Narratologia
Termine con il quale si intende, in linea generale, quella parte della teoria letteraria che si occupa dei processi di rappresentazione e di comunicazione narrativa, coniugando i risultati delle ricerche in campo anglosassone (di H. James, P. Lubbock, E.M. Forster, W. Booth), l'eredità del Formalismo russo (di V.B. Šklovskij, B.M. Ejchenbaum, R. Jakobson, V.Ja. Propp) e l'approccio strutturalista francese (di C. Lévi-Strauss, R. Barthes, G. Genette e Tz. Todorov). Pur essendo nato come forma particolare di analisi del testo scritto, a partire dalla fine degli anni Sessanta lo studio degli elementi della narrazione si è esteso anche verso altre forme espressive, dal fumetto al teatro, dalla musica al cinema, nella consapevolezza crescente che quella narrativa è di per sé una struttura profonda, capace di emergere in contesti non solo verbali o letterari. La n. infatti si sviluppa intorno al concetto di 'racconto', i cui elementi caratterizzanti sono, tra gli altri: la successione temporale degli eventi, l'unità tematica tra gli avvenimenti di cui si parla, la trasformazione progressiva dei personaggi, l'esistenza di una 'causalità narrativa' che va al di là della semplice successione cronologica.
Il precursore della n. cinematografica può essere considerato Albert Laffay il quale, in Logique du cinéma (1964), afferma: "Ogni film si ordina intorno a un fuoco linguistico virtuale che si colloca al di fuori dello schermo" (p. 80). La narrazione, dunque, si caratterizza come struttura dinamica che, componendo i materiali propri del linguaggio cinematografico e riorganizzando così l'universo da raffigurare, lo rende leggibile. Tale dimensione narrativa ‒ che permette la replica di un reale che nel film, tuttavia, è soltanto apparente ‒ si orienta intorno a una "presenza virtuale", un 'narratore filmico' (non necessariamente un personaggio o una voce narrante), definito "grande venditore di immagini". Identificando una struttura genetica del senso a priori rispetto all'esistenza del film ed evidenziando l'organizzazione di quest'ultimo intorno a un'istanza narrativa che conduce lo spettatore lungo il percorso della fruizione, Laffay diede l'avvio a una serie di ricerche teoriche. Altro punto di riferimento per la moderna n. cinematografica è Christian Metz che, nella convinzione della narratività costitutiva del cinema, giunse alla determinazione di una 'Grande sintagmatica della colonna visiva del film' (1968), una sistematizzazione dei differenti modi in cui si articola nel testo filmico la successione delle inquadrature. Le sue conclusioni individuano nel film un insieme di codici eterogenei, da indagare nella complessità delle loro relazioni e nel riconoscimento della specificità del linguaggio cinematografico. Alla fine degli anni Settanta, Seymour B. Chatman (1978) riprese e organizzò le ricerche riguardanti le strutture narrative del cinema, mettendo in evidenza come la dinamica particolare che le determina si riveli non nella storia, ciò che viene raccontato nel film, ma nel discorso, che corrisponde alla modalità di strutturazione degli elementi narrativi e in cui entra in gioco il rapporto tra l'autore del testo e il fruitore. In questo senso, secondo Chatman, l'autonomia del film nell'organizzare la struttura narrativa che lo sottende è esemplificata nella non coincidenza tra il 'tempo della storia' (che è il tempo cronologico delle vicende narrate nel film) e il 'tempo del discorso' (che è il tempo, o i tempi, del film); il trattamento narrativo consiste proprio nella trasformazione del primo nel secondo.Spostare l'attenzione sul tempo ha significato, nello sviluppo della n. cinematografica, evidenziare la peculiarità del cinema (rispetto alle altre arti) come processo di rappresentazione e di comunicazione dinamica. D'altra parte, il riconoscimento che la narrazione si configura come una struttura profonda e indipendente dal suo mezzo ha permesso alla n. come teoria complessiva di arricchirsi di categorie e concetti interpretativi provenienti dagli studi specifici sul cinema. Per es., da un punto di vista narrativo, il concetto di 'montaggio', inteso come l'articolazione dei differenti piani e delle differenti sequenze che costituiscono il film, diventa, se applicato all'analisi narratologica di un romanzo, la sintassi mediante la quale si strutturano gli episodi della storia in un discorso narrativo. L'apporto della n. cinematografica ha arricchito anche il bagaglio delle categorie interpretative della letteratura ‒ come ha affermato D.H. Pageaux: "È con il cinema che la letteratura generale e comparata ha ottenuto fino a ora i suoi migliori risultati" (La littérature générale et comparée, 1994, p. 58) ‒, permettendo di focalizzare i rapporti tra le molteplici forme di emergenza della narrazione. Al centro degli studi di André Gaudreault (in partic. 1988) si pone proprio il problema della trasformazione della narrazione dalla forma scritta alla forma scenica e alla forma filmica. Gaudreault elabora infatti la nozione di 'intermedialità', intesa come la dinamica delle relazioni tra il cinema e gli altri media. La particolarità del cinema consiste nella sintesi di due modi di procedere: l'enunciazione, cioè l'esibizione diretta degli eventi, e la narrazione, cioè la loro riorganizzazione ai fini dell'articolazione di un racconto. Egli giunge così a postulare la presenza nel film del 'mega-narratore', 'un'istanza responsabile della comunicazione' che dirige il corso della storia. Discostandosi in parte dalla prospettiva aperta da Gaudreault, François Jost (1987) approfondisce le teorie della n. cinematografica a partire non solo dalla strutturazione interna del testo filmico, ma soprattutto dai rapporti di fruizione tra il testo e lo spettatore, all'interno di una relazione che permette a quest'ultimo di fare esperienza del racconto filmico in una maniera peculiare rispetto alla fruizione di un'opera teatrale o di un romanzo. Jost (1998) individua di conseguenza gli elementi del film capaci di suscitare un effetto nello spettatore che ha il compito di ricostruire il percorso narrativo dell'opera.
Con l'evoluzione della disciplina negli ultimi decenni del Novecento, e conseguentemente alle trasformazioni dei sistemi di produzione di immagini (video, immagini digitali, televisione, Internet), la moderna n. cinematografica si è articolata in diverse correnti a seconda degli interessi e degli orizzonti teorici dei singoli studiosi. Se, in linea generale, alcuni studiosi hanno interrogato in profondità gli strumenti teorici della n. cinematografica di fronte alla nascita e allo sviluppo delle nuove tecnologie dell'immagine ‒ come nelle ricerche di Lorenzo Vilches (1983) ‒, altri hanno posto in evidenza il legame della n. con le ricerche filosofiche di Paul Ricoeur, sviluppate soprattutto in Temps et récit (1983-1985), in cui lo studioso parla di un 'mondo del testo' (concetto ispirato alla teoria dei 'mondi possibili' di G.W. Leibniz) che si dispiega di fronte al fruitore sotto forma di narrazione, inducendo alcuni a definire quest'ultima una forma primaria di decodificazione del mondo e la n. una disciplina legata non tanto alla teoria della letteratura o alla teoria del cinema, quanto alla filosofia stessa (in Italia, Pietro Montani, in L'immaginazione narrativa, 1999, interroga filosoficamente il cinema in quanto luogo di una comprensione del mondo come narrazione che oltrepassa i confini della dimensione letteraria: v. estetica del cinema). È stato proprio Ricoeur, infatti, a mettere in evidenza come il problema di una comprensione del mondo da un punto di vista narrativo fosse già presente nelle riflessioni filosofiche di Platone e di Aristotele, attraverso i concetti di 'diegesi' e 'mimesi', legati nei due filosofi (pur nelle loro differenze) non soltanto a una teoria della letteratura e del teatro, quanto ai processi stessi di conoscenza dell'uomo. Viceversa, soprattutto negli Stati Uniti in seguito agli studi di Robert Alter, si è sviluppata l'idea della n. come disciplina puramente critica (narrative criticism), riportandola all'interno di una teoria analitica della letteratura o del cinema.
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