Spengler, Oswald
Filosofo tedesco della storia (Blankenburg am Harz, od. Sassonia-Anhalt, 1880 - Monaco di Baviera 1936). Studiò matematica, filosofia, storia e storia dell’arte nelle univv. di Monaco e di Berlino, dove conseguì il dottorato in filosofia. Fu docente di matematica e in seguito visse dei suoi proventi di scrittore, senza neppure intraprendere la carriera accademica. La sua fama è legata a un’opera, Der Untergang des Abendlandes (trad. it. Il tramonto dell’Occidente), concepita già prima della guerra mondiale e pubblicata a Monaco subito dopo la sua fine, tra il 1918 e il ’22. In essa sono chiaramente avvertibili i segni della profonda crisi cui la Germania si andava avviando in quegli anni, insieme con le conseguenze più radicali alle quali lo storicismo tedesco appariva destinato a causa del suo latente relativismo. Profondamente relativistica, infatti, è la dottrina spengleriana della storia, malgrado il suo intento fondamentale di offrire all’uomo moderno l’unica prospettiva in grado di anticipare con esattezza scientifica il corso storico degli eventi. All’inizio della sua opera S. affronta il problema metodologico, sottolineando la diversità del conoscere storico rispetto a quello scientifico-naturalistico. Mentre quest’ultimo, essenzialmente basato sul metodo matematico, è volto in effetti a cogliere le forme «statiche», il primo mira alla realtà viva, in divenire, e ha bisogno perciò del metodo dell’analogia. È dunque a partire dalla contrapposizione tra la realtà come natura e la realtà come storia che S. si sforza di delineare la propria «morfologia storica», proponendosi di dimostrare, da un lato, che il numero delle forme indagabili è limitato e che le epoche, le situazioni e le stesse personalità si ripetono secondo una precisa tipologia, dall’altro, che l’umanità non si sviluppa secondo uno schema rettilineo, ma viene piuttosto articolandosi in una pluralità di culture, ognuna destinata a ripetere, al pari di un organismo vivente, il medesimo ciclo fatto di nascita, sviluppo e decadenza. S. distingue nel complesso della storia universale otto civiltà (babilonese, egiziana, indiana, cinese, ellenico-romana, araba, occidentale e centro-americana dei Maya), nelle quali soltanto, a suo avviso, si è veramente compiuta la realtà storica. Pur nella diversità che caratterizza ciascuna di queste otto culture, è possibile mettere in luce degli elementi comuni a tutte, a cominciare dalla durata media, che Il tramonto dell’Occidente indica in un millennio circa. In tale arco di tempo, solo eccezionalmente reso più breve da cause esterne e occasionali, ogni civiltà (Kultur) passa attraverso fasi corrispondenti alle diverse età della vita, risultando caratterizzata ai suoi inizi dallo stesso slancio creativo che anima la giovinezza, nel periodo intermedio dal raggiungimento di quei traguardi di positività e consapevolezza che contraddistinguono l’età matura dell’individuo, nella decadenza (Zivilisation), infine, da un declino delle forze fisiche e spirituali per molti versi analogo a quello che affligge la parabola discendente della vita umana. Compiuto il proprio ciclo ogni civiltà esce, per così dire, dalla storia, e anche se in taluni casi, come in India e in Cina, sembra sopravvivere a sé stessa e perpetuarsi ancora per lungo tempo, la sua vicenda è da considerarsi conclusa, assumendo i caratteri di un puro e semplice vegetare. In fase di avanzata decadenza, assai prossima alla fine, si trova ‒ secondo S. ‒ la nostra civiltà occidentale. Essa è caratterizzata da grandi metropoli, abitate da masse informi di individui, che non hanno più legami profondi tra loro. La metropoli porta con sé il cosmopolitismo in luogo della patria, il freddo senso pratico in luogo del rispetto per la tradizione, l’irreligiosità scientista in luogo della fede religiosa. Nella metropoli la potenza più forte è il denaro, con il quale i leaders politici, al servizio dei grandi gruppi economici e finanziari, manipolano i giornali, e quindi fabbricano l’opinione pubblica a loro piacimento. La democrazia è il guscio vuoto e ingannevole di questa realtà, nella quale tutte le energie spirituali si sono ormai esaurite. L’opera di S., per la drasticità della sua prognosi, suscitò al suo apparire una polemica lunga e particolarmente vivace, che dette un contributo significativo all’instaurarsi di quel clima apocalittico destinato a favorire in Germania l’ascesa dell’ideologia nazionalsocialista. In questa direzione meritano di essere ricordati i seguenti scritti: Der Mensch und die Technik (1931; trad. it. L’uomo e la tecnica); Politische Schriften (1933); Jahre der Entscheidung (1933; trad. it. Anni della decisione); Reden und Aufsätze (post., 1937); Urfragen. Fragmente aus dem Nachlass (post., 1965; trad. it. Urfragen: essere umano e destino. Frammenti e aforismi).