Mercurio
Lo spregiudicato e geniale messaggero degli dei
Originario dio dei pastori e dei viandanti, Mercurio (che in Grecia si chiamava Ermete) simboleggia l’astuzia e l’inventiva, la genialità sorprendente e spregiudicata, che a volte sconfina nella furbizia da ladro. È il messaggero degli dei, ma si rende anche protagonista di scherzi impertinenti alle divinità dell’Olimpo. Presso i Romani Mercurio protegge i mercanti e il suo influsso rende l’uomo attivo e fortunato
La figura di Ermete è, nella cultura greca, ricca di aspetti e caratteristiche sorprendenti. In origine è probabilmente un dio dei pastori, che concede abbondanza di greggi: è infatti spesso rappresentato con un ariete sulle spalle. Proprio le cosiddette erme – anticamente semplici pietre, in seguito anche scolpite – segnano i confini dei terreni nelle campagne.
Ermete conduce una vita da pastore ed è sempre in movimento, come chi segue i continui spostamenti del gregge. A contatto con la natura, tra i boschi e i monti, spesso in solitudine, si vive anche di espedienti. È per questi motivi che a Ermete vengono presto attribuite le caratteristiche di astuto inventore, vagabondo ingegnoso e a volte briccone, truffatore e trasgressivo. Ermete diviene così protettore dei viandanti, dei mercanti (che nell’antichità compiono spesso lunghi viaggi) ma anche dei furfanti e dei ladri. Gli episodi mitici di cui è protagonista e le funzioni religiose a lui attribuite confermano questa ambiguità.
Narrano i poeti che Ermete, appena nato, balza fuori dalla culla e costruisce uno strumento musicale con un guscio di tartaruga, una pelle di bue, due corna e sette corde: è l’invenzione della lira. Uscito dalla caverna ruba una mandria di buoi al fratello Apollo: per ingannare il dio rovescia gli zoccoli dei buoi, e gli animali lasciano così impronte che sembrano indicare la strada inversa a quella compiuta; scoperto, si fa perdonare donando ad Apollo proprio la lira appena costruita.
I furti agli altri dei non sono finiti. A Nettuno ruba il tridente, a Marte la spada, a Vulcano le tenaglie. Spesso è capriccioso e burlone: addormenta il mostro Argo dai cento occhi che faceva la guardia a Io (la giovane amata da Zeus e trasformata in vacca da Giunone); libera Marte dalla botte di ferro in cui era stato rinchiuso dai giganti Oto ed Efialte.
Sfuggente e dispettoso, astuto ma generoso, rimane per tutti inafferrabile e ambiguo.
Una volta cresciuto, Ermete viene ammesso alla reggia divina dell’Olimpo. Dotato di calzari d’oro alati, diviene il messaggero degli dei, il tramite con cui il padre Zeus comunica le sue decisioni agli uomini. È lui che, nell’Odissea, reca a Ulisse la notizia che è giunta l’ora di tornare a Itaca e, nell’Eneide, porta a Enea l’ordine di partire da Cartagine per andare in Italia a dar vita alla stirpe di Roma. È il dio più ‘amichevole’ verso gli uomini: inventa per loro strumenti e riti, le lettere dell’alfabeto e le cifre dei numeri. È lui che manda i sogni premonitori, che accompagna le anime dei defunti nel viaggio verso l’aldilà. Il suo bastone magico, a cui sono avvinghiati due serpenti, ha straordinari poteri.
Il Mercurio romano è molto diverso dall’Ermete greco, e originariamente indipendente da esso.
Il nome di Mercurio è collegato al termine che indica la «merce»: la divinità nasce infatti come protettrice dei mercanti e delle attività commerciali. Ha un tempio sul colle Aventino ed è festeggiato dai commercianti in una cerimonia in cui ci si spruzza di acqua consacrata, forse per purificarsi dai brogli e dalle truffe compiute.
In età classica alla figura di Mercurio si sovrappone il greco Ermete. All’inizio del Medioevo, identificato con il concetto astratto di intelligenza, Mercurio diviene sposo di filologia, la disciplina che studia la letteratura: così è raffigurato, allegoricamente, nella celebre Primavera di Sandro Botticelli. Nel pianeta che porta il suo nome si individua la sede di influssi benefici che rendono chi li riceve un protagonista di eventi politici o artistici. Dante, nel Paradiso, colloca nel cielo di Mercurio le anime di coloro che hanno cercato, in vita, onore e fama.