OSTROGOTI
. Storia. - Il nome degli Ostrogoti (Austrogoti) appare per la prima volta nel 269, quando essi sono ricordati nella vita dell'imperatore Claudio fra i barbari Sciti, che invasero e devastarono allora l'impero. Ma i Greutungi, che sono certo tutt'uno con loro, erano assai probabilmente distinti dai Visigoti o Tervingi ancora prima che il popolo goto, nella seconda metà del sec. II d. C., passasse dalla Scandinavia sul corso inferiore della Vistola: il nome infatti di Greutungi rimase in quella penisola anche dopo la migrazione; e Ostrogotha, il primo dei re goti che sia noto alla saga germanica (250 circa), ebbe il nome dal suo popolo. Ostrogoti, o Goti d'Oriente, furono detti da quando nel sec. III si stesero sulle rive del Pontus Euxinus (M. Nero) fra il Don e il Dnestr, mentre a occidente di questo fiume erano i Visigoti.
Quel re Ostrogotha, che la genealogia di Giordane attribuisce alla stirpe degli Amali, sembra tenesse sotto di sé ambedue i rami della sua gente, e con loro invase l'impero, saccheggiando la Mesia e la Tracia e vinse a Galtis Fastida re dei Gepidi. I suoi successori non furono tutti della stirpe degli Amali; sembra però che fossero anch'essi Ostrogoti: sotto di loro i Goti vinsero e uccisero in battaglia Decio (251), saccheggiarono le isole e le città dell'Egeo e del Mediterraneo, finché la vittoria di Claudio il Gotico a Naisso (269) pose per allora un freno alle scorrerie. Si agitarono ancora nell'età di Costantino e furono costretti da lui alla pace e in parte accolti nell'esercito romano; con re Geberico ottennero, intorno al 340, una grande vittoria sui Vandali e poterono distendersi nella Dacia; con Ermanarico, degli Amali, assoggettarono popoli slavi, baltici e finnici e costituirono un grande regno dal Mar Nero al Baltico, dalla penisola danese agli Urali: gli scrittori greco-romani paragonarono quel re ad Alessandro Magno, la saga ne cantò le gesta eroiche e la ferocia. Ma i Visigoti s'erano staccati, vivente ancora il vecchio re; e il regno indebolito non resse all'impeto degli Unni; Ermanarico ne morì di dolore (375).
Dei vinti, parte con un Alateo e un Safrax seguirono i Visigoti di là dal Danubio (376), combatterono ad Adrianopoli (378) ed ebbero poi stanza nella Pannonia come foederati dell'impero; forse questi Goti formarono poi il nucleo dell'esercito di Radagaiso e furono con lui battuti da Stilicone (406); i superstiti entrarono nell'esercito romano o ritornarono in Pannonia. Altri con un Audathius, l'Odoteo di Claudiano, passarono il Danubio nel 386, ed ebbero poi dall'impero, come foederati, terre nella Frigia, con un loro principe, Triwagild; si sollevarono nel 398, d'accordo eol generale bizantino Gainas, saccheggiarono le provincie dell'Asia Minore e quelle della Balcania; vinti dai Visigoti, per lungo tempo non fecero discorrere di sé. Il nucleo degli Ostrogoti rimase nell'antica sua terra a settentrione del Mar Nero ed ebbe ancora proprî re della stirpe degli Amali. Pure tentando invano con Vinitario di scrollare il giogo degli Unni, combatté Anti, Svevi e Gepidi; un loro re, Unimondo, è descritto come un eroe di grande bellezza. Poi la monarchia stessa per alcun tempo cessò; gli Unni trascinarono con sé il popolo ostrogoto nella loro nuova marcia verso l'Occidente: rimasero avanzi degli antichi abitatori, frammisti agli Eruli, nei Goti di Crimea e nei Tetraxiti delle falde occidentali del Caucaso, che avevano ancora nel secolo XVI un proprio linguaggio e forse si estinsero solo nel XVIII.
Nel 446 gli Ostrogoti, pure soggetti ad Attila, hanno di nuovo un loro re, l'amalo Valamiro, che assale l'Italia ed è vinto da Ezio; a Mauriacus, nel 451, mentre i Visigoti di re Teodorico combattono a fianco dei Romani di Ezio, Valamiro con i due fratelli Teodemiro e Videmiro, che avevano parte con lui nell'autorità, è nell'esercito dí Attila. Morto questo, sciogliendosi l'impero degli Unni, i tre Amali sono a capo della rivolta del loro popolo (454) e Valamiro vince i figlioli di Attila: gli Ostrogoti si distendono ora nella Pannonia e nel Norico da Sirmio a Vienna, stringono con l'impero vincolo di foederati e ne ottengono un tributo annuo; poi, rotte le relazioni amichevoli, si disse per gl'intrighi d'un altro ostrogoto, Teodorico di Triario, soprannominato Strabone, assalgono l'Illiria e costringono l'impero a riconfermare l'antico tributo, quale compenso alla difesa dei confini: ostaggio per il mantenimento della pace è inviato a Costantinopoli (462) il piccolo Teodorico di Teodemiro. Gli Ostrogoti si volgono allora contro i barbari confinanti e, morto Valamiro in una battaglia vittoriosa con gli Sciri sul Bolia (469), Teodemiro, il Dietmar della saga, continua a combattere con fortuna contro Suebi, Rugi, Quadi, Marcomanni, mentre Teodorico, ritornato da Costantinopoli (472), atteggiandosi a vendicatore dei Bizantini, vince ed uccide il re dei Sarmati, ma tiene per sé Singiduno (Belgrado), che questo re aveva tolta all'impero. Poi, sembrando troppo ristrette le antiche sedi, Videmiro discende in Italia e, dopo la sua morte, il figliolo suo di uguale nome è indotto con doni dall'imperatore Glicerio (473-74) a passare le Alpi occidentali, dove i suoi Ostrogoti si fondono con i Visigoti; Teodemiro invece conduce i suoi a oriente, scendendo fino alla Sava e al Danubio. Ne eredita il potere, per designazione del padre morente e per elezione del popolo, Teodorico (474), che si stende nella Mesia inferiore (Bulgaria) e pone sede a Novae (Sistova) sul basso Danubio.
Ma nella Penisola Balcanica erano altri Ostrogoti, forse quelli che erano stati già nella Frigia; il loro capo, quel Teodorico Strabone, già congiunto e sostegno dell'onnipotente patrizio Aspar, poi nemico dell'impero, fu dall'imperatore creato magister militum e riconosciuto re dei suoi Goti, che abitavano come foederati la Tracia. Fra l'uno e l'altro capo barbarico si combatté lunga lotta, fomentata dalla corte bizantina, che sperava salvezza dalla loro divisione. Poiché Strabone aveva favorito la rivolta di Basilisco, Teodorico l'Amalo aiutò Zenone a risalire sul trono e ne ebbe la dignità di patrizio e l'adozione a figliolo; i due barbari parvero uniti, quando le loro genti, nelle gole dell'Emo, si rifiutarono a una lotta fratricida, poi si divisero ancora, a volta a volta amici o nemici dell'impero, finché, morto Strabone, restò libera la via all'Amalo, prima nemico di Zenone e devastatore dell'Epiro, poi protettore di lui, magisier utriusque militiae, console (484), onorato del trionfo e d'una statua innanzi al palazzo imperiale, e ribelle ancora e minaccioso alla stessa Costantinopoli (487). Si trovarono d'accordo Teodorico nel chiedere d'essere mandato in Italia a combattere come patrizio imperiale Odoacre, e Zenone nel desiderare di levarsi d'accanto un così pericoloso vicino; l'assemblea del popolo diede il consenso all'impresa.
Così nel 489 gli Ostrogoti passarono in Italia, "innumerae... catervae" (Ennodio), forse trecentomila, con donne e vecchi e fanciulli e suppellettili e carri, non guerra di conquista, ma vera migrazione di popolo. Vinto Odoacre dopo una lotta di più che quattro anni, uccisi i suoi compagni e seguaci, gli Ostrogoti si divisero per mezzo di pittacia, cioè di assegnazioni fatte da delegatores regi, il terzo delle terre, certo non delle sole ch'erano state già dei soldati di Odoacre, ma anche di altre, per tutta l'Italia, divenendo i milites goti consortes dei possessores romani, più densi probabilmente nella Valle Padana e, soprattutto, intorno a Ravenna, centro del regno. Teodorico, acclamato re dai suoi Goti, patrizio imperiale, riconosciuto nel 498 dall'imperatore bizantino Anastasio come reggitore dell'Italia, tentò di far convivere pacificamente, pure tenendoli nettamente distinti, victores e superati, barbari e Romani, ariani e cattolici; ai Romani riserbò gli uffici civili, non senza qualche intrusione dell'elemento barbarico, ai Goti l'uso delle armi come custodi della civilitas. E al suo regno diede almeno l'apparenza esteriore d'uno stato romanamente ordinato e, per quanto consentivano i tempi, promosse un risorgimento economico e favorì la cultura. Per mezzo di matrimonî si strinse ai più potenti regni barbarici, Franchi, Vandali, Burgundi, Visigoti; tenne nella sua sfera d'azione Alamanni, Turingi, Gepidi, Eruli; unì al suo dominio la Provenza, le Rezie, il Norico, la Pannonia; fu di fatto signore del regno dei Visigoti dopo la morte di Alarico II (507) come tutore del nipote Amalarico; il popolo ostrogoto salì con lui, il "Dietrich von Bern" caro alla saga germanica, alla più alta potenza e per un momento parve predominare sull'Occidente. Ma le relazioni con i Vandali e i Franchi si erano guastate, vivente ancora Teodorico; né il vecchio re poté superare in Italia il contrasto tra Romani e barbari: il suo regno ebbe un tramonto di sangue (526).
I Visigoti si distaccarono allora nuovamente dagli Ostrogoti, il cui regno fu ridotto all'Italia, alla Provenza, alle regioni alpine; il dissidio tra i Romani e i Goti e, nei Goti stessi, tra un elemento favorevole all'accordo con i Romani e uno rigidamente fedele alle tradizioni della gente, indebolì il regno di Amalasunta e di Teodato, quella romanizzante, questo legato ai Goti intransigenti; ne trasse occasione Giustiniano a rivendicare di fronte ai barbari la libertas romana. Alle scarse milizie di Belisario gli Ostrogoti opposero fiacca difesa: soltanto Napoli resistette; lo stesso re guerriero Vitige, che l'esercito goto aveva sostituito all'imbelle Teodato, non poté né riprendere Roma, né salvare Ravenna. Quando la città si arrese (540) e il re e il tesoro gotico furono trasportati a Costantinopoli, lo stato degli Ostrogoti era infranto. Si raccolsero gruppi di Goti a Pavia, ebbero re Ildibaldo e, dopo Erarico, tratto da quei Rugi che formavano una parte dell'esercito barbaro, acclamarono Baduila, che assunse il nome di Totila. Ma questi, anche se riuscì a ricuperare pressoché tutta l'Italia e a guadagnare il favore delle popolazioni dei campi, era sempre il duce d'un esercito in marcia e, per i Greci, il ribelle al dominio restaurato di Roma. E, ucciso a Tagina (552), fu, di nuovo a Pavia, eletto dall'esercito Teia. Si spezzò con lui al Monte Lattaro (553) la resistenza degli Ostrogoti: gli ultimi avanzi capitolarono a Conza (555).
Poi disparvero. Una parte fu trasportata in Oriente; altri forse trovarono accoglienza presso le vicine stirpi germaniche e si fusero con queste: si spiegherebbe così come la saga ostrogota si sia diffusa fra le genti dell'Alta Germania, specialmente fra i Bavari. I più è probabile che siano rimasti in Italia, ma non conservarono né organizzazione politica, né legge propria, né lingua. Due documenti di Ravenna e di Arezzo, della metà del sec. VI, stesi in latino, hanno dichiarazioni e firme in lingua gotica (v. goti); si conserva un frammento di calendario d'età non bene sicura; alcuni nomi di persone e di luoghi, specialmente nella Lombardia e nel Veneto, portano tracce degli antichi insediamenti ostrogoti. In un documento del 769 uno Stavila "civis brixianus" dichiara di essere "vivens lege Gothorum" e secondo questa legge vivono i contraenti e i testimoni d' un documento mantovano del 1045; in un Cartularium Langobardorum, raccolto prima del 1070 a Pavia o a Roma, è ricordato, come avente legge propria, col Franco e l'Alamanno, anche il "Gothus" (M. G. H., Leges, IV, 595, n. 2); ma è dubbio se si tratti di Ostrogoti o di Visigoti immigrati; e, ad ogni modo, i documenti sono troppo scarsi per consentirci di affermare con H. Brunner e R. Schroder che la legge ostrogota persistesse come legge personale e anche meno che il popolo, o nuclei di questo, conservassero la coscienza d'una propria nazionalità.
Istituzioni, leggi e costumanze. - Delle istituzioni degli Ostrogoti prima della loro discesa in Italia siamo informati assai scarsamente. È però da ritenere che non differissero da quelle delle altre popolazioni germaniche, a cui le migrazioni frequenti e le guerre non avevano consentito l'elaborazione d'un proprio diritto e la creazione d'un proprio sistema politico. Ancora al tempo della discesa appaiono come un esercito, che ha per abitazione i carri. La monarchia sembra avere avuto qui base più salda, se la stessa soggezione agli Unni non ne ruppe la tradizione, e il regno, tenuto per più generazioni dagli Amali, ad essi tornò dopo l'interruzione della serie dei re. La successione era in parte ereditaria, in parte elettiva, poiché l'esercito acclamava colui che era il parente più vicino del re morto, o che questi aveva designato erede. Era intorno al re il comitatus secondo l'antica usanza germanica; a lui spettava il mundeburdium, tutela di quanti avessero per la loro condizione bisogno della protezione sua, o la invocassero; a lui si attribuì presto il diritto di decidere sulla guerra, sulla pace, sulle alleanze; egli aveva, o affidava ad altri in suo nome, il comando dell'esercito. E v'era una nobiltà di sangue, la quale però non si distingueva quanto al diritto dai semplici arimanni o capillati, dagli uomini liberi, a cui il portare le armi dava facoltà di costituire insieme un esercito e un popolo. L'assemblea si raccoglieva a deliberare degli argomenti più vitali per le sorti della gente, opponendosi talvolta al volere del re, o piegando questo al volere proprio; così dall'assemblea furono decise la divisione del popolo nel 473 e la spedizione d'Italia. Ed è anche probabile che l'assemblea giudicasse, al modo antico, le colpe che ferivano gl'interessi comuni; mezzi di prova erano il duello o il giuramento. Quanto ai reati contro i singoli, valeva il diritto e il dovere della faida, che non pare fosse temperato dalla composizione; di guidrigildo non troviamo memoria fra gli Ostrogoti. La famiglia era stretta dal vincolo della sippe, e il capo di essa esercitava il diritto di mundio. Sotto alla classe dei liberi erano semiliberi e schiavi.
Le Variae di Cassiodoro c'informano assai largamente sulle condizioni del regno degli Ostrogoti in Italia; ma non è sempre facile distinguere la realtà in mezzo alle amplificazioni retoriche e ai travestimenti romani dello scrittore; e la maggior parte delle altre fonti risente l'efficacia del pensiero di questo e del frasario ufficiale. Appare cresciuta l'autorità del re: Teodorico afferma romanamente, per bocca di Cassiodoro, che al suo potere, per grazia divina, è soggetto tutto quello ch'egli voglia (Var., I, 12). La trattazione d'un numero sempre crescente di affari si raccoglie nel palatium, che è centro del regno, nelle mani di un comitatus regio, che non è più l'antica "Gefolgschaft" germanica, ma è un'accolta di Germani e di Romani, scelti a beneplacito del re; il saio, gerarchicamente inferiore al comes, interviene negli affari civili e nei giudiziarî, nell'esazione delle imposte, nel comando dell'esercito, dovunque piaccia al re, del cui vigor è l'espressione immediata (Edict. Athalelrici); la gratia o l'ingratitudo del re sono il maggiore premio promesso, la maggiore pena minacciata. La consuetudine germanica del mundeburdium confondendosi con l'istituto romano della tuitio, permette al re, che è giudice supremo anche nella giurisdizione ordinaria, di sostituire a questa una straordinaria, quando gli piaccia o ne sia sollecitato, esercitandola per mezzo del comitatus, di un saio, di giudici delegati. Il fisco regio si va confondendo col tesoro dello stato; il concetto romano della salus publica attribuisce al re pieno potere di polizia; fino la vita economica viene regolata, con la vigilanza sul mercato e sui prezzi, o, quando occorra, con imposizione arbitraria di questi; il servizio postale è di sola spettanza del re.
Anche la compagine del popolo si va trasformando: accanto all'antica nobiltà di sangue appare una nobiltà d'impiego, nella quale i Goti stanno accanto ai Romani, nonostante la diversità degli uffici; e gl'impieghi, il favore regio, spesso le usurpazioni, determinano varietà di fortune e con essa la tendenza a stabilire, sull'esempio della distinzione romana tra honestiores e humiliores, condizioni legali privilegiate per i più ricchi. L'antica assemblea degli arimanni non può raccogliersi più in un popolo disperso in sedi fisse per tutta Italia: il re e il comitatus ne hanno ereditato i poteri. L'esercito stesso tende a mutarsi dall'accolta di tutti i liberi, che prestano servizio senza soldo, gravando soltanto sui possessores romani, in un'organizzazione di soldati, a cui il re dà nutrimento e soldo e, a tempo fisso, donativi proporzionali al valore; vi sono guarnigioni stabili nelle città, nei castelli, nei passi montani; i comandanti non sono più gli antichi capi delle centenae e delle millenae, costituite a base gentilizia, ma duces e comites nominati dal re, secondo lo schema delle dignita militari romane. E l'exercitus pacatus, che risiede nelle provincie, ha proprî capi, anch'essi di nomina regia, tra cui un comes Gothorum, che esercita, almeno parzialmente, autorita anche sui Romani. L'imposta, la fondiaria almeno, cade anche sui possessores goti, sebbene riluttanti.
La trasformazione del regno barbarico in un regno romaneggiante è però ben lontana dall'essere compiuta. L'exercitus goto forma ancora una massa ben distinta dalla popolazione romana; il divieto di connubio fra Goti e Romani, la diversità delle religioni e gli ostacoli frapposti alla conversione dall'una all'altra mirano a mantenere pura la stirpe dei vincitori. E quell'esercito, i cui membri sono anche da Teodorico chiamati parentes, riprende l'autorità antica quando la monarchia vacilla e declina. L'elemento nazionale goto trascina, com'è probabile, il vecchio re a una politica antiromana e anticattolica; la successione di Atalarico è raffermata dal reciproco giuramento del re e dei due popoli; i nobili goti impongono ad Amalasunta che al piccolo re sia data un'educazione militare conforme alle tradizioni nazionali; morto Atalarico, Amalasunta non si può reggere che associandosi Teodato, non amico alla romanità. Poi, quando l'esercito goto è raccolto per la guerra contro i Bizantini, nel campo di Regeta rivendica l'antico diritto dell'assemblea degli arimanni, di deporre e condannare il suo re, quello stesso Teodato, che s'era detto superiore alla legge e onnipotente (Var., X, 4 e 16). Vitige e tutti i suoi successori sono eletti dall'esercito, il quale accanto a loro consiglia e delibera. Né, forse, nella spartizione delle terre dei Romani, si ruppe mai interamente il vincolo della sippe germanica, anzi le assegnazioni sembrano essere state fatte in modo da raggruppare insieme nuclei di Goti congiunti da legami di sangue.
Teodorico e gli altri re ostrogoti d'Italia si attribuirono, secondo l'esempio degl'imperatori, il diritto di legiferare senza intervento del popolo, quantunque non emanassero leggi, ma editti, nell'ambito della legislazione romana. Di questi editti il più rilevante fu promulgato da Teodorico, forse fra il 512 e il 515, probabilmente raccogliendo disposizioni già emanate in tempi diversi; esso provvedeva ai casi giuridici più comuni e più rilevanti, risolvendoli secondo le norme del diritto romano e lasciando per il resto pieno vigore alla legge romana, applicata però secondo le condizioni nuove del tempo. L'editto aveva carattere territoriale ed era obbligatorio per i Goti, come per i Romani; ma le cause fra i Goti erano giudicate dal loro comes, e nelle relazioni interne fra loro rimanevano, almeno quanto alle materie delle persone e delle famiglie, i vecchi istituti, il mundio, il pretium nuptiale, il coincidere della capacità giuridica con il prendere le armi, le norme della successione; e nel campo penale persistevano la faida, il duello, il giuramento, nonostante gli sforzi, che il re faceva, o mostrava di fare, per sostituirvi le norme del diritto e della procedurà romana (cfr. Var., III, 23 e 24); anche le sanzioni penali pare fossero tratte, almeno per certi reati, dalle costumanze germaniche. Nelle cause miste, di Goti e di Romani, valeva il giudizio del comes Gothorum, il quale, sebbene sentenziasse con l'assistenza d'un giureconsulto romano e secondo l'editto e le leggi, rappresentava tuttavia un'ingerenza della giurisdizione militare e barbarica e, quando fosse chiamato in giudizio un romano, anche la violazione d' un principio fondamentale della procedura romana, che l'attore deve adire il foro del convenuto. Il regno degli Ostrogoti in Italia rappresenta quindi una giustapposizione, anziché una fusione, di elementi barbarici e romani, con una prevalenza teorica degli elementi romani, con la prevalenza effettiva dei barbarici.
Religione, cultura e arte. - Seguaci dapprima dell'antica religione germanica, gli Ostrogoti ricevettero dai Visigoti loro vicini l'arianesimo. E furono, quando non li raffrenasse per ragioni politiche il re, ariani intolleranti, perché la credenza nell'eterusia non era tanto per essi frutto di una persuasione religiosa, quanto segno distintivo di nazionalità di fronte ai Romani; forse la comune avversione ai Romani cattolici li rese invece benevoli verso gli Ebrei.
Anche discesi in Italia, parlavano la loro lingua barbarica, la quale risuona in un epigramma dell'Anthologia Latina, forse della metà del secolo VI (Anthol. Lat., par.1, n. 285, p. 221). Del linguaggio latino sembra fosse ignaro lo stesso re Teodorico, poiché, a qualche anno dalla sua morte, Cassiodoro attribuisce a lode di Amalasunta che, essendo ella esperta dell'una e dell'altra lingua, nessuno presso di lei aveva bisogno di interprete (Var., XI,1); e Cipriano, un Romano rinnegato, per dare prova di devozione ai dominatori, istruiva i figlioli, come nell'esercizio delle armi, così nella lingua dei Goti (Var., VIII, 21). La protezione alla cultura romana, la cura per gli antichi edifizi appaiono iniziativa personale di re Teodorico; ma alle scuole romane i Goti non potevano accedere, e, se fu fama che Teodato leggesse Platone, i nobili goti si opposero all'educazione letteraria di Atalarico. Del resto, propria cultura gli Ostrogoti non ebbero. I Sommarî vaticani del codice teodosiano e quei frammenti gaudenziani, nei quali si parla di un "regis edictum", sembrano appartenere al periodo gotico; ma non è affatto probabile che ne fossero goti gli autori. E alla corte risonavano, accanto all'eloquenza raffinata di Cassiodoro e di Ennodio e all'erudita parola di Boezio, i canti nazionali, che daranno materia alla saga germanica: un citaredo rallegrava i conviti del re, "ore manibusque consona voce cantando", sicché, attratto dalla fama, ne chiedeva uno per sé Clodoveo; ma non è escluso che quei citaredi fossero schiavi romani, poiché Teodorico commetteva al romano Boezio di scegliere quello che si dovesse mandare al re dei Franchi (Var., II, 40).
Né ebbero gli Ostrogoti arte propria. Sentirono, come tutti i barbari stanziatisi nell'Oriente, l'efficacia dello stile ellenistico. Le tombe, dove i morti erano deposti in ricche vesti, con armi e utensili domestici, conservano, nelle necropoli di Crimea e di Romania, esemplari d'arte ornamentale, di gusto schiettamente greco-asiatico; lo stesso stile appare nell'ornamento a forma di aquile appaiate, trovato in S. Marino e diviso ora fra il Museo dei Conservatori di Roma e, quello di Norimberga, e nell'altro ornamento decorato a tenaglia, che fu trovato a Ravenna ed è ora nel museo cittadino, nelle fibbie di Brescia e di Fano, nel diadema di Totila. A Ravenna, nelle grandi costruzioni superstiti dell'età gotica, S. Apollinare nuovo e il Mausoleo di Teodorico, appaiono fusi elementi classici, romano-cristiani e bizantini; ma la rozza decorazione a tenaglia del Mausoleo riporta ancora allo stile ellenistico dei Goti primitivi.
Gli Ostrogoti ebbero per due volte un regno potente, che non resse ai colpi della fortuna, segno di scarsa coesione nazionale; s'accostarono, come nessun altro popolo barbaro, alla cultura classica greca e latina, ma non la seppero fare propria; lasciarono non trascurabili, ma non originali, monumenti legislativi; commisero opere architettoniche insigni, ma non ne furono creatori o esecutori; del resto, non lasciarono orma durevole nello svolgimento della civiltà.
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Vedi anche l'articolo di R. Much, Ostgoten, in Reallexikon der germanischen Altertumskunde, III, Strasburgo 1915.