logica
Uno strumento per ragionare bene
La parola logica viene dal greco lògos, che significa «parola», ma anche «discorso» o «ragionamento». Aristotele viene considerato a buon diritto come il creatore della logica, anche se egli non usò questa parola, introdotta per la prima volta dagli stoici (con logikè tèchne essi intendevano infatti l’arte del discorso); egli si servì del termine analitica, per indicare lo studio del ragionamento.
Nella riflessione medievale sulla logica aristotelica si delineano due grandi indirizzi: uno di ispirazione realistica e uno di ispirazione linguistica e formale, destinato a prevalere
Gli scritti di logica di Aristotele (noti complessivamente col nome di Òrganon, cioè «strumento» di ricerca) sono: Categorie, Sull’interpretazione, Analitici primi, Analitici secondi, Topici, Confutazioni sofistiche. La logica aristotelica consta di due elementi: la proposizione e il sillogismo. La proposizione risulta dal congiungimento immediato di un soggetto con un predicato, e può essere o vera o falsa, mentre i termini che la costituiscono (soggetto e predicato), presi in sé e per sé, cioè isolatamente, non sono né veri né falsi. Per esempio, se diciamo che «Socrate è bianco», o che «Socrate non è bianco», una di queste proposizioni deve essere vera e l’altra falsa (in virtù del principio del terzo escluso, fondamentale per la logica aristotelica, per il quale una cosa o è a o è non-a); il soggetto e il predicato («Socrate», «bianco») in sé e per sé non sono né veri né falsi.
Alla dottrina delle proposizioni (ovvero dei giudizi) è strettamente connessa la dottrina delle categorie, cioè delle classi sotto le quali possonoessere raggruppati tutti i possibili predicati. Aristotele riduce questi ultimi a dieci gruppi generali: 1) sostanza (per esempio uomo); 2) quantità (per esempio alto 2 cubiti); 3) qualità (per esempio bianco); 4) relazione (per esempio maggiore); 5) luogo (per esempio nel Liceo); 6) quando (per esempio ieri); 7) posizione (per esempio siede), 8) possesso (per esempio ha un paio di scarpe); 9) azione (per esempio taglia); 10) passività (per esempio è tagliato).
Alla luce di ciò risulta chiaro che non tutte le frasi sono oggetto di analisi logica, ma soltanto quelle che ci arrecano conoscenza. Una preghiera, un ordine, una domanda o una esclamazione non sono né veri né falsi, e quindi non arrecano conoscenza, in quanto le frasi in cui si esprimono non costituiscono proposizioni. Solo le proposizioni sono vere o false («Socrate è bianco», «Socrate è corrente 5 corre»); e la proposizione è vera soltanto quando essa attribuisce al soggetto un predicato che il soggetto ha realmente.
Il secondo elemento della logica aristotelica è costituito, come abbiamo detto, dal sillogismo, che risulta da una concatenazione di proposizioni: nel senso che il ragionamento consiste nel ricavare da alcune proposizioni, che si accettano come vere, conseguenze che, se derivate correttamente, ricevono validità dalle premesse. Aristotele dà infatti questa definizione del sillogismo: «un discorso nel quale, poste alcune cose, ne derivano necessariamente certe altre, per il fatto stesso che quelle sono state poste».
Il sillogismo è costituito da tre proposizioni, e cioè da due premesse (una maggiore e una minore), cui segue di necessità la conseguenza. Per esempio, date le due premesse: «l’uomo è animale» e «Tizio è uomo», ne segue l’ulteriore inferenza: «dunque, Tizio è animale».
Aristotele distingue tre figure del sillogismo, a seconda della funzione che il termine medio ha nelle premesse. Nel sillogismo di prima figura, il termine medio funge una volta da soggetto e una volta da predicato (esempio «tutti gli uomini sono mortali; Socrate è uomo; dunque Socrate è mortale»). Nel sillogismo di seconda figura, il termine medio funge da predicato in entrambe le premesse (esempio: «nessun metallo è più leggero dell’acqua; ogni gas è più leggero dell’acqua; dunque nessun gas è un metallo»). Nel sillogismo di terza figura, infine, il termine medio funge da soggetto in tutte e due le premesse (esempio: «tutti gli uomini sono animali; tutti gli uomini sono ragionevoli; dunque alcuni animali sono ragionevoli»). La prima figura conclude affermativamente; la seconda figura conclude negativamente; la terza figura conclude particolarmente.
Individuare le forme del sillogismo e le condizioni della sua validità non equivale ad affermare che tutti i sillogismi sono veri. Il sillogismo è vero (cioè apodittico, o scientifico) solo se le sue premesse sono immediatamente vere e non bisognose di dimostrazione (oppure se le sue premesse sono costituite da conclusioni di un altro sillogismo apodittico). In questo quadro è evidente che il problema fondamentale del sillogismo è costituito dalle premesse vere, le quali però, secondo Aristotele, non possono essere colte attraverso la ragione discorsiva (diànoia), ma possono essere colte solo intuitivamente dall’intelletto (noùs).
Finora abbiamo parlato del sillogismo deduttivo, che costituisce la parte più ricca e più completa della logica aristotelica. Ma il filosofo dedica anche alcuni cenni al sillogismo induttivo, il quale, partendo da premesse riguardanti singoli elementi appartenenti a una classe, attribuisce un determinato predicato alla classe stessa (per esempio: dal fatto che il ferro è pesante, il rame è pesante, l’oro è pesante e così via, si induce che il metallo come tale è pesante).
Questo modo di ragionare (che si fonda sulla testimonianza dei sensi) ha grandissima importanza pratica e scientifica, ma porta con sé problemi assai difficili, che esorbitano dal quadro aristotelico e che saranno affrontati dal pensiero scientifico moderno.
Nella tarda antichità alcuni scritti logici di Aristotele furono tradotti e commentati da Severino Boezio (5°-6° secolo). Queste traduzioni e questi commenti assicurarono all’Europa la sopravvivenza della logica aristotelica, la quale poté diventare nel Medioevo un elemento fondamentale della cultura e dell’insegnamento.
Il pensiero medievale affrontò e discusse un aspetto molto importante di tale logica (che era già stato individuato nella tarda antichità da Porfirio e da Boezio), un aspetto che può essere formulato così: gli oggetti di cui si occupa la logica sono entità reali, oppure pensieri, oppure forme del discorso? Gli universali (cioè i generi e le specie, come cavallo, uomo e così via), che sembrano costituire gli elementi nei quali si risolve il discorso logico, sono sostanze reali o no? Già il filosofo antico Antistene aveva obiettato a Platone: «O Platone, io vedo i cavalli, ma non vedo la cavallinità!».
Su questo problema (sul quale Aristotele ha molte oscillazioni) si accese nel Medioevo una disputa tra i realisti (Bernardo di Chartres, Guglielmo di Champeaux, Anselmo di Aosta e altri), per i quali gli universali possedevano un’esistenza reale (sicché per loro la logica aveva un carattere ontologico), e i nominalisti (Roscellino, Abelardo, e poi Guglielmo di Occam), per i quali gli universali non avevano una esistenza reale, e i generi e le specie erano puri nomi con i quali si indicano gruppi di cose particolari. Secondo Abelardo (11°-12° secolo) i termini della logica sono parole, «discorsi» (sermones), i quali, certo, non sono «meri suoni» (flatus vocis), poiché le parole significano cose date dall’esperienza; ma la logica è essenzialmente scientia sermocinalis («scienza del discorso»).
Nella filosofia medievale si delineano dunque due grandi indirizzi nel modo di concepire la logica: un indirizzo di ispirazione realistica, ontologica, e un indirizzo di ispirazione terministica, ossia linguistica e formale, secondo l’ispirazione della logica stoica (stoicismo).
Fu questo secondo indirizzo – che assumeva i termini del discorso come tali, a prescindere da qualunque ipotesi sull’esistenza o meno dei loro oggetti, e che privilegiava perciò l’indagine sulle regole formali del discorso stesso – a prevalere nel pensiero medievale a partire dal 13° secolo. Tale indirizzo ispirò i testi scolastici di logica usati fino agli inizi dell’età moderna (come le Summulae logicales di Pietro Ispano).
Nell’età moderna la logica viene sempre più concepita come metodologia scientifica generale (metodo scientifico e scienza), e la tradizione logica peripatetico-scolastica viene abbandonata pressoché interamente. Questo processo è stato iniziato nel Seicento da Francesco Bacone, il quale svolse un’aspra e serrata polemica contro la filosofia aristotelica ed esaltò il valore della nuova scienza nonché l’importanza di essa nel mondo moderno (ragione, razionalismo).