Operai
Lavoratori manuali dell’industria
Sono operai tutti i lavoratori subordinati che svolgono mansioni prevalentemente manuali (in particolare nell’industria), e si distinguono sia dagli impiegati, sia dai contadini e dagli artigiani. Il termine deriva dal latino opus («opera»). In altre lingue manca una parola specifica per indicare questa categoria, per la quale si usa genericamente il termine di «lavoratore»: in inglese worker, in tedesco Arbeiter, in russo rabotnik. La figura professionale dell’operaio comparve in Inghilterra tra il Settecento e l’Ottocento, con la nascita delle prime fabbriche a seguito dell’industrializzazione
L’operaio è figlio della rivoluzione industriale, cioè di una delle maggiori trasformazioni della storia economica e sociale. I suoi progenitori possono essere considerati i lavoratori che nelle miniere estraevano metalli preziosi o minerali utili, e che nelle manifatture costruivano navi, sfornavano porcellane o tessevano arazzi. Quasi tutti gli altri lavoratori manuali erano, invece, legati alla terra e fabbricavano in proprio indumenti, suppellettili e attrezzi. I pochi uomini che lavoravano fuori casa facevano i garzoni nelle botteghe degli artigiani, mentre le pochissime donne separate dalla famiglia erano a servizio presso persone abbienti. Del resto, i beni non forniti dalla natura – stivali, mobili, lampade, orologi – venivano fabbricati su misura o su ordinazione. Ancora nel 1762, la raccolta di stampe sulle arti e sui mestieri che illustrano l’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert – capolavoro dell’Illuminismo francese – ci mostra congegni e attrezzi che precedono l’industria vera e propria.
Tutto cambiò quando i primi industriali costruirono nelle zone ricche di corsi d’acqua grossi edifici dove radunare centinaia di persone d’ambo i sessi, adibite a macchinari capaci di svolgere velocemente lavori che in precedenza venivano fatti a mano, o in casa. Fu così che i telai meccanici mossi dall’energia idraulica soppiantarono quelli in legno azionati con le braccia e le gambe delle tessitrici o dei tessitori.
Oltretutto, quelle macchine operatrici richiedevano poca perizia e rendevano facile reclutare la manodopera, di cui facevano parte donne, ragazzi e perfino bambini. Fin quasi a metà dell’Ottocento il lavoro degli operai si svolgeva in condizioni disumane, tanto che le fabbriche venivano descritte come «antri satanici». Gli ambienti erano rumorosi, poco illuminati e insalubri. Ammassati in poco spazio, gli operai svolgevano un lavoro massacrante e ripetitivo. La giornata lavorativa arrivava a dieci ore, senza interruzione né di giorno né di notte poiché – come usavano dire gli economisti – «il riposo delle macchine è spreco di capitale». A differenza del lavoro servile si trattava di un lavoro salariato, cioè pagato in denaro secondo le ore prestate.
Non stupisce che intellettuali e filantropi esprimessero simpatia per gli operai che andavano aumentando in quasi tutta l’Europa e a nord-est degli Stati Uniti. Ma a difesa del nuovo soggetto e in nome della classe operaia – come la definì Karl Marx, il filosofo tedesco fondatore del movimento comunista – nacquero anche partiti politici e organizzazioni sindacali (sindacato) ispirati a ideali socialisti, cristiano-sociali, radicali, anarchici (in Inghilterra fu il sindacato a fondare il partito operaio, mentre nel resto d’Europa avvenne il contrario: è il caso della CGIL italiana, nata nel 1906 su ispirazione socialista).
Da queste organizzazioni furono esercitate pressioni sui parlamenti affinché emanassero norme a tutela della condizione operaia, e sugli industriali affinché accettassero di negoziare i trattamenti economici degli operai. Non fu facile per questi conquistarsi una cittadinanza sociale, e tanto meno fare riconoscere una rappresentanza dei propri interessi. Agli inizi, essi non potevano neppure contrapporsi collettivamente al datore di lavoro, né manifestare solidarietà con gli operai di altre fabbriche: Anti-coalition act («legge contro le associazioni») si chiamava appunto una legge inglese che vietava le astensioni collettive dal lavoro, cioè gli scioperi. Ma si vide poi che l’iniziativa legislativa, la contrattazione collettiva e la mobilitazione sociale costituiscono le difese più efficaci.
A partire dalla seconda metà dell’Ottocento gli stabilimenti industriali hanno raggiunto le considerevoli dimensioni richieste dalla produzione di massa, la quale impone un’organizzazione del lavoro che sembra schiacciare l’uomo poiché ogni operazione è stata predeterminata nei tempi e nei modi. Si parla appunto di un ‘operaio-massa’, efficacemente raffigurato da Charlie Chaplin nel film Tempi moderni (1936), satira del fordismo, il sistema di produzione industriale, creato dall’industriale dell’auto Henry Ford, che ha dominato quasi tutto il Novecento.
Alla fine del Novecento l’industria dei paesi sviluppati cessa di espandere l’occupazione a spese dell’agricoltura e cominciano a crescere gli impieghi nei servizi: commercio, trasporti, ristorazione, turismo e così via. La percentuale di operai sul totale della popolazione attiva comincia a diminuire, mentre aumenta nei paesi in via di sviluppo, fra i quali stanno per collocarsi quelli più popolosi come Cina e India. Nell’Occidente industrializzato i maggiori stabilimenti perdono occupati, diventano semivuoti e cominciano a essere dismessi: alcuni vengono riconvertiti in musei o università, in altri vengono girati film d’azione.
Cresce peraltro il numero delle imprese, ma con assai meno dipendenti delle industrie e tra di essi prevalgono talvolta gli impiegati. Rispetto al passato, quindi, i luoghi dell’industria si diffondono e si disperdono, e con essi gli operai. Con il progresso tecnologico i lavori più penosi, faticosi e ripetitivi vengono via via sottratti alla mano dell’uomo, e la maggior parte delle operazioni è compiuta dalle macchine.
La qualità del lavoro è migliorata, tant’è vero che agli operai l’imprenditore odierno dice: «la qualità dipende da voi», mentre un secolo fa diceva: «non siete pagati per pensare». Certi operai si limitano a sorvegliare la produzione su un video, impartendo comandi con la tastiera. Nelle fabbriche d’auto esistono ancora le catene di montaggio, ma sono meno oppressive di quelle mostrate in Tempi moderni. Un tipico simbolo delle novità è diventato il casco in plastica colorato (l’hard hat degli statunitensi), indossato da molti operai con o senza tuta, ma anche da tecnici e manager: protegge dagli infortuni più gravi, ancora frequenti sui luoghi di lavoro, e rimuove le rappresentazioni tradizionali della fabbrica.
L’industria resta tuttora un potente motore dello sviluppo economico, ma utilizza meno lavoratori (sia operai sia impiegati) e meno lavoro manuale di ieri. Al tempo stesso, le famiglie operaie desiderano meno di ieri un futuro operaio per i propri figli, e pensano che l’istruzione possa aprire loro prospettive migliori, almeno in termini di prestigio sociale. Ciò spiega la crescente presenza di lavoratori extracomunitari in fabbriche e cantieri dove vi sono ancora mansioni disagiate, pesanti o rischiose, come nelle lavorazioni a caldo, nei trattamenti chimici e soprattutto nell’attività edilizia, dove si riscontra appunto la maggiore penuria di operai.