medicina, scrittori di
Nella considerazione della complessa vicenda culturale che torna necessaria per intendere i molteplici nodi del pensiero di M., soltanto in tempi recenti si è posto in luce un aspetto che apre feconde prospettive di interpretazione della trama logico-costruttiva, nonché di alcuni termini di rilievo nel lessico dei suoi testi: si tratta del ruolo del linguaggio concettuale della medicina sulla formazione del suo stile di pensiero. Non si tratta soltanto del ricorso a formule metaforiche, né soltanto dello svolgimento di discorsi in chiave analogica: si tratta, con incidenza più profonda, del richiamo a principi di stampo naturalistico, nonché, soprattutto, del ripensamento di una linea metodica di ragionamento casistico-storico. I temi principali assunti a tal fine dalla medicina riguardano la composizione umorale di qualsiasi organismo vivente (Principe ix; Discorsi I iv; Istorie fiorentine proemio); il riconoscimento di un ruolo cruciale del tempo nel decorso della malattia e nella messa a punto di una sua conoscenza e cura (Principe iii); nonché l’avvertimento di come il risanamento di un qualsiasi organismo vivente, inevitabilmente corruttibile nella sua finitudine, si ritrovi nel ripristinarne le sorti originarie, purgandone i fattori di rovina (Discorsi II v e III i). Forse ancora di maggior portata sono i paradigmi metodici ispirati dalla scienza medica. Quasi un manifesto in tal senso, pur lasciato implicito nelle sue molteplici ramificazioni, è la dichiarazione proemiale ai Discorsi: una sorta di rivendicazione di intenti di valenza filosofica, portatrice di un ammonimento cruciale, in punto a un criterio di educazione all’arte politica tramite la storia. In tale testo, segnatamente in un passo capitale quanto al far tesoro dei casi esemplari del passato, M. richiama il paradigma della formazione progressiva del sapere in ambito medico: «Né ancora la medicina è altro che esperienze fatte dagli antiqui medici, sopra le quali fondano e’ medici presenti e’ loro iudizii» (Discorsi proemio A 5). Si tratta di un paradigma (di portata analoga a quello ricavabile dalla tradizione pratica dell’antica giurisprudenza) inerente la formazione di un sapere (di valore scientifico e insieme di effetto utile) la cui via metodica, propriamente storico-casistica, M. propone venga seguita anche da chi voglia ragionare dello Stato e delle sue sorti politiche. Com’è stato rilevato da Eugenio Garin, M. si richiama alla scienza medica proprio mentre si apparecchia a proporre ai reggitori degli Stati, incapaci di «imitare» le «virtuosissime operazioni» che si possono riscontrare nelle «cose antique», di curare questo male con la medicina della «vera cognizione delle istorie» (Machiavelli fra politica e storia, 1993, p. 19). Casistica medica e casistica politica ragionate in chiave storica: è questo il tema del confronto mirato alla messa a punto di un nuovo modello di scienza. Non può, a tal proposito, tralasciarsi di evocare che nell’ambiente fiorentino e nella cultura filosofica di quel tempo, ancora improntata a quella sorta di culto platonizzante che era fiorito nel corso del Quattrocento (cui M. non fu del tutto estraneo), il riferimento alla medicina come paradigma di pensiero scientifico si trovava ribadito a chiarissime lettere da più di un testo di Platone (anche con rinvio esplicito e diretto a Ippocrate e alla sua scuola, come avviene nel Protagora, 311 B): infatti nel Fedro (270 C) Socrate richiama il metodo di Ippocrate come paradigmatico e come apportatore di discorso vero nel conoscere la natura di un corpo tramite la natura dell’intero di cui consiste. Così pure nel Lachete (198 D), con rilevanza ancor più significativa per quanto qui interessa, Socrate evoca la medicina come arte in cui si consegue scienza della realtà attraverso una prospettiva storica, aprendo uno sguardo che indaga unitariamente quanto avviene, è avvenuto e avverrà, senza separare passato, presente e futuro. Preme, in proposito, richiamare quanto puntualmente ed efficacemente Angelo Poliziano nel suo Panepistemon pone in luce la prospettiva storicizzante come intrinseca a ogni indagine semiotico-diagnostica, che va articolata così da acquisire presentium discerniculum, futurorum presagium, praeteritorum memoriam («discernimento delle cose presenti, presagio di quelle future, memoria di quelle passate»). D’altra parte nel Gorgia (501 A) Socrate riconosce la medicina come un’arte, quindi non soltanto come una pratica, perché indaga la natura di ciò a cui rivolge le sue cure, così come indaga problematicamente la causa dell’effettività del suo operare. Tali aspetti metodologici della scienza medica, variamente disputati dai medici del suo tempo, attrassero l’attenzione di M. nella messa a punto di un metodo di razionalità casistica attraverso l’intelligenza della storia applicata alla realtà politica. Forse proprio perché tali influenze d’orizzonte metodologico ed epistemologico provenivano da una temperie culturale diffusa in cui la medicina esercitava una sorta di egemonia interdisciplinare (con una coloritura filosofico-eclettica in cui, tuttavia, prevaleva l’impronta della varia tradizione del naturalismo in chiave aristotelica), torna arduo individuare singoli autori di medicina in cui riscontrare propriamente fonti dirette di Machiavelli. Mancano note di richiamo a libri di medicina nel Libro di ricordi di Bernardo, padre di Niccolò; ma alcuni classici quali Ippocrate, Galeno, Celso e altri autori connessi, come Plinio, non poterono essere ignorati da M. per quanto la tradizione consentiva. Occorre, inoltre, far conto che nel contesto della società fiorentina il milieu culturale, reso variamente selettivo soprattutto a opera di taluni operatori di spicco come i giuristi e i medici (questi più rari, ma di maggior prestigio, e più autorevoli di quelli), era sollecitato da presenze significative di autori di medicina, nuovamente riscoperti e studiati dagli umanisti e attentamente considerati da autorevoli interpreti come Marsilio Ficino e Giovanni Pico della Mirandola. La tradizione intellettuale della medicina interveniva così con un ruolo rilevante in quel crogiuolo di confronti di esperienze e di pensiero che animava anche il mondo politico: in tale quadro appare significativa non soltanto la cura dedicata da Marcello Virgilio Adriani, responsabile della prima cancelleria, a Dioscoride (con edizione castigata nel 1518), ma anche l’attenzione rivolta a Lucrezio, a Plinio, a Seneca, a Teofrasto e ad altri naturalisti. Ippocrate – (vetustissimus Hippocrates), già tradotto in latino in vari frammenti da Teodoro Gaza, celebrato, discusso e canonizzato da medici storiografi come Giovanni Tortelli e Gian Giacomo Bartolotti, vagliato (con assiduo confronto distintivo con Galeno) nei molteplici commenti già di Marsilio da Santa Sofia, poi di Biagio Pelacani da Parma, di Iacopo da Forlì, di Ugo Benzi, di Bernardo Torni, di Antonio Benivieni, di Michele Savonarola, di Alessandro Sermoneta, di Poliziano, di Nicolò Falcucci e, soprattutto, di Niccolò Leoniceno – era uno degli autori dell’antichità più apertamente riconosciuti come maestri di rinnovamento scientifico (al pari di Archimede, Lucrezio, Teofrasto ecc.), tramite una ricerca che riusciva a raggiungere esiti di razionalità scientifica entro un mondo il cui corso era conoscibile soltanto in chiave casistica, probabile e indiziaria. Il testo di Ippocrate costituiva una sorta di thesaurus di dottrine mediche, variamente tramandate, principalmente con attinenza all’inquadramento della salute come equilibrio di differenti umori, talora conflittuali, entro una concezione naturalistica del corpo come organismo vivente; nonché della malattia come una vicenda processuale di vario andamento e conoscibilità nel tempo. E così pure la medicina si proponeva come arte imperniata sulla cura, intesa anzitutto come dieta, cioè come condotta di governo ordinato degli equilibri umorali, e poi, secondo varie opportunità casistiche, come intervento tempestivo, in occasioni di crisi, per apportare rimedi adeguati a ripristinare l’equilibrio umorale originario. I testi di Ippocrate implicavano in tale tradizione un nesso inestricabile con quelli di altri medici e naturalisti come Galeno, Celso, Plinio ecc., nelle diverse letture che gli umanisti ne avevano proposto (anche incidentalmente, tramite spunti tolti da Quintiliano); ma, d’altra parte, suscitavano anche un dibattito, dividendo il ramo ippocratico da quello galenico e delineando proposte di vie alternative della scienza medica.
Bibliografia: J.G.A. Pocock, The Machiavellian moment: Florentine political thought and the Atlantic republican tradition, Princeton (N.J.) 1975; L. Zanzi, I segni della natura e i paradigmi della storia: il metodo del Machiavelli. Ricerche sulla logica scientifica degli umanisti tra medicina e storiografia, Manduria 1981; A.J. Parel, The Machiavellian cosmos, New Haven (Conn.)-London 1992; R. Cardini, M. Regoliosi, Umanesimo e medicina: il problema dell’individuale, Roma 1996; M. Gaille-Nikodimov, Conflit civil et liberté: la politique machiavélienne entre histoire et médecine, Paris 2004; L. Perini, postfazione a B. Machiavelli, Libro di ricordi, Roma 2007, pp. 264-323.