Museo
Il riuso del passato: un palazzo storico si trasforma in museo
Il nuovo allestimento museale alle Scuderie del Quirinale
di Gae Aulenti
11 giugno
Si chiude, con la cifra record di 565.000 visitatori, la mostra 'I cento capolavori dell'Ermitage'. Con questa esposizione, che ha rappresentato uno degli appuntamenti culturali di maggior rilievo organizzati a Roma per il Giubileo del 2000, ha inaugurato la sua attività una nuova sede museale: il Palazzo settecentesco delle Scuderie Papali al Quirinale. La ristrutturazione e l'adeguamento funzionale del complesso in spazio per grandi esposizioni d'arte sono stati curati, sotto la direzione della Soprintendenza ai beni ambientali e architettonici di Roma, dall'architetto Gae Aulenti.
La storia del Palazzo
Così come lo vediamo oggi, il Palazzo delle Scuderie è il risultato del lavoro di diversi architetti e delle numerose trasformazioni che nel corso dei secoli hanno interessato tutta la piazza del Quirinale, oltre che i singoli edifici che la contornano.
In quest'area sorgeva nel 4° secolo a.C. il tempio del dio Quirino, che dà il nome al colle. Fra le altre costruzioni imponenti, proprio nel luogo dove ora sono le Scuderie, si trovava il tempio di Serapide, eretto da Caracalla fra il 211 e il 217 d.C.; i due gruppi scultorei dei Dioscuri provenienti dalle rovine di questo tempio sono rimasti costantemente sul colle, che ha preso da essi il nome di Montecavallo.
La familiarità con la presenza dell'antico fa sì che ancora in epoca medievale, quando il colle comincia a popolarsi di chiese e palazzi, si intervenga con disinvoltura sulle antiche rovine, che offrono ottime fondamenta alle nuove edificazioni. Così succede anche nel 1612, quando, volendo procedere alla sistemazione della piazza, papa Paolo V ordina di "tagliare e spianare la Platea de' selci che è restata scoperta sopra la piazza". La 'Platea de' selci' - selce è la pietra durissima delle strade romane - era ciò che restava del tempio di Serapide.
Poco più tardi, nel 1625, per poter livellare il terreno e ottenere un ulteriore ampliamento della piazza, papa Urbano VIII dispone l'acquisto di una porzione del giardino Colonna. Il muro della proprietà Colonna è ciò che si vede fino al primo Settecento di fronte alla facciata principale del Palazzo Pontificio, ora sede del Quirinale.
Proprio su quel lato della piazza nel 1705, sotto il papato di Clemente XI, inizia la costruzione delle nuove Scuderie. Il progetto è di Carlo Fontana, che crea un edificio basso e molto semplice, con cinque rimesse sul lato meridionale addossato al muro dei Colonna, altre quattro rimesse nell'ala occidentale sulla salita di Montecavallo e un fabbricato per il corpo di guardia sul lato est, dalla parte di Palazzo Pallavicini Rospigliosi. Ma il successore di Clemente XI, papa Innocenzo XIII, vuole che su quella piazza anche una struttura di servizio come una scuderia abbia una nobiltà architettonica e non gradisce quell'edificio dimesso costruito da Carlo Fontana. Nel 1722 si rivolge quindi ad Alessandro Specchi, al quale ha già affidato il proseguimento della Manica Lunga al Quirinale.
Alessandro Specchi, conscio dell'importanza del contesto, elabora un progetto che, oltre ad assolvere alle funzioni di Scuderia, si pone come fondale e decorazione del muro del Giardino Colonna verso la piazza. L'edificio, che ingloba una parte delle rimesse realizzate da Fontana, ha uno schema planimetrico a 'U', con due corpi avanzati che contengono una doppia cordonata per la salita dei cavalli, un espediente che fornisce anche un finto asse di simmetria all'edificio asimmetrico verso Palazzo Pallavicini. La facciata ha un linguaggio architettonico semplice, costituito da un ordine gigante di paraste doriche e semplici riquadrature che incorniciano i finestroni e i portali. La sistemazione interna prevede al piano terra il quartiere dei soldati con una stanza per gli ufficiali, lo Stallone inferiore per quarantadue cavalli e il Rimessone per le carrozze. Al primo piano, è situato lo Stallone grande per ottantasei cavalli, coperto da una volta a botte, con pavimento a selciato e al quale si può accedere dal grande portone sulla terrazza aperta sulle rampe. I mezzanini del secondo piano ospitano gli alloggi per i cocchieri.
Nel 1724 i lavori di Alessandro Specchi si interrompono per la morte di Innocenzo XIII. A quella data la fabbrica è quasi terminata: finite le parti interne, all'esterno devono essere completate le tinteggiature, messe in opera le parti in travertino e le cordonate. La sospensione dei lavori dura fino al 1730 quando, per volere di Clemente XII, la loro ripresa viene affidata a Ferdinando Fuga, che riceve anche l'incarico del Palazzetto del Segretario della Cifra e di Palazzo della Consulta nella stessa piazza. Il progetto del Fuga interviene su un cantiere quasi concluso, ma propone un edificio molto diverso, che evoca la tipologia della villa. Poche le variazioni interne, importanti quelle all'esterno: vengono sopraelevati i mezzanini e trasformati in un autentico attico sormontato da balaustra, tra le finestre sono aggiunte delle paraste. Viene accentuata la curvatura sull'angolo est dell'edificio, dove si realizza un nuovo porticato per il cammino di ronda. Le due rampe d'ingresso previste dallo Specchi sono completate con un'elegante balaustra. Le facciate vengono tinteggiate all'interno in bianco e all'esterno in celestino con i risalti in travertino. Le nuove Scuderie Papali sono concluse nel 1732. Il Palazzo delle Scuderie Papali, così come anche la piazza, mantengono la conformazione voluta dal Fuga fino all'ultimo decennio del pontificato di Pio IX (1846-1878), quando si manifesta la nuova esigenza urbanistica di collegare il Quirinale con il Vaticano attraverso la via della Dataria e si presenta dunque il problema del dislivello della piazza. Nel 1864 iniziano i lavori per la sistemazione della salita al Quirinale, affidati a Virginio Vespignani, di cui viene scelto anche il progetto per le nuove Scuderie. La piazza viene portata a un'unica quota, con un muraglione per sostenere il livellamento artificiale e una salita per cavalli e carrozze che sbocca proprio all'altezza delle Scuderie, alle quali si congiunge il nuovo palazzo costruito dall'architetto Filippo Martinucci, che da lui prende il nome. Dalla parte del Palazzo del Quirinale, invece, viene creata un'ampia scala per l'accesso pedonale alla piazza.
Al Palazzo delle Scuderie vengono demolite le rampe di accesso volute da Specchi e Fuga ed è eliminato il portico di ronda, con conseguente creazione di un nuovo zoccolo; le modifiche interne comprendono la rimozione della scala a chiocciola e la realizzazione di due nuovi androni, uno verso Palazzo Pallavicini e l'altro verso la salita di Montecavallo, che si intersecano dando luogo a un impianto a 'T'. Il nuovo colore scelto da Vespignani per le facciate è una "mezzatinta forte a fresco a piccoli tratti, sulla base della terra d'ombra, usata nella sua tonalità più scura per le superfici di fondo e in quella più chiara per i risalti architettonici". Nel 1866, quando terminano i lavori di Montecavallo, le Scuderie e la piazza, perso il loro carattere tardobarocco, risulteranno completamente trasformate.
Nel 1870, con l'annessione di Roma al Regno d'Italia, il Quirinale diventa residenza della famiglia reale. Pochi anni dopo inizia un ampio processo di trasformazioni e di sventramenti della città. Durante il lungo periodo di sviluppo edilizio e urbanistico che continua nel nuovo secolo, le Scuderie non subiscono variazioni, fino al 1938, quando vengono adibite ad autorimessa dell'Amministrazione e ad alloggi del personale addetto: la cordonata interna di risalita allo stallone superiore è eliminata e sostituita dall'attuale rampa elicoidale.
Dal 1948 in poi le antiche Scuderie Papali vengono dotate, a cura della Presidenza della Repubblica, dei servizi necessari al garage e alla manutenzione del parco macchine. Si aprono un'officina e una stazione di servizio con impianto di turbolavaggio, vengono rifatti gli impianti elettrici e la pavimentazione dell'atrio e del piano superiore diventa in gres ceramico. Al secondo piano vengono creati quindici alloggi per il personale, che poi diventano diciotto. Per rendere abitabili quegli ambienti vengono aperte diverse 'bucature', trascurando così per la prima volta un patto 'storico': la clausola di un contratto del 1628, che riguardava la compravendita di una porzione di proprietà Colonna e vietava espressamente di "aprire finestre tali che mettano in comunicazione le due proprietà".
Nel 1989 il parco macchine della Presidenza della Repubblica viene trasferito nell'ala sabauda del Quirinale e le Scuderie, per la prima volta nella loro storia, vengono lasciate vuote. Si pensa di farne uno spazio espositivo con una doppia funzione: al piano terra, un'esposizione permanente di carrozze e finimenti della collezione storica del Quirinale, al primo piano, nell'ex Stallone grande, uno spazio per mostre temporanee. L'incarico per il restauro viene affidato all'architetto Franco Borsi, che comincia dalla sistemazione della facciata, completata nel giugno 1990. Nella nuova sistemazione interna, il piano terra - che prevede il ripristino del portale di accesso dalla salita di Montecavallo - viene frammentato in singoli volumi per ospitare il Museo delle Carrozze, le pareti sono rivestite di vetrine per l'esposizione dei finimenti, il nuovo pavimento è in legno. Al primo piano, viene rimosso il pavimento da garage e ripristinato quello dell'ex Stallone, inoltre viene creato un ballatoio lungo le pareti con strutture che accolgono gli impianti tecnologici. Per collegare i diversi piani, Borsi realizza "una scala a lumaca in ferro e legno proprio per distaccare l'inserto della struttura muraria in modo inequivocabile, pur mantenendo un sobrio linguaggio classicistico". La scala, che racchiude un ascensore, arriva fino al terrazzo al livello delle coperture. Il secondo piano, per il quale il progetto prevede la trasformazione degli ex alloggi in laboratori di restauro, rimane escluso da questa fase di ristrutturazione, che si conclude nel 1996.
Il varo del centro espositivo
L'iniziativa che porta al restauro completo del Palazzo e finalmente alla sua apertura al pubblico è una convenzione del 20 febbraio 1997, con cui la Presidenza della Repubblica concede in uso al Comune di Roma le Scuderie Papali fino al giugno 2001 (scadenza in seguito prorogata al 2005) affinché i loro locali siano "adibiti a esposizioni e manifestazioni di elevato livello culturale, ivi comprese quelle previste dai programmi connessi alle celebrazioni del Grande Giubileo del 2000, consentendo le ristrutturazioni idonee al conseguimento di tale scopo". Il 10 luglio 1997, l'Agenzia romana per la preparazione del Giubileo - una società per azioni, a capitale pubblico, con la partecipazione dello Stato e di Enti Pubblici fra cui il Comune e la Provincia di Roma, costituita per coordinare la preparazione del Giubileo e presieduta da Luigi Zanda - sottoscrive un accordo con il sindaco Francesco Rutelli in cui il Comune affida all'Agenzia "l'utilizzo e la gestione delle Scuderie per allestirvi, nell'anno del Giubileo, mostre temporanee di altissimo livello".
Già nell'estate del 1997 vengono effettuati i primi sopralluoghi, che rivelano notevoli rischi per la sicurezza dovuti allo stato di abbandono nel quale si trovava da anni il secondo piano, rimasto escluso dal restauro di Borsi. A fine dicembre lo conferma la relazione tecnica dell'ingegner Marco Menegotto, al quale l'Agenzia ha affidato il progetto preliminare e in seguito il progetto delle strutture e degli impianti. Si impone quindi la necessità del restauro completo, in primo luogo perché nessun grande museo o collezionista avrebbe concesso in prestito le proprie opere a uno spazio espositivo parzialmente fatiscente e malsano, in secondo luogo perché le 'mostre di altissimo livello' avrebbero richiamato un grande pubblico ed era quindi necessario recuperare una maggiore superficie.
Con tempi ristrettissimi, imposti dall'apertura della prima mostra fissata per il dicembre 1999, il 16 marzo 1998 viene bandito il concorso per titoli per la "progettazione definitiva ed esecutiva delle opere necessarie al recupero dell'intero edificio delle Scuderie e all'allestimento degli spazi espositivi". Decido di partecipare al concorso e ricevo l'incarico.
Nel luglio 1998, quando si comincia a elaborare il progetto, la Commissione per Roma Capitale, che ha il compito di pianificare le opere per il Giubileo, affida la direzione dei lavori alla Soprintendenza ai beni ambientali e architettonici di Roma, che sceglie per questo incarico l'architetto Massimiliano Sabbatelli, già impegnato nella supervisione di importanti interventi di restauro al Quirinale. Da subito, e fino alla conclusione dei lavori, lo affiancano, per conto dell'Agenzia, l'architetto Rolando Zorzi, il direttore tecnico che ha coordinato l'intero intervento alle Scuderie, e l'ingegner Rodolfo Fugger, specialista di impiantistica civile.
Durante l'estate del 1998, dopo numerosi sopralluoghi, riunioni e controlli, si definiscono i problemi legati alla sicurezza dei visitatori e delle opere: collegamenti verticali, vie di fuga, sistemi di protezione ecc., e si studiano i necessari adeguamenti secondo quanto è richiesto dalla normativa internazionale per i grandi spazi espositivi. Per es., per quanto riguarda le condizioni termoigrometriche previste dall'UNESCO, è necessario mantenere la temperatura fra i 20 e i 23°C e l'umidità relativa pari al 55% + 5%. Subito dopo si prepara la fase esecutiva del progetto, che ha già ricevuto l'approvazione di tutte le amministrazioni interessate, avendo integrato le diverse prescrizioni richieste, cioè quelle relative all'adeguamento funzionale, alla sicurezza, alla tutela monumentale e archeologica dell'edificio. In novembre il progetto esecutivo viene consegnato alla Soprintendenza ai beni ambientali e architettonici di Roma, che, a seguito delle gare pubbliche di appalto, affida i lavori alle imprese. È di questa fase anche la complessa riflessione sul colore da dare alle Scuderie. La Soprintendenza aveva fatto una prima ipotesi che prevedeva di ripristinare il colore originario, quello di Ferdinando Fuga: celestino per i fondi, travertino sui rilievi. Scelte diverse tonalità, si eseguono delle prove, ma questo colore non convince. Si decide di consultare anche l'Istituto centrale per il restauro, il cui direttore Michele Cordaro, impostando la questione in termini storici, conclude che il celestino color dell'aria non è plausibile perché le Scuderie non sono più quelle del Settecento, avendo subito trasformazioni sostanziali nell'Ottocento, quando si era deciso di mantenere il travertino per i rilievi ma di adottare la terra d'ombra per le parti lisce. La scelta di questo colore per le nuove Scuderie è quella che convince tutti i responsabili del restauro. Il 7 gennaio 1999 si apre il cantiere che in undici mesi trasformerà il vecchio palazzo di oltre 5000 m2 in un nuovo centro espositivo.
Il progetto
Le nostre città rivelano la grande libertà con cui si è intervenuto negli spazi urbani attraverso i secoli. Questo è anche il caso del Quirinale. Il Montecavallo della bellissima veduta di Pannini non era nato da un progetto unitario ma da una felice fusione di grandi presenze architettoniche, che sono singoli e autonomi episodi: un palazzo cinquecentesco che riceve il barocco nel portale e nel balcone del Bernini, il primo Seicento di Palazzo Pallavicini Rospigliosi, due protagonisti del Settecento romano, Specchi e Fuga e ancora Fuga, da solo, alla Consulta. Attraverso un processo durato qualche secolo, si era giunti a definire uno spazio, a comporre una figura. E quando una forma è compiuta non si dovrebbe toccare. Con l'amputazione delle due magnifiche rampe, le Scuderie sono state invece isolate, escluse, espulse dal contesto, con il risultato di cancellare scioccamente un segnale di percezione visiva particolarmente forte. Quelle rampe non erano, infatti, qualcosa di decorativo e accessorio, ma un elemento strutturale che dava un senso all'edificio e contribuiva, in misura decisiva, a estenderlo alla piazza, all'insieme. Quella piazza che nella veduta di Pannini ci appare come una corte, uno spazio concluso per quanto vasto, un luogo da cerimonie che invitava anche alla sosta, alle chiacchiere, agli incontri, insomma una piazza da vivere, è stata trasformata in un luogo di passaggio nel quale è impossibile solo immaginare di fermarsi, uno spazio sfuggente, privo di un centro, con il grande monumento nel ruolo di punto tangenziale a una linea di attraversamento, già pronto per fare da spartitraffico.
In quanto specialista in musei e gallerie di esposizioni temporanee, quando c'è un concorso di questo tipo partecipo, come dire, d'ufficio. Ormai tutta la professione dell'architettura pubblica si fa ovunque per concorsi. Sempre per concorso, mi è stato assegnato qualche anno fa il nuovo Museo d'Arte Asiatica di San Francisco: lì si trattava di connettere antico e contemporaneo, adattare un edificio Beaux-Arts, che si trova nel Civic Center, e aggiungerne uno totalmente nuovo. Alle Scuderie, invece, non avevo che da confermare la spazialità come espressione massima di quell'edificio: quello spazio non poteva essere che una galleria d'arte, era iscritto nel codice delle sue qualità spaziali. È per questo che ho partecipato alla gara. Non era un azzardo, lo era stato semmai trasformare una stazione in museo, come mi era accaduto di fare a Parigi con la Gare d'Orsay, la mia prima difficilissima prova con il riuso di un edificio: lì l'azzardo era mutare il viaggiatore in visitatore. Per altri edifici ho progettato l'adattamento alla funzione espositiva, per es. il Palau Nacional di Barcellona, costruito per l'Esposizione universale del 1929 e diventato il Museo Nazionale di Arte Catalana, oppure una fabbrica ottocentesca di fez a Istanbul, destinata a ospitare un Museo d'Arte Moderna e Contemporanea, e poi Palazzo Grassi a Venezia, divenuto galleria per esposizioni temporanee. Si tratta di luoghi diversi, ciascuno dotato di una sua identità. L'ho sempre cercata nella struttura, mai nel dettaglio, nelle apparenze. Le Scuderie del Quirinale si esprimono attraverso la spazialità, e questa andava mantenuta. Ciò che conta è capire le diversità per poterle tutelare. Si può uscire dal dilemma tra museo e palazzo storico integrando le due esigenze: questo va difeso nella sua potenzialità espressiva, quello va dotato di servizi che vengano resi architettura per l'esposizione. Ma l'intervento deve comunque annullarsi rispetto all'esigenza di conservare la riconoscibilità del luogo, rendersi non visibile come opera per lasciare il campo alle opere esposte. Io considero il museo un luogo di alta pedagogia, la visita un acceleratore di coscienza, l'atto della visita un vero lavoro: avvicinarsi, allontanarsi, ritornare per un raffronto, sostare e muoversi, contemplare e riflettere. Nel creare un percorso cerco di favorire il visitatore, lo aiuto a orientarsi, cerco di evitargli gli ostacoli, annullo le altre percezioni perché si possa dedicare all'opera d'arte. Cerco di creare le condizioni per una visione molto calma, in un ambiente che sia generoso verso di lui. Alle Scuderie si doveva mantenere la spazialità esistente, perché quella è l'espressione massima di questo edificio, che si manifesta fin dal piano terra con una lunga galleria e con la rampa che abbiamo conservato, anche se risale a un periodo più recente, perché è stata realizzata nel secondo Ottocento e poi resa carrabile in questo secolo. Lo stesso criterio per i piani superiori: mantenere, assolutamente, la spazialità. Quindi interventi semplici, quanto basta per creare la superficie di accrochage delle opere.
Il percorso di visita
L'ingresso per il pubblico è quello su via XXIV Maggio, dato che il portone sulla salita di Montecavallo è a una quota più bassa, quindi non agibile per i portatori di handicap. Lungo le pareti del piano terra abbiamo distaccato lo zoccolo dalla parete e lasciato in evidenza le murature romane del tempio di Serapide. È la prima cosa che nota il visitatore e serve a dare il segno che si entra in uno spazio con una lunga storia di cui abbiamo conservato la struttura formale. Sono state rimosse le vetrine che erano destinate a esporre i finimenti e avevano un senso in un Museo delle Carrozze, ma qui non servono. Nel nuovo spazio espositivo, invece, c'è bisogno di spazi d'accoglienza e l'ambiente deve essere ampio e riconoscibile, per ospitare la biglietteria, la sala del guardaroba, il bookshop e la sala di preparazione alla visita. In fondo c'è il grande ascensore multiuso, perché porta venti persone, è omologato per i disabili e funziona anche da montacarichi per le opere.
C'era un pavimento in legno ma non era quello originale; era un ricordare le carrozze, i cavalli, una maniera di ricomporre la memoria attraverso mezzi che, secondo me, sono decorazione e non architettura. E poi era sconnesso, come ha rilevato la commissione ministeriale, smosso e sgranato. È stato sostituito con un pavimento in travertino, materiale romano per eccellenza, e in travertino è anche la scala, in cubetti di 5x5 cm, non stuccati ma solo superficialmente levigati per riportare bene il piano. In lastre rettangolari di travertino 40x80 cm è la galleria d'ingresso del piano terra. Questa riceve luce naturale da quattro lucernari di vetro che hanno forma di piramide perché poggiano su quadrati e che in caso di incendio si aprono automaticamente per fare uscire il fumo, assicurando così il rispetto delle norme di sicurezza.
Salendo per la rampa si raggiunge la stessa quota dell'ascensore e del primo spazio espositivo, che era l'ex-Stallone grande creato da Alessandro Specchi. Attualmente è diviso in cinque sale che sono state ricavate con contropareti in cartongesso, per una superficie espositiva totale di 600 m2. Al fine di non toccare i muri del Palazzo con i chiodi usati per appendere i quadri, abbiamo creato una struttura interna di contropareti, che mascherano fra l'altro, come vedremo, tutti gli impianti tecnici. In questo modo lo spazio storico rimane intatto, perché si lavora su una superficie creata per mostrare i quadri, illuminarli, difenderli dal caldo e dal freddo. La controparete dà una grande libertà. Quando la mostra finisce, la si stucca, la si ridipinge ed è pronta per la mostra successiva. Ha un duplice compito: difendere il grande spazio storico e portare il peso degli impianti ormai necessari per tutte le grandi esposizioni. Infatti una sala di museo è un luogo di sicurezza per l'opera. Il Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo, come del resto tutti gli altri grandi musei, non avrebbe prestato le sue opere alle Scuderie se non ci fossero state le condizioni per proteggerle. Il progetto ha previsto una successione di ambienti di diversa dimensione, una struttura posata all'interno di uno spazio monumentale per adattarlo a una nuova funzione e ricavarne la superficie espositiva. A titolo d'esempio, l'altezza delle pareti non può essere inferiore a 4,5 m, se si vuole che accolga quadri anche molto grandi e pesanti. Dovevo rendere questo luogo disponibile a tutto, ai dipinti antichi e moderni, ai disegni, alle sculture, alle fotografie. Si trattava di creare uno spazio per mostre da 1500 visitatori al giorno, che doveva avere la caratteristica di essere insieme flessibile e strutturato una volta per tutte, perché l'allestimento non è solamente la controparete, ma tutto quello che questa contiene: i sofisticati impianti di climatizzazione, con le bocchette e i fan-coil per il trattamento dell'aria, i circuiti elettrici con gli apparecchi d'illuminazione, il sistema di sicurezza con telecamere, i sensori a infrarossi per l'antiavvicinamento e quelli 'volumetrici' per la notte, infine la rete di comunicazione sonora e telematica. Tra queste strutture e i muri c'è un'intercapedine di 60 cm, sufficiente a farvi passare un uomo. Corrisponde alle esigenze della strettissima connessione tra architettura e impianti che informa tutto il progetto, ma non mi piace sia rivelata. Non volendo essere tecnologica, io tendo sempre a nascondere gli impianti. Per me l'architettura è come il corpo che nasconde al suo interno i propri elementi, i propri sistemi complessi, che si rivelano solo per un bel colorito, ma non si vedono dall'esterno. In uno spazio architettonico questo risultato si ottiene lavorando fin dall'inizio in maniera integrata tra architettura e impiantistica, e non per aggiunte successive. Deve nascere tutto insieme. E così è nato il progetto delle Scuderie.
La galleria del primo piano aveva un pavimento a selci e travertino che adesso è coperto. Questa scelta riguarda la sicurezza dei visitatori, oltre che delle opere. Quel pavimento avrebbe finito per essere una barriera architettonica. Un pavimento adatto ai cavalli non può esserlo ai visitatori di una mostra, che non devono trovare nessuna irregolarità e nessun ostacolo al loro peregrinare da un'opera all'altra. Su quel pavimento si poteva inciampare, sarebbe stato disagevole, avrebbe costretto a fare attenzione al cammino nel momento in cui l'attenzione è invece concentrata sulle opere. Abbiamo preferito un pavimento semplice, sicuro, un piano liscio e continuo, adatto anche al trasporto delle opere, che non possono subire vibrazioni. Quello precedente è stato conservato ma è coperto da quattro strati di materiali diversi: due teli di materiale sintetico, al di sopra dei quali è stesa una maglia di canapa per facilitare lo strappo del massetto di 4 cm su cui è incollato un parquet industriale di 2 cm, trattato con una finitura liscia e verniciato di grigio. La reversibilità è quindi assoluta: basta rimuovere i quattro strati e si ritrova il vecchio pavimento. Inizialmente si era pensato di tenere scoperto un bordo di 50-60 cm, ma questo avrebbe richiesto un pericoloso gradino di una quindicina di centimetri e si è quindi rinunciato, peraltro in pieno accordo con la Soprintendenza.
I colori delle pareti interne sono bianco crema per le contropareti e bianco leggermente nuvolato per le pareti storiche, così come indicavano le indagini: anche in questo caso, come per gli esterni, una scelta cromatica non di gusto ma determinata dalla lettura delle fonti. È stato prima di tutto un restauro, eseguito dalla Soprintendenza, poi un adattamento funzionale. Ho fatto in modo che le due esigenze si integrassero, che il visitatore potesse avere sempre e comunque l'esatta percezione dello spazio architettonico originale.
La stessa monumentalità caratterizza anche le finestre e ho lasciato a vista alcune di quelle che si affacciano sul cortile pensile. Quelle alte sono schermate dalle tende, quelle basse sono coperte dalle contropareti. Una di queste taglia per un terzo la grande finestra su uno dei due lati corti. Si sarebbe potuta fare un'asola, ma sarebbe stata una decorazione in uno spazio di bellissima architettura, una vera e propria interferenza. Ho fatto le asole solo in corrispondenza delle uniche decorazioni della galleria, le aquile di Innocenzo XIII.
Passando per un'area di sosta si entra nella caffetteria. Tutti gli ambienti e i percorsi sono accessibili ai disabili: per l'ingresso nel bar c'è una rampa di pendenza inferiore all'8% come richiesto dalla normativa. La segnaletica scelta è molto semplice, disegnata da Italo Lupi, uno dei protagonisti della comunicazione visiva in Europa. Per salire al secondo piano si utilizza la scala a lumaca, in legno e metallo, progettata da Borsi per il restauro all'inizio degli anni Novanta e ora protetta da un cilindro in muratura. Questa è una scala fondamentale ai fini della sicurezza dei visitatori, è una via di fuga. Non poteva essere distrutta, ma non era a tenuta di fumo come richiedono le leggi. Da lì l'artificio di chiuderla esternamente e lasciarla percepire solo all'interno. Abbiamo conservato tutto quello che era possibile del precedente intervento, per il rispetto dovuto ai lavori già fatti, ma era anche un vincolo mantenere questa scala. Con i vigili del fuoco si è visto che erano necessarie due scale, poste agli estremi delle gallerie del primo e del secondo piano. Questa c'era già e l'abbiamo resa più sicura. Ci sono norme precise da rispettare per gli edifici storici adibiti a museo. Anche il numero di visitatori ammessi è determinato non tanto dalla superficie, quanto dalla presenza dei collegamenti, dal numero delle vie d'uscita, dall'aerazione degli ambienti, dalla valutazione dei rischi. È in base a questi dati che si è stabilito il limite di affollamento massimo per le Scuderie: seicento persone per il piano terra, settecentoventi per il primo piano e centottanta per il secondo.
Il secondo piano, quello che nel Settecento ospitava gli alloggi dei cocchieri e nel Novecento gli appartamenti degli autisti, oggi è la seconda galleria per l'esposizione, anche questa divisa in cinque sale. Era uno spazio senza alcuna pregnanza architettonica. Misura 648 m2 ed è alto solo 4,60 m. È stato demolito il solaio in ferro, degli anni Sessanta, ripristinando così la quota originaria. Dello stesso periodo erano le capriate metalliche a sostegno del soffitto, tecnologicamente molto rozze e quindi incombenti. Le ho coperte con il cartongesso per proteggere le opere d'arte, cercando un rapporto molto pacifico con lo spazio. Ma ne ho approfittato, trasformandole in una serie di vele dove posso far riflettere la luce e illuminare le pareti attorno, anch'esse in cartongesso. La luce è sempre indiretta - abbiamo utilizzato il sistema di apparecchi orientabili studiato con Piero Castiglioni - e sempre artificiale. Le finestre sul giardino Colonna, aperte abusivamente negli anni Sessanta per gli appartamenti degli autisti, sono state murate tutte, tranne una, quella centrale, che offre una straordinaria veduta di Roma. Anche delle finestre storiche sul prospetto principale, quello verso il Palazzo del Quirinale, è rimasta a vista quella centrale. Queste due finestre, come quelle del piano inferiore, sono filtrate dalle tende, che sono di due tipi, completamente oscuranti o trasparenti. Possono esserci infatti delle mostre di disegni, che richiedono 50 lux e non ammettono quindi la luce naturale. Oppure mostre di quadri, dove servono 200 lux, o anche mostre di scultura, dove si può far entrare tranquillamente la luce naturale. Questi sono valori stabiliti da norme internazionali. Il controllo delle luci variabili risulta quindi fondamentale. Scendendo per la grande scala esterna vetrata si arriva all'ammezzato, per poi rientrare, attraverso la passerella, al primo piano. Per dare una forma a questa scala mi sono soffermata a guardare quello che c'era attorno alle Scuderie e ho visto le serre che si aggrappano ai muri. Allora nel progetto è stata inserita una scala trasparente, una struttura di acciaio e vetro, perché quello è un punto privilegiato, da lì si vedono quel luogo fantastico che è il burrone Colonna sul tempio di Serapide e il più bel panorama di Roma. Dalla terrazza, che un tempo scendeva sulla piazza con le due rampe, si vede il Palazzo del Quirinale, ancora nel suo rosso mattone. Roma è ocra, è rossa, è ancora, in molte parti, ottocentesca. Ogni volta che per ragioni di restauro si cambiano i colori, c'è uno choc visivo. Si passa per le città accompagnati da memorie e le memorie generano abitudini e le abitudini ci inducono a resistere ai cambiamenti. Io sono portata a pensare alle città come a luoghi di trasformazione continua, in cui una cosa va sempre difesa, l'identità.
Il museo nel passato
Dall'antichità al 18° secolo Il nome museo, che propriamente significa "luogo sacro alle Muse", deriva da quello di una celebre istituzione culturale di Alessandria fondata da Tolomeo I, alla quale era annessa la più grande biblioteca del mondo antico.
Già nell'antichità esistevano veri e propri musei formatisi nei templi, nei donari, nei santuari e nelle case principesche: collezioni di opere d'arte, doni votivi, suppellettili preziose, omaggio dei fedeli e dei sudditi. Alcune civiltà dedite ai commerci diedero impulso al mercato delle opere d'arte, apprezzate per i loro requisiti estetici e per la loro rarità, incrementando, quindi, la formazione di raccolte. Anche i bottini di guerra, da quello di Assurbanipal in Egitto a quelli dei romani nelle città greche, furono l'occasione per la costituzione di musei, che a Roma, con M. Agrippa, furono destinati al pubblico godimento. Con il trasferimento della capitale imperiale, numerose opere d'arte furono portate come retaggio culturale a Costantinopoli, che, costantemente aperta ai commerci, arricchì il suo patrimonio fino alla conquista turca: già nel 9° secolo rivisse il nome di Mouseion per designare la raccolta di un patrizio bizantino.
Nel Medioevo alcune raccolte di opere d'arte e di reliquie, i cosiddetti 'tesori', si costituirono nei palazzi dei signori, nelle cattedrali e nelle grandi abbazie. Con le crociate e, quindi, con la riapertura ai traffici, si crearono nuove collezioni di esemplari singolari e preziosi, ma anche di reliquie, particolarmente ricercate e oggetto di commercio. Federico II, collezionista di opere d'arte e di curiosità scientifiche, diede inizio a quel tipo di museo enciclopedico che sarebbe durato fino all'età moderna. Nel 1369 fu redatto il primo catalogo manoscritto di tipo museale relativo alla raccolta di monete, antichità e disegni del medico trevigiano O. Forzetta.
Con la donazione di alcune statue al popolo romano da parte di Sisto IV (lo Spinario, la Lupa ecc., già conservate in Laterano), si costituì nel 1471 il nucleo originario dei Musei Capitolini, prima raccolta pubblica rinascimentale e, per lungo tempo, l'unica a Roma, arricchita successivamente dalle donazioni del collezionista F. Gualdi da Rimini (16° secolo), di Leone X (1515) e di Pio V (1566); con Clemente XII, dopo l'acquisizione della collezione del cardinale A. Albani, venne inaugurata la nuova sede espositiva pubblica nel Palazzo nuovo (1734) e con Benedetto XIV fu poi aperta la pinacoteca (1748). Tra le prime raccolte di rarità artistiche del Rinascimento, diffuse soprattutto in Toscana, nel Veneto e a Roma, messe in mostra negli studioli e nei gabinetti, o conservate nei più ampi guardaroba, notevoli furono quelle di Lorenzo il Magnifico, degli Este, dei Gonzaga, degli Sforza, di alcuni cardinali (E.S. Piccolomini, P. Barbo, S. Gonzaga ecc.), di ricche famiglie e di antiquari. Nel 1570 a Monaco di Baviera fu eretto l'Antiquarium, su progetto del mantovano I. Strada, e nel 1581 a Firenze vennero sistemate le Gallerie degli Uffizi. Le strutture espositive fino allora diffuse erano giardini, corti, facciate, ninfei, fra cui notevoli, a Roma, il cortile del Belvedere (iniziato da Bramante) in Vaticano (1505) e il ninfeo costruito da G. Guidetti nei giardini Cesi (1540-50). Nacque anche il 'gabinetto delle meraviglie' (Wunderkammer), dove esemplari di storia naturale, strumenti, invenzioni meccaniche, carte geografiche, rarità archeologiche, monete, cammei ecc., costituirono materiale per la didattica e una forma di indagine scientifica universale: celebri tra gli altri quello del Collegio Romano, fondato dal gesuita A. Kircher (smembrato nella seconda metà dell'Ottocento e ricollocato in diversi musei); le collezioni eclettiche di M. Settala a Milano, di L. Moscardo a Verona e di F. Cospi a Bologna, celebri per i loro cataloghi a stampa; il palazzo del Cataio presso Este, da cui proviene la raccolta di strumenti musicali del Kunsthistorisches Museum di Vienna; le raccolte di Rodolfo II a Praga, di Alberto di Baviera a Monaco (di queste ultime nel 1565 S. Quicchelberg pubblicò Inscriptiones vel tituli theatri amplissimi, catalogo ordinato secondo un suo criterio di museo ideale) e di Augusto I a Dresda. Nel castello di Ambras, presso Innsbruck, è ancora conservata, riordinata nel 1936, una parte delle collezioni che vi aveva raccolto dal 1563 Ferdinando del Tirolo. La formazione e la successiva sistemazione di pregevoli collezioni fu cura particolare di alcune grandi famiglie gentilizie, spesso consigliate da artisti: per es., la celebre collezione dei Gonzaga (in gran parte acquistata, nel 1627, da Carlo I d'Inghilterra); la raccolta dei Farnese, inventariata nel 1635 e passata in eredità (1731) a Carlo III di Borbone a Napoli, poi riordinata nel palazzo di Capodimonte, fatto costruire appositamente da G.A. Medrano (1738). Nel 1681 a Parigi, per intervento di Mazzarino, si aprì la Galerie d'Apollon, primo nucleo del futuro Museo del Louvre; a Torino, Carlo Emanuele I costruì una galleria per i dipinti (nel 1630 si contavano 140 fiamminghi e oltre 1000 italiani), accresciuta nel 1741 dalla collezione viennese di Eugenio di Savoia; in seguito Carlo Emanuele III bruciò trentotto dipinti in cui comparivano figure ignude. Se a Roma alcune raccolte famose, fra le quali parte della Giustiniani (1720) e la Chigi (1728), furono disperse a seguito dell'alienazione, altre (Pallavicini Rospigliosi, Doria Pamphili e Colonna) sono ancora conservate grazie alla legge del fedecommesso.
Nel 18° secolo in Europa e anche in Italia, con l'affermarsi del concetto di bene artistico inteso come patrimonio di pubblico godimento, molte collezioni divennero accessibili a tutti: nel 1753 a Londra con l'acquisizione della collezione di H. Sloane e delle biblioteche Harley e Cotton, il governo creò il primo nucleo del British Museum, inaugurato nel 1759; a Firenze nel 1769 il granduca Leopoldo aprì gli Uffizi e nel 1789 divennero pubbliche le collezioni medicee, riordinate dall'abate L. Lanzi; nel 1793 a Parigi, dopo la Rivoluzione, il Louvre divenne museo pubblico e A. Lenoir costituì anche il museo dei Monumenti francesi con statue e frammenti di chiese distrutte; nel 1797 Federico Guglielmo III istituì il Kaiser-Friedrich Museum di Berlino con le raccolte reali. In Francia, in età illuminista e rivoluzionaria, si sviluppò l'idea di museo come luogo per l'educazione degli artisti.
Il 19° secolo
Nel 19° secolo l'istituzione museale si diffuse notevolmente in tutta l'Europa: con la formazione quasi ovunque dei musei nazionali, furono creati anche nuovi modelli architettonici. I musei, articolati in settori differenziati del sapere (scienza, tecnologia, storia, arte, arti applicate ecc.), furono creati con funzioni prevalentemente conservative per salvare le memorie del passato, ma anche con l'intento di dare ordine e collocazione specifici agli oggetti, tanto che si giunse anche a smembrare le collezioni. In Italia, dove a causa del policentrismo politico fiorirono numerosi musei civici, si consolidò la tendenza a servirsi prevalentemente di edifici di rilievo storico e a conservare le raccolte nelle loro sedi originarie. Fra il 1802 e il 1805 il teorico francese J.-N.-L. Durand pubblicò un progetto paradigmatico di un museo che consisteva in una serie di lunghe gallerie a volta, circoscritta a quattro cortili e a una rotonda; tra il 1811 e il 1814 a Londra Sir J. Soane costruì la Dulwich College Picture Gallery, caratterizzata da una sequenza di spazi di lunghezza variabile, in cui l'illuminazione veniva regolata da un sistema innovatore di modulazione controllata dall'alto. Il modello di Durand, che fu ripreso da L. von Klenze a Monaco nella Glyptothek (1816) e da K.F. Schinkel a Berlino nell'Altes Museum (1823-30), durò fino alla metà del 20° secolo (ala occidentale della National Gallery di Washington, J.R. Popo, 1941). Altri esempi museali significativi furono: a Copenaghen il Museo Thorvaldsen, di G. Bindesböll (1839-48), a Berlino il Neues Museum, di A. Stüler (1843-55), a Oxford l'University Museum, di Th. Deane e B. Woodward, a Vienna l'Arsenale, di Th. von Hansen (1850-56), a Mosca l'Istoriceskij Muzej, di V. Ossipovic Sherwood (1875-83), a Berlino il Kunstgewerbemuseum, di M. Gropius (1877-81). A Londra, nel 1824, fu costituita la National Gallery, per iniziativa di alcuni cittadini, allo scopo di sventare la dispersione della raccolta di J.J. Angerstein. Notevoli, inoltre: a S. Pietroburgo l'Ermitage (1840), a Parigi il Musée de Cluny (1843), a Londra il South Kensington Museum (1846, poi Victoria and Albert Museum), a Madrid il Prado (divenuto nazionale nel 1868), a Boston il Museum of Fine Arts (1869), a New York il Metropolitan Museum (1869, costituito da un primo nucleo di statue greche scavate da L. Palma Cesnola), a Roma il Museo Nazionale Romano (detto delle Terme, inaugurato nel 1889, costituito da gran parte dei reperti provenienti dagli scavi romani). Fra i musei realizzati ancora in stile storico, citiamo: il Zentralnationalmuseum di Zurigo (1893-95, su progetto di N. Gull), il Nordiska Museum di Stoccolma (1889-1907, su progetto di I. G. Clason), il museo agrario di Budapest (complesso di edifici ispirati agli antichi monumenti magiari, eretti nel 1896 per il millennio dello stanziamento degli ungari, su disegni di I. Alpár); infine, il singolare museo all'aperto del folclore di Skansen, presso Stoccolma (iniziato nel 1870 su progetto di A. Hazekius).
Tra la fine del 19° secolo e gli anni Sessanta del 20° secolo
Tra la fine del 19° secolo e gli inizi del 20°, a opera dei movimenti d'avanguardia, con l'affermarsi delle gallerie private e delle sempre più frequenti mostre temporanee, si avviò una revisione del concetto di museo; a partire dagli anni Venti, il problema fu affrontato nella sua complessità dai maggiori architetti, che, con l'abbandono dello stile storico, modificarono anche il criterio di ambientazione creando spazi più fruibili, esposizione e illuminazione più razionali e funzionali alle opere. Tra gli esempi più significativi ricordiamo: il Musée des Beaux Arts di Tournai (1903-20) di W. Horta; il Gemeentemuseum dell'Aia (1919-34) di H.P. Berlage; il Museum of Modern Art di New York, fondato nel 1929, con la sede progettata da Ph.L. Goodwin e E. Stone (1939) e i successivi ampliamenti di Ph. Johnson (1953, 1964) e C. Pelli (1984); il Solomon R. Guggenheim Museum (1943-59) di F. L. Wright a New York (ampliato nel 1992 dallo studio Gwathmey, Siegel and Ass.); il Museo d'Arte occidentale (1953-59) di Ch.-E. Le Corbusier, J. Sakakura, K. Mayekawa, T. Yosizaka a Tokyo; il Peace Center (1949-55) di K. Tange a Hiroshima; la Galeria de Arte Contemporáneo (1955) di O. Niemeyer a Caracas, il Museu de Arte Moderna (1954, distrutto nel 1978) di E. Reidy a Rio de Janeiro; il Witney Museum (1966) di M. Breuer a New York. In Italia, tra le sistemazioni di antichi edifici sono notevoli: la Galleria regionale della Sicilia (1953) di C. Scarpa a Palermo; il Museo del Castello Sforzesco (1963) del gruppo BBPR a Milano; i Palazzi Bianco (1950) e Rosso (1952-62), il Tesoro di S. Lorenzo (1952) e il Museo di S. Agostino (1963-79) di F. Albini e F. Helg a Genova.
Il museo oggi
Negli ultimi decenni il museo ha mutato la sua fisionomia generale sulla scorta del dibattito che ha portato a una profonda revisione del concetto di bene culturale e di patrimonio artistico, e a seguito dell'ampliarsi della fruizione sociale e didattica di tale patrimonio e dello sviluppo della nozione di redditività del prodotto culturale in termini anche di strategie economiche. Al tradizionale ruolo di luogo della conservazione delle testimonianze storiche legate a un limitato ambito territoriale o frutto di prevalenti interessi collezionistici, si sono aggiunte nuove funzioni connesse alla realizzazione di iniziative culturali, alle attività didattiche per la popolazione scolare e adulta, a tutto quanto contribuisce a trasformare il museo da oggetto a soggetto attivo di processi culturali e progetti d'intervento. Se talora conserva quella caratteristica 'civica' che lo ha contraddistinto nell'Ottocento, il suo significato è profondamente mutato; da contenitore di capolavori o di patrie memorie, il museo diviene luogo centrale nell'organizzazione della città, un sistema che aggrega luoghi diversi e vocazioni integrate intorno a una sola istituzione, ponendosi così in relazione con altre realtà, anche private o semiprivate, patrimoni di enti diversi, luoghi delle professioni artigiane e del loro tramando. Esso tende a trasformarsi, nel dibattito teorico, da struttura amministrativa con caratteristiche di verticalità e staticità, in un soggetto che meglio dovrebbe rispondere alle esigenze di versatilità e mobilità richieste da nuovi modelli economici, che ne invocano un reale concreto ingresso nell'area della produttività.
All'estero
Negli Stati Uniti, da molto tempo e assai più che altrove, il museo rappresenta un grande contenitore destinato a oggetti di provenienza prevalentemente collezionistica e spesso lontani dal loro originario contesto culturale e storico, che sulla base di intensi programmi di divulgazione artistica si propone anche come momento di aggregazione sociale e d'incontro. Fra i modelli museali affermatisi oltreoceano occorre ricordare la Smithsonian Institution che, sostenuta con fondi pubblici, offre ai musei consociati servizi ed efficienti magazzini dai quali vengono prelevate le opere a seconda delle necessità (esposizioni, studio ecc.). L'adeguamento delle istituzioni ai modelli e alle dinamiche della società contemporanea fa sì che, in molti casi, il museo costituisca un'ottima occasione di sperimentazione e innovazione, non solo nel campo della museografia, ma anche della prassi architettonica e dell'allestimento. Si pensi, per es., all'East Building della National Gallery of Art di Washington di I.M. Pei (1978), alla sezione Temporary Contemporary del Museum of Contemporary Art di Los Angeles dovuta a F.O. Gehry (1983), all'ampliamento del Guggenheim Museum di New York dello studio Gwathmey, Siegel and Ass. (1992) e all'apertura sempre a New York del nuovo Guggenheim Museum in SOHO di A. Isozaki (1992), al Getty Center di Los Angeles, su progetto (1993) di R. Meier, al SFMOMA (San Francisco Museum of Modern Art) di M. Botta (1995), al Rock and Roll House of Fame a Cleveland di I.M. Pei (1998), alla nuova sezione dell'American Museum of Natural History di New York (Rose Center for Earth and Space, J.S. Polshek, 2000) fino all'innovativo Experience Music Project a Seattle di F.O. Gehry (2000).
Analoghi fenomeni si colgono in alcuni paesi europei che negli ultimi decenni hanno rinnovato e arricchito le istituzioni museali. In Germania, per es., a partire dagli anni Settanta si è assistito alla realizzazione di una serie di costruzioni museali nei centri delle città. Si tratta di una radicale politica di ristrutturazione e ricostruzione, che provoca anche profondi mutamenti urbanistici. Le funzioni e le forme del museo, infatti, poste in relazione con ambienti anche notevolmente diversi, si arricchiscono e al contempo esplorano nuovi territori della pianificazione urbana. All'interno di questa tendenza s'inseriscono, tra gli altri, la nuova Staatsgalerie di Stoccarda, progettata da J. Stirling e M. Wilford fra il 1977 e il 1984; i nuovi musei di Francoforte, dove, nel decennio 1980-90, si è intrapreso un estensivo programma di riconversione turistico-culturale con la creazione della cosiddetta 'riva dei Musei', che ha visto impegnati famosi progettisti come R. Meier e H. Hollein; la ristrutturazione della Museuminsel di Amburgo, con la realizzazione del nuovo corpo della Kunsthalle (O.M. Ungers, 1997). Un cenno a parte merita Berlino, dove dagli inizi degli anni Novanta, a seguito dell'inglobamento dei musei statali dell'ex parte orientale nel complesso degli Staatliche Museen zu Berlin, è stata intrapresa una globale risistemazione del patrimonio museale; oltre alla creazione del complesso culturale della Matei Kirchplatz (Kulturforum), si segnala l'apertura, alla fine del 1996, del Museum der Gegenwart, collocato nella restaurata Hamburger Bahnhof e destinato a ospitare opere d'arte contemporanea prima della loro definitiva musealizzazione.
In Gran Bretagna sono frequenti i recuperi di aree industriali dismesse e obsolete per istituirvi musei: esemplari in tal senso la Tate Gallery di Liverpool (1988), realizzata da J. Stirling, che occupa l'angolo nord-ovest dell'Albert Dock, un magazzino di sette piani del 19° secolo; o la Tate modern a Londra, collocata su progetto di Herzog & de Meuron nell'ex Bankside Power Station (2000). Tra gli ampliamenti di prestigiose sedi museali, può essere ricordata a Londra la nuova Sainsbury Wing della National Gallery, progettata dallo studio Venturi, Rauch & Scott Brown e inaugurata nel 1991.
Il panorama della politica museale spagnola offre una vasta gamma di soluzioni, dalla scelta del settecentesco Ospedale Generale come sede del Centro de Arte Reina Sofia (1986) e dall'ampliamento sotterraneo del Prado a Madrid (1992), al nuovo Museo di Arte Contemporanea di Barcellona, di R. Meier (1992), al Museo Guggenheim di Bilbao, su eclatante progetto di F.O. Gehry (1997). In Francia si segnalano, in particolare, tre casi, che s'innestano nella tradizionale politica, tesa a concentrare nella capitale istituzioni culturali di grandi dimensioni. Il primo è la creazione del Centre Pompidou (realizzato su progetto di R. Piano e R. Rogers, aperto al pubblico nel 1977 e rinnovato nel 1999) che, oltre al ricchissimo Musée National d'Art Moderne, ospita il Centre de Création Industrielle, l'Institut de Recherche et de Coordination Acoustique/Musique (IRCAM) e numerosi servizi, primo fra tutti un'efficiente biblioteca; vi si concretizza una concezione del museo come luogo di un processo dinamico e di una continua comunicazione, nel quale l'approccio del fruitore non si chiude in compartimenti stagni, ma anzi si focalizza sulle relazioni interdisciplinari. Il secondo caso è rappresentato dall'ampliamento e dal riordino globale del Louvre, con un progetto di grande complessità, che ha preso le mosse nel 1981 dall'opportunità di incamerare, per fini espositivi, l'ala del palazzo occupata dal Ministero delle Finanze e si è protratto fino al 1996, comprendendo fra l'altro l'apertura di un nuovo ingresso interrato coperto da una grande piramide in vetro incolore (I.M. Pei, 1989); la ristrutturazione ha avuto come obiettivo l'ampliamento e il miglioramento dei percorsi, una più vasta articolazione di servizi culturali e di attività, nonché l'inserimento del museo nella città, adattandone l'organizzazione e il funzionamento alla posizione di privilegio occupata nell'agglomerato urbano. La strategia del museo che diviene città o addizione urbana contraddistingue, infine, lo spettacolare parco de La Villette, con la Città della Scienza e dell'Industria di A. Fainsilber (1985) e la Città della Musica di Ch. Portzamparc (1996).
In Italia
Anche in Italia il rapporto tra museo e città, non solo nei grandi nuclei urbani, ma anche nei piccoli centri, è il tema nodale del dibattito teorico. La volontà di riconoscere e preservare l'intensa stratificazione del patrimonio e le complesse interrelazioni tra il contesto territoriale e l'istituzione museale, e di conferire a quest'ultima un ruolo fondamentale nella vita e nella pianificazione urbana, ha indotto a elaborare strumenti metodologici autonomi capaci di rappresentare la trama ricca e articolata delle specificità dei luoghi, delle antiche e numerose sedimentazioni, delle vicende storiche, religiose e politiche, delle tradizioni così peculiarmente caratterizzate nelle diverse aree del paese. In questo quadro si elaborano soluzioni autonome anche in relazione al tema delle sedi museali. A differenza di quanto avviene negli Stati Uniti e in molti paesi europei, ove per i musei si costruiscono nuovi edifici specificamente progettati per tale destinazione, in Italia si privilegia il recupero e il restauro di edifici storici con caratteristiche monumentali, sorti originariamente per uso diverso, ma per i quali l'utilizzo culturale e museografico rappresenta l'unica via possibile per una congrua salvaguardia. Nel momento allestitivo s'instaura così un forte rapporto tra l'opera d'arte e l'ambiente che la circonda, teso a meglio accentuarne le caratteristiche e la leggibilità, senza peraltro rinunciare ai valori culturali e storici che gli sono propri. L'edificio quindi, da neutro contenitore in grado di garantire, attraverso l'impiego di moderni apparati tecnologici, una conservazione ottimale, si colloca in rapporto dialettico con gli oggetti esposti e diviene esso stesso momento importante del percorso culturale. In questo filone operativo s'innestano numerosissimi nuovi allestimenti realizzati nell'ultimo ventennio, tra cui, per es., la Galleria Nazionale di Parma nel palazzo della Pilotta (1986), il Civico di Piacenza nelle sale del cinquecentesco Palazzo Farnese (1988), l'ampliamento dell'Accademia Carrara a Bergamo negli antistanti edifici anticamente di destinazione conventuale (1994), le nuove sedi del Museo Nazionale Romano, a Palazzo Altemps (1997) e a Palazzo Massimo (1998). Anche a Torino si assiste alla riqualificazione in chiave di sistema della Galleria Sabauda, di Palazzo Carignano e di Palazzo Reale (1989-97). Un suggestivo contrasto offre invece il restaurato Castello di Rivoli, dal 1984 sede di un museo d'arte contemporanea. In questo settore si può ricordare come esempio significativo il Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato, aperto nel 1988 nella sede progettata da M. Gamberini. Fondamentali interventi di restauro e di ristrutturazione hanno interessato molti musei italiani, a partire da alcuni dei più illustri, come per es. il Museo di Capodimonte a Napoli (1994-95), il complesso della Biblioteca e della Pinacoteca Ambrosiana a Milano (1990-97), la Galleria Borghese (riaperta nel 1997) e il Museo di Arte Moderna (1997-99) a Roma. Tuttora in corso sono la risistemazione del Castello Sforzesco di Milano e quella degli Uffizi a Firenze, dove il trasferimento dell'Archivio di Stato ha reso disponibili le sale del primo piano: il progetto dei Nuovi Uffizi prevede il raddoppio degli spazi espositivi. In tutti questi interventi si tende a creare un nuovo rapporto tra il visitatore e le opere, con una presentazione chiara e di facile accesso che permetta diverse chiavi di lettura, senza trascurare di orientare attraverso appositi apparati esplicativi il pubblico meno preparato.
Mentre si assiste a una ridefinizione del ruolo delle istituzioni museali in dimensione urbana, se ne invoca anche l'autonomia, l'attitudine quasi imprenditoriale alla programmazione economica e il fattivo ingresso nel mondo della produzione culturale, nonché la capacità di conciliare le esigenze della conservazione, poste quotidianamente dal patrimonio artistico e storico, con le aspettative di spettacolarità che contraddistinguono molti fenomeni sociali contemporanei e che non mancano di far sentire il proprio richiamo anche in questo settore. Tali istanze hanno trovato parziale accoglimento sul piano legislativo con il provvedimento nr. 4 del 13 aprile 1993. Il testo di legge prevede orari prolungati di apertura, maggiore offerta di servizi al pubblico (dalle caffetterie alle librerie) e uno stretto rapporto con le associazioni del volontariato: quest'ultimo aspetto, inedito per il nostro paese, contribuisce a costruire un sempre più stretto rapporto fra le istituzioni culturali e la società civile.
Alla proiezione del museo verso l'esterno hanno contribuito, soprattutto in questi ultimi anni, gli interventi di sponsorizzazione privata, inizialmente rappresentata soprattutto dagli istituti di credito, cui si sono via via aggiunte imprese private e industrie. L'iniziativa privata, originariamente rivolta essenzialmente ad attività editoriali, ha poi moltiplicato gli interventi, comprendendovi restauri, attività didattiche e promozionali, servizi, fra i quali, per es., l'apertura di alcune istituzioni in orari serali, prestazioni assicurative oppure di trasporto in occasione di mostre itineranti.
Nuovi orientamenti della museografia
Tra i settori dell'architettura, la museografia ha riflesso con particolare vivacità alcune delle maggiori trasformazioni sociali dell'ultima parte del 20° secolo: l'aumento del benessere, del tempo libero e del consumismo, le istanze di radice storico-ecologica volte alla tutela del patrimonio naturale e antropico e, soprattutto, il ruolo centrale della comunicazione nella produzione di beni materiali e d'idee. A tali positivi risultati hanno contribuito un'intensa attività realizzativa e i dibattiti conseguentemente innescati. Oggi il museo può definirsi un laboratorio della memoria e uno strumento per la diffusione delle conoscenze. Ma oltre a questi aspetti di fondo si è verificato un complesso arricchimento nel concetto e nelle finalità dell'istituzione, che ha sollecitato adeguate risposte all'architettura non soltanto di natura espressiva e tipologico-distributiva ma anche in campo sociale nelle tecniche relate alle più tradizionali funzioni del museo: la protezione e conservazione dei documenti collezionati.
Questi temi generali hanno avuto applicazioni specifiche in rapporto alle concrete situazioni locali o a quei caratteri primari che consentono una classificazione dei musei in base alla loro importanza, ai contenuti o al genere d'intervento architettonico. Quello museale è infatti un organismo che può richiedere espansioni o trasformazioni nel tempo e, in determinate circostanze, può adattarsi in edifici preesistenti. Ne sono esempio, oltre ai già citati casi inglesi e tedeschi, il Museo d'Orsay che sfrutta l'involucro dell'omonima ex stazione ferroviaria di Parigi (G. Aulenti, 1986), il Museo idraulico di Murcia, in Spagna (J. Navarro Baldweg, 1989), adattato in un insieme di mulini abbandonati, il Museo di Arte Contemporanea di Istanbul che ha recuperato come sede una fabbrica sul Corno d'Oro, la cui ristrutturazione è stata affidata a G. Aulenti (1992). In Italia si possono ricordare, a Roma, l'Acea Art Center, collezione di antichità comunali sistemata nella sede di una centrale elettrica dell'inizio del 20° secolo (1997) e la Galleria Comunale di Arte Moderna e Contemporanea alla quale sono stati adibiti edifici dell'ex stabilimento Peroni (1999) e a Napoli la Città della Scienza nei dismessi stabilimenti industriali di Bagnoli (1997).
L'importanza sovranazionale, o locale, del museo dipende, più che dalla diversificazione di provenienza o dal numero dei documenti esposti, dalla loro organica completezza e rarità. Alle collezioni di generica composizione si preferiscono quelle altamente specializzate. Il Turner Museum, aggregato alla Tate Gallery di Londra (J. Stirling, M. Wilford 1980-87), e il nuovo Museo dell'Acropoli di Atene (M. Nicoletti, L. Passarelli 1990), nonostante il contenuto monotematico, hanno palesemente una rilevanza internazionale. Infine, la distinzione classificatoria tra contenuti umanistici e tecnoscientifici non è più inequivocabile come nel passato, a causa delle sempre più frequenti osmosi tra le 'due culture'. In questo quadro hanno un'identità abbastanza netta le istituzioni dedicate all'arte, alla tecnica, alla storia naturale o alla raccolta di strumentazioni scientifiche, come l'Istituto e Museo di Storia della Scienza a Firenze e il Museo dell'Astronomia a Greenwich. Le diversità più rilevanti si riscontrano tra i musei di storia naturale e quelli d'arte. In questi ultimi l'oggetto esposto deve possedere, come requisito indispensabile, l'autenticità, ed è il museo stesso che se ne fa garante. Fanno eccezione, nei musei d'arte antica, le repliche e i calchi, a patto che questa trasgressione sia scientificamente giustificata e dichiarata palesemente. Al contrario, nei musei di storia naturale tutto, o quasi, è necessariamente falsità o illusione. La vita e il suo ambiente non sono né imprigionabili né riproducibili. Anche le cose del mondo inorganico, quando esposte, divengono frammenti di una complessità ambientale perduta. Per dare efficacia all'importantissimo ruolo didattico e scientifico di queste istituzioni bisogna ricorrere alla creazione di simulazioni, modelli, scenari. Nel nuovo allestimento del Museo di Storia Naturale di Parigi (P. Chemetov, B. Huidobro 1987-95) i temi dell'illusione e dell'allusione, volutamente scoperti e sottolineati, costituiscono l'idea centrale del progetto.
Concettualmente più problematici, anche nelle metodiche espositive, sono divenuti i musei di storia politica e demoantropologica e quelli di archeologia. Nei primi si è verificata una maggiore scientificità dell'apparato espositivo, non più considerato un commento enfatico o sentimentale di una narrazione tradotta in senso 'monumentale'. Per es., il War Museum di Londra, interamente ristrutturato nel 1990, si propone non soltanto come un commentario di storia militare ma anche come una guida scientifica sull'evolversi delle tecnonologie belliche. Anche i musei archeologici sono stati coinvolti in questa ricerca di completezza contestuale e, da collezioni esclusivamente di arte antica, stanno ora accogliendo reperti privi di interesse artistico ma correlati alla vita materiale dell'epoca. Per es. il Museo di Arte Romana a Mérida, in Spagna (R. Moneo 1980-85), ingloba alcuni ruderi dell'insediamento di origine augustea. Una simile contaminazione è avvenuta da tempo nei musei d'arte: il Musée d'Orsay comprende opere artistiche e manufatti tecnici e d'industrial design, seguendo la tradizione iniziata dal Museum of Modern Art di New York.
Il museo giunge anche a modificare la propria struttura in relazione alle esigenze delle espressioni artistiche contemporanee, spesso opere a grande scala o complesse installazioni, che necessitano di ampi spazi da coinvolgere e interpretare liberamente. Sempre più diffusi sono i giardini appositamente progettati e i parchi, spesso annessi a una struttura museale, che accolgono sculture o installazioni, come il Billy Rose Sculpture Garden dell'Israel Museum di Gerusalemme, l'Hirshhorn Museum and Sculpture Garden di Washington, il parco di sculture del Kröller-Müller Museum di Otterlo (Arnhem), il museo all'aperto di Hakone, in Giappone. Allo sviluppo e alla proliferazione di musei e gallerie dedicati all'arte contemporanea contribuiscono inoltre donazioni o lasciti di collezionisti o degli stessi artisti, spesso occasione non solo della creazione di nuove sezioni all'interno di musei già esistenti ma anche di nuove istituzioni. Tra queste, un aspetto particolare è dato dalla musealizzazione di studi di artisti o di spazi espositivi creati dallo stesso artista per la propria opera (G. Manzù ad Ardea; A. Burri a Città di Castello; V. Vasarely ad Aix-en-Provence ecc.). Sin dalla loro fondazione, alla fine del Settecento, i musei hanno incluso, tra le loro finalità, la diffusione e l'elaborazione delle conoscenze. Tali aspetti sono oggi particolarmente sottolineati sul piano concettuale e nelle strutture organizzative e architettoniche. All'azione diffusiva corrisponde una più forte integrazione con l'ambiente umano e fisico del territorio e una specifica apertura alle richieste di massa. Tale esigenza si è tradotta, innanzitutto, in una maggiore accessibilità del museo: in senso intellettuale, attraverso il rafforzamento dell'offerta partecipativa, didattica e degli apparati didascalici; in senso materiale, attraverso una più serrata connessione con la trama urbana e la rete dei trasporti. Ne sono derivate soluzioni rilevanti sul piano non solo meramente funzionale ma anche simbolico. Esemplare la Staatsgalerie di Stoccarda, il cui involucro è concepito come un terreno artificiale che, attraverso un sistema di rampe e terrazzamenti pedonali, collega due settori dislivellati della città. Al centro di questo sistema è una piazza circolare che è esterna ma, nel contempo, nel cuore stesso del museo. Ai fini della diffusione culturale, i musei si sono arricchiti di varie attrezzature che oggi ne formano il cuore e il supporto indispensabile: sale per conferenze e didattiche, fototeche, negozi, cataloghi informatici, servizi di orientamento. Gli aspetti dell'accoglienza sono attentamente curati. Il museo si qualifica con un carattere non più severo ed elitario, ma cordiale e aperto a una coralità sociale mirata a coinvolgere i visitatori tra loro e con i documenti esposti attraverso un'offerta di comfort, d'incontri spontanei, di stimoli psicologici. La maggior parte del volume architettonico dell'East Building della National Gallery of Art di Washington è occupata da una grande piazza protetta da un enorme lucernaio vetrato e animata da alberi, panchine e luoghi di ristoro, che sembra ridurre a un ruolo secondario gli spazi che la circondano, destinati alle opere d'arte.
L'idea che i visitatori possano divenire parte dell'evento museale, in quanto spettatori e attori partecipi di un comune interesse, è stata anticipata da F.L. Wright nel Guggenheim Museum di New York, attraverso la spettacolare rampa elicoidale che ne avviluppa l'invaso centrale. Gli interventi effettuati al Louvre hanno avuto questo preminente obiettivo. Oltre al recupero dell'ala Richelieu, occupata dal Ministero delle Finanze, si è sfruttata la Cour Napoléon creando un vasto spazio sotterraneo, coperto dalla piramide di vetro, nodo d'accesso distributivo e fulcro funzionale dell'intero complesso. Vi gravitano centri d'informazioni, ristoranti, librerie, un auditorium, gallerie commerciali e per mostre temporanee, e vani a carattere flessibile per accogliere seminari o gruppi di visitatori. Questi elementi sono anche di supporto alle attività di ricerca oggi divenute d'importanza centrale: sempre più diffusa è la dotazione di laboratori di ricerca, di restauro o di progettazione e di magazzini ordinati secondo una chiara catalogazione scientifica e accessibili agli studiosi. Un altro aspetto emerso nel periodo più recente è l'effetto del grande numero di visitatori, che ha inciso non soltanto sull'ampiezza degli spazi ma anche e soprattutto sull'immediata riconoscibilità dei percorsi e sulle infrastrutture dei servizi, particolarmente quelli tecnologici. La sicurezza e la preservazione dei documenti esposti hanno imposto di affrontare esigenze prima inesistenti oppure trascurate, richiedendo raffinati mezzi di prevenzione da atti di vandalismo o da eventi naturali come i terremoti, o dagli inquinamenti microambientali provocati dalle condizioni esterne e di affollamento: immissione di polveri e di batteri, aumento dell'umidità relativa e della temperatura. Altro tema dai molteplici risvolti è quello della contestualità. L'architettura del museo, nei confronti dei suoi contenuti culturali e materiali, si è oggi frequentemente orientata verso una maggiore specificità, contraddicendo la sua tradizione tipologica basata su spazi fondamentalmente neutri, per non interferire con l'autonoma espressività delle opere esposte. La consapevolezza dell'importanza del contesto ai fini della corretta fruizione del documento ha inciso significativamente sui relativi concetti espositivi: il documento non è considerato come un oggetto godibile di per sé o un elemento d'arredo, ma come il frammento di un ambiente, fisico o intellettuale, da cui è stato sradicato e a cui occorre riferirsi per restituire completezza e verità al suo significato. Il concetto di museo, come testo critico attivo, attribuisce dunque una responsabilità precisa e un ruolo non neutrale all'aggregato architettonico che nella sua specificità strutturale, prima che nelle aggettivazioni dell'allestimento, deve convogliare questa idea di contestualità in senso non citazionista o puramente didascalico bensì allusivo e simbolico, e, in ogni caso, scientificamente fondato. Questo indirizzo è già stato affrontato in Italia negli anni Cinquanta da C. Scarpa nel Museo di Castelvecchio a Verona, dallo studio BBPR nel Museo del Castello Sforzesco di Milano, e da A. Minissi nel Museo Etrusco di Roma e in quello Archeologico di Agrigento. Effetti di matrice psicologica guidano, per es., la concezione architettonica del Museo Aerospaziale di Los Angeles (F.O. Gehry, 1984), dove le semplici ma insolite deformazioni dell'inviluppo museale e l'intreccio dei percorsi conferiscono all'allestimento il senso di dinamico disequilibrio di un'esaltante avventura. Anche le raffinate partiture del Museo di Etnologia di Francoforte (R. Meier, 1989) si modellano sulle esigenze del materiale esposto. La conclusione più estesa e logica di questa idea di contestualità è il 'museo territorio'. Un museo non fatto di oggetti tolti dal loro luogo d'origine e rinchiusi in un 'contenitore', ma costituito da itinerari che saldano tra loro, in una studiata sequenza, eventi materiali anche di notevole estensione di un determinato ambiente fisico, e rappresentativi quindi del suo specifico e tangibile messaggio storico-culturale.