LETTERATURA (dal lat. litteratura, calco del greco γραμματική; fr. litteraiure; sp. literatura; ted. Literatur; ingl. literature)
Designò in origine l'arte di leggere e scrivere, la conoscenza delle lettere (litterae), intese inizialmente come epistole, poi come tutto ciò che è stato affidato alla scrittura, e divenne, quindi sinonimo di cultura, di umana dottrina. Questo significato è, in tutte le lingue che dalla latina hanno derivato la parola letteratura, ormai inconsueto: per . letteratura oggi generalmente s'intende innanzi tutto l'insieme delle opere affidate alla scrittura, nelle quali il momento estetico predomini o sia più o meno presente; secondariamente l'insieme degli scritti relativi a un oggetto determinato (la "letteratura dell'argomento"). Se questa seconda, ristretta, accezione non soffre oscillazioni, altrettanto non si può dire della prima: a seconda dei concetti che determinano il giudizio, sarà fatta a storici, filosofi, scienziati, oratori, ecc., una parte più o meno cospicua nella "letteratura", la quale perciò in parte coinciderà, in parte uscirà fuori della storia dell'arte.
Per orientarsi poi nell'immenso corpo della letteratura, si ricorre a partizioni e a combinazioni di partizioni di varia specie. La distinzione dei generi letterarî (v.), elaborata nell'antichità classica e arricchita via via di nuovi tipi, viene usata anche oggi largamente nel discorso comune e come classificazione sussidiaria per indicare genericamente un certo contenuto, e, più ancora, la forma letteraria esterna. Nei tempi a noi più vicini - in seguito alla conoscenza di più letterature svoltesi per un maggiore tratto di tempo e al progredito senso storico - la considerazione temporale e quella spaziale hanno assunto un'importanza sempre più grande. Lo schema temporale è usato come puro modo della successione solo in elenchi bibliografici. Già nella distinzione per secoli - la più frequente delle divisioni cronologiche - la forma della mera successione si riempie o tende a riempirsi del contenuto della storia della civiltà (si pensi alla Literaturgeschichte des 18. Jahrhunderts di H. Hettner, e alla Storia letteraria d'Italia edita da F. Vallardi, Milano 1897 segg.).
Alcuni studiosi tedeschi (E. Wechssler, J. Petersen e altri), sistematizzando accenni dello storico politico O. Lorenz, hanno tentato di dare un fondamento reale alla divisione cronologica, ricorrendo all'equivoco concetto di "generazione" e alcuni hanno anche accennato a costruire un sistema numerico e di filosofia della storia, raggruppando tre generazioni in un secolo, tre secoli in un'unità maggiore e tre unità maggiori in un periodo mondiale. Ma tali tentativi di mitologia positivistica in ritardo non sono giunti a risultati apprezzabili (K. Kummer, Deutsche Literaturgesch. des 19. Jahrhund. dargestellt nach Generationen, Dresda 1909).
La maggior parte dei grandi periodizzamenti storici ancor oggi in uso risale al Settecento, vale a dire alle origini dirette della storiografia moderna: fu infatti allora che, sullo sfondo della storia del mondo concepita come un'unità fondamentale, furono fissati i grandi periodi letterarî. Questa concezione di una storia della civiltà, e quindi della letteratura unitaria, si mantenne viva fino al Goethe, che formulò anche esplicitamente il concetto della Weltliteratur, e al Hegel, il quale fece rientrare nei suoi schemi grandiosi il corso universale della letteratura e della civiltà. Ma se la storia della filosofia e della scienza, e perfino la storia politica (si pensi al grande esempio del Ranke) hanno conservato fondamentalmente la prospettiva universale dei grandi storici del Settecento e del primo Ottocento, nella considerazione della letteratura si sono invece fatte strada, col secondo romanticismo e col positivismo, partizioni sempre più ristrette e localmente condizionate.
Il sec. XIX è infatti - com'è noto - il secolo del dogma delle nazionalità, e il mito del Volksgeist, creato dal Herder, invase largamente anche il campo della letteratura, inteso in modo sempre più grossolano e materialistico. L'unito o fondamento reale a questi raggruppamenti nazionali è costituito dalla tradizione linguistica: siccome per letteratura s'intende l'insieme delle opere affidate alla scrittura nelle quali prevale o è comunque evidente il momento estetico, e siccome questo valore estetico fa tutt'uno col linguaggio, sebbene non esistano lingue puramente nazionali, la classificazione delle lingue può essere posta a fondamento della classificazione delle letterature. Di una superiore maniera d'intendere la letteratura in relazione al vario svolgimento della civiltà dei popoli, diede esempio eminente F. de Sanctis; ma, per effetto dei miti del cosiddetto "spirito dei popoli" e perfino delle "razze" numerose furono - soprattutto in Germania, dove quel mito era nato - le trattazioni nazionalistiche della letteratura: ad es., la razzistica Geschichte der deutschen Literatur, Lipsia 1901-02, di A. Bartels. Fa valere rigorosamente il punto di vista geografico-etnografico la Literaturgeschichte der deutschen Stämme und Landschaften di J. Nadler.
Il positivismo irrigidì e pretese dare consistenza oggettiva ai varî schemi: ripresero così vigore le distinzioni dei generi letterarî (F. Brunetière, L'évolution des genres dans l'hist. de la litt., Parigi 1890; la Storia dei generi letterari italiani, edita da F. Vallardi, ecc.) che classicismo (in Germania) e romanticismo avevano in parte dissolto, le partizioni cronologiche si materializzarono, mentre le letterature nazionali (si pensi alla voga del titolo di Nationalliteratur, dalla storia di A. Koberstein alla grande raccolta del Kürschner) furono considerate atomisticamente, come una molteplicità naturale. Alla fine, il bisogno di aprire finestre in queste monadi portò a costituire come una disciplina a parte la cosiddetta "letteratura comparata" intesa sia come ricerca dell'origine (soprattutto popolare) e della trasmissione dei "temi" sia della "fortuna" degli scrittori e dei gusti letterarî della società. In effetti, come avvertì G. Mazzini (Scritti, I, 114), "una letteratura sorta, educata, cresciuta per sé, senza influenza di letterature straniere è impossibile forse a trovarsi". Chi vuol intendere Orazio dovrà tenere in primo luogo conto dei Greci, né l'epica spagnola s'intende bene senza la francese; su Dante influirono decisamente, per non dir d'altri, Virgilio e i Provenzali, non Guittone, mentre per G. d'Annunzio sono importanti Ch. Baudelaire, P. Verlaine, G. de Maupassant, A. Swinburne e altri francesi e inglesi, non T. Tasso o G. Parini. Di più: dall'ellenismo in poi non c'è grande movimento di cultura, e quindi letterario, il quale non abbia una portata che va assai oltre i confini del paese o del popolo presso cui sorse primamente: una Weltliteratur s'iniziò fin da quando il Romano colto cominciò a leggere e a studiare le opere dei Greci; e lo stesso press'a poco accadde in Oriente quando musulmani colti, Persiani, Turchi, Indiani s'appropriarono la lingua e la civiltà islamica e quando la corte dei Turchi e gl'Indù musulmani adottarono il persiano come lingua di cultura. Carattere unitario ha poi il Medioevo. Non è possibile intendere nessun fenomeno letterario e nessuno scrittore di qualche importanza nella sua relazione storica, se non uscendo continuamente fuori dal quadro della letteratura "nazionale". E come una fondamentale unità, G. Brandes, uno dei più notevoli critici moderni, ha studiato la letteratura europea del secolo scorso (Hovedstrømninger i det 19de Aarhundrades Litteratur), come già, prima di lui, H. Hettner quella del periodo illuministico.
Oltre alle partizioni accennate, sole o variamente combinate, la serie degli schemi classificatori si è fatta, dalla distruzione della poetica classica in poi, sempre più riccamente articolata. Così, avendo l'occhio principalmente al contenuto, si può parlare di una letteratura mistica, profana, eroica, cavalleresca, politica, sociale, decadente, tendenziosa; occasionale, di guerra, pacifista; per l'infanzia, di viaggi; di un romanzo e di un racconto picaresco, pastorale, di avventure, a chiave, storico, poliziesco, criminale, familiare, erotico, pornografico; di un Bildungsroman; di un dramma biblico, di carattere, borghese, di una comédie larmoyante, di una "tragedia del destino", ecc. (nel periodo positivistico fu in voga anche l'ordinamento per temi: p. es. "Griselda", "Maria Stuarda", ecc.); considerando invece soprattutto lo stile (contenuto e forma sono essenzialmente tutt'uno: di qui la possibilità di dare valore formale a determinazioni del contenuto, e viceversa), di una letteratura primitiva, maccheronica, barocca, classica, classicheggiante, neoclassica, ingenua, sentimentale (F. Schiller), progressiva (F. Schlegel), simbolica, romantica, neoromantica, purista, naturalistica, veristica, realistica, espressionistica, ecc.; con riferimento particolare a scuole e a modelli letterarî, di una letteratura petrarchistica, marinistica, ecc.; a un atteggiamento psicologico, di una letteratura estetistica, umoristica, satanica, ecc.; a categorie, a gruppi sociali e istituzionali, di letteratura giullaresca, dei flagellanti, dei lanzichenecchi, dei Meistersinger, dei gesuiti, degl'improvvisatori; monacale, borghese, dotta, infantile, ecc.; alle tendenze politiche che la ispirano, di una letteratura cattolica, liberale, democratica, socialista, fascista e via di seguito.
La biografia (v.) letteraria, sorta già in Grecia con Aristosseno di Taranto, dopo lo stilizzamento classico-letterario degli umanisti e la forma erudita dei settecentisti, acquistò nuova importanza nell'epoca romantica, e fu coltivata in una forma psicologico-erudita soprattutto da Inglesi e Francesi, speculativo-storica principalmente dai Tedeschi. Accanto al modo, tenuto di solito dai Francesi, di considerare le opere letterarie in relazione all'individualità empirica dei loro autori e di spiegare la vita di questi servendosi di quelle, e all'altro naturalistico-descrittivo, una nuova forma esteticoindividualistica di biografia è stata creata da F. Gundolf (v.).
Negli ultimi decennî si sono venute affermando sempre più, da una parte la considerazione stilistica, sia in senso linguistico, sotto la parziale influenza dell'estetica crociana (K. Vossler, L. Spitzer, C. de Lollis), sia nel senso in cui il concetto di stile è inteso da storici delle arti figurative, e specialmente da H. Wölfflin (F. Strich, O. Walzel): in quest'ultimo indirizzo si è anche cercato di costruire facendo una storia di stili, una storia letteraria senza nomi (O. Walzel); dall'altra la trattazione della letteratura come Geistesgeschichte, vale a dire come documento e forma della storia generale del pensiero e della civiltà o dei sentimenti e atteggiamenti pratici (M. Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Milano-Roma [1930]; P. Kluckhohn, Die Auffiassung der Liebe in der Lit. des 18. Jahrhunderts und in der deutschen Romantik, Halle 1922).
Nelle moderne trattazioni della letteratura è per lo più chiara la consapevolezza che le classificazioni di cui si servono hanno un carattere descrittivo, e si avverte lo sforzo di passare da una considerazione naturalistica a una idealistico-storica. Soprattutto per l'esempio e l'impulso di B. Croce si tende oggi, particolarmente in Italia, conformemente alla vecchia tradizione nostrana, a studiare la letteratura con un metodo individualizzante. Molti dei seguaci di questo indirizzo intendono questo metodo in modo alquanto materialistico, e più da amatori che da studiosi; ma il motivo profondo di questa riforma della storia letteraria e artistica, è da ravvisarsi - oltreché nel più vivo senso per la forma estetica e in una maggiore attenzione data all'interpretazione del testo, che dovrebbe portare a insistere sul momento filologico-linguistico (la "stilistica") - nel concetto che non esistono "campi" ma problemi, che non il genere ma l'individuo è reale. Così questa trattazione individualizzante rende insieme possibile riprendere l'ideale, che fu del Goethe e degli spiriti più alti della sua epoca, di una letteratura mondiale.
Bibl.: B. Croce, Estetica, 6ª ed., Bari 1928; Problemi di estetica, 2ª ed., Bari 1923; Nuovi saggi di estetica, 2ª ed., Bari 1926; e la sua rivista La critica, 1903 segg. V. poi la bibl. delle voci critica; estetica; filologia. Inoltre: per gli studî in Germania, Merker-Stammler, Reallexikon der deutschen Literaturgeschichte, Berlino 1925-1931; la Philosophie der Literaturwissenschaft, edita da E. Ermatinger, Berlino 1930; W. Mahrholz, Literaturgeschichte und Literaturwissenschaft, 2ª ediz., a cura di F. Schultz, Lipsia 1932; E. Ermatinger, Die deutsche Literaturwissenschaft in der geistigen Bewegung der Gegenwart, nel volume Krisen und Probleme der neuern deutschen Dichtung, Zurigo-Lipsia-Vienna 1928, pp. 7-30; R. Unger, Gesammelte Studien, Berlino 1929; J. Petersen, Die Wesensbestimmung der deutschen Romantik, Lipsia 1926; V. Santoli, Il Romanticismo nella critica tedesca, in La cultura, IX (1930), pp. 608-16; per gli studî in Italia, B. Croce, Storia della storiografia italiana nel sec. XIX, 2ª ed., Bari 1930; C. Sgroi, Gli studi estetici in Italia nel primo trentennio del '900, Firenze 1932; L. Russo, Problemi di metodo critico, Bari 1920, e Richtlinien der literarischen Kritik und der Literaturgeschichte in Italien, in Deutsche Vierteliahrsschrift für Literaturwissenschaft und Geistesgeschichte, X (1932), pp. 534-47. Sulla "letteratura comparata", oltre B. Croce, Problemi cit., l'Introduction di J. Texte a L.-P. Betz, La littérature comparée, 2ª ed. Strasburgo 1904; F. Baldensperger, Littérature comparée: le mot et la chose, in Revue de Littérature comparé, I, 1921, pp. 5-29; P. van Tieghem, La littérature comparée, Parigi 1931. Sull'unità della letteratura medievale, ultimamente: A. Monteverdi, Neolatine, in La cultura, X (1931), pp. 761-74. Sul concetto della letteratura mondiale: E. Merian-Genast, Voltaire und die Entwicklung der Idee der Weltliteratur, in Romanische Forschungen, XL (1926), pp. 1-226; F. Gundolf, Goethe, Berlino 1918, pp. 681-707; G. Mazzini, D'una letteratura europea [1829], in Scritti, ed. naz., I, pp; 177-222; K. Vossler, Die romanischen Kulturen und der deutsche Geist, Monaco 1926; B. Croce, Conversazioni critiche, s. 3ª, Bari 1932, pp. 84-89.
Letteratura popolare.
È difficile - non esistendo una differenza essenziale fra essa e la poesia d'arte - definire la poesia popolare, della quale tuttavia si può dire, da un punto di vista psicologico, che "ritrae sentimenti semplici in corrispondenti semplici forme" (B. Croce), e, da un punto di vista filologico, che è accompagnata dal canto e, anzi, alla melodia spessissimo si subordina; infine, che si può chiamare "popolare" non perché creata - come si credette - esclusivamente o principalmente dal popolo, ma perché largamente diffusa in tutti i ceti sociali (e solo da ultimo esclusivamente nei popolari, e nei paesi più che nelle città). Come nella storia della lingua non ha valore un'innovazione (che ha pur sempre un'origine individuale, anche se, nella massima parte dei casi, l'autore non ne è identificabile) la quale non entri nell'uso, così sono strettamente "popolari" solo quei canti dei quali è attestato che siano o siano stati largamente cantati. Possiamo, dunque, dire che tutta la poesia popolare è di "tono" popolare, ma che però non tutta la poesia di "tono", popolare è socialmente o storicamente popolare.
Questo che vale per la poesia popolare - la quale d'altronde ne costituisce la parte più importante - vale anche per la letteratura popolare in genere (per le varie forme di essa, v. befanata; canto: Canto popolare; fiaba; indovinello; leggenda; maggio; novella; proverbio; cfr. anche folklore; gergo). Ammesso come dissolto il mito romantico che disse ogni schietta poesia, e specialmente l'epica, poesia popolare e fece di questa una creazione anonima delle folle (v. canto: Canto popolare; filologia: Filologia germanica), e come stabilita la differenza fra i canti dei selvaggi e quelli popolari delle nazioni civili, nello studio dei quali è necessario tener d'occhio comparando la forma e non l'astratta materia, ci limiteremo qui a chiarire la letteratura popolare sotto due aspetti. Il primo di questi aspetti è costituito dalla discesa della letteratura d'arte a letteratura popolare. Gli studiosi sono oggi concordi nell'ammettere che le ballate epiche nordiche e poi anglo-scozzesi (danese Folkeviser) destinate, almeno in origine, alla danza, sono una creazione d'arte, influenzata quasi certamente, oltre che da elementi metrici di origine francese, da modelli tedeschi, ed è certo che esse si diffusero fra i cavalieri prima che fra il popolo; sappiamo la lunga e complicata storia della degradazione popolare dell'epopea francese; conosciamo riduzioni popolari cinquecentesche di sonetti del Petrarca e novecentesche di Pascarella; ci è noto che gl'improvvisatori si sono sempre serviti di schemi fissi di origine letteraria; abbiamo dinnanzi a noi, storicamente ricostruita, la storia delle stampe e dei libri popolari (v. libro: I libri popolari), la quale prova che i Volksbücher tedeschi, in gran parte risalenti ai secoli XV e XVI (i Folkebøger danesi seguono con un ritardo di circa un secolo) e nel Cinquecento divenuti definitivamente patrimonio del popolo, sono nient'altro che letteratura discesa.
Di argomento svariatissimo, questi Volksbücher derivano in parte dalla tradizione biblica apocrifa, in parte da romanzi e narrazioni di origine ellenistica, bizantina e orientale, in parte molto più grande da tarde epopee - o anche da tarde prose - francesi (assai più raramente costituiscono una dissoluzione in prosa di epica cortese tedesca: Wigalois, Tristan, ecc.: fine del sec. XV). A questi vengono poi ad aggiungersi pochi romanzi d'amore, pure d'origine cavalleresca (Mélusine, Magelone, assai più tardi Genoveva), mentre dopo il 1460 cominciano in Germania gli adattamenti dalla novellistica italiana del Rinascimento. Così della novella di Griselda (Decam., X, 10) - lasciamo da parte qui la questione delle fonti boccaccesche - servendosi della versione latina del Petrarca, lo Steinhöwel fece un volgarizzamento tedesco dal quale discende a sua volta una traduzione basso-tedesca; e a questa risale il Folkebog danese (1528, 1557 e 1559, 1592, ecc.), dal quale deriva a sua volta un Folkbok svedese (1622). Ugualmente, la novella di Ghismonda (Decam., IV,1), attraverso la traduzione latina di L. Bruni, divenne popolarissima in Germania nella versione di Niclas von Wyle, e dal Volksbuch tedesco derivò anche il Folkebog danese (1528). E così via. Trattandosi di stampe, non di canti, la maggior parte degli autori di questi libri popolari ci è nota: innanzitutto preti e nobili, poi cortigiani e borghesi; mentre anche le prime stampe si rivolgevano principalmente al pubblico della nobiltà e dei ceti agiati. Divenuti patrimonio della plebe, ossia scesi al fondo del processo della degradazione, questi libri popolari attrassero l'attenzione e furono sfruttati come fonte nella seconda metà del sec. XVIII da letterati e artisti (il Lessing e, soprattutto, il Goethe) e furono poi più davvicino studiati e rinnovati (per es., dal Tieck) nel romanticismo, divenendo così letteratura d'arte (e sia pure d'arte fiacca).
Analogamente romances penetrarono nella poesia dotta; motivi tratti dalla poesia popolare furono innalzati a eleganti forme artistiche in Italia verso la fine del sec. XV; l'Ariosto, lo Straparola, il Basile elaborarono artisticamente fiabe popolari; le forme e i modi dell'antica ballata germanica furono ripresi dalla poesia preromantica e romantica e innalzati ad arte grandissima dal Goethe; a forme dell'antica poesia popolare italiana si avvicinò S. Ferrari.
Bibl.: B. Croce, Poesia popolare e poesia d'arte, Bari 1933; P. Rajna, Concetto e limiti della letteratura popolare, in Atti del I Congresso naz. delle tradizioni popolari, Firenze 1930, pp. 41-47; N. Zingarelli, Il folklore, in L'Educazione nazionale, XIV (1932), pp. 282-98. Sui romances: P. Rajna, Osservazioni e dubbi concernenti la storia delle romanze spagnole, in the Romanic Review, VI (1915), pp. 1-41. Inoltre: Mackensen e Bolde, Handwörterbuch des deutschen Märchens, Berlino-Lipsia 1931 segg., fondamentale, e il vol. IX della serie Nordisk Kultur: folkvisor, folksägner och folksagor, Stoccolma 1931; A. Heusler, Über die Balladendichtung des Spätmittelalters namentlich im skandinavischen Norden, in Germanisch-romanische Monatsschrift, X (1922), pp. 16-31; A. Olrik, Danske Folkeviser i Udvalg, Copenaghen 1899, pp. 5-91.
Letteratura orale dei primitivi.
Complesso di tradizioni varie che passano oralmente da famiglia a famiglia, la letteratura dei primitivi contiene in embrione quasi tutti i generi della letteratura dei popoli civili. La poesia si trova dapprima in forma di cantilene di due o tre frasi, ripetute cadenzatamente, in modo monotono. Spesso le frasi non sono che esclamazioni, che acquistano significato dal tono e dai gesti del cantore, come nei canti di caccia degl'Indiani delle praterie nordamericane e in quelli di guerra degl'Irochesi.
Dallo svilupparsi di siffatte espressioni ritmiche prendono forma, a poco a poco, i ritornelli, che spesso hanno il fare sentenzioso di proverbî, e più spesso il doppio carattere descrittivo ed emotivo, in quanto si servono della descrizione degli avvenimenti e dei loro particolari, anche i più piccoli, per risvegliare nell'animo impressioni, sentimenti, desiderî.
Le ninne-nanne non si sottraggono a questa tendenza; la madre ripetendole, per addormentare la creatura, allevia a sé stessa la lunga e penosa attesa del suo uomo partito per la caccia: "Xami, xami, dormi piccino mio; non vi è più legna per riscaldare il focolare; la mia ascia di selce si è spezzata e mio marito ha portato via l'altra". Così incomincia una ninna-nanna degl'Indiani dell'Alasca, rappresentando nelle brevi strofe le peripezie del cacciatore in traccia della selvaggina, il bottino che egli trascina con sé, i lupi, le volpi, i corvi sghignazzanti che si disputano le spoglie della preda da lui fatta e si battono per un boccone, e via dicendo. Come le ninne-nanne, le nenie funebri. Presso molti popoli non civili le donne, al pari delle nostre prefiche, intonano delle cantilene sul cadavere; ma spesso all'ufficio di piagnoni sono chiamati gli uomini. Nella Nuova Guinea, nella Nuova Caledonia, e altrove, ogni decesso dà l'occasione a componimenti funebri, e il defunto è accompagnato dai piagnoni, che salmodiano le sue lodi. Talvolta, siffatte nenie hanno lo scopo di placare lo spirito dell'ucciso, specie se il morto è un nemico.
Anche nei canti erotici, che di solito consistono nella combinazione di frasi, ciascuna delle quali adatta a indicare una circostanza o ad enunciare un desiderio, il sentimento dell'amore si trova associato alla passione della caccia e della pesca, ovvero alle avventure della guerra.
Alla recitazione dei componimenti poetici concorrono talvolta due o tre individui, onde l'elemento melodico e quello mimico vi prevalgono, come fra gli Ottentotti, i Negri del Congo, dei Grandi Laghi e di altri paesi africani, le cui canzoni meritarono la qualifica di coreografiche, o vennero dette un accessorio della danza, essendo quasi tutte ballate.
Compagno inseparabile dell'uomo, il canto lo segue nelle sue quotidiane occupazioni, nella caccia, nella pesca, nella guerra, nonché nelle principali cerimonie della vita, dalla culla al talamo, dall'iniziazione alle nozze. Comunissimi i canti del lavoro. Essi servono ad attenuare il peso delle lunghe e spesso dure fatiche alle quali si sottopone l'uomo per procacciarsi il sostentamento e provvedere ai bisogni elementari dell'organismo. Se ne hanno per le differenti operazioni dell'agricoltura (dissodamento della terra, raccolta dei prodotti, ecc.), come per le incombenze affidate alle donne e principalmente per la macinatura del frumento. Tra i Basuto e altre popolazioni africane questa speciale operazione riunisce quasi tutte le donne della famiglia che cantano in coro. I Negri della Giamaica, mentre manipolano l'argilla che serve per le costruzioni cantano all'unisono, ora avanzando e ora rinculando, battendo il tempo coi piedi. I barcaioli delle Isole Tonga hanno canzoni che mentre servono a invocare il nume del mare, regolano il ritmo dei remi. Uno di essi, ordinariamente il primo rematore, intona il canto, al quale gli altri fanno eco, a voce spiegata.
Da quest'ultimo esempio si rileva il significato propiziatorio di alcune canzoni primitive. Gl'indigeni delle Paumotu ne hanno per la preparazione del fuoco, per la pesca e per altri lavori. Accingendosi a produrre il fuoco mediante lo strofinio di due pezzi di legno, recitano le canzoni in lode di Hiro, lo spirito dell'elemento combustibile e della fiamma come accingendosi alla pesca recitano quelle in lode del dio marino. Siffatte canzoni constano di più parti, alcune delle quali vanno recitate durante la preparazione degli attrezzi, altre durante l'uncinazione dell'animale, e altre poi, durante il trasporto della pesca.
Con queste e altre composizioni in cui affiorano gli elementi religiosi ed eroici, esordisce la poesia epica in forma alquanto prolissa e mista di leggende mitico-genealogiche e storiche. Se ne trovano esempî numerosi nell'Australia, nell'Oceania, nell'Africa e nell'America. Gli Australiani sogliono recitare le canzoni di tal genere, la sera, quando si radunano nei loro accampamenti, attorno ai grandi fuochi. I Neozelandesi le accompagnano con arie e melodie, rispondenti alla solennità del contenuto, a gloria degli antenati e delle battaglie vinte. Vivificazioni di esseri e di oggetti contengono i canti degli Ottentotti indirizzati alla luna, alle costellazioni, alla natura. Un abbozzo di rappresentazione scenica è il loro "canto del lampo", al quale prendono parte un personaggio che rappresenta il fulmine, e il craal o la moltitudine che è esterrefatta per la morte d'un suo membro colpito dalla saetta.
Non sono pochi i primitivi che vantano dei bardi. Questi poeti o cantori di professione, quasi sconosciuti nelle popolazioni a regime clanico (Australiani, ecc.), fra cui prevalgono i canti in coro della collettività, sono tenuti in considerazione e in onore nelle stirpi guerriere, specie nelle società dispoticamente organizzate, presso cui esercitano la loro arte nelle corti dei capi e dei sovrani. Cantori ambulanti annoverano i Mandingo, i Bambara e altri negri africani. Presso gli Asandè esistono dei menestrelli, i quali passando da luogo a luogo e camuffandosi stranamente con acconciature fantastiche, con abiti di corteccia di albero, con penne e pelli di animali, raccontano le avventure dei loro viaggi. Differiscono da questi i bardi dei Cafri, chiamati a celebrare le gesta dei guerrieri illustri, degli eroi eponimi, di Unkulunkulu, creatore del cielo, del sole, della luna, padre degli eroi, ecc. Alla corte di Musilikatze (Umsilikazi) convenivano bardi a magnificare le imprese del terribile re zulù.
Le epopee popolari primitive non sono sempre in forma ritmica, come quelle degli Eschimesi; spesso sono racconti in prosa, come fra i Mincopî, gli Australiani, i Boscimani, i quali vi intercalano ritornelli, formule, carmi magici, proverbî. Sotto questa specie essi si confondono con altri generi narrativi, specialmente con le leggende, che rispecchiano la concezione zoomorfica e antropomorfica che gl'incivili hanno dell'universo.
Le leggende totemiche (v. totemismo), le leggende di animali che assurgono al prestigio di benefattori dell'umanità (il ragno presso i Bantu, la lepre presso gli Algonchini, il daino presso gli Huichol, il corvo presso gl'Indiani della Columbia Britannica, ecc.) e quelle altre che mettono in scena la metamorfosi di animali in uomini e viceversa, ovvero rappresentano mostri ibridi, sono caratteristiche delle fasi primordiali della civiltà umana. Allorquando, in un secondo tempo, la concezione antropomorfica si affaccia, i personaggi si umanizzano dando origine a quel popolo vario e meraviglioso che domina il mondo dei racconti in forma di giganti, di nani, di fate, di ciclopi, ecc.; e allorquando poi, la nozione confusa del mana (v.) si dissolve personificandosi in un complesso di agenti benefici o malefici, prendono posto nella leggenda i demoni, i semidei, gl'indovini, ecc. Un fatto notevole è che nei racconti dei primitivi l'azione prevale sulla descrizione, onde i personaggi si vedono nelle loro imprese, nelle varie manifestazioni di forza, di abilità, di destrezza, senza che i loro caratteri siano ritratti o abbozzati, come non sono ritratti gli ambienti, i paesaggi, la natura. In molti di essi la narrazione è intimamente legata alla rappresentazione, onde le cosiddette leggende rituali o drammatizzate a fondo magico-religioso degli Australiani, dei Neoguineani, dei Melanesiani, degli Eschimesi, di parecchi Indiani dell'America Settentrionale (Hupa, Cherokee, Blackfeet, ecc.) e dell'America Centrale e Meridionale (Zuñi, Moki, Huichol).
Apprestandosi alla pesca del salmone, gl'Indiani Hupa della California fanno recitare dal loro mago la prescritta formula magica, la quale consiste nel racconto mitico dei tre immortali, facendo accompagnare, con acconci atti, le operazioni raffiguranti la pesca, in quella indicate.
I racconti dei primitivi incominciano ordinariamente con una formula. Fra i Negri della Guiana il cantastorie si annunzia con la parola: Masak, alla quale l'adunanza risponde: Kam! Fra quelli della Costa degli Schiavi grida: Alo!; e quando gli ascoltatori fanno eco con la stessa parola, egli pronunzia il tema. Non di rado sono in uso delle formule per significare al pubblico, in maniera ironica, che la storia che si sta per narrare è una pura finzione. I racconti australiani cominciano con la frase rituale: "Nel tempo dell'Alcheringa"; quelli ainu con l'altra: "Negli antichissimi tempi, al principio del mondo", per indicare l'epoca mitica alla quale le azioni si riportano. Gl'Indiani dell'America Settentrionale invece, dicono senza determinare: "Son tanti anni" come i Malgasci: "Questo è un vecchio conto". Talvolta le formule iniziali sono propiziatorie. Il narratore berbero di Ouargla, prima di esporre la novellina, dice: "Che Iddio ci dia il bene e non il male. Il male sia per gli altri, il bene a me".
Altre formule sono inserite nel corso dell'esposizione, per svegliare l'uditorio e per rappresentare alcune circostanze, come il lungo cammino, il gran tempo trascorso, la lontananza dei luoghi, la sosta dei personaggi, ecc.; e altre poi si trovano alla fine. Queste ultime o sono di natura profilattica o compendiano il racconto in una massima morale. Esempî se ne hanno fra i Somali ("Chi fa una fossa per il fratello, vi cade dentro"); tra i Negri della Costa degli Schiavi ("Non lasciate i vostri figliuoli in luoghi pericolosi"); a Madagascar ("Ciascuno riceve la ricompensa o la punizione dei proprî atti"). Brani in verso o assonanti (monologhi e dialoghi tra animali) intramezzano spesso la trama narrativa, come pure canti e melodie (Batonga, Basuto, Negri di Giamaica). La vivacità drammatica del racconto è accresciuta dall'arte del narratore, il quale presso gli Eschimesi sa ritrarre con particolari intonazioni di voce i mutevoli sentimenti e atteggiamenti dei personaggi, e presso i Batonga mediante onomatopeie contraffà i gridi degli animali. Più ammirevole è l'arte del narratore boscimano, il quale si dice faccia parlare nella sua lingua dai caratteristici suoni schioccanti gl'interlocutori, siano uomini, siano animali.
Secondo una norma di ordine generale i racconti vanno ripetuti la sera, accanto al fuoco, o nelle veglie dell'estate (Nuova Guinea, Alasca, Africa meridionale e settentrionale), e chiunque vi deroghi, si dice, incorrerà in una sanzione soprannaturale. Tra i Basuto il contravventore non tarderà a essere fulminato o avrà il dolore di vedere la propria madre trasformata in una zebra. Presso varie tribù berbere del Marocco, se chi narra è una donna, sarà punita nella sua prole, la quale se è nata perirà uccisa da animali cornuti, se in gestazione verrà al mondo in forma minuscola e inabile a qualsiasi lavoro. Eccezioni alla regola sono per i racconti durante le soste dei lunghi viaggi, o durante la dimora negli accampamenti.
L'indovinello rappresenta una parte importantissima della letteratura orale delle popolazioni primitive, specialmente dell'Africa, ove ne sono stati raccolti moltissimi. Esso costituisce l'ordinario passatempo dei Negri del Senegal e della Costa degli Schiavi, degli Zulù, dei Basuto e di altre genti. Non di rado è spontaneo, come presso i Balochi dell'India settentrionale, i Malgasci, i quali ne improvvisano durante i viaggi, sulle cose vedute e sulle circostanze osservate durante la giornata. Fra i Berberi del Marocco gli uomini e le donne che partecipano alla danza si lanciano scambievolmente degl'indovinelli, a gara cercando di scioglierli o indovinarli. Nell'Arcipelago Aru (Melanesia) una simile gara avviene fra quelli che sono incaricati di vegliare un cadavere.
Come per i racconti, anche per questo genere letterario vige la regola che lo interdice durante il giorno e in determinate epoche. Presso gli Alfuri di Celebes questo speciale divertimento è proibito nell'epoca della mietitura, mentre è consentito nell'epoca della semina. È allora che le comitive vi prendono diletto, e quando uno di loro abbia sciolto un enigma, il coro esplode in grida di gioia, invocando gli spiriti ancestrali affinché siano propizî al raccolto. Altrove si hanno esempî d'indovinelli proposti dal cantastorie all'inizio del racconto, e presso qualche altro d'indovinelli che ricorrono nella narrazione. I primi vanno sciolti dagli uditori; gli altri servono a provare la perspicacia dell'eroe o dell'attore.
La letteratura, presso i primitivi, non ha soltanto carattere emotivo o di piacere, ma è un elemento importantissimo di educazione, per i precetti che contiene, e di coesione sociale, per le credenze e le pratiche magico-religiose. Molte genti selvagge, come gli Australiani, prendono conoscenza dei misteri dei loro culti, o come gli Eschimesi, apprendono la maniera di comportarsi nella caccia o nella guerra, o di ottenere la pioggia, attraverso i racconti e le leggende, che costituiscono per loro un sacro patrintonio tradizionale.
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