Ottaviano Augusto
Il fondatore dell’Impero Romano
Nel 31 a.C. con la vittoria di Azio Ottaviano Augusto mise fine all’epoca delle guerre civili a Roma. Egli concentrò nelle sue mani tutto il potere e garantì all’impero un lungo periodo di pace e prosperità senza precedenti nel mondo romano. Augusto seppe inoltre migliorare l’immagine del suo governo grazie a una sapiente opera di propaganda politica che si poté avvalere delle migliori intelligenze del tempo
Gaio Ottavio nacque nel 63 a.C. da Gaio Ottavio – che, originario di Velletri, fu il primo della sua famiglia ad ascendere al Senato – e Attia, figlia di Giulia, sorella di Gaio Giulio Cesare. Alla fine del 45 l’onnipotente prozio adottò il giovane Ottavio, che proprio in quei giorni compiva il diciottesimo anno di età e che era rimasto molto presto orfano di padre. Da quel momento, in seguito all’adozione, il giovane Gaio Ottavio prese il nome di Gaio Giulio Cesare Ottaviano. Le fonti storiche biografiche che illustrano l’infanzia e la giovinezza del ragazzo, in particolare Svetonio e Plutarco, si soffermano a riferire i meravigliosi prodigi che accaddero al momento della nascita del bimbo, così come gli episodi della sua fanciullezza anticipatori della futura e ineguagliata capacità di governo che il piccolo un giorno avrebbe mostrato. Una sera d’estate, per esempio, a casa dei nonni a Velletri, il continuo gracidare delle rane di un vicino stagno impediva il sonno agli abitanti della ricca dimora; il futuro imperatore, ancora incerto sulle gambe, si avvicinò allora allo stagno e intimò alle rane di tacere, ed esse non si sentirono più fino al giorno dopo.
L’unico dato certo e indiscutibile è che, al momento delle idi di marzo del 44, quando Cesare venne assassinato a Roma nella Curia di Pompeo da un ampio numero di congiurati, il giovane – appena divenuto Ottaviano grazie all’adozione – si trovava con un esercito in Grecia, ad Apollonia, nel punto in cui avrebbe dovuto esser raggiunto di lì a poco da Cesare e da altre truppe in vista di una progettata spedizione contro il popolo dei Parti.
Quando, nei giorni immediatamente successivi la morte di Cesare, Marco Antonio aprì il testamento del dittatore, vi trovò con sorpresa l’adozione del fino allora ignoto pronipote. Così il giovane Ottaviano si trovò scaraventato sulla scena della grande politica. Non aveva l’aspetto né le caratteristiche somatiche del leader: piccolo di statura, magro, debole fisicamente, la sua lunga esistenza fu segnata da frequenti e gravi malattie, alcune delle quali fecero seriamente temere per la sua sopravvivenza.
Antonio non dovette preoccuparsi molto quando quel giovinetto gli comparve di fronte per accettare ufficialmente l’eredità del padre adottivo. Il problema principale che agitava l’animo di Antonio e dei partigiani di Cesare in quel triste e turbolento anno 44 era piuttosto l’atteggiamento da tenere con il Senato e con i cesaricidi, non certo quello rappresentato dall’insignificante pronipote del grande Giulio. Il console Antonio ricevette il giovane con freddezza e affermò che la sua adozione doveva essere ratificata dal popolo riunito nei comizi.
Ottaviano era però risoluto a far valere i propri diritti e iniziò ad arruolare un piccolo esercito a proprie spese. Egli non disdegnò nemmeno di allearsi con il Senato e con i cesaricidi per abbattere Antonio, che gli contendeva la posizione di erede politico e spirituale di Cesare. Si arrivò così a un primo scontro con Antonio che aveva assediato a Modena uno dei capi dei cesaricidi, Decimo Bruto, nella speranza di impadronirsi del comando delle truppe della Gallia Cisalpina. Il Senato allora mandò rinforzi a Decimo Bruto sotto la guida dei due consoli del 43 a.C., Aulo Irzio e Gaio Vibio Pansa, ai quali si unì anche Ottaviano coi suoi soldati. Il risultato di questa guerra fu imprevedibile: i due consoli morirono in seguito alle ferite riportate, mentre Antonio fu costretto a togliere l’assedio a Modena e a rifugiarsi al di là delle Alpi, dove giunse a un accordo con un altro vecchio luogotenente di Cesare, Marco Emilio Lepido. Visto il vuoto di potere causato dalla morte di entrambi i consoli, Ottaviano riuscì a farsi eleggere console nonostante non avesse ancora raggiunto l’età legale. Forte della posizione istituzionale raggiunta, abbandonò l’alleanza strategica e innaturale che aveva stretto con i cesaricidi e trovò un accordo con i due cesariani Antonio e Lepido: nacque così, a Bologna, il cosiddetto secondo triunvirato (43 a.C.).
A differenza del primo, stretto nel 60 tra Cesare, Gneo Pompeo e Marco Licinio Crasso, il secondo triunvirato fu un accordo legale, sancito da una legge. Sulla base di questo accordo i triunviri si spartirono il comando dell’immenso impero: a Ottaviano toccarono la Sicilia, la Sardegna e l’Africa; fu inoltre celebrato, per ragioni politiche, il suo matrimonio con Clodia, che era la figliastra di Antonio. Tragico corollario di questo accordo furono le persecuzioni e le proscrizioni che vennero immediatamente eseguite contro quei gruppi aristocratici che avevano preso più o meno attivamente parte al cesaricidio.
Tra le prime vittime vi fu Cicerone, che nei mesi precedenti si era pericolosamente esposto contro Antonio e che aveva più volte inneggiato apertamente al cesaricidio. A questo punto rimaneva da chiudere i conti con gli assassini di Cesare. I maggiori responsabili della congiura, Marco Bruto e Gaio Cassio Longino, frattanto, erano fuggiti in oriente, e lì avevano allestito un grande esercito per fronteggiare il partito dei cesariani. Molti senatori, sfuggiti alle persecuzioni dei triunviri, si erano uniti a loro, e lo scontro non era più rimandabile. Nella grande battaglia di Filippi (42 a.C.) gli eserciti di Antonio e Ottaviano (Lepido era stato lasciato a guardia dell’Italia) distrussero quelli di Bruto e Cassio, che si suicidarono entrambi. Il merito della vittoria spettava per intero ad Antonio. A seguito di questo evento si procedette a una ridistribuzione delle competenze fra i triunviri: a Ottaviano la Spagna, a Lepido l’Africa, ad Antonio l’Oriente. Fu allora che iniziò la storia d’amore tra Cleopatra e Antonio, che sarebbe stata la causa della rovina del triunviro.
Tra i compiti che toccarono a Ottaviano vi era anche quello, ingrato, di procedere alla distribuzione delle terre tra i veterani che avevano servito in tutti gli eserciti impegnati nelle guerre civili. Egli dovette procedere quindi ad ampi espropri in varie parti d’Italia, e tra i colpiti da questi provvedimenti vi fu anche Virgilio. Il malcontento in Italia era forte e venne guidato dalla moglie e dal fratello del triunviro Marco Antonio, Fulvia e Lucio Antonio, che spinsero per arrivare alla guerra contro Ottaviano.
La guerra avvenne nel 40 a.C., quando Ottaviano assediò i partigiani di Antonio a Perugia. Anche questa difficilissima fase dei rapporti tra Ottaviano e Antonio venne però superata grazie a un accordo siglato a Brindisi, in base al quale Ottaviano si prese tutto l’Occidente, Lepido l’Africa e Antonio l’Oriente. L’accordo venne poi consolidato con il matrimonio fra Antonio e Ottavia, sorella di Ottaviano.
La situazione era però tutt’altro che stabile: appariva impossibile un accordo duraturo tra i due ‘eredi’ dell’esperienza cesariana. Inoltre il figlio di Gneo Pompeo, Sesto Pompeo, si era dato ad attività di disturbo occupando militarmente la Sicilia e tagliando i rifornimenti di grano a Roma, rendendo così difficile e insicura la posizione di Ottaviano. Lo scontro tra Ottaviano e Sesto Pompeo procedette tra guerre e tentativi di accomodamento per tre anni, dal 39 al 37.
Nel 38, però, Ottaviano ripudiò la sua terza moglie Scribonia, legata per via familiare al partito dei pompeiani, sposò Livia e iniziò una seria guerra con Sesto Pompeo, grazie anche all’aiuto decisivo di un suo stretto collaboratore, Marco Vipsanio Agrippa, e di Lepido. Lo scontro decisivo avvenne a Nauloco nel 36 a.C. ed ebbe il risultato di rafforzare enormemente Ottaviano. Nonostante il triunvirato fosse appena stato rinnovato per cinque anni, alla fine della guerra di Sicilia Ottaviano riuscì a sobillare l’esercito del triunviro Lepido, che, abbandonato dalle truppe, venne relegato da privato cittadino ad Anzio, carico di gloria ma privo di potere.
In campo rimanevano oramai soltanto Ottaviano, padrone di tutto l’Occidente compresa l’Italia, e Antonio, signore dell’Oriente. Gli accordi tra i due prevedevano che entrambi potessero far leve militari in Italia, ma nei fatti Ottaviano impedì questo e non fornì ad Antonio le truppe necessarie per condurre una grande spedizione militare contro i Parti. Da questo momento (35 a.C.) iniziò tra i due rivali una guerra di propaganda, con Antonio che, sempre più succube di Cleopatra, regina d’Egitto e sua amante riconosciuta, si allontanò gradualmente dalle consuetudini istituzionali romane.
Ottaviano, nel 32 a.C., fece la mossa giusta per distruggere l’influenza del partito di Antonio a Roma: con un colpo di mano si fece consegnare il testamento che Antonio aveva depositato, qualche anno prima, presso il Tempio delle Vestali e ne diede pubblica lettura. Antonio vi affermava di voler essere sepolto ad Alessandria d’Egitto e predisponeva una serie di alienazioni di territori provinciali romani ai figli, più o meno legittimi, che Cleopatra aveva avuto da lui stesso e da Cesare, nonché lasciti diretti alla corona d’Egitto. Era troppo: il Senato votò unanime la guerra contro l’Egitto e tutta l’Italia si strinse attorno al difensore del buon nome romano contro il traditore Antonio.
Il 2 settembre del 31 a.C. ad Azio, nel Mare Ionio al largo delle coste greche, la flotta di Ottaviano, comandata da Agrippa, sbaragliò quella di Antonio e Cleopatra. I due, fuggiti ad Alessandria d’Egitto, si sarebbero suicidati di lì a poco: Ottaviano era ormai unico padrone di Roma e del suo immenso impero.
A partire da questo momento inizia una seconda fase della vita di Ottaviano: dopo quella dell’astuto – e a volte subdolo – capo-fazione, inizia quella del grande statista, senza dubbio uno dei più grandi architetti istituzionali che siano mai vissuti. Anche sul piano onomastico (cioè dei nomi attribuiti ai personaggi pubblici) si riflette l’ammirazione nei suoi confronti: nel 27 a.C., infatti, il Senato di Roma conferì a Ottaviano il titolo di Augustus («venerabile», «maestoso»), che da allora in poi accompagnerà il nome di tutti gli imperatori.
Le imprese militari, così importanti nella prima fase della sua vita, diventeranno meno importanti nella seconda, e saranno dirette in particolare a rendere sicuri i confini settentrionali dell’impero, mentre su quelli orientali si procederà a frequenti abboccamenti militari. Di particolare rilievo nella politica estera del principato augusteo fu la gravissima disfatta di Teutoburgo, nella Selva Nera in Germania, dove tre legioni romane al comando di Publio Quintilio Varo vennero annientate dai Germani di Arminio nel 9 d.C. L’esperienza del padre adottivo, Cesare, aveva messo in guardia Ottaviano dal rischio di ricercare apertamente il potere assoluto. La lunga abitudine all’ordinamento aristocratico che durante il periodo repubblicano aveva portato Roma a diventare la più importante potenza mondiale faceva del Senato l’organo dal quale venivano tratti i sommi magistrati. Augusto decise quindi di attuare una vera e propria rivoluzione istituzionale camuffandola da conservazione delle antiche istituzioni repubblicane.
Augusto non si fece mai chiamare re e la denominazione di imperator era in realtà già presente in età repubblicana, quando designava il magistrato senatorio dotato di imperium, vale a dire del ‘comando militare’. Formalmente egli era il princeps, cioè il primo in un gruppo di pari – gli altri senatori –, non diversamente dal princeps senatus di età repubblicana. Ma egli ricopriva anche tutte le magistrature più importanti, nelle quali aveva sì altri colleghi – tutte le magistrature a Roma erano collegiali –, ma nei confronti dei quali godeva di una maggiore auctoritas, cioè di più autorità. Questo della auctoritas è un concetto chiave per spiegare i poteri imperiali di Augusto. Lo stesso termine Augustus deriva dalla stessa radice auc- di auctoritas, che aveva però un significato parzialmente diverso dal moderno concetto di autorità, dal momento che aveva anche implicazioni religiose e sacrali.
La sacralità della figura dell’imperatore era poi assicurata dalla potestà di tribuno della plebe, che Augusto assunse stabilmente a partire dal 23 a.C. In pratica egli, oltre ai poteri dei consoli (all’interno della città di Roma) e dei proconsoli (anche se esclusivamente sulle province di appannaggio imperiale), aveva anche la carica di tribuno della plebe, che gli assicurava un’aura sacrale di inviolabilità e un diritto di veto sull’azione di qualsiasi altro magistrato. La potestà tribunizia divenne presto talmente importante come attributo dell’imperatore da diventare un vero e proprio criterio di datazione: per esempio un’iscrizione che riporta la menzione della quinta potestà tribunizia dell’imperatore Claudio (41-54 d.C.) è datata con precisione al quinto anno di regno di quell’imperatore (46/47 d.C.).
Con le attribuzioni sopradescritte Augusto poté regolare i suoi rapporti con il Senato di Roma, ma questo non bastava. Egli aveva posto fine alle guerre civili, e aveva simbolicamente rappresentato questa sua funzione di pacator orbis («pacificatore del mondo») chiudendo per due volte le porte del tempio di Giano, la cui apertura indicava a Roma l’inizio dello stato di guerra, e che erano rimaste ininterrottamente aperte per secoli.
Questo periodo di pace, la pax augusta, non poteva tuttavia essere garantito solamente dall’autorità di Augusto. Si dovevano rimuovere definitivamente i motivi di conflittualità interna allo Stato romano che avevano portato a un periodo di sanguinosissime guerre civili durato oltre un secolo (dal 133, tribunato di Tiberio Gracco, al 31 a.C., battaglia di Azio). Per far questo Augusto ideò un sistema istituzionale basato sulla collaborazione tra i due gruppi di potere (ordines) più importanti a Roma: il Senato e i cavalieri (concordia ordinum).
Il Senato, antichissima istituzione romana, vide confermati tutti i suoi poteri, in particolare il comando militare sulle legioni e il governo delle province dell’impero con alcune eccezioni, la più importante delle quali era rappresentata dall’Egitto. La sua autonomia era comunque limitata dal fatto che tutti gli incarichi che prevedevano comandi di truppe erano frutto di una delega da parte dell’imperatore – i governatori delle province imperiali si chiamavano legati Augusti pro praetore («delegati di Augusto con poteri pretori»), mentre i comandanti delle legioni erano i legati Augusti legionis («delegati di Augusto per le legioni»).
I cavalieri, invece, in età repubblicana non costituivano un vero e proprio ordine, ma erano solamente una classe sociale dotata di un alto censo, che era per lo più impegnata nel sistema della riscossione delle imposte nelle province, che avveniva tramite appalto pubblico (cioè tramite publicum: chi vinceva un publicum era un publicanus). Questo sistema di riscossione non garantiva in alcun modo i contribuenti e aveva comportato nel 1° secolo a.C. un generale impoverimento delle province romane e un immenso afflusso di denaro, in buona parte impegnato a finanziare le guerre civili. Inoltre le uniche autorità in grado di opporsi alla prepotenza dei publicani erano proprio i governatori provinciali di estrazione senatoria, che dovevano garantire il buon governo delle province. Nell’età delle guerre civili, quindi, l’ordine senatorio era naturalmente portato alla contrapposizione con l’ordine equestre.
Per risolvere il problema della contrapposizione tra i due ordini Augusto abolì il sistema degli appalti per la riscossione delle imposte nelle province. Da allora in poi le imposte sarebbero state esatte da funzionari procuratori di provenienza equestre, stipendiati dallo Stato. Nacque così la prima traccia della burocrazia imperiale, che poi si sarebbe via via sviluppata sotto i successori di Augusto.
Nell’organizzazione del nuovo ordine equestre Augusto volle che i giovani cavalieri servissero nell’esercito come ufficiali subalterni ai senatori, quando questi erano presenti; da qui avrebbero avuto accesso alle varie cariche procuratorie e infine alle prefetture, la più importante delle quali era quella del pretorio, che comportava il comando di un corpo scelto dell’esercito imperiale, le coorti pretorie, che erano stanziate a Roma ed erano in pratica la guardia del corpo dell’imperatore. Il prefetto del pretorio divenne così l’eminenza grigia dell’imperatore.
Come abbiamo già accennato in precedenza, Augusto riformò anche l’amministrazione delle province, dividendole tra imperiali – sottoposte cioè al suo diretto comando, fornite di legioni e le cui imposte confluivano nelle casse del fiscus – e senatorie – cioè sottoposte al controllo del Senato, di solito prive di legioni e le cui imposte confluivano nell’aerarium.
Riformò inoltre l’esercito, con la netta divisione tra legioni – dove servivano i cittadini romani – e truppe ausiliarie – riservate ai sudditi dell’impero privi di cittadinanza – e suddivise tra fanteria (coorti) e cavalleria (ali). Riorganizzò anche il sistema monetario, basato sui tre metalli – oro (aureus), argento (denarius), bronzo (sestertius) – e su un rapporto reciproco di 1: 25: 100.