MUSEO
. Storia. - Antichità. - Quando, raffinandosi la civiltà d'un popolo, questo comincia ad apprezzare non solo le manifestazioni artistiche o i cimelî storici del momento, ma altresì quelli delle antiche età, che non possono più conservarsi nel loro ufficio e luogo originario; quando anche delle opere contemporanee si vede l'importanza che esse potranno in seguito avere per la storia civile o delle arti o delle scienze, e si pensa perciò a garantirne la conservazione, allora sorge il museo. Veri e proprî musei del resto, pur senza determinati fini, esistevano già prima sia nei templi o nei santuarî, sia nelle regge dei principi: dove si erano accumulati nel corso dei secoli opere d'arte, doni votivi, suppellettili preziose procurate dalla pietà dei fedeli e dalla devozione dei sudditi. Sull'Acropoli di Atene, a Delfi, a Olimpia, a Cirene (per cominciare con la sola civiltà classica, perché sappiamo che lo stesso si verificava in Oriente e in Egitto già nelle ere precedenti) immenso era il numero delle statue, dei tripodi, dei vasi, delle stoffe, delle oreficerie, tanto che si giunse persino a costruire piccoli edifizî appositi (ϑησαυροί) per custodirli. Ma poiché gli oggetti erano tutti ancora nel luogo dell'originaria destinazione, simili collezioni somigliavano ai "Musei dell'Opera" delle cattedrali italiane, e non erano veri musei come noi li intendiamo. Questi cominciano in età ellenistica, a Pergamo, dove Attalo I, venuto in possesso di Egina e di altre terre insigni per opere d'arte, trasportò da esse sull'acropoli della sua capitale statue e quadri di pregio, mentre faceva lo stesso con i libri nella sua biblioteca. Si sono trovate alcune basi che hanno iscrizioni ricordanti queste opere d'arte. Eumene II completò l'opera di Attalo, facendo fare copia dei capolavori che non poteva acquistare. Contemporaneamente lo stesso avveniva ad Alessandria d'Egitto, dove un edifizio dedicato alle Muse, e perciò detto Μουσεῖον, con una biblioteca e una serie di opere d'arte, diede il nome che ora indica una raccolta d'opere d'arte o di scienza. Questo nome fu rievocato nella Firenze del Quattrocento da Lorenzo il Magnifico col suo Museo, collezione di codici e di cimelî artistici, e da allora è stato adottato da tutto il mondo civile. Dagli stati ellenistici l'uso passò alla Roma della fine della repubblica e dell'impero, dove case patrizie e templi si empirono di opere d'arte greca, raccolte e amorosamente conservate e ammirate, e dove si radunarono anche cimelî storici. Ma a Roma sorse per la prima volta l'idea che l'opera d'arte è un bene pubblico, e che il suo godimento deve essere concesso a tutti. Fabio Pittore aprì a tutti la sua collezione artistica, e Marco Agrippa sostenne in un discorso che le opere d'arte devono essere di tutti. Alla fine dell'impero, Roma era tutta un immenso, mirabile museo, e tale divenne poi anche Costantinopoli.
Medioevo ed età moderna. - Se le più di queste raccolte andarono distrutte o disperse durante il Medioevo, è certo che l'accentramento della ricchezza nelle mani di pochi potenti signori permise il sorgere delle prime collezioni di oggetti d'arte, dalle quali, specialmente col Rinascimento, trarranno origine i musei. È così che in Italia, dove le vicende storiche avevano fatto assumere a un gran numero di città la funzione di capitale, si costituirono, nei palazzi ducali o principeschi e in genere nei palazzi delle famiglie più cospicue per censo e per nobiltà; raccolte d'arte del più alto valore, in gran parte tuttora esistenti, seppure divenute le più statali e riorganizzate. Nel Natale del 1471 Sisto IV donava al popolo romano tutte le opere d'arte raccolte nel Campidoglio, e iniziava così l'era delle pubbliche raccolte d'arte, in un'età in cui ancora tutte le altre raccolte erano private.
Tra i primi a raccogliere rarità artistiche nel Rinascimento fu, come s'è visto, Lorenzo il Magnifico, presto seguito dagli Este, dai Gonzaga, dagli Sforza, da cardinali, da ricchi cittadini e da antiquarî, specialmente in Toscana, nel Veneto e a Roma.
L'ambiente dove si radunavano e mostravano tali oggetti era detto studio o gabinetto; ma con l'estendersi delle collezioni esse furono conservate nei "guardaroba", donde si toglievano volta a volta per decorarne appartamenti. Al tempo di Cosimo I il guardaroba mediceo era ricolmo di pitture e sculture dei più grandi artisti passati e presenti, di oreficerie, di gemme intagliate, di medaglie, d'ogni sorta di rarità. Quando Eleonora da Toledo, sua moglie, acquistò Palazzo Pitti per farne la residenza medicea, affinché il granduca potesse liberamente recarsi al palazzo del governo fu edificato per opera del Vasari il lungo corridoio, che traversa l'Arno e passa sopra al palazzo degli Uffizî per mezzo di ampî loggiati, che chiusi con vetrate divennero vere e proprie gallerie. Ornate di sculture antiche, furono denominate gallerie delle statue. Lungo quella orientale il granduca Francesco fece costruire la tribuna e le sale contigue da B. Buontalenti, che vi distribuì gli oggetti più preziosi del guardaroba, aprendovi circa il 1581 il primo grande museo del Rinascimento, che si chiamò quindi Galleria degli Uffizî. Il termine "galleria" rimase quindi a indicare una raccolta d'arte, e particolarmente di quadri, ordinata decorativamente. Nella tribuna stavano i capolavori della pittura, piccoli bronzi, oggetti rari e, in uno stipo, gemme e medaglie, nelle altre sale oggetti di scavo, armi, strumenti scientifici, oggetti etnografici, ecc.
Col tempo, lungo la galleria occidentale sorsero altre sale per le sculture antiche e moderne, per quadri stranieri, per gli autoritratti, per i disegni. Tale carattere vario la Galleria degli Uffizî conservò finché intorno al 1870 non si formarono altrove il Museo Nazionale per la scultura e per gli oggetti d'arte e il Museo archeologico. Vi rimasero le sculture antiche intramezzate di arazzi a decorare i due corridoi e i quadri distribuiti sistematicamente nelle numerose sale. Il granduca Ferdinando volle ornare con altri mirabili dipinti l'appartamento di parata di Palazzo Pitti e creò la Galleria Palatina, prototipo delle gallerie secentesche simmetricamente adorne di pitture a cornici uniformi. Durante l'epoca napoleonica con i quadri tolti alle chiese e ai monasteri soppressi fu fondata nella stessa Firenze la Galleria dell'Accademia di belle arti.
Frattanto dietro l'esempio mediceo tutti i sovrani italiani avevano voluto la loro galleria. Divenuta la reggia di Mantova, sotto Vincenzo I Gonzaga, la più ricca di dipinti, la moglie di lui, Eleonora de' Medici, li volle raccolti in una sontuosa galleria ordinata nel 1605 da Pietro Paolo Rubens. Nel 1629 essa fu venduta da Vincenzo II a Carlo I re d'Inghilterra. La galleria di Ferrara fu lasciata da Lucrezia, ultima del ramo legittimo degli Estensi, al cardinale Aldobrandini e indi dispersa. Francesco I d'Este duca di Modena verso la metà del Seicento costituì una mirabile galleria togliendo dalle chiese le opere più insigni, come quelle del Correggio, che nel 1745 il suo degenere nipote Francesco II vendette con cento suoi più bei quadri all'elettore Federico Augusto III di Sassonia costituendo la base principale della galleria di Dresda. La Galleria Farnese formata nel 1662 a Parma nel Palazzo del Giardino venne in parte trasportata a Napoli da Carlo III di Borbone e dopo varie vicende e mutilazioni vi forma tuttora il nucleo fondamentale dell'attuale pinacoteca. Il ramo regnante a Parma vi formò invece la galleria esistente. A Torino Carlo Emanuele I di Savoia ai primi del sec. XVII fece costruire una lunga galleria per collocarvi la sua collezione considerata allora meravigliosa; Carlo Emanuele III vi aggiunse la galleria del principe Eugenio, ma fece bruciare trentotto quadri di figure nude. L'invasione francese fece man bassa sulla galleria dei re di Sardegna, solo parzialmente riacquistata dopo la Restaurazione; Carlo Alberto l'arricchì di molte pregevoli opere d'arte.
A Roma molte famiglie principesche ebbero mirabili gallerie costituite in fedecommesso con obbligo di mantenimento e di pubblico godimento. Tra esse si conservano in possesso privato quelle Doria Pamphili e Colonna, mentre quelle Corsini, Borghese Barberini (solo parzialmente) e Spada sono divenute proprietà dello stato. La Galleria Capitolina appartiene al comune. La Galleria Vaticana fu costituita dopo la Restaurazione, quando furono restituiti all'Italia i quadri che Napoleone aveva fatto trasportare a Parigi.
Nello stesso modo si formarono i nuclei delle gallerie nazionali di Venezia, Bologna e Perugia, e comunali di Verona, Vicenza, Padova, Ferrara, Ancona, ecc., accresciute con lasciti e acquisti, recentemente riordinate e chiamate talvolta più propriamente pinacoteche. Tale origine ebbe anche la galleria del viceré Eugenio Beauharnais a Milano, poi collocata nel palazzo di Brera e arricchita di numerosi capolavori; la galleria dell'Ambrosiana deriva da un legato del cardinale Federico Borromeo. Pure con lasciti di cospicue collezioni private furono formate le gallerie di Bergamo e di Brescia e così quella di Genova, già Brignole Sale; quivi bellissima è pure la galleria Durazzo Pallavicini ancora privata.
Per tutta Italia le principali famiglie avevano un appartamento separato, messo a galleria: così a Firenze gli Strozzi, i Rinuccini, i Guadagni, i Capponi, i Torrigiani, i Martelli e ancora oggi i Corsini; a Bologna gli Hercolani, gli Zambeccari, ecc.; a Ferrara i Costabili, i Canonici e oggi i Massari; a Venezia anticamente i Grimani, poi con altri i Manfrini e oggi i Giovanelli. Si ricorda ancora la collezione estense al Cataio (poi emigrata aVienna). A Milano sono sempre state importantissime raccolte d'arte d'ogni genere e veri e proprî musei, come quello Poldi Pezzoli, ora pubblico, e quelli Trivulzio e Borromeo.
Altre collezioni principesche si formarono all'estero, sia nelle grandi corti francese, spagnola, austriaca, inglese, sia in ricche famiglie, specialmente (a cominciare dal sec. XVIII) in Inghilterra. Si ebbero anche, in Italia prima che altrove, raccolte costituite allo scopo di sussidio didattico presso istituti d'istruzione, come nel sec. XVI la collezione dei gesuiti al Collegio Romano a Roma, e le raccolte di singoli studiosi, quali M. Settala a Milano e U. Aldrovandi a Bologna.
Di collezioni pubbliche restava unica la Capitolina, aumentata per munificenza dei papi nel sec. XVIII, e fu la sola per la quale si costruì un apposito palazzo, e nella quale si adunarono opere d'arte non per vanto o per scopo decorativo, ma per il valore artistico di esse e per offrire materiale di studio.
Le nuove tendenze si accentuarono alla fine di quel secolo riformatore, e nel 1753, con la donazione H. Sloane alla nazione inglese, si ebbe il primo nucleo del British Museum; contemporaneamente il cardinale G. A. Braschi iniziò, sotto Clemente XIV, il Museo Vaticano, da lui straordinariamente arricchito quando diventò pontefice col nome di Pio VI (Museo Pio-Clementino); la rivoluzione francese nazionalizzò le opere di proprietà della corona e Napoleone I concepì col Museo Napoleone il sogno di adunare a Parigi, capitale dell'impero, i capolavori del mondo intero, idea grandiosa, fallita col crollo dell'Impero stesso e col ritorno della maggior parte di quelle opere in Italia.
L'idea però di raccolte pubbliche statali non poteva morire, e la prima metà del sec. XIX vide le nazioni più ricche e potenti, vincitrici della guerra contro Napoleone, riuscire ad acquistare pezzi di prim'ordine, sia delle collezioni di famiglie decadute, specialmente italiane, sia accaparrandosi molti dei capolavori usciti allora dagli scavi d'Italia e di Grecia. Si ricorda la Gliptoteca di Monaco di Baviera, sorta per merito specialmente di Luigi I nel 1830, in apposito grandioso edifizio, con le sculture d'Egina, e molti pezzi trovati in Grecia o provenienti dalle raccolte italiane (Albani, Barberini, Braschi). A Berlino, dove già Federico Guglielmo III nel 1797 dichiarò proprietà pubblica le opere d'arte della sua casa e della sua villa, sorse nell'isola della Sprea quel museo che ebbe subito incremento, specialmente per opera dei dotti tedeschi stabiliti in Italia altrove. Il British Museum ebbe immenso sviluppo nel 1816 per l'acquisto della collezione di lord Elgin dei capolavori già nell'Acropoli di Atene; poi con le grandi collezioni, specialmente dell'Asia Minore. Il Museo del Louvre trasse esso pure vantaggio dalle spedizioni francesi in Grecia, Asia Minore, Africa e dall'acquisto, per opera di Napoleone III, della collezione Campana di Roma, ricchissima di oggetti d'arte etrusca, di molti capolavori di ceramica greca e di notevoli monumenti di scultura. Né la passione dei musei si limitò alle opere d'arte greco-romana: sorse l'interesse per l'arte egizia e in Europa si formarono molti musei specializzati, tra i più importanti dei quali è quello di Torino, notevole quello di Firenze, piccolo ma interessante quello al Vaticano, grandiosi quelli del Cairo, di Parigi, Londra, Berlino, Leida, ai quali recentemente si è aggiunto quello di Hildesheim. Così pure le scoperte di A. H. Layard e di P. E. Botta, alle quali seguirono quelle di A.-M. Dieulafoy, di A.-M. Morgan, ecc., portarono alla fondazione dei due mirabili musei asiatici del Louvre e del British Museum; mentre quelle a Cipro di L. Palma di Cesnola formavano specialmente il Metroolitan Museum di New York.
Un'altra sezione costituivano contemporaneamente le gallerie d'arte medievale e moderna, dove le collezioni avevano ancor più un'origine privata. Si è già accennato a quelle italiane.
All'estero il primato di anzianità spetta alla Francia, poiché molti celebri quadri del Louvre appartenevano già a Francesco I. Dalla vendita della galleria di Carlo I d'Inghilterra derivò la galleria del cardinale Mazzarino, acquistata da Luigi XIV, che la raccolse nel Louvre. L'Assemblea nazionale riunì quivi e nelle Tuileries tutte le opere d'arte della corona e Napoleone, portandovi gl'infiniti tesori d'arte razziati nei paesi conquistati, ne fece la più grandiosa galleria del mondo. E tale, nonostante le conseguenti restituzioni, può dirsi anche ora, grazie ai cospicui legati che l'arricchiscono continuamente. Meravigliosa fu la galleria d'Orléans, venduta in Inghilterra al tempo della rivoluzione. Varî rami di casa d'Austria possedettero fin dal sec. XVII gallerie importantissime che nel secolo XIX si riunirono nelle due mirabili gallerie pubbliche di Vienna e del Prado a Madrid. In Germania la galleria di origine più antica è la pinacoteca di Monaco derivata da quelle dell'elettore Massimiliano Emanuele di Baviera a Schleissheim e dell'elettore palatino Giovanni Guglielmo a Düsseldorf, fondate ai primi del Settecento. La galleria di Kassel è creazione di Guglielmo IV di Assia nel 1760. La più moderna è quella di Berlino, iniziata nel 1830 e costantemente di poi arricchita di tesori inestimabili. In Inghilterra sono la Galleria di Hampton Court che raccoglie quanto rimase della galleria di Carlo I, la National Gallery di Londra fondata nel 1832, che ogni anno si accresce di lasciti e di acquisti di prim'ordine, quelle di Edimburgo e di Dublino e altre originate generalmente per eredità di collezioni private di cui era ricchissima quella nazione. Tra queste la più cospicua rimane ancora in Londra la Galleria Bridgewater. La Galleria dell'Ermitage a Leningrado è quella antica imperiale aperta al pubblico dallo zar Nicolò I, oggi notevolmente menomata.
Collezioni insigni si erano spesso andate formando presso i conventi, e furono, le più, disperse al momento della soppressione degli ordini religiosi. Queste soppressioni fecero sorgere in Italia, in Francia e altrove numerosissime raccolte locali, molte delle quali possiedono veri capolavori.
Un caso analogo e di straordinaria importanza fu la formazione nei paesi classici di musei, dove affluivano opere ricuperate sul luogo o nell'ambito di una regione o stato. Naturalmente tutti o quasi i musei già ricordati ebbero anche questa fonte d'incremento, primi fra tutti il Vaticano e il Capitolino; ma dove il fenomeno ebbe un risultato grandioso fu anzitutto a Napoli, dove le collezioni prima borboniche, poi nazionali, con gli scavi di Ercolano e Pompei e i grandi ritrovamenti di quel suolo fortunato, videro, attorno al vecchio nucleo farnesiano, formarsi collezioni di una importanza eccezionale, alcune delle quali, come quelle delle pitture pompeiane e dei bronzi di Ercolano e Pompei, assolutamente uniche al mondo nel loro genere.
In Italia sorsero innumerevoli istituti, come nella Roma papale il Museo Lateranense, nella Roma italiana il Museo Nazionale Romano (o delle Terme di Diocleziano), quello dei Conservatori (cui si è aggiunto nel 1925 il Museo Mussolini) in Campidoglio, il Preistorico-etnografico, quello di Villa Giulia; nelle altre città il Museo archeologico di Firenze, il Museo civico di Bologna, i musei archeologici di Torino, Aquileia, Ancona, Taranto, Palermo, Siracusa, Cagliari, i musei provinciali e comunali di Perugia, Capua, Bari e Lecce, più i piccoli musei di quasi tutti i centri. In Grecia sorse il grande Museo Nazionale di Atene, al quale sono affluiti i più importanti capolavori trovati sul suolo ellenico, ad eccezione di quelli di Delfi, Olimpia, Corinto, Delo, Candia, Sparta, Tebe, Corfù, e di quelli della stessa Acropoli d'Atene che sono restati sul luogo. Un museo insigne per grandiosità è quello di Istanbul, altri notevolissimi sorsero a Tunisi, Algeri, ecc.; uno, unico per straordinaria bellezza d'arte egizia, al Cairo; musei locali a Madrid e a Barcellona, a Saint-Germain-en-Laye, a Tolosa, a Nîmes, ad Avignone, ecc.; in tutte le città renane, nei varî centri inglesi, a Budapest, nelle capitali degli stati balcanici e degli scandinavi, ecc.
Ma con l'aumentare della cultura, mentre i grandiosi organismi del Louvre, del British Museum, dei musei di Berlino e di Vienna, e gli altri più o meno tutti si arricchivano continuamente, altri ancora ne sorgevano in Europa e in America. In Europa ricordiamo specialmente i musei del Cinquantenario di Bruxelles e la Gliptoteca Ny-Carlsberg di Copenaghen, che, sorta a spese di un ricchissimo industriale, C. Jacobsen, fu da lui lasciata alla città sua ed è riuscita ad accaparrarsi serie mirabili di opere d'arte di tutte le civiltà del mondo antico, tra cui l'etrusca e la romana. In America, oltre al Metropolitan Museum di New York, va menzionato il museo di Boston, che, specie per alcune serie, come i vasi dipinti, è divenuto di primissimo ordine. Simile e anche maggiore sviluppo ebbero contemporaneamente le gallerie, alcune delle quali, come quella di Berlino, riuscirono con opera tenace e sistematica a riunire molti capolavori; mentre per lasciti o fortunati acquisti altre se ne formavano in tutti i centri di cultura dell'uno e l'altro continente, tanto che i paesi produttori, e primo di tutti l'Italia, sono stati così singolarmente impoveriti di tante opere, che è doloroso non possano venire ammirate nell'ambiente stesso in cui e per cui furono create, e che spesso appaiono, per luce e per collocazione, veramente in esilio. Vi sono poi spesso i musei d'arte dell'Estremo Oriente, tra i quali in Italia quelli di Genova e di Venezia, a Parigi il Guimet e il Cernuschi, ecc. L'interesse per ogni manifestazione dello spirito, per ogni oggetto di natura, vicino ai musei di storia naturale spesso grandiosi (v. appresso), creò musei specializzati, come gli etnografici (specialmente Londra, Berlino, Roma), ai quali generalmente è unita la sezione paleoetnologica, che trae spiegazione appunto dall'etnografia. Né parliamo dei musei prettamente storici, quali quelli che ormai quasi ogni città possiede (v. appresso). Una sezione che unisce l'arte e la scienza è quella dei musei tecnici, come i musei navali (in Italia a La Spezia, a Venezia e a Milano), o i militari, come le armerie (cospicua e tra le prime del mondo l'Armeria reale di Torino; tra le straniere superba quella di Madrid), o i musei dell'esercito (quello del genio a Roma, quello dell'artiglieria a Torino, e all'estero quello degl'Invalidi a Parigi, quelli di Berlino e di Bruxelles, ecc.).
Così pure tra l'arte e l'industria sono gl'innumerevoli musei artistico-industriali, in uso specialmente all'estero (in Italia ricordiamo quello del Castello di Milano; il Civico di Torino, ecc.), alcuni dei quali, con i prodotti squisiti dell'arte decorativa, o sono sezioni di grandi musei, come, p. es., del Louvre o di quello del Bargello a Firenze, o formano veri e proprî musei d'arte, quali il Poldi Pezzoli di Milano, alcuni del Cinquantenario di Bruxelles, quello nazionale svizzero a Zurigo, quello artistico-industriale di Vienna, il Filangieri di Napoli, quello di Amburgo, ecc.
Organizzazione e architettura dei musei. - Tutta questa serie di musei si può suddividere in varî aggruppamenti secondo i tipi. Si possono chiamare di tipo antico e di tipo moderno, secondo la definizione che ne diede una volta I. Loewy. Quelli di tipo antico accolgono gli oggetti come casualmente si sono presentati al raccoglitore, sia esso un collezionista, sia esso lo scavatore, anzi nella più parte dei casi, e in tutti i musei governativi dei paesi classici, come sono venuti sporadicamente per scoperte fatte durante i lavori pubblici o privati. Questi oggetti sono poi esposti con il solo criterio del loro pregio individuale. L'ordinamento generale si fa solo seguendo il criterio estetico, come è tuttora restato (ed è bene resti) quello delle più antiche collezioni (Vaticana, Capitolina, ecc.), con le statue colossali insieme raggruppate, i capolavori in sale isolate, ecc.: solo spesso si sono voluti riunire o monumenti trovati in uno stesso luogo o monumenti uguali per soggetto. Nel caso soltanto dei "musei centrali" quali quelli di Napoli o di Atene, l'abbondanza del materiale permise un ordinamento cronologico e per scuole, con gruppi delle varie specie di antichità; lo stesso si è potuto fare in Roma per le sculture greche e romane del Museo Nazionale Romano e del Museo Mussolini; ma anche in questi la gloria del museo è costituita da collezioni che derivano da fortunate circostanze locali: così i sarcofagi e i ritratti romani nel Museo Nazionale Romano, così le pitture pompeiane ed ercolanesi, i bronzi della Villa dei Papiri, le mirabili suppellettili delle due città sepolte dal Vesuvio, i vasi apuli e campani nel museo di Napoli, i vasi del Dipylon o le lekythoi bianche nel museo d'Atene, che con le stele sepolcrali e i rilievi votivi formano da soli buona parte (e la più importante) del museo stesso. È quindi ovvio che tutti i musei e le gallerie dei paesi di produzione delle antichità siano di questo tipo; infatti, tra le gallerie, quella di Venezia ha specialmente pittura veneziana e quella di Bruxelles pittura fiamminga; e anche le maggiori, come gli Uffizî di Firenze e la Brera di Milano, ordinate per scuole e per epoche, hanno alcune intere scuole, p. es. quelle spagnole e francesi, rappresentate al più da qualche pezzo.
Sarebbe certo bene che anche in Italia ogni genere di antichità fosse rappresentato; ma a ciò v'è un doppio ostacolo: nell'affluire di sempre nuovi pezzi d'arte italiana, e nelle difficoltà di spazio e di spesa per aprire nuove sezioni. Ciò si è ottenuto solo in piccole collezioni, come il Museo Barracco di Roma, o in musei di oggetti pregevolissimi, ma di minor valore e di più facile raccolta, come il Museo etnografico di Roma o l'Armeria di Torino.
Importanti sempre più sono i musei topografici, che riuniscono tutte le antichità d'una regione tenendole suddivise per località. Una sezione topografica è in ogni museo archeologico centrale, e in Italia specialmente in quello archeologico di Firenze, in quello di Villa Giulia a Roma, in quelli di Siracusa, Ancona, Taranto, Cagliari, ecc.
Nei paesi invece, dove la produzione locale fu nulla o scarsa, sorsero i musei di tipo moderno, in cui la direzione governò la formazione della collezione, cercando con ogni mezzo d'avere buoni esemplari d'ogni scuola e d'ogni tempo. Tipici tra questi musei il British Museum di Londra e i musei di Berlino, ai quali posteriormente si sono aggiunti la Gliptoteca Ny-Carlsberg per l'arte classica, il Metropolitan Museum di New York e quello di Boston e altri minori. Una sezione a parte dei musei di Berlino forma il recente Museo di Pergamo, in cui sono state raccolte le sculture del grande altare di Pergamo, ricostruendo l'insieme di questo, e in cui sono stati pure ricostruiti, con i pezzi originali, altri monumenti scavati dai Tedeschi in Asia Minore e in Oriente, come la porta dell'agorà di Mileto.
Anche il Louvre va sempre più assumendo questo tipo di vero pantheon della produzione artistica in tutti i suoi aspetti più varî, specie se idealmente è unito con gli altri musei minori della stessa capitale della Francia. È ovvio che in questi musei una classificazione rigorosamente scientifica è possibile e normale; come avviene poi da per tutto per i musei di storia naturale.
Per l'arte classica d'altra parte sempre più hanno incremento i veri musei completi, che naturalmente non possono essere di originali, ma di calchi, i quali tendono a riunire il fiore della produzione artistica, in modo da poterla classificare con rigoroso criterio cronologico e storico, così da permettere lo studio dello sviluppo della forma. Per l'arte greca specialmente sono notevolissimi i musei dei gessi di Berlino, di Dresda, di Bonn, di Strasburgo e quello della R. Università di Roma; per l'arte romana, sia di Roma, sia delle provincie, anzi per tutta la vita romana, l'unico istituto concepito con vasto disegno è il Museo dell'Impero, che a Roma si propone di dare il quadro completo dell'antica civiltà romana.
In Italia i problemi riguardanti l'organizzazione dei musei hanno del resto un interesse ridotto, in quanto per la massima parte le raccolte d'arte sono ospitate in edifici aulici nell'ambito dei quali riuscirebbe difficile e superfluo tenere conto dei nuovi criterî che oggi si vanno affermando, specialmente all'estero, sull'esposizione delle opere d'arte. Se questo da un lato può rappresentare un inconveniente, è innegabile dall'altro come il carattere storico e artistico dei palazzi adibiti a musei contribuisca alla formazione di un'atmosfera tale intorno al visitatore, che vale a suscitargli nell'animo la sensazione di vivere nell'epoca stessa in cui i varî oggetti d'arte furono eseguiti e l'illusione di partecipare effettivamente a quella stessa vita.
Siffatte sensazioni si provano visitando le collezioni dei Palazzi capitolini, del Palazzo Venezia, del Vaticano e delle gallerie Doria, Colonna e Borghese a Roma; a Firenze quelle di Palazzo Pitti, del Palazzo Marino a Milano e del Palazzo Ducale di Venezia, per non citarne che alcune.
I più vecchi musei d'Europa, quali quelli di Soletta e di Kassel, la pinacoteca di Monaco, la Galleria di Dresda, derivano, come soluzione planimetrica, dalla fiorentina Galleria degli Uffizî, dove un'ampia galleria abbondantememe illuminata segue i muri perimetrali dell'edificio, liberando sui due lati minori una serie di sale rischiarate da lucernarî.
Le derivazioni da questo schema originario semplice, di altri più complessi sono numerose: ricorderemo tra le altre quelle dei musei di Milano, di Napoli, di Vienna, di Berlino e di Amsterdam, i quali constano di questi schemi semplici già descritti, che seguono l'andamento dei muri esterni, e che, data l'area rilevante occupata dalla fabbrica, lasciano nell'interno due cortili, divisi da un corpo di fabbrica che contiene la scala maggiore e, al piano terreno, le sale destinate ad accogliere una scelta delle opere più significative della collezione e le sculture di maggiori dimensioni. È lecito affermare come questi schemi non abbiano finora subito trasformazioni radicali, giacché gli stessi conservatori non videro il problema del museo e non ne studiarono le soluzioni.
È solo da pochi anni infatti che ci si comincia ad accorgere come rispetto ai musei, allo sviluppo delle loro planimetrie, alla classificazione delle opere esposte e alla maniera di presentarle al pubblico, esistano teorie e pareri discordi che troppo spesso vengono ignorati dagli architetti chiamati a progettare i nuovi edifici. Le sole necessità di cui sia stato finora tenuto conto sono che un museo debba rispondere alla funzione di conservare gli oggetti esposti e di presentarli in condizioni tali li luce e di spazio da facilitarne l'esame: concetti, questi due, invero essenziali ma del tutto insufficienti.
Gli antichi criterî di classificazione partivano dal presupposto della divisione netta delle grandi branche d'arte figurativa: opere di pittura, di scultura, disegni, con suddivisioni in gruppi per regioni e sottogruppi per città. Molti dei più vecchi musei d'Europa, quali il Louvre, il British Museum, il Victoria and Albert Museum, organismi tutti fondati nella prima metà del sec. XIX e da allora non più assoggettati a trasformazioni radicali, fatta eccezione per il Louvre al quale si sta ora provvedendo, rimangono ancor oggi fedeli a siffatte direttive.
Fu in Germania che ebbe origine il movimento tendente a una nuova classificazione del materiale dapprima per regioni, poi per periodi, e soprattutto fu lì che si comprese la necessità dei confronti fra i varî periodi e le varie arti, come fu anche lì che si vide l'opportunità e l'utilità di rivelare agli studiosi le varie fasi del processo formativo dell'opera d'arte e del processo evolutivo delle scuole esponendo in gran copia disegni e studî di artisti; ritornando così ai concetti che informano la maggior parte dei musei italiani. È solo così che il visitatore può interessarsi vivamente alle collezioni esposte.
Questo della classificazione del materiale è uno dei problemi più complessi dei musei; l'altro strettamente connesso con quello viene considerato quasi una malattia di quegli organismi e definito come la "stanchezza del museo".
Il primo fattore che contribuisce a creare nel visitatore questa sensazione di noia è dato dalla monotona successione delle sale che, negli schemi classici di questi edifici, si susseguono l'una all'altra senza per altro differenziarsi sensibilmente tra loro. In questi casi, e quando, come avviene il più delle volte, gli oggetti siano disposti serrati l'uno vicino all'altro come in un magazzino, il visitatore finisce col perdere ogni interesse, ed accelera la sua corsa attraverso le sale.
È per questo che furono generalmente accolte le direttive del South Kensington Museum, da cui partì l'iniziativa d'organizzare delle mostre speciali temporanee di una sola opera d'arte di eccezionale valore, togliendola dalle collezioni e attirando su essa l'interesse del pubblico per mezzo di conferenze e lezioni; e che si accettò quasi ovunque all'estero l'uso di creare delle vere e proprie ricostruzioni stilistiche, ripristinando così intere sale e talvolta costruendo nell'ambito dei musei dei modelli di monumenti particolarmente interessanti in grandezza naturale. Queste ricostruzioni di sale vengono dette dai francesi "salles d'époques" e il museo di Zurigo ne offre numerosi esempî. Sull'opportunità di queste ricostruzioni, ma più spesso composizioni stilistiche, meriterebbe fare molte osservazioni e non tutte favorevoli; sta di fatto però che questi ambienti completi e variati riescono a ravvivare potentemente l'insieme del museo e colpiscono l'immaginazione dei visitatori. La ragione però che più d'ogni altra influisce ad accogliere con diffidenza questa tendenza è data dal fatto che, nell'ambito d'un solo edificio molto spesso di ibride forme architettoniche, vengano ospitate ricostruzioni di sale e di ambienti dei periodi più disparati; le altre critiche più comuni osservano come gli oggetti di minore interesse soverchiano spesso quello che dovrebbe essere l'oggetto centrale e lo scopo stesso della sala, inoltre l'illuminazione o risponde agli ultimi dettami della scienza, oppure sfrutta sorgenti luminose tradizionali; nel primo caso la sala perde il suo carattere, nell'altro l'illuminazione è insufficiente e inadatta. Altri tentativi di rimedio portano ad abbandonare l'uso di disporre le porte su un medesimo asse e a variarne invece l'ubicazione, raggiungendo così anche lo scopo di porre il visitatore dalla soglia stessa della porta al cospetto dell'opera più significativa d'ogni singola sala.
La realizzazione di questa tendenza è sufficiente da sola a sconvolgere tutti gli schemi fin qui in uso.
È inoltre necessario che le varie sale differiscano per quel che riguarda le loro dimensioni affinché risultino proporzionate alle dimensioni degli oggetti esposti. Bisogna evitare di raggiungere altezze esagerate, ed è necessario variare la disposizione delle sorgenti luminose. Negli adattamenti dei vecchi musei si è anche tentato di frazionare le gallerie di maggiori dimensioni in reparti servendosi per tale scopo di tramezzi parz i a l i.
Tutti questi schemi presentano però l'inconveniente di richiedere una maggiore quantità di personale sorvegliante.
Modi d'illuminazione e distribuzione della luce. - L'illuminazione dovrebbe essere tale da porre in valore le caratteristiche estetiche della forma, del colore e della tessitura d'ogni singolo oggetto, ideale questo non realizzabile in senso assoluto, ma cui bisogna avvicinarsi per quanto è possibile in maniera da ricondurre le opere alle condizioni nelle quali furono create e per le quali furono create. Sotto questo riguardo l'illuminazione dall'alto, la quale presenta il vantaggio economico notevolissimo di lasciare libere per l'esposizione degli oggetti le quattro pareti degli ambienti, è la più irrazionale; presenta l'inconveniente di richiedere ambienti di notevolissima altezza e, per quel che riguarda la pittura, fa sì che le piccole asperità dei quadri producano, sotto quei raggi illuminanti così inclinati, una quantità di riflessi che nel complesso dànno luogo a un'intonazione grigio-argentea nociva al colorito del quadro. Si ovvia parzialmente a questo inconveniente facendo filtrare la luce dei lucernarî attraverso dei velarî bianchi disposti orizzontalmente e inclinando i quadri in maniera tale che, prolungando idealmente il piano del quadro stesso, si giunga a intersecare il soffitto, ma non lo spazio centrale occupato dal lucernario, nel quale ultimo caso il quadro si troverebbe in ombra.
Infine siffatta soluzione essendo basata sull'impiego dei lucernarî, presenta tutti gl'inconvenienti proprî di quelli.
Le finestre sopraelevate. - Liberano ugualmente i quattro muri delle sale e forniscono maggiore illuminazione, ma, dovendo le finestre essere aperte a grande altezza affinché i visitatori non ricevano la luce negli occhi, richiedono ambienti di proporzioni maggiori e lasciano sulle pareti grandi spazî inutilizzati, dalla soglia delle finestre alla parte più alta degli oggetti esposti. Per una siffatta disposizione delle sorgenti luminose la cubatura totale dell'edificio risulta perciò notevolmente aumentata.
Con l'illuminazione dal basso sarebbe preferibile che ogni sala avesse una sola finestra, possibilmente esposta a settentrione, in quanto la luce proveniente da più sorgenti luminose falsa sulle sculture le ombre e genera sulle pitture a olio o su quelle ricoperte da vetri una quantità di riflessi; inoltre la porzione di parete compresa fra due finestre rimane in ombra, ed è quindi assolutamente inutilizzabile. La zona d'ombra infine sulle pareti normali al muro perimetrale si può solamente utilizzare per aprirvi le porte di comunicazione fra i varî ambienti.
Per evitare, nei limiti del possibile, il riflesso della luce sulle pitture, è necessario che le pareti delle sale non risultino ortogonali a quella su cui si apre la finestra, giacché in tale caso sulle pareti stesse si avrebbe anche un'intensità d'illuminazione decrescente; si otterrà così anche il vantaggio di diminuire l'ampiezza della parete opposta alla finestra e si eliminerà l'inconveniente dell'ombra dell'osservatore sull'oggetto esposto. Sul problema dell'illuminazione delle sale dei musei molto è stato scritto da varî autori senza peraltro giungere a conclusioni definitive.
Dalla trattazione che precede si potrebbe essere indotti a considerare i musei quali organismi statici, secondo una convinzione tradizionale; di fatto oggi si tende a considerarli invece organismi viventi e dinamici. Infatti i conservatori dei musei hanno somme a disposizione per procedere all'acquisto di nuove opere che integrino le collezioni già esistenti, mentre, d'altra parte, non è infrequente il caso, come per le biblioteche, che in occasioni di lasciti e donazioni il museo subisca un incremento in una o più sezioni; infine può talvolta verificarsi che, mutando il gusto, l'incremento, sia pure naturale, delle collezioni d'un determinato periodo o d'una determinata scuola sia nullo a tutto vantaggio di altre scuole e di altri periodi. Quando avvenga ciò, bisogna che il museo si trovi in condizioni di potervi far fronte. A questo proposito è bene tenere presente come l'accesso di una sola opera nuova possa dar luogo al nuovo ordinamento degli oggetti esposti in una o più sale. Analogo fenomeno può manifestarsi in seguito al mutamento del direttore dell'istituto, giacché varî sono i criterî di distribuzione che possono essere adottati dagli specialisti.
Per queste ragioni è opportuno evitare nelle sale dei musei le grandi decorazioni stilistiche che costituiscono dei legami, mentre è necessario ricorrere a soluzioni costruttive che permettano di modificare perfino gli schemi planimetrici.
In conseguenza ai criterî su esposti i più moderni musei sono stati studiati in maniera che nell'interno della grande ossatura generale sia le pareti sia le sorgenti luminose siano suscettibili d'essere facilmente spostate, sicché l'ampiezza delle sale, i rapporti fra le diverse pareti, le sorgenti luminose stesse, in una parola tutti gli elementi che compongono la struttura e che dànno il carattere agli ambienti possano essere radicalmente trasformati a seconda delle necessità.
Siffatti risultati non è possibile raggiungerli che mediante pareti mobili o incernierate, le quali, nel tipo più comune, consistono in grandi pannelli di legno, o altro materiale leggiero, montati su supporti mobili. Questo sistema presenta il grave inconveniente di avere tutte le strutture interne indipendenti dalla parte strutturale dell'edificio e composte di materiale facilmente deperibile, che richiede quindi notevoli spese di manutenzione senza che peraltro si riescano a occultare le giunture dei diversi pannelli.
Rammenteremo infine come, portando alle ultime conseguenze una teoria originariamente accettabile, in America si è giunti all'artificio di costruire doppî muri perimetrali degli edifici in maniera che quelli esterno a grandi superficie vetrate nasconda l'altro, rendendo così possibile, senza pregiudizio per l'aspetto estetico dell'edificio, di alternare liberamente su quello interno pannelli fissi opachi o finestre.
Ordinamento dei musei italiani. - I musei e le gallerie o pinacoteche sono in Italia più di trecento: trentacinque appartengono allo stato; il resto appartiene in grandissima parte ai comuni e alle provincie, in piccola parte a istituti civili ed eclesiastici (ospedali, monti di pietà, ecc.). Si hanno anche musei e gallerie private che hanno carattere di pubblicità.
Molti musei statali o, come si usa dire, nazionali o regi, esistevano prima del 1860 nelle capitali degli ex-stati italiani; altri furono creati dopo, trasformando in musei nazionali i più importanti musei civici.
Nei primi due decennî del regno i musei e le gallerie furono amministrati in vario modo, o secondo i vecchi ordinamenti o da commissioni e deputazioni e comitati tecnici, creati a volta a volta, come il bisogno si presentava; e quindi senza unità d'indirizzo, spesso da funzionarî non tecnici, lontani per cultura e sensibilità dalla specifica natura degl'istituti stessi. Alcuni di questi erano anzi annessi alle università come gabinetti delle cattedre di materie letterarie e storiche (musei di antichità di Bologna, di Cagliari, di Palermo) o alle accademie di belle arti (come le pinacoteche di Bologna, di Milano, di Torino, la galleria di Parma, la galleria di Venezia). A un ordinamento giuridico uniforme per tutte queste preziose raccolte si pensò seriamente solo da quando Ruggero Bonghi creò nel 1875 la Direzione generale degli scavi e musei (r. decr. 28 marzo, n. 2440), più propriamente poi, nel 1881, denominata da Guido Baccelli Direzione generale delle antichità e delle belle arti (v. arte, IV, p. 662). Prima di quel tempo numerosi furono i decreti che tentarono di dare un organico ora a questo ora a quel gruppo di musei e di gallerie, in mezzo a grandi difficoltà specialmente finanziarie; e sarebbe esposizione troppo lunga l'enumerare qui codesti decreti, benché sarebbe dimostrativa dell'interesse che il governo prendeva sin da allora per il sicuro assetto e la buona conservazione del patrimonio storico e artistico nazionale.
Fu il ministro Coppino che finalmente nel 1878, abrogando alcuni parziali organici, in considerazione dell'utilità che avrebbe reso al servizio dei musei dello stato il riunire in un ruolo unico il personale che vi era addetto e il destinare a ciascun istituto quel numero d'impiegati che si sarebbe dimostrato necessario, provvide (r. decr. 3 gennaio, n. 4254, serie 25) che ai musei fossero destinati direttori, vicedirettori, adiutori, segretarî, economi, conservatori, restauratori, uscieri, ecc. Era qualcosa, ma non tutto; poiché ancora sfuggivano alla tutela della Direzione generale di nuova creazione un buon numero di musei e di pinacoteche annesse, come si è detto, alle università e alle accademie di belle arti; finché Guido Baccelli, con r. decr. del 13 marzo 1883, n. 678, non provvide a separarli e a renderli autonomi "con amministrazione propria, e con impiegati compresi - così si legge nel decreto - nel ruolo unico del personale stabilito con altro decreto di pari data" (13 marzo, n. 679). Si ebbe così il primo ordinamento generale per tutti i musei e le gallerie del regno, con un organico che fu poi in varî tempi opportunamente riformato e accresciuto (regi decreti 18 agosto 1895, n. 565, e 11 marzo 1897, n. 96).
Gl'istituti ebbero così un personale scelto in numero sufficiente, e quindi una vita più ordinata e feconda, per cui molti ebbero diversa e più scientifica sistemazione e cataloghi importanti, come quelli di Adolfo Venturi per la Galleria estense di Modena (1882), di Corrado Ricci per la galleria di Parma (1884), dello Spinazzola per il museo di S. Martino di Napoli (1901), ecc.
Intanto, dopo varî tentativi d'unificare la legislazione di tutela monumentale, fino allora dispersa in numerosi editti e ordinanze e decreti degli ex-stati italiani, si era finalmente ottenuta nel 1902 la legge n. 185 del 12 giugno, seguita poi nel 1904 da un regolamento (17 luglio, n. 431). Questo pose a base dell'azione protettrice del Ministero dell'istruzione pubblica una triplice ripartizione di organi, e cioè: le soprintendenze ai monumenti, quelle agli scavi e ai musei archeologici, e quelle alle gallerie, ai musei medievali e moderni e agli oggetti d'arte, ciascuna con giurisdizione propria in una o più regioni del regno. Alla dipendenza dei soprintendenti tutto il personale, dai direttori e ispettori ai custodi. Questa triplice ripartizione fu confermata anche dalla legge del 27 giugno 1907, n. 386, sul personale delle antichità e belle arti, finché nel 1923, ministro Giovanni Gentile (r. decr. 31 dicembre 1923, n. 3164) le soprintendenze furono distinte in soprintendenze alle antichità (8) e in soprintendenze all'arte medievale e moderna (13); inoltre furono istituite quattro soprintendenze uniche alle opere di antichità e d'arte, nelle regioni (Venezia Giulia e Friuli, Puglie e Lucania, Calabria, Sardegna) dove la materia archeologica o artistica fosse di molto prevalente sull'altra. Il personale dipendente fu diviso in personale scientifico e tecnico (direttori, ispettori, architetti), personale tecnico-esecutivo (disegnatori, assistenti, restauratori), personale amministrativo (segretarî, archivisti, applicati, alunni d'ordine), personale di custodia (custodi, guardie notturne). A queste soprintendenze e al personale da esse dipendente è affidata, secondo la specifica competenza, la consegna, l'amministrazione, la tutela dei musei e delle gallerie governative, e in genere di tutte le raccolte, siano archeologiche o artistiche, appartenenti allo stato.
Di codeste raccolte debbono essere tenuti regolari inventarî; ogni oggetto dev'essere fissato al luogo di sua destinazione nel modo più idoneo a garantirne la conservazione e la custodia; il quadro, la statua, qualunque altro oggetto d'antichità o d'arte dev'essere esposto con l'indicazione del luogo di provenienza, del soggetto rappresentato, della scuola e del secolo cui l'oggetto stesso appartiene, e quanto altro può giovare alla sommaria illustrazione di esso. Restauri sempre autorizzati dal ministero e sentito, nei casi più importanti, il Consiglio superiore delle belle arti; proibita la riproduzione dei calchi, tranne casi eccezionali e sempre che l'opera d'arte non abbia a soffrirne; permessa la copia dei dipinti, ma sempre dopo autorizzazione del direttore dell'istituto; permessa anche la fotografia, ma subordinata a condizioni di domande e di autorizzazioni, che possono esser negate (reg. 30 gennaio 1913, n. 363, per l'esecuzione della legge 20 giugno 1909, n. 364; v. arte, IV, p. 662).
Quale sia la condizione giuridica delle gallerie e dei musei dello stato fu lungamente discusso in Italia e in Francia, nella dotttina e nella giurisprudenza; ed è ormai pacifico ch'essi abbiano carattere essenzialmente demaniale in quanto sono d'uso pubblico, destinati cioè al godimento e alla cultura del popolo. Si osservò che la demanialità presuppone la cosa immobile, e che per rendere demaniali le cose mobili era necessaria una specifica disposizione di legge; e questa infatti c'è, in quanto l'art. 2 della legge 20 giugno 1909, n. 364, di tutela monumentale e artistica (che sostituì quella del 12 giugno 1902, n. 185), dichiara inalienabili e quindi imprescrittibili le cose d'interesse storico-artistico appartenenti allo stato. Ed è noto che l'inalienabilità e l'imprescrittibilità sono i presupposti della demanialità.
La stessa disposizione è nelle leggi francesi del 30 marzo 1887 e del 31 dicembre 1913.
Nella medesima condizione sono i musei e le gallerie provinciali e comunali, e in genere degli enti morali riconosciuti: anch'essi hanno destinazione di uso pubblico, ed è ormai quasi unanime la dottrina nel riconoscere ai beni di uso pubblico delle provincie e dei comuni gli stessi caratteri dei beni demaniali dello stato. D'altra parte anche per essi la legge del 20 giugno 1909 (art. 2) dichiara inalienabili le cose d'interesse storico artistico delle provincie, dei comuni e degli enti morali; e anzi, volendosi, più per motivi d'opportunità che giuridici, modificare codesto art. 2, fu autorizzata la vendita a privati delle cose immobili degli enti morali, escluso lo stato, ma si confermò l'inalienabilità delle cose mobili (r. decreto-legge 24 novembre 1927, n. 2461, convertito in legge 31 maggio 1928, n. 1240). L'ordinamento giuridico di queste numerosissime raccolte archeologiche e artistiche è da ricercarsi negli statuti di fondazione, dei quali alcuni sono di data anteriore all'unificazione del regno, altri rimontano agli anni delle leggi di soppressione degli enti religiosi, le quali devolsero le opere d'arte e di storia dei conventi e dei monasteri soppressi ai comuni e alle provincie, che si affrettarono a istituire, spesso con mezzi inadeguati, musei e gallerie (art. 24 della legge 7 luglio 1866, n. 3036, e 22 della legge 19 giugno 1873, n. 1402). Codesta devoluzione non giunse, però, secondo lo spirito di quelle leggi, a concedere delle dette opere la proprietà in maniera assoluta e incondizionata, ché anzi il presupposto necessario fu la destinazione di esse a pubblico servizio, escluso il concetto di un'utilità meramente patrimoniale (parere del Consiglio di stato del 31 maggio 1904, n.58). Su queste raccolte, come su quelle di qualunque altro ente morale, comprese le istituzioni testamentarie cui fu riconosciuta la personalità giuridica, il governo, per mezzo del Ministero dell'educazione nazionale, ha la suprema vigilanza; e in virtù d'essa può in casi eccezionali avocare a sé, mediante un suo commissario, la direzione del museo o della galleria.
Si è detto in principio che si hanno anche collezioni artistiche appartenenti a privati con carattere di pubblicità; e queste sono le gallerie romane ex-fedecommissarie, il cui numero ormai si è molto ristretto. Dovute a famiglie dalle quali uscirono un Paolo V, un Urbano VIII, un Gregorio XV, un Innocenzo X, un Clemente XII, facevano parte dell'istituzione fedecommissaria a maggior gloria delle case patrizie; e da queste furono aperte al pubblico, o perché così era imposto negli atti di fondazione o semplicemente per volontà dell'erede. Nel 1870 erano undici: Barberini, Barberini Colonna Sciarra, Borghese, Colonna, Corsini, Doria Pamphili, Ludovisi Boncompagni, Rospigliosi, Spada Varalli, Torlonia, Valentini. Aboliti i fedecommessi, furono però codeste gallerie dichiarate indivisibili e inalienabili sino a quando una legge, che si prometteva prossima, non le avesse regolate altrimenti (28 giugno 1871, n. 286). Questa legge non venne. Solo nel 1883, allorché lo stato volle acquistare il palazao Corsini alla Lungara, e il principe Tommaso Corsini decise di donare la biblioteca e la galleria, che in quel palazzo erano riunite, fu promossa dal governo la legge 8 luglio, n. 1461, che sciolse dall'inalienabilità le collezioni ex-fedecommissarie, purché fossero acquistate dallo stato o da altro ente morale. In virtù di questa legge poterono diventare governative la Biblioteca e la Galleria Corsini, la galleria Borghese e in seguito anche altre, mentre la Galleria Valentini divenne provinciale. Altre collezioni artistiche restano ancora nella condizione d'inalienaibilità e d'indivisibilità. (V. tavv. XIX-XXII).
Bibl.: R. Smith, Bibliography of museums and musem work, Washington 1928. Per l'architettura: W. Kreis, Museumsbauten, in G. Wasmuth, Lexikon d. Baukunst, Berlino 1931, III, pp. 658-62. Per le raccolte e collezioni: L. Cicognara, Catalogo ragionato dei libri d'arte, II, Pisa 1821, p. 131 segg., ristampa, Lipsia 1932; D. Murray, Museums. Their History and their Use, Glasgow 1904, voll. 3 (con ampia bibl.); W. T. Brigham, Report of a Journey around the World to study Matters relating to Museum, Honolulu 1913; Museumskunde. Zeitschr. f. Verwaltung u. Technik öffentlicher u. privater Samml., diretta da K. Koetschau, Berlino 1905 segg.; O. Homburger, Museumskunde, Breslavia 1924 (con ampia bibl.); G. Pauli, Über die Anordnung einer Gemäldgalerie, in K. Koetschau v. seinen Freunden u. Verehren z. 60. Geburtstag, Düsseldorf 1928, pp. 176-83; Mouseion. Bull. de l'office internationale des Musées. Institut de coopération intellectuelle de la Société des nations, Parigi 1928 segg.; F. Pellati, I musei e le gallerie d'Italia, Roma 1922; Itinerarî dei musei e monumenti d'Italia, a cura del Ministero della educazione naz., Roma 1931 segg. (in corso).
Per l'ordinamento giuridico: L. Parpagliolo, Il codice delle antichità e degi oggetti di arte, voll. 2, Roma 1913; 2ª ed., I, 1933; J. Marguery, La protection des objets mobiliers d'intéret historique ou artistique; législations française et italienne, Parigi 1912; L. Tétrau, Législation relative aux monuments et objets d'art, Parigi 1896.
Musei Storici.
L'origine dei musei storici contemporanei è relativamente recente. Essa risale infatti all'aprile del 1878, quando a Torino, per onorare la memoria di Vittorio Emanuele II, si deliberò di fondare un museo, di vero e schietto carattere nazionale, che raccogliesse e custodisse le grandi memorie della redenzione nazionale. Il primo nucleo di questo museo fu costituito dalle collezioni esposte nel Padiglione del Risorgimento italiano, sezione dell'Esposizione di Torino del 1884. Le collezioni ivi esposte servirono però anche per altri musei: p. es., quello di Milano istituito nel dicembre 1884, inaugurato l'anno dopo.
Tali musei ebbero, fin dalla loro origine, un duplice scopo: quello di esercitare un'azione educativa sull'animo del popolo con una visione sintetica degli avvenimenti più notevoli del Risorgimento, e quello d'offrire agli studiosi nuovi campi per l'indagine storica. Tale visione si cercò e si cerca d'ottenere con l'esposizione di armi, decorazioni, autografi, ritratti, proclami, opuscoli, libri, incisioni, medaglie, quadri, cimelî, bandiere, insomma con i ricordi più varî riguardanti uomini politici e pensatori, martiri e patrioti, avvenimenti politici e militari. La norma che regola l'esposizione è generalmente quella d'una 1igorosa successione cronologica. I sistemi di conservazione più recentemente applicati, quando cioè si vide che i documenti e le stampe, perché esposti all'azione continua e diretta della luce, minacciavano d'andare distrutti, indussero a creare, accanto ai musei, gli archivî e le biblioteche specializzate per lo studio del Risorgimento e il cui ordinamento interno ha per base la compilazione di cataloghi per nomi e per soggetti. In conseguenza, molti musei del Risorgimento si organizzarono trasformandosi, nella parte che non è esposizione di cimelî, in veri istituti storici.
Criterî più moderni e più scientifici di museotecnica sono stati recentemente discussi, ma finora non hanno avuto che una parziale attuazione.
Il Museo del Risorgimento di Torino possiede le più ricche collezioni di documenti e di autografi relativi alla missione esercitata dal Piemonte, dai primi re d'Italia, nonché ricordi e cimelî relativi ai più illustri principi e fautori di casa Savoia. Gli autografi sono in continuo incremento, avviandosi così alla costituzione d'un vero e proprio archivio. La parte bibliografica è conservata presso la Biblioteca civica di Torino. Nel museo esistente in Milano è invece meglio rappresentata l'epoca napoleonica e, forse con maggiore organicità, i periodi posteriori. Naturalmente sono qui molto ricche le parti relative al '48 e alla campagna del 1859, combattutasi nell'Italia settentrionale. Per gli archivî annessi al museo (il generale e gli organici) sono in via di formazione i regesti (quello dell'archivio generale è giunto alla lettera F); per la biblioteca, ricca di circa 100 mila unità, è ultimato lo schedario per le opere in volume e si sta completando quello degli opuscoli. Il museo di Genova conserva la più preziosa raccolta di autografi e cimelî mazziniani, ma è pur ricco di cimelî riguardanti tutto il Risorgimento e di serie preziose d'autografi. Quello di Venezia, che ha per nucleo la raccolta Correr, possiede una superba collezione relativa al blocco del 1848-49. Ampî e organici, con particolare riferimento alle zone dove si trovano, sono i musei del Risorgimento di Bologna e di Modena, mentre quelli di Napoli e di Palermo hanno grandissima importanza per i documenti, i ricordi, e i cimelî relativi alla dominazione borbonica e all'epopea garibaldina. Il Museo del Risorgimento di Roma ha carattere nazionale, ma è particolarmente ricco per le sezioni relative a G. Mazzini e a G. Garibaldi e in generale per tutto il movimento mazziniano. Ad esso è riservato un superbo avvenire con la sistemazione nei locali interni del monumento a Vittorio Emanuele II. La biblioteca annessa al museo è ricca di oltre 50 mila unità. Numerosissimi sono i musei dei piccoli capoluoghi di provincia che possiedono, generalmente, memorie riguardanti la storia locale. I musei civici di Alessandria, Pavia, Como, Cremona, Padova, Treviso, Vicenza, Reggio nell'Emilia, Ferrara, Forlì, Foligno, Perugia, Macerata documentano specialmente l'apporto che le singole città diedero alle guerre d'indipendenza. Nel Museo del Risorgimento di Mantova si rivive il processo che ebbe nome dalle forche di Belfiore; in quello di Bergamo la partecipazione eroica di quella forte popolazione alle imprese garibaldine; in quello di Brescia i prodigi delle Dieci Giornate del 1849. Nei musei di Trento e di Trieste è naturalmente importante soprattutto la documentazione della passione irredentistica. Particolarmente significativi nel Museo di San Marino sono gli oggetti e i cimelî che ricordano il passaggio di Garibaldi con la sua legione nel 1849; in quello di Pieve di Cadore i cimelî di Pietro Calvi, ecc. Il Museo storico delle battaglie di Solferino e San Martino, inaugurato il 24 giugno 1931 in Solferino, è costituito esclusivamente dai cimelî raccolti sul campo delle due famose battaglie, così come quello di Mentana è formato dai cimelî garibaldini di quella dolorosa giornata. Dove non esistono musei del Risorgimento troviamo spesso dedicata al Risorgimento qualche sala dei musei civici, come a Verona, ecc.
Alcuni musei si limitano a raccogliere documenti e cimelî relativi a un solo periodo, o a un aspetto o avvenimento storico speciale del Risorgimento, come, ad esempio, è il piccolo ma straordinariamente prezioso Museo garibaldino conservato in Campidoglio, che riguarda le imprese di Garibaldi in America. Vi sono poi raccolte di carattere privato, come il Museo garibaldino di Everardo Pavia in Roma, il Museo napoleonico del Conte Primoli, da lui legato alla città di Roma nel 1927, quello napoleonico di Portoferraio, il Museo storico degli esuli, dovuto ad Arcangelo Ghisleri che lo costituì con libri e opuscoli, collezioni di giornali, di stampe clandestine, di carteggi di profughi quasi tutti della Svizzera. Questo museo da qualche anno è stato incorporato nel Museo del Risorgimento di Milano, dove ha pure trovato definitiva sistemazione il Museo della battaglia di Magenta, già custodito in casa Giacobbe. Va fatto cenno anche dell'Armeria reale di Torino, e dei musei della Brigata Granatieri di Sardegna, dei Bersaglieri, e del Genio in Roma, così come diverse altre armi e corpi possiedono raccolte allo scopo di perpetuare le glorie e le tradizioni delle singole armi, relative specialmente alla guerra mondiale. Suggestivo è il Sacrario custodito in Modena dalla Scuola militare. Dopo la guerra mondiale quasi tutti i musei storici superarono il limite convenzionale del 1870 e si diedero ad ordinare speciali sezioni di cimelî di guerra. Così il Museo di Firenze ha aggiunto una notevole biblioteca ed emeroteca relativa alla guerra; quello di Milano ha formato il più ricco archivio di guerra (circa un milione di documenti) che meriti di essere ricordato dopo l'archivio del Ministero della guerra (Ufficio storico del corpo di Stato maggiore). La maggior copia di cimelî di guerra si trova però adunata nel Museo storico italiano della guerra a Rovereto, sorto nel 1920 e che si estende per 23 sale.
Più recente (30 ottobre 1930) è il Museo delle tre vittorie del Piave, a Treviso, il quale conserva oggetti e documenti atti a tenere vivo il ricordo dei grandi avvenimenti storici i quali si svolsero nel territorio di Treviso dall'ottobre 1917 al novembre 1918, e che si riassunsero nelle tre vittorie del Piave.
In Castel S. Angelo, in Roma, esiste un organico e assai vasto Museo Nazionale, al quale è stato assegnato il compito di custodire le bandiere dei reggimenti italiani formatisi per la guerra mondiale e poi disciolti, nonché tutto quanto abbia carattere di ricordo militare e ufficiale.
Nel novero dei musei storici, ora che ha acquistato un carattere permanente, rientra anche la Mostra della rivoluzione fascista, la quale raccoglie ed espone ordinatamente con criterî modernissimi tutto quanto serve a documentare, nei suoi molteplici aspetti, la genesi e lo sviluppo della rivoluzione fascista.
Esistono anche all'estero raccolte interessanti l'Italia. Notevoli sono le raccolte del British Museum dovute all'esule brescellese A. Panizzi, le raccolte napoleoniche del principe Murat e del principe d'Essling a Parigi, quella del principe Luigi Napoleone a Bruxelles e a Prangins nella Svizzera. Notevole è quella di Jean Brunon a Marsiglia che contiene molti cimelî relativi al Regno Italico. Naturalmente non si debbono neppure trascurare il Musée historique de l'armée agl'Invalidi di Parigi, i musei dello Spielberg, di Vienna, di Leningrado e di Mosca, dove molti cimelî - specialmente bandiere, armi e divise - ricordano la eroica partecipazione degl'Italiani alle grandi battaglie napoleoniche. Particolarmente degna di nota è la Bibliothèque et Musée de la guerre di Parigi, che ha una sezione importantissima dedicata all'Italia.
Bibl.: Atti dei congressi della Società nazionale per la storia del Risorgimento italiano, e in modo speciale i contributi in essi portati da E. Michel, da A. Crippa e da A. Monti; quest'ultimo ha largamente trattato questioni di museotecnica applicata al Risorgimento. Cfr. anche il Bollettino ufficiale del I Congresso storico del Risorgimento italiano, Milano 1906: il Bollettino dell'Ufficio storico del corpo di S.M. del Ministero della guerra. Indipendente è poi la consultazione dei tre volumi: Inventario della Raccolta... Bertarelli presso il Museo del Risorgimento di Milano, che elenca sistematicamete oltre 33 mila unità sul Risorgimento. Cfr. anche le guide bibl. e le guide dei singoli musei.
Musei di storia naturale.
La formazione dei primi musei di storia naturale si ebbe in Europa verso la metà del Seicento. Prima di quell'epoca si erano bensì riunite collezioni naturalistiche, anche pregevoli, ma esse, pur essendo talora ricche, rispondevano a un'iniziativa privata e avevano tutte un carattere personale; molte addirittura erano soltanto esposizioni di curiosità naturali, di esemplari scelti o per la loro bellezza o per la loro rarità o per le dimensioni, fatte senza curarsi di nessun altro carattere, spesso neppure della località di rinvenimento. All'incremento di queste collezioni, contribuì la scoperta di nuove terre e, quindi, di nuovi oggetti naturali (animali, piante, minerali, ecc.), che molti viaggiatori nei paesi visitati per scopi commerciali o militari raccoglievano senza alcuna direttiva, e rivendevano poi ad alto prezzo agli amatori, tra i quali molti erano privi d'ogni elemento di cultura scientifica. Ma nel sec. XVII e poi nel XVIII, col risveglio degli studî naturalistici, col rifiorire delle università, con la costituzione di società e di accademie scientifiche, s'inizia la fondazione di veri e propri musei, istituzioni accademiche, che si formarono, talora intorno a un nucleo iniziale costituito da una collezione privata di noto valore, per iniziativa o di accademie o di comunità religiose, talvolta per volontà d'illuminati sovrani, a complemento d'istituti d'istruzione, a incremento della cultura del pubblico, al quale molti di essi sin dall'inizio furono aperti.
Così nel 1622, con l'aiuto di Ferdinando II, i gesuiti fondarono a Vienna un museo, che forse fu il primo a mettere le proprie collezioni al servizio dell'insegnamento superiore, e gesuiti furono anche gli attivi ordinatori delle collezioni del Collegio Romano, già noto nel 1705.
È del 1685 l'Ashmolean Museum di Oxford, del 1725 l'istituzione dell'Accademia delle scienze di Pietroburgo, voluta da Caterina II, che diede (1728) corpo a un'idea già manifestata da Pietro il Grande. Si può far risalire al 1739, anno nel quale il Buffon fu nominato direttore del Jardin des plantes (fondato nel 1626), la fondazione del Museo di storia naturale di Parigi, voluto dal Buffon stesso. Nel 1783 si fonda a Londra il British Museum. È del 1775 l'apertura in Firenze, dove avevano sino al 1667 mietuto larga messe di scoperte in ogni campo della scienza gli accademici del Cimento, di un Museo di fisica e storia naturale, formato da Pietro Leopoldo, aumentando le ricche collezioni di casa Medici. Intorno ai musei veniva a riunirsi il fior fiore degli studiosi dell'epoca, i quali anche dall'estero si recavano là dove più abbondanti raccolte permettevano maggiore facilità di lavoro, sicché i musei divennero, con le università e con le accademie, centri di propulsione degli studî naturalistici. E mentre s'introducevano nella tecnica museologica nuovi metodi di raccolta e di conservazione, quali l'uso dell'alcool etilico, che dai primi del Settecento rimase fino alla comparsa della formalina l'unico liquido conservativo di generale applicazione, e l'uso, in tassidermia, dell'arsenico (circa il 1780), si organizzavano missioni scientifiche, viaggi d'esplorazione. Dai grandi musei s'irradiarono allora verso terre poco o punto esplorate, a raccogliere nuovi materiali, con programmi ben definiti, i naturalisti viaggiatori, mentre altri davano opera allo studio naturalistico della loro patria. Così in Francia, in Inghilterra, più tardi nei paesi tedeschi, si svilupparono i grandi musei di storia naturale, a complemento dei quali si ebbero in alcune città giardini botanici e giardini zoologici (il Museo di storia naturale di Parigi ebbe il suo intorno al 1792), i quali allargarono il già vasto campo d'osservazione e di ricerca e permisero il fiorente sviluppo di nuovi rami di scienza (v. giardino: Giardini zoologici).
Dei numerosi musei europei di storia naturale, nei quali si hanno sempre collezioni riservate agli studiosi e collezioni aperte al pubblico, ricorderemo qui alcuni dei più celebri e per ricchezza di collezioni e per tradizioni scientifiche: il British Museum of Natural History di Londra, il Muséum National d'Histoire naturelle al Jardin des Plantes di Parigi, il Musée Royal d'Histoire naturelle del Belgio in Bruxelles (e quello del Congo, di grandissimo interesse), il Museo dell'Accademia delle scienze di Leningrado, i quali hanno carattere di musei nazionali, carattere che per ragioni storico-politiche non si ritrova nei musei tedeschi pure di grande importanza, come il Naturhistorisches Hofmuseum di Vienna, il Museum für Naturkunde di Berlino, il Naturhistorisches Museum della Senckenbergische Naturforschende Gesellschaft (fondata nel I817) in Francoforte sul Meno. E qui si ricordano soltanto i musei di storia naturale, quelli che tuttora comprendono collezioni zoologiche, paleontologiche, mineralogiche e taluno anche antropoletnologiche, non quelli nei quali ciascuna di queste collezioni, e per il progresso della scienza e per le necessità dell'insegnamento universitario, ha finito col separarsi e costituire un museo a sé, sicché in fondo non esiste più il primitivo museo di storia naturale, neanche quando si sia cercato di stabilire uno stretto legame tra i musei parziali con l'istituzione di una sovrintendenza generale, come, ad es., a Monaco di Baviera col Generalkonservatorium der wissenschaftlichen Sammlungen des Staates.
In Italia, dove non si ha ancora un museo nazionale di storia naturale, ci sono, come conseguenza, almeno in parte, delle condizioni politiche fino al 1860, varî musei civici di storia naturale, enti comunali o sussidiati dai comuni, e in ogni città sede d'università, con facoltà di scienze fisiche e naturali, collezioni, talora anzi musei in parte accessibili al pubblico, annessi ai singoli istituti scientifici della facoltà. Tra i musei civici alcuni hanno importanza specialmente come musei regionali; così il museo della Spezia (fondato nel 1875) con buone collezioni zoologiche, paleontologiche, mineralogiche, quello di Venezia, dove si conservano collezioni regionali, alcune (coll. ittiologiche) del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, e, d'assai maggiore rilievo, il museo di Trento e il museo di Trieste. Il museo di Trento, assai antico, poiché il suo nucleo iniziale è dato dalle collezioni formate verso il 1770 dal can. barone Vincenzo de Taxis, valorizzate nel 1856 da una società che può dirsi la fondatrice del museo, dopo un breve periodo di stasi ha ripreso dal 1929 una grande attività e svolge come museo di storia naturale della Venezia Tridentina un intenso lavoro scientifico nelle provincie di Bolzano e di Trento e possiede ricche e ben ordinate raccolte. Il museo di Trieste in continuo incremento soprattutto per doni, che trae origine dal Gabinetto zoologico e zootomico fondato nel 1846, possiede divise in tre sezioni, zoologica, botanica, geomineralogica-paleontologica, belle collezioni tra le quali di molto valore quelle illustranti la Venezia Giulia. A esso è annesso un orto botanico fondato nel 1828.
Ma tra i musei civici si hanno i due più grandi musei italiani di storia naturale: quello di Milano e quello di Genova. Il museo di Milano fu fondato nel 1837 da G. de Cristoforis e G. Jan; comprende collezioni di zoologia, paleontologia e mineralogia, con materiali in gran parte donati; fra le collezioni più importanti si possono ricordare la collezione ornitologica Turati, l'ittiologica Bellotti, la ditterologica Bezzi, la raccolta di molluschi fossili del Brocchi, le raccolte mineralogiche Erba e Borromeo; le collezioni esposte al pubblico sono ordinate in 20 sale. Questo museo, nel quale lavorano illustri naturalisti, quali lo Jan, il De Filippi, il Cornalia, lo Stoppani, possiede una ricchissima biblioteca, pubblica una serie di Atti e le Memorie (dal 1856) in unione alla Società italiana di scienze naturali, aumenta continuamente le proprie collezioni ed è attivo centro di studio. Il Museo civico di storia naturale di Genova, intitolato al marchese Giacomo Doria, che vi dedicò studî e sostanze e lo fondò nel 1867 con le sue raccolte e con i legati del principe Oddone di Savoia e del geologo Lorenzo Pareto, ha essenzialmente carattere di museo zoologico, benché, oltre alle collezioni di rocce, fossili, e minerali del Pareto, vi si conservi in tre saloni la ricca collezione di minerali italiani donata dall'ing. Traverso. Le collezioni zoologiche hanno tutte, sia quelle esposte al pubblico, sia quelle riservate agli studiosi, grande valore, e quasi tutte possono dirsi collezioni classiche dovute a esplorazioni in patria o in terre lontane promosse dal museo stesso. Al quale sono infatti legati i nomi dei più gloriosi naturalisti viaggiatori italiani, dal Doria al Beccari, all'Antinori, al De Albertis; ivi si organizzarono viaggi fecondi di risultati scientifici e talora politici, sicché il museo genovese merita un posto d'onore anche nella storia coloniale italiana. Se fra tutte primeggia per importanza la classica collezione entomologica, non le sono molto inferiori le altre, quali quella dei mammiferi, con una splendida serie di scimmie antropomorfe, quella ornitologica, l'ittiologica e infine la malacologica e non solo con materiali esotici, ma con ricco materiale della fauna italiana. Gli Annali del Museo civico di storia naturale di Genova (dal 1868) sono l'organo ufficiale, che documenta l'attività di questo glorioso centro di studî. Il più antico museo naturalistico d'Italia e uno dei più antichi d'Europa, quello di Firenze, molto noto sotto il nome di Museo della Specola, si può dire che non esista più quale fu fondato, come museo di fisica e storia naturale; le sue collezioni, tutte molto importanti, botaniche, mineralogiche, geologiche, paleontologiche, costituiscono ora altrettanti musei, alcuni aperti al pubblico, presso i singoli istituti universitarî. Nell'antica sede rimangono le collezioni zoologiche; tra queste è di sommo interesse la collezione centrale dei vertebrati italiani formata tra il 1875 e il 1909 da E. Giglioli e a lui intitolata, e la collezione di preparati anatomici in cera, iniziata pet volere dell'abate Felice Fontana verso il 1771, unica al mondo. Ma dei ricchi musei delle singole scienze, molti di essi con gloriose tradizioni, che si trovano in molte università, a Napoli, a Roma (dove è particolarmente importante il museo mineralogico), non è possibile qui fare un esposizione.
Ricordiamo inoltre che nella sede dell'Ufficio geologico a Roma è depositato il materiale documentario del rilevamento della carta geologica del regno. Nella stessa sede è stata convenientemente sistemata una buona raccolta delle varie specie di marmi, rocce e materiali da costruzione italiani.
Di fondazione più recente sono tutti i musei nordamericani. È del 1846 la fondazione del National Museum della Smithsonian Institution in Washington, del 1869 quella dell'American Museum of Natural History in New York, del 1894 quella del Field Museum of Natural History in Chicago, del 1853 il museo della California Academy of Sciences in San Francisco, per citarne alcuni. Molti di questi musei, in grazia della larghezza dei mezzi a essi concessi, hanno potuto rapidamente uguagliare e anche sorpassare per ricchezza di collezioni e per attività scientifica i musei europei. Nell'America Meridionale hanno notevole importanza il Museo Nacional de Historia Natural (fondato nel 1823) a Buenos Aires e quello di Montevideo (1837) che compiono lo studio naturalistico di quelle regioni.
Musei pedagogici.
La prima idea d'un museo pedagogico è stata offerta da G. A. Comenius, il quale, sostenendo che tutto ai fanciulli deve essere insegnato per visione e pubblicando l'Orbis sensualium pictus (1657), che è il primo libro illustrato per i fanciulli creò la moderna arte didattica. Il sensismo del Locke e del Condillac, il naturalismo del Rousseau, che con enfasi invoca per il fanciullo cose cose cose e non parole, l'intuizionismo del Pestalozzi, genio della scuola elementare, l'atmosfera di positivismo in cui vennero a vivere tutte le scuole nazionali nella seconda metà del secolo XIX, fecero sentire in molti stati d'Europa e d'America l'utilità del museo pedagogico, che è frutto della pedagogia positiva e liberale.
Il primo museo pedagogico sorse nel Canada a Ontario nel 1845; seguirono quelli di Stoccarda nel 1851, poi di Berlino e Amburgo, di Londra pure nel 1851, Pietroburgo nel 1864, Parigi nel 1871, Vienna nel 1872, Roma nel 1874, Lipsia nel 1874, Zurigo nel 1875, Filadelfia e Amsterdam nel 1876, Budapest e Bruxelles nel 1878, Berna nel 1879, Madrid e Lisbona nel 1882, Buenos Ayres nel 1897. L'ultimo in ordine di tempo è il Museo didattico nazionale di Firenze dovuto all'iniziativa di G. Calò (reg. decr. 12 ottobre 1929).
Alcuni di questi musei sono di fondazione statale (es., Roma, Bruxelles, Parigi, Zurigo), altri di fondazione municipale (Vienna, Berna, Lisbona). Molti sorsero in seguito a un'esposizione universale, dove la scuola era stata bene rappresentata.
R. Bonghi, ministro della Pubblica istruzione, istituì a Roma nel 1874 un Museo d'istruzione e d'educazione, con lo scopo di raccogliere i disegni e gli oggetti riguardanti l'arredamento e la costruzione delle scuole nei paesi civili, le statistiche e la legislazione scolastica, nonché i libri e i mezzi didattici, di paragonarli con quelli in uso nelle scuole nazionali e diffondere la conoscenza di tutti i progressi compiuti nell'insegnamento, tanto con conferenze da tenersi nelle sale del museo, quanto con una pubblicazione periodica speciale (Giornale del Museo d'istruzione). Le collezioni di mobili scolastici e di materiale didattico provenienti dall'esposizione universale di Vienna del 1872 costituirono il primo fondo del museo aperto al pubblico nel 1875 in alcune sale del Collegio Romano. La direzione del museo fu affidata ad Antonio Labriola, ma nel 1881 il ministro G. Baccelli mise il museo alla dipendenza della Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele. Il museo languì e il ministro Villari nel 1891 lo abolì insieme con quelli di Napoli e Palermo. Fondati nel 1904 i corsi di perfezionamento per i maestri, annessi alle facoltà di lettere (scuole pedagogiche), L. Credaro riesumò il materiale del Museo Bonghiano, lo riordinò e arricchì con nuovi acquisti e con una biblioteca pedagogica. Nel museo, quando era viva la scuola pedagogica, si tennero lezioni modello, esposizioni temporanee di libri e di materiale didattico, a cura di editori, discussioni sui varî metodi (quello di G. F. Herbart vi aveva la prevalenza ed era applicato nelle esercitazioni di tirocinio) e nel 1909 un congresso pedagogico sulla riforma della scuola normale.
Del resto la riforma dell'istruzione elementare del 1923 prescrisse una ricca dotazione di materiale didattico, classe per classe e nella direzione didattica. Queste collezioni sono utili principalmente se fatte dagli scolari sotto la guida del maestro.
Il museo di Parigi ebbe assetto definitivo da G. Ferry (decreto del 13 marzo 1879). Al museo pedagogico fu affiancata una biblioteca centrale dell'insegnamento primario, comprendente collezioni diverse di materiale scolastico, di edifici scolastici, documenti storici e statistici, libri scolastici, apparecchi d'insegnamento, collezioni di lavori di scolari, varî documenti riferentisi alla storia dell'istruzione.
Il museo inoltre contiene un deposito rinnovantesi di libri e oggetti inviati da autori ed editori; presta libri utili ai maestri sia in Parigi sia nelle provincie, è un centro d'informazioni pedagogiche e statistiche di conferenze e costituisce un efficace complemento dell'educazione professionale degl'insegnanti.
Ancora nel 1933 il museo di Parigi ebbe nuova e più comoda sede e i maestri francesi furono invitati a profittarne assiduamente.
Il museo di Madrid organizza esposizioni permanenti di libri, strumenti, mobili, materiale didattico, fa il prestito gratuito ai maestri spagnoli, bandisce coneorsi di opere pedagogiche originali o tradotte, di progetti di edifici scolastici, arredamento, ecc.
L'ufficio di educazione degli Stati Uniti, a Washington, possiede la biblioteca pedagogica forse più ricca di tutto il mondo e compie la maggior parte dei servizî che rendono o dovrebbero rendere i musei d'Europa; ma non ha collezioni di mobili e di materiale scolastico; però una tale collezione è stata istituita a Filadelfia, in seguito all'esposizione del 1876, col nome di Educational Museum.
Come si vede, non v'è un tipo determinato di museo pedagogico. Ogni nazione ha seguito il proprio genio e ha istituito uno speciale organismo, principalmente col proposito di migliorare l'abilità professionale degli educatori della nuova generazione e di formare un centro vivo d'interessi intorno ai gravi e varî problemi dell'educazione.
Bibl.: P. Romano, Il museo pedag. di Madrid e l'insegnamento d. pedagogia in Italia, Asti 1895; L. Credaro, La scuola pedagogica, Roma 1906.