Montagne e catene montuose
La metà più alta della Terra
Rispetto alle dimensioni della Terra, anche le montagne più alte sono come minuscole rughe. Tuttavia il fatto che circa metà della superficie terrestre sia occupata da rilievi montuosi è molto importante per gli esseri viventi: la semplice elevazione montuosa fa sì che in montagna la temperatura dell’aria vicina al suolo sia più bassa che in pianura; le montagne, quando sono disposte – come in genere succede – in allineamenti e catene, costituiscono un ostacolo per qualsiasi movimento sulla superficie terrestre, e quasi sempre anche per la circolazione dell’aria – con importanti effetti sulla formazione dei climi. La nascita di montagne e catene montuose è dovuta ai movimenti della crosta terrestre e la loro evoluzione rispecchia fedelmente la storia del Pianeta
Nel parlare comune come in quello scientifico, la parola montagna indica qualsiasi rilievo, cioè qualsiasi massa di materiali (generalmente rocciosi) che, sulla superficie terrestre, presenti un dislivello apprezzabile rispetto al resto della superficie. Poiché la superficie della Terra è, in realtà, quasi ovunque inclinata, ondulata e quindi variamente elevata, per ben valutare l’altitudine di un punto si prende in considerazione un piano di riferimento costante che, per convenzione, è il livello medio della superficie del mare. L’altitudine di un punto è, quindi, la differenza assoluta in metri rispetto al mare, considerato come livello 0 – e perciò ogni misura di altitudine è detta sul livello del mare (s.l.m.). Invece, come altezza relativa si intende quella di un rilievo rispetto all’area immediatamente circostante. Tra questi due valori possono esserci differenze molto forti: una montagna di 6.000 m s.l.m. (altitudine) che sorga da un altopiano di 3.000 m, come accade in Tibet o sulle Ande, ha un’altezza relativa di ‘soli’ 3.000 m.
Esistono poi rilievi sottomarini; anche per questi il riferimento è il livello del mare che li ricopre, livello che però va espresso come valore negativo (per esempio,2350 m), come per qualsiasi punto sotto la superficie del mare; in questi casi però è molto più significativa l’altezza relativa, rispetto al tratto di fondo marino da cui il rilievo si innalza, perché è proprio in virtù di quella differenza che si può parlare o meno di monte sottomarino.
Sempre per una convenzione, non proprio universale, si parla di montagna nel caso di rilievi al di sopra dei 600 m s.l.m.; per i rilievi che non raggiungono questa quota, si parla di collina.
Fare riferimento a misure di elevazione sul livello del mare, comunque, ha un senso soprattutto dal punto di vista meteorologico e climatico; molto meno ne ha dal punto di vista della descrizione delle forme della superficie della Terra, per la quale bisogna prendere in esame anche altri aspetti, come la pendenza.
È importante tenere presente che la temperatura dell’aria presso il suolo (quella immediatamente rilevante per gli esseri viventi) diminuisce con l’aumentare dell’altitudine: salvo casi particolari, la variazione è abbastanza regolare ed è di circa 2 °C ogni 300 m di dislivello; fra il livello del mare e un punto situato a 1.500 m, dunque, la sola differenza di altitudine produce una differenza di temperatura di una decina di gradi. Inoltre, anche la quantità di precipitazioni è legata all’altitudine, e così la circolazione atmosferica e la presenza di venti. Le precipitazioni (piovose e nevose) aumentano proprio perché l’aria, risalendo i versanti di una montagna, si raffredda progressivamente, fino a un punto che può causare la condensazione del vapore acqueo in essa presente, in forma di pioggia o neve.
Le regioni della Terra che hanno altitudini montane sono molto più estese di quanto generalmente non si pensi: oltre la metà della superficie terrestre è al di sopra dei 600 m, e circa un quarto del totale supera i 1.000 m; l’incidenza dell’altitudine sui tipi di clima è, insomma, vasta e importante. Gli studiosi del clima distinguono molti tipi di climi montani – cioè determinati dall’altitudine: tra questi, il clima alpino, quello tibetano, quello himalaiano.
Se, invece, consideriamo soprattutto le forme assunte dalla superficie terrestre, gli aspetti che ci fanno considerare notevole una montagna non sono tanto l’altitudine del rilievo o della base su cui si innalza il rilievo rispetto al mare, ma piuttosto l’altezza relativa e la acclività (cioè la pendenza, la ripidezza dei versanti) e poi l’aspetto generale del rilievo.
L’altezza, l’aspetto generale e la pendenza dei fianchi delle montagne dipendono da vari fattori, quali il processo di formazione dei rilievi (orogenesi), la loro età – cioè l’arco temporale nel quale avviene l’erosione – e il tipo di roccia da cui sono costituiti.
Le rocce hanno durezze e compattezze molto differenti. Certe rocce di origine vulcanica, come il basalto, o altre di origine affine, come il granito, sono durissime e compatte (non hanno pori né fessure): l’erosione operata da ghiaccio, acqua e vento, e anche il caldo e il gelo, possono avere su rocce di questo tipo effetti modesti. Altre, invece, sono friabili (come l’arenaria) o solubili (come l’argilla) o si spaccano e si sgretolano con facilità (come molti calcari): su queste rocce l’erosione ha rapidamente effetti distruttivi – che a volte si possono osservare addirittura nel giro di qualche anno.
Se molto dipende dalle rocce, tanto è dovuto anche al tempo (si parla di milioni di anni) che l’erosione ha avuto a disposizione per smantellare i rilievi, abbassarli e arrotondarli, e per accumulare ai loro piedi i detriti, riducendo anche l’altezza relativa. Così, per esempio, in Europa, gli Urali si sono formati circa 230 milioni di anni fa, le Alpi solo 15 milioni, e l’erosione ha avuto a disposizione un tempo ben diverso: anche per questo, gli Urali sono bassi e hanno forme dolci e le Alpi sono alte e aspre.
Comunemente si immagina che le montagne debbano essere rilievi che si staccano nettamente dai dintorni, che hanno forme dirupate e scoscese, e che presentano una pendenza molto forte sui fianchi.
Anche se, dal punto di vista delle forme (morfologia), non esistono misure convenzionali da usare come riferimento, non basta che un rilievo abbia forme aspre perché si possa definirlo monte.
Per esempio, certi curiosi rilievi dello Yunnan, nella Cina meridionale, e del Vietnam settentrionale hanno pareti quasi verticali; però la loro altitudine è davvero troppo modesta perché si possa parlare di montagne.
Fianchi ripidissimi, a volte addirittura verticali, hanno anche rilievi detti tabulari, dall’altezza molto differente secondo i casi. Sono resti di antichi tavolati, superfici spianate che l’erosione ha ritagliato fino a conservarne blocchi isolati e ben rilevati rispetto al terreno circostante. In Italia, sono esempi di questo tipo alcuni massicci in Sardegna o la Pietra di Bismantova, in Emilia, famosa dall’antichità (ne parla anche Dante), che supera i 1.000 m, formando un brusco dislivello di 300 m rispetto a un’area, tutt’attorno, di dolci ondulazioni. Rilievi tabulari più imponenti si trovano nel deserto del Sahara, in America Meridionale, in Australia, nel Colorado e in varie altre regioni del mondo.
A livello di singolo monte o rilievo, i tipi morfologici sono molto vari. Ma, se ragioniamo per grandissimi tipi, possiamo distinguere soprattutto tra forme aspre – che in genere corrispondono a montagne relativamente giovani – e forme dolci – che invece possono essere indizio di maggiore antichità.
L’asprezza delle forme riguarda sia la sommità dei rilievi (che possono essere più o meno aguzzi), sia la pendenza dei versanti, sia la profondità e la forma dei solchi scavati da piccoli corsi d’acqua sui versanti stessi. Ma occorre sempre uno studio molto approfondito per valutare tutti i fattori che sono intervenuti nel dare forma alle montagne.
A ogni modo, l’aspetto e l’altezza delle montagne dipendono in gran parte dalla loro età, da valutare sempre in svariati milioni di anni, e poi dal modo in cui si sono evolute nel corso del tempo.
Le montagne sono state formate da movimenti della crosta terrestre (geomorfologia) – la parte solida, rigida, della Terra, che comprende ovviamente anche i fondi marini – in senso verticale (sollevamenti) e soprattutto laterale (corrugamenti).
Tali movimenti sono possibili perché la crosta poggia su una massa fluida che si trova nell’interno della Terra: la crosta, in un certo senso, galleggia. Può galleggiare perché è meno densa, meno pesante, della materia fluida sottostante. Galleggia e si muove, in quanto formata da grandi zolle (tettonica) separate da profonde spaccature, lungo le quali si possono verificare gli spostamenti. Questi movimenti sono generalmente lentissimi, ma sappiamo che si verificano tuttora, e sono stati misurati.
In particolare, sul fondo dell’Atlantico si trova una lunghissima catena montuosa sottomarina (detta Dorsale medio-atlantica), costruita dal materiale fluido che sgorga in continuazione da una serie di spaccature, solidifica e si accumula. I margini della spaccaturasi stanno divaricando: e anche l’Oceano Atlantico, di conseguenza, si sta allargando, a una velocità di circa 2 cm all’anno. Se il fondo dell’Atlantico si allarga, anche il resto della crosta terrestre adiacente viene spinto di lato – verso ovest dalla parte delle Americhe, verso est dalla parte dell’Europa e dell’Africa. La Dorsale medio-atlantica è infatti l’area di contatto di tre grandi zolle della crosta terrestre, alle quali appartengono vari tratti del fondo dell’Oceano Atlantico: la zolla americana, quella eurasiatica e quella africana.
Questi movimenti che fanno espandere i fondali oceanici sono anche all’origine della formazione di catene montuose.
Consideriamo una zolla che venga spinta verso est dal movimento di espansione di un fondale oceanico che preme lungo il suo margine occidentale; di conseguenza, lungo il margine orientale va a sua volta a premere contro un’altra zolla. L’enorme compressione che si verifica, tra i margini della zolla in movimento e i margini di quella che subisce l’urto, porta a spingere verso l’alto una parte dei materiali solidi che si trovano lungo i margini in collisione. Generalmente, uno dei due margini sprofonda sotto l’altro e lo fa sollevare; il sollevamento avviene sotto forma di corrugamento (si forma come un’enorme ‘onda’ di roccia, che si gonfia, si deforma, si piega, a volte addirittura si arrotola su sé stessa, magari spezzandosi in qualche punto).
Questi corrugamenti sono paralleli alla zona di collisione dei margini delle zolle: relativamente stretti e lunghi, seguono all’incirca l’andamento dei margini in collisione. Sono le catene montuose, su cui subito comincia l’opera dell’erosione atmosferica. Molte catene montuose, formatesi milioni di anni fa, sono nel frattempo scomparse, completamente erose o spinte di nuovo nelle profondità della Terra. Quasi tutti i monti della Terra fanno parte di una catena, piccola o grande, che è stata prodotta da qualche corrugamento, a sua volta generato da collisioni fra zolle.
Anche i vulcani, che spesso sono isolati e non sembrano appartenere a catene montuose, quasi sempre si formano proprio lungo i margini in collisione di due zolle: basta osservare la disposizione dei vulcani più recenti o ancora attivi per rendersi conto, per esempio, che sul margine occidentale della zolla americana, spinta dall’allargamento dell’Atlantico verso ovest fino a scontrarsi con la zolla pacifica (che a sua volta si sposta in senso contrario), si sussegue un gran numero di vulcani ancora attivi, o attivi fino a poco tempo fa, sorti per effetto della collisione stessa; alcuni di questi si trovano nella catena montuosa delle Ande, a sud, o nella Catena dell’Alaska a nord.
Un altro esempio è dato dai molti coni vulcanici dell’Africa centro-orientale, grandi (come il Ruwenzori) e piccoli (come quelli della regione della Dancalia, fra Etiopia ed Eritrea): questi sono allineati lungo grandi faglie – spaccature all’interno delle zolle continentali, dove pure si verificano movimenti, lungo le quali il magma è risalito fino in superficie – come quella nota con il nome di Rift Valley.
Agli stessi fenomeni di spostamento e di urto delle zolle risalgono anche molti terremoti: la presenza di vulcani attivi o recenti e di terremoti indica, quindi, che è in atto qualche movimento della crosta terrestre. Probabilmente, quello stesso movimento sta sollevando qualche catena montuosa.
Osservando un planisfero fisico si vede chiaramente che la superficie della Terra è attraversata da due enormi allineamenti di catene, che si sono formate in tempi diversi ma ravvicinati tra loro.
Uno, evidente e continuo, segue tutto il margine occidentale delle Americhe, dall’Alaska (anzi, dalla Siberia orientale, al di là dello Stretto di Bering) alla Terra del Fuoco e, oltre lo Stretto di Drake, fino in Antartide. In questo corrugamento è compresa una serie di catene in parte consecutive, in parte parallele; le più imponenti e compatte sono le Montagne Rocciose e le Ande. Quasi tutto l’allineamento è orientato in senso sud-nord, perché deriva da una compressione perpendicolare, tra ovest ed est; ma le zolle del Pacifico si sono spostate anche verso nord, non solo verso est: ecco perché in Siberia e in Alaska l’orientamento delle catene cambia.
L’altro lunghissimo corrugamento è più spezzettato: dai monti dell’Africa settentrionale (Atlante) e della Penisola Iberica (Cordigliera Cantabrica, Pirenei), continua con Alpi, Carpazi e Balcani, poi con il Caucaso e i monti dell’Anatolia (Monti del Ponto, del Tauro), con varie catene distinte che occupano Iran (Monti Elburz, Zagros), Afghanistan e Pakistan; le catene si riuniscono nell’Hindukush e nel nodo orografico del Pamir, poi si separano di nuovo: da una parte, verso la Mongolia e la Siberia (Tian Shan, Altai e molti altri); verso est, invece, si innalzano il Karakorum, l’Himalaya e le catene che interessano l’altopiano del Tibet; tutte, poi, si ricollegano nel Sichuan e nello Yunnan (in Cina) e il corrugamento prosegue in Indocina, Penisola di Malacca e Indonesia. Questo insieme di catene è stato prodotto dalla spinta della zolla africana contro quella eurasiatica, ma anche da una spinta da sud, che ha portato la zolla indiana contro l’Asia, sollevando l’Himalaya. Conseguenze di questo insieme di movimenti interessano addirittura Nuova Guinea e Nuova Zelanda.
Gli allineamenti di catene ricordati sono i più recenti e in parte sono ancora in movimento – tanto che tuttora sono interessati da fenomeni vulcanici e sismici, segnali di una stabilità non ancora raggiunta.
Dato che l’erosione è la principale causa dell’abbassamento delle catene montuose, e che più il tempo passa più l’erosione ha effetto, è logico che le cime montane più elevate non si possano trovare in catene antiche e già molto erose: tutte le vette più alte della Terra fanno parte di uno dei due allineamenti ricordati. Le catene più antiche sono sparite o si intuiscono appena, e molte altre si sono più o meno spianate.
In Europa tutte le montagne più elevate si trovano sul Caucaso (se lo consideriamo in Europa, l’Elbrus, 5.642 m, è la montagna più alta) e sulle Alpi (Monte Bianco, 4.807 m); più basse quelle della Penisola Iberica, nella Sierra Nevada (Mulhacén, 3.482 m) e nei Pirenei (Pico de Aneto, 3.404 m); Carpazi e Balcani hanno vette tra i 2.500 e i 3.000 m.
In Asia le cime più alte sono tra Hindukush e Himalaya, dove moltissime superano i 7.000 m e molte gli 8.000 m (Everest, 8.848 m); altre catene elevate sono i Monti Elburz (Damavand, 5.670 m) e i monti dell’Armenia (Ararat, 5.137 m). I 4.000 m vengono superati di nuovo in Indonesia, e i 5.000 in Nuova Guinea.
In Africa, invece, le montagne più alte sono vulcani recenti (Kilimangiaro, 5.895 m) sorti lungo la Rift Valley, molte vette dei monti etiopici (Ras Dascian, 4.620 m) – che hanno un’origine vulcanica più antica –, alcune sui monti dell’Atlante, intorno ai 4.000 m.
In America, l’unico grande allineamento di catene ha le massime elevazioni a sud, nelle Ande (Aconcagua, 6.959 m), dove moltissime vette superano i 5.000 e i 6.000 m; anche a nord, però, molte cime superano i 5.000 m (McKinley, 6.194 m). Al di fuori delle catene occidentali, le montagne più elevate – e più antiche – passano appena i 3.000 m (Pico da Neblina) in America Meridionale, e i 2.000 m (Monte Mitchell) in quella Settentrionale. Anche l’Antartide ha le sue grandi montagne (Vinson, 5.140 m).