agente, nomi di
Il termine agente è spesso usato in linguistica in modelli e per scopi diversi: basti ricordare il complemento di agente della grammatica tradizionale o il ruolo semantico dell’agente nella teoria dei casi di Fillmore e nel modello valenziale (➔ argomenti; ➔ complementi). L’espressione nomi di agente però appartiene ad un altro ambito, non sintattico ma morfologico. Siamo infatti nel campo della ➔ formazione delle parole. In questo settore di studi, con questa espressione si fa riferimento a un particolare e nutrito gruppo di nomi (➔ nomi) che, avendo subito un processo di derivazione da una parola di base, hanno assunto un particolare significato. Descrivere questo significato però non è cosa facile (come s’è avuto modo di mostrare in altri studi, di ambito sia acquisizionale che descrittivo: Lo Duca 1990; Lo Duca & Duso 2008; Lo Duca 2004a).
La locuzione tradizionale ingloba i diversi tipi di agenti descritti in letteratura. Ciò che accomuna i diversi tipi è il tratto [+ umano] che hanno sempre le formazioni definite nomi d’agente, le quali sono sempre parafrasabili con «persona che ...», indipendentemente dal fatto che la persona sia effettivamente responsabile di un atto o svolga una certa attività o viva una certa situazione o esibisca un particolare comportamento o appartenga ad un gruppo.
L’italiano ha una ricca serie di ➔ suffissi per formare nomi di agente a partire da basi nominali e verbali, anche se non mancano sporadici casi di basi particolari: sigle (cigiellino), avverbi (dirimpettaio), basi multilessicali (nullafacente, saccopelista). Qui ci si limiterà a tracciare una sintesi dei procedimenti più frequenti e produttivi, che verranno elencati nella forma maschile, accompagnati da brevi notazioni ed esempi.
Tra i procedimenti che operano su basi nominali, il sottogruppo più nutrito è costituito dai derivati in -ario/-aio/-aro, -aiolo/-aiuolo/-arolo, -iere/-iero, accomunati dal fatto di essere gli esiti italiani di un comune capostipite latino, -arius, che troviamo, variamente adattato, in tutte le lingue romanze (Tekavčić 1980: 28-31).
Il suffisso che conserva più da vicino la forma originaria del latino è -ario, di provenienza colta, penetrato in Italia e in tutto il territorio romanzo attraverso i latinismi prima, i francesismi in -aire dopo, che ha prodotto una lunga serie di derivati con una base per lo più facilmente riconoscibile (bancario, impresario, pubblicitario).
I tipi in -aio e -aro sono esiti gemelli di -arius (➔ allotropi): il primo, sviluppatosi in area toscana, ha prodotto una lunga serie di nomi che designano attività professionali considerate umili (fioraio, asinaio, benzinaio, tabaccaio); il secondo, diffuso soprattutto in Italia meridionale e in alcune zone dell’Italia settentrionale, ha avuto negli ultimi anni una interessante evoluzione semantica. Accanto agli esiti tradizionali (campanaro, zampognaro, vaccaro), su influsso del romanesco sono nate e si sono diffuse formazioni quali cinematografaro, palazzinaro, gruppettaro, paninaro, indicanti soggetti umani dai comportamenti o dall’attività professionale generalmente considerati discutibili o poco puliti.
I derivati in -aiolo/-aiuolo/-arolo, tre varianti dello stesso procedimento, sono gli esiti italiani della combinazione di due suffissi latini, -arius e il diminutivo -olus: da qui sono derivati alcuni classici nomi di mestieri (boscaiolo, barcaiolo, pizzaiolo) con qualche propensione più recente per esiti ironici e spregiativi (forcaiolo, modaiolo, tombarolo).
I suffissi -iere e -iero sono infine anch’essi derivati dal latino -arius, ma attraverso la mediazione del francese, essendo i risultati dell’adattamento all’italiano di formazioni in -ier, trapiantate in Italia grazie all’influsso della cultura cavalleresca della Francia medievale (cavaliere, arciere, cerimoniere). Dei due, il primo conserva una interessante vitalità, avendo dato vita a numerosi nomi di mestieri (mobiliere, doganiere, romanziere).
Al di fuori del dominio degli epigoni italiani di -arius rimane il suffisso -ista, oggi il procedimento di gran lunga preferito per la formazione di nomi di agente, a giudicare dalle lunghe serie di neoformazioni attestate dai dizionari di parole nuove e da tutti gli studi sul lessico contemporaneo (ad es., Dardano 2009: 120-121). La straordinaria produttività di -ista, almeno in parte dovuta alla diffusione del procedimento in lingue europee di grande prestigio (cfr. il francese -iste e l’inglese -ist, e anche il russo -ist), è probabilmente incoraggiata dalla propensione del suffisso in questione a formare sia nomi di tecnici e professionisti appartenenti agli ambiti più diversi (antennista, chitarrista, latinista, nutrizionista), sia nomi per individui che professano appartenenza, esibiscono comportamenti o praticano particolari scelte di vita (peronista, camorrista, animalista, allarmista).
Infine vale la pena di ricordare i due gruppi in -ino (postino, tabacchino, garibaldino) ed -one (capellone, polentone), sorvolando su alcune altre possibilità meno produttive (ad es., in -iano, -ano, -ale, -ico ed altre).
Anche la lista dei procedimenti deverbali è piuttosto ricca. Il più significativo per frequenza e produttività è certamente il procedimento in -tore/-dore/-ore (educatore, corridore, controllore), che dà anche numerosi nomi di strumento (➔ strumento, nomi di). Tali derivati hanno suscitato molte discussioni in letteratura per la definizione della base (è il participio passato del verbo o il tema del presente? Su questa e altre questioni vedi Lo Duca 2004a: 351-356, Patrono 2005 e Scalise & Bisetto 2008: 188-193).
I nomi di agente in -nte (amante, insegnante, combattente) costituiscono storicamente la nominalizzazione di una forma del paradigma verbale, il participio presente, che ha dato origine anche a numerose formazioni aggettivali (Ricca 2004: 430-435). Anche i derivati in -ato/-ito/-uto (alleato, pentito, deceduto) sono forme nominalizzate di participi passati (➔ participio). Tuttavia in questo caso possono rientrare nella categoria dei nomi di agente solo i derivati da verbi intransitivi, il cui participio passato ha valore attivo. I derivati da verbi transitivi, per i quali il participio passato ha sempre valore passivo, mantengono manifestamente una semantica ‘paziente’ (adottato, arrestato, salariato), e vengono di fatto elencati tra i nomi di paziente (Lo Duca 2004b).
Più marginali sono i procedimenti deverbali in -ino (imbianchino, spazzino, strozzino) e in -one (imbroglione, mangione, scroccone), i quali ultimi hanno una semantica particolare, che si potrebbe descrivere come dell’eccesso negativo. Ancora più marginali risultano i deverbali senza suffisso (guida, procaccia) (Thornton 2004: 521-522).
È stata da più parti notata la vicinanza concettuale delle categorie di agente e di strumento, confermata dal fatto che molte lingue, tra cui l’italiano, usano gli stessi procedimenti per le due. A questo binomio Dressler (1986) ha aggiunto la categoria di luogo, notando ricorrente una polisemia e una evoluzione diacronica gerarchica da un significato all’altro: dall’agente si passa all’agente inanimato (Booij 1986), allo strumento, al luogo. Quanto all’italiano, ad es., i casi di polisemia sono davvero tanti. Ne ricordiamo alcuni: -iere, oltre che a nomi di agente, dà luogo a nomi di strumento (pallottoliere, bombardiere) e a formazioni a metà strada tra significato di strumento e significato di luogo (braciere, incensiere); -ario e -aio formano nomi di agente e di luogo (lebbrosario, schedario, pollaio, bagagliaio); -tore e -nte formano nomi di agente e di strumento (carburatore, frullatore, abbagliante, stampante).
Infine, vanno menzionate le uscite femminili dei procedimenti elencati, le quali manifestano comportamenti solo in parte assimilabili ai corrispondenti maschili. Ad es., mentre -aia forma, analogamente ad -aio, sia nomi di agente (bambinaia, magliaia) che di luogo (legnaia, risaia), -iera ha sviluppato soprattutto esiti strumentali (bistecchiera, pulsantiera) e locativi (conigliera, torbiera). Singolare poi il caso di -trice, che pur registrando esiti d’agente (massaggiatrice, indossatrice) ha sviluppato nel tempo una decisa preferenza per il nome di strumento, oggi largamente prevalenti nella formazione di parole nuove (lavatrice, addizionatrice, obliteratrice).
Booij, Geert E. (1986), Form and meaning in morphology: the case of Dutch “Agent Nouns”, «Linguistics» 24, pp. 503-517.
Dardano, Maurizio (2009), Costruire parole. La morfologia derivativa dell’italiano, Bologna, il Mulino.
Dressler, Wolfgang U. (1986), Explanation in natural morphology, illustrated with comparative and agent-noun formation, «Linguistics» 24, pp. 519-548.
Grossmann, Maria & Rainer, Franz (a cura di) (2004), La formazione delle parole in italiano, Tübingen, Niemeyer.
Lo Duca, Maria G. (1990), Creatività e regole. Studio sull’acquisizione della morfologia derivativa dell’italiano, Bologna, il Mulino.
Lo Duca, Maria G. (2004a), Nomi di agente, in Grossmann & Rainer 2004, pp. 191-218, 351-364.
Lo Duca, Maria G. (2004b), Nomi di paziente: i tipi “arrestato”, “battezzando”, in Grossmann & Rainer 2004, pp. 376-378.
Lo Duca, Maria G. & Duso, Elena M. (2008), “Il camionero scende dal camione”. Studio sui nomi di agente nelle interlingue degli ispanofoni, in Competenze lessicali e discorsive nell’acquisizione di lingue seconde. Atti del Convegno (Bergamo, 8-10 giugno 2006), a cura di G. Bernini, L. Spreafico & A. Valentini, Perugia, Guerra, pp. 101-138.
Patrono, Barbara (2005), I derivati agentivi italiani: varietà, tipicità, specificità in La formazione delle parole. Atti del XXXVII congresso internazionale di studi della Società di linguistica italiana (L’Aquila, 25-27 settembre 2003), a cura di M. Grossmann e A. M. Thornton, Roma, Bulzoni, pp. 431-442.
Ricca, Davide (2004), Aggettivi deverbali, in Grossmann & Rainer, 2004, pp. 419-444.
Scalise, Sergio & Bisetto, Antonietta (2008), La struttura delle parole, Bologna,il Mulino.
Tekavčić, Pavao (1980), Lessico in Id., Grammatica storica dell’italiano, nuova ed., Bologna, il Mulino, 3 voll., vol. 3°.
Thornton, Anna M. (2004), Conversioni in sostantivi, in Grossmann & Rainer 2004, pp. 505-526.