l’allungamento o accorciamento dell’età pensionabile, che varia in funzione della specifica legislazione di un paese. Il terzo rubinetto è quello che regola l’immigrazione e l’emigrazione: quando un’area è in forte crescita attira a sé un flusso di lavoratori che proviene da altri paesi, in maniera legale o illegale. I flussi migratori sono come vere e proprie ondate in grado di fare aumentare o defluire il livello idrico.
In questo serbatoio lo ‘scarico’ è rappresentato dai pensionati, i licenziati che abbandonano la speranza di trovare un lavoro (i cosiddetti disoccupati scoraggiati), gli emigrati e i deceduti. La loro uscita dal circuito lavorativo libera posti per i nuovi venuti, permettendo all’acqua di non aumentare troppo di volume.
Il serbatoio della forza-lavoro ha una dimensione ideale quando, essendo costante il ricambio fra entrata e uscita, le nuove generazioni possono trovare lavoro senza dover sostare a lungo nell’area della disoccupazione.
Forza-lavoro. È formata da:
occupati;
persone in cerca di occupazione:
– disoccupati in senso stretto;
– in cerca di prima occupazione;
– altri in cerca di occupazione.
Non forza-lavoro: persone
inattive in età lavorativa (fra 15 e 64 anni)
che cercano lavoro ma non attivamente;
che non cercano ma vorrebbero lavorare e sono immediatamente disponibili;
che non vogliono lavorare o che non sono subito disponibili;
inattive in età non lavorativa (meno di 15 od oltre 64 anni).
Popolazione in età lavorativa. È formata dalla forza-lavoro più tutta la popolazione inattiva di età fra 15 e 64 anni.
Tasso di attività. È il rapporto fra la forza-lavoro e la popolazione in età lavorativa.
Tasso di occupazione. È il rapporto tra il numero di occupati e la popolazione in età lavorativa.
È il rapporto tra le persone in cerca di occupazione e la forza-lavoro.
Il fine principale di un sistema economico è quello di creare lavoro per chiunque voglia lavorare. E questo non solo per ovvie ragioni economiche, ma anche perché avere un lavoro conferisce a ogni cittadino diritti, doveri e dignità.
Per questo in tutti i paesi esistono vari sostegni, agevolazioni e incentivi per chi voglia cercare o creare lavoro, per sé stesso e per altre persone. Chi avvia un’attività imprenditoriale in Italia può beneficiare in molti casi del sostegno di apposite leggi di incentivazione statali e regionali che prevedono un ampio ventaglio di possibilità, tra cui, per esempio, l’erogazione di mutui con tassi d’interesse agevolati. Ciascun tipo di incentivazione ha propri requisiti d’accesso, alcuni dei quali sono a livello nazionale, altri a livello locale.
Più in generale, chi cerca lavoro ha a disposizione vari sostegni. L’informagiovani comprende strut;ture convenzionate con i Comuni, che orientano i giovani alla scelta professionale, ai corsi di laurea, stages o corsi di formazione professionale; i centri per l’impiego hanno invece il compito di promuovere iniziative per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, oltre alle tradizionali attività di tipo amministrativo connesse al collocamento; i centri di orientamento sono strutture regionali, gestite in proprio o in convenzione, che aiutano i giovani a individuare il settore lavorativo verso cui sono maggiormente portati.
Il lavoro non è una merce omogenea, come la benzina o, entro certi limiti, le arance. C’è un lavoro manuale e un lavoro intellettuale, anche se talvolta è difficile porre un confine fra i due: per esempio, il lavoro di un chirurgo è manuale o intellettuale? Ma il fatto veramente importante è che non solo ci sono tanti lavori, ma che questi cambiano continuamente, con il progresso tecnico e l’evoluzione dei gusti e dei bisogni. Per tornare al paragone del cinema, a un certo punto chi è seduto può trovare che il sedile è diventato troppo stretto o troppo largo, e si rischia di scivolarne fuori. Per questo spesso tocca allo spettatore-lavoratore cambiare per adeguarsi al sedile, se vuole mantenere il posto (nel senso letterale e metaforico dell’espressione!).
Un mercato perfetto del lavoro è quello in cui i posti messi a disposizione sono pari, non solo come numero ma anche come qualità, alle persone che desiderano svolgere un’attività: per esempio, le imprese di una data regione domandano un totale di 5.000 disegnatori e fra i giovani diplomati ve ne è un ugual numero.
Per arrivare a un simile equilibrio, però, bisogna ‘aiutare’ il mercato, mettendo a punto strumenti adatti a prevedere il fabbisogno futuro di ogni singola professione, e nel contempo indirizzare i giovani e i meno giovani a compiere scelte oculate. L’orientamento professionale e la formazione professionale sono il perno delle strategie elaborate a questo scopo dai vari paesi industrializzati. L’obiettivo di un buon livello di occupazione dipende comunque anche da fattori non facilmente controllabili, quali la libera risposta dei giovani alle informazioni ricevute.
Abbiamo detto all’inizio che lavoro e capitale sono i due grandi fattori produttivi che presiedono alla creazione di ricchezza. Il lavoro viene spesso chiamato capitale umano, in quanto ha alcune delle caratteristiche del capitale: come una macchina, il lavoratore ripete la propria attività per diversi cicli produttivi; così come dietro la macchina vi sono una progettazione, uno studio, un tempo dedicato alla sua creazione, anche il lavoratore ha alle spalle un periodo di apprendimento e di studio. La macchina è un investimento, e così il lavoratore. Prima di lavorare bisogna studiare e imparare, bisogna investire anni della propria vita nella conoscenza e nel saper fare che saranno poi utili nel mondo del lavoro. Naturalmente, questo apprendimento non serve solo a lavorare: la conoscenza è anche un fine in sé. In ogni caso, senza apprendere e conoscere non c’è lavoro.
Se il lavoro è capitale umano, è importante che sia un capitale produttivo, che l’investimento renda. L’esperienza mostra che maggiore è l’investimento che il singolo fa nella propria istruzione, migliori sono le opportunità di qualificarsi e di trovare lavoro. Ciò viene confermato da una semplice constatazione: l’andamento del tasso di disoccupazione diminuisce con l’aumentare del titolo di studio. Questa evidenza statistica si ritrova in Italia come negli altri paesi.
Nella maggior parte dei paesi il periodo dell’obbligo scolastico che precede l’immissione nel mondo del lavoro è andato aumentando nel tempo. In Italia gli studenti del 21° secolo dovranno studiare per almeno 12 anni. Come conseguenza, l’immissione nel mondo del lavoro avviene più tardi che in passato. In questo modo viene migliorato il livello generale di istruzione: si eleva, insomma, la qualità del capitale umano.
È anche importante che fra il mondo del lavoro e il mondo della scuola vi sia una migliore conoscenza reciproca, cioè che le abilità e le conoscenze che la scuola fornisce siano funzionali non solo alla formazione culturale dello studente, ma anche al suo futuro inserimento nel sistema produttivo. La migliore conoscenza reciproca può anche essere favorita da esperienze miste di studio e lavoro. A questo proposito una norma italiana del 2005 stabilisce che «gli studenti che hanno compiuto il quindicesimo anno di età possono presentare la richiesta di svolgere l’intera formazione dai 15 ai 18 anni o parte di essa attraverso l’alternanza di periodi di studio e di lavoro, sotto la responsabilità dell’istituzione scolastica o formativa».
Si è detto che la domanda e l’offerta di lavoro si svolgono in un quadro che è influenzato dall’intervento pubblico assai più di quanto accada per qualsiasi altra merce. Lo Stato protegge il lavoro («L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro» recita il primo articolo della Costituzione italiana) non solo dettando le regole che ne stabiliscono gli orari massimi e le condizioni di svolgimento, che non devono degenerare nello sfruttamento, ma anche definendo le modalità di assunzione e licenziamento.
Oltre a essere protetti dalle leggi dello Stato, i lavoratori hanno anche imparato, attraverso aspre lotte, soprattutto operaie, nell’Ottocento e nel Novecento, a tutelarsi da soli. Hanno cioè costituito i cosiddetti sindacati (sindacato), associazioni di lavoratori ispirate al principio «l’unione fa la forza». I sindacati contrattano con i datori di lavoro – gli imprenditori (imprenditore) e la pubblica amministrazione – i salari, gli stipendi e le condizioni del lavoro.
Talvolta però i sindacati sono lenti a riconoscere che i cambiamenti nella società e nei modi di produzione richiedono anche nuovi tipi di contratti di lavoro. Oggigiorno, oltre al tradizionale rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ne esistono altri, con nomi diversi nei diversi paesi.
Il mercato del lavoro è il luogo dove si incontrano l’offerta di chi cerca lavoro con la domanda delle imprese e della Pubblica amministrazione che richiedono braccia e cervelli (spesso tutte e due le cose insieme).L’espressione «domanda e offerta» fa pensare a un mercato dove si scambiano merci, come i televisori o le patate. In effetti, da un certo punto di vista, il lavoro è una merce: ci sono una domanda, un’offerta e un prezzo – il salario – che si stabiliscono in base alla contrattazione fra chi domanda e chi offre. Naturalmente il lavoro è molto più di una merce, perché si tratta di un’attività svolta da uomini e donne, che deve rispettare la loro dignità e i loro diritti. Per questo il mercato del lavoro è presidiato da istituzioni e regole generali che proteggono i diritti dei lavoratori: esse sono decise dal potere legislativo – il parlamento – e concretamente messe in opera dal potere esecutivo – il governo
Il tema del lavoro ha sempre mescolato l’economia e l’ideologia, la giurisprudenza e la lotta per i diritti umani. Il lavoro si trova infatti al centro della contesa sociale e chi lotta in buona fede per far evolvere le regole nella direzione che stima giusta può trovarsi purtroppo esposto alle rivendicazioni di chi ritiene di imporre le proprie idee con la violenza omicida. Marco Biagi, esperto di diritto del lavoro e consulente governativo in tema di riforme del mercato del lavoro, è stato ucciso a Bologna nel 2002, vittima di un attentato delle Brigate Rosse. È stata proprio la sua opera nel campo del lavoro ad attirare la furia sanguinaria delle Brigate Rosse (terrorismo), che già diciotto anni prima avevano ucciso un altro studioso, l’economista Ezio Tarantelli, che aveva studiato a fondo il rapporto tra salari e prezzi.