ODOACRE
. La storia di questo barbaro, che primo ebbe in Italia titolo regio, è assai oscura per la scarsezza, il carattere frammentario, le contraddizioni delle fonti. Nato nel 434, di origine probabilmente Sciro e figlio di un Edico, che forse è tutt'uno con un personaggio di questo nome assai autorevole presso Attila, passò con un gruppo di guerrieri barbari, ancora in povero stato, per il Norico. In ltalia entrò ai servigi dell'impero ed è ricordato (472) al fianco di Ricimero nella lotta contro Antemio. Nel 476, quando le milizie barbare, che formavano la maggior parte dell'esercito romano, pretesero un terzo delle terre d' Italia ed ebbero un rifiuto dal patrizio Oreste, che reggeva l'impero per il piccolo Romolo Augustolo, O. fu acclamato re dagl'insorti (23 agosto 476); Oreste fu ucciso a Piacenza (28 agosto), Paolo suo fratello presso Ravenna (4 settembre); Romolo Augustolo fu deposto e relegato con una pensione nella Campania, ultimo degl'imperatori romani d'Occidente.
Quando mancasse uno dei due Augusti, la pienezza del potere, secondo la teoria dell'impero comune, rimaneva all'altro; perciò O., per dare un titolo legittimo all'autorità sua ancora non bene sicura, si rivolse all'imperatore Zenone, ritornato sul trono dell'Oriente dopo una sommossa che lo aveva cacciato. E costrinse il senato a mandare a questo un'ambasceria, che dicesse basiante ai due imperi un solo imperatore e proponesse per reggere l'Italia O., chiedendo per lui quel titolo di patrizio, che di fatto aveva rappresentato nell'ultimo secolo l'autorità suprema in ogni ramo dell'amministrazione dell'impero; agl'inviati del senato O. aggiunse altri suoi. Zenone, che non voleva né riconoscere la condizione nuova dell'Italia, né romperla in tutto con O., ostentò di considerare come imperatore dell'Occidente Giulio Nepote, che, spodestato da Oreste, si era creato un regno in Dalmazia, e rispose che a questo O. doveva chiedere il titolo di patrizio; ma, scrivendo al barbaro, lo chiamò con tale nome, quasi egli ne avesse già ricevuto la dignità. O. non assunse però mai il nome di patrizio e, dopo repressioni sanguinose, ormai sicuro del suo potere, non si curò d'altro riconoscimento giuridico.
Nelle monete coniate da lui, del resto di autenticità non sicura, egli non ha altro titolo che quello di Flavius, indice abbastanza comune di nobiltà romana, non di sovranità.
Dei barbari O. fu il re (riki), al modo dei Germani, il capo di uno stanziamento barbarico; nerbo dell'autorità sua e a lui più fedeli furono gli Eruli, ma nell'esercito erano Rugi, Turcilingi, Goti, e le fonti lo indicano come re ora di questi, ora di quelli, o più esattamente lo dicono rex gentium, re cioè delle popolazioni barbare stabilite in Italia: i due documenti dell'età sua, una scrittura presentata nel 483 a un sinodo romano e una donazione fatta da lui nel 489 di beni fiscali a un conte Pierio, lo chiamano praecellentissimus rex senz'altra indicazione. Tra questa accozzaglia di barbari venne distribuito il terzo delle terre; di quali terre e in qual modo non sappiamo con sicurezza, ma pare verosimile che, oltre ai latifondi, fossero divise le proprietà medie, se non le minori, stabilendosi un rapporto di hospitalitas fra l'antico possessore romano e il barbaro. Certo i barbari, più densi probabilmente nell'Italia settentrionale, si diffusero per tutta l'Italia, formando nuclei compatti con loro capi e conservando le proprie costumanze; O., per assicurarsene la fedeltà, dovette profondere i beni e le rendite del fisco, riducendo questo all'estremo.
Del resto, egli mantenne l'amministrazione imperiale, pure attribuendo a funzionarî romani titoli di vicem agens o di consigliere proprio e intervenendo a dirigerne o a sospenderne l'azione quando gli piacesse. Ebbe con personaggi della classe senatoria relazioni cordiali e da alcuno di loro fu servito con fedeltà: appoggiò anzi, nel 483, almeno indirettamente, le pretensioni del senato romano a ingerirsi nell'elezione pontificale. E anche a uomini di chiesa, come a sant'Epifanio di Pavia e a san Severino, l'eremita del Norico, egli, sebbene ariano, dimostrò reverenza e ne accolse le preghiere in favore dei Romani; ma papa Gelasio si gloriò più tardi di avere resistito a quel "barbaro eretico", il quale ordinava "cose che non erano da fare". Non appare che ad aperta lotta fra O. e la Chiesa si venisse, e forse giovò a quello il conflitto che, dopo la pubblicazione dell'Henoticon di Zenone (482), era fra il papato e l'impero; ma la Chiesa vide in quello di O. nulla più che un potere di fatto, oppressivo ai Romani e ai cattolici. Il quadro, che le fonti dell'età gotica fanno delle violenze e delle spogliazioni della "feccia" barbarica a danno dei Romani, può essere esagerato; ma certo il regno di o. fu ben lontano da una salda compagine statale, anzi il disordine amministrativo e finanziario sembra essersi aggravato negli ultimi anni.
Nella politica estera, egli ebbe dai Vandali la maggior parte della Sicilia, pagando tributo; lasciò a costoro le altre isole, e ai Visigoti la Provenza. Ucciso in Dalmazia Nepote (480), occupò la regione (481-82) per rendere impossibile una minaccia al suo regno da questo lato. Quando i Rugi, aizzati contro di lui dall'impero bizantino, invasero il Norico, condusse e mandò eserciti che li vinsero (487 e 488); il Norico fu però abbandonato e la popolazione romana trasportata in Italia.
Federico, capo dei Rugi, fuggito presso Teodorico, poté spingere questo a tentare con i suoi Ostrogoti l'impresa d'Italia. Ma certo, più che la vendetta dei Rugi, mosse Teodorico la necessità di avere per i suoi nuove e migliori sedi, e mosse Zenone, a mandare Teodorico, il desiderio di levarsi d'attorno un pericoloso vicino. O. raccolse da tutta l'Italia le sue genti; ma fu vinto all'Isonzo (28 agosto 489) e a Verona (30 settembre). Respinto da Roma, che gli chiuse le porte, abbandonato da Tufa magister militum e dalla maggior parte de' suoi barbari, si rafforzò in Ravenna: ricompostosi con Tufa, riprese l'offensiva e chiuse egli stesso gli Ostrogoti in Pavia; ma, discesi in favore di questi i Visigoti, fu costretto a ritirarsi, vinto sull'Adda (11 agosto 490), assediato in Ravenna, mentre per tutt'Italia infuriava la lotta fra i barbari. Costretto dalla fame, dopo lunga resistenza negoziò la resa per mezzo del vescovo (fine di febbraio 493) ed ebbe promessa d'aver salva la vita e di conservare alcuna parte del potere. Il 5 marzo Teodorico entrava in Ravenna; dieci giorni dopo, accusando O. d'insidie, lo uccideva nel palazzo del Laureto: perivano con lui il fratello, la moglie, più tardi il figlio; per tutta Italia era fatta strage dei suoi.
Non mancarono a O. né abilità politica, né valore militare; ma certo egli fu impari al gravissimo compito che i primi suoi atti gl'imponevano. ll problema della coesistenza dei due popoli e della costituzione in Italia di un regno romano barbarico non sembra da lui, non che risolto, neppure affrontato.
Fonti: Chronica minora, in Mon. Germ. hist., Auct. antiq., IX e XI; Eugippio, Ennodio, Giordane, ivi, I, VII, V; Cassiodoro, variae, ivi, XII; Anonymus Valesianus, in Rer. Ital. Script., n. e., XXIV,1; Malco e Candido, in Historici graeci minores, a cura di Dindorf, I; Giovanni Antiocheno, in Fragm. histor. Graec., a cura di Müller, IV e V; G. Marini, I papiri diplomatici, Roma 1805.
Bibl.: F. Dahn, Die Könige der Germanen, II, Monaco 1883; T. Hodgkin, Italy and her invaders, III, Oxford 1885; A. Gaudenzi, Sui rapporti fra l'Italia e l'impero d'Oriente fra gli anni 476 e 554 d. C., Bologna 1888; G. ROmano, Le dominazioni barbariche in Italia, Milano s. a.; F. Gabotto, Storia dell'Italia occidentale, I, Pinerolo 1911; C. Cipolla, Considerazioni sul concetto di stato nella monarchia di O., in Rend. della R. Acc. dei Lincei, sc. mor., s. 5a, XX (1912), p. 353 segg.; R. Cessi, Regnum ed Imperium in Italia, Bologna 1919; L. M. Hartmann, Geschichte Italiens im Mittelalter, I, 2a ed., Stoccarda e Gotha 1923; E. Besta, Il diritto pubblico italiano, I, Pavia 1927; G. B. Picotti, Il patricius, in Arch. stor. ital., s. 7a, IX (1928); F. Cognasso, Popoli e stati del Mediterraneo nell'alto Medioevo, Milano 1931.