Virgilio Marone, Publio
L’Omero latino
Virgilio è il più grande poeta romano. Ha messo in versi i canti dei pastori, il lavoro dei contadini e le imprese degli eroi e ci ha trasmesso risposte che non sono certezze, ma interrogativi e dubbi profondi sull’uomo, sul senso della storia e sulla possibilità della giustizia. Con le sue opere ha segnato un’impronta indelebile nella cultura occidentale. Studiato e preso a modello fin dall’antichità, celebrato come precursore del cristianesimo, fu per Dante maestro di stile e di pensiero e vertice dell’umana perfezione
Publio Virgilio Marone nasce nel 70 a.C. presso Mantova. Va a scuola prima a Cremona e a Milano, e poi a Roma, ma la maggior parte della sua vita adulta la trascorre a Napoli, dove è in contatto con i seguaci dell’epicureismo.
Compone la prima raccolta di poesie, le Bucoliche, tra i 28 e i 31 anni di età. Quest’opera lo rende subito famoso, e Virgilio entra nel circolo di Mecenate, il gruppo di poeti e intellettuali vicino al nuovo signore di Roma, Ottaviano Augusto. La sua seconda opera, le Georgiche, lo tiene occupato per una decina d’anni: sarà pubblicata intorno al 29 a.C., quando il poeta ha poco più di quarant’anni. Da allora in poi, Virgilio si dedica alla sua opera più impegnativa, l’Eneide.
Durante un viaggio in Grecia, Virgilio si ammala. Torna indietro, ma la febbre si aggrava; muore a Brindisi, nel 19 a.C., a cinquantuno anni, lasciando la sua Eneide priva della revisione finale.
Le Bucoliche sono una raccolta di dieci poesie appartenenti al genere detto pastorale, che era stato inaugurato dagli Idilli del greco Teocrito, a cui Virgilio si ispira. I protagonisti delle Bucoliche – anche note come Egloghe, in greco «poesie scelte» – vivono immersi nella natura, in un paesaggio di sogno, immaginario.
Sono umili pastori che, mentre si occupano delle loro greggi, si dedicano al canto accompagnandosi con il suono del flauto: a volte essi dialogano tra loro sulle gioie e sui dolori della vita quotidiana, soprattutto della loro vita sentimentale, a volte improvvisano vere e proprie gare di canto.
Il mondo sereno e pacifico delle Bucoliche non è però del tutto isolato in un’atmosfera di sogno, turbata solo dai problemi d’amore. Anche i pastori delle Bucoliche soffrono le drammatiche conseguenze delle guerre civili, durante le quali Virgilio ha scritto l’opera. È il caso della prima bucolica, che presenta il dialogo tra il pastore Titiro, che può godere della pace del mondo dei campi e dedicarsi all’ozio e al canto, e Melibeo, che deve invece abbandonare quel mondo, perché le sue terre sono state confiscate in conseguenza delle guerre.
Con le Georgiche, in quattro libri, Virgilio passa dal mondo di sogno dei pastori al mondo reale dei contadini e degli allevatori. Quest’opera, ispirata al poema De rerum natura di Lucrezio, è una specie di ‘manuale’ in poesia, in cui Virgilio dà consigli sulla coltivazione dei campi e sulla piantagione degli alberi, sull’allevamento del bestiame e sulla cura delle api. In realtà, la forma letteraria del manuale tecnico gli serve per parlare di temi più profondi: il senso e il valore del lavoro umano, il ruolo della poesia nella società, i mutamenti in corso nel mondo politico romano. Augusto, infatti, ha vinto le guerre civili, e le Georgiche, con la loro esaltazione del piccolo coltivatore laborioso, appoggiano quella restaurazione dei valori tradizionali romani (laboriosità, frugalità, religiosità, culto della famiglia e della patria) che caratterizza il nuovo regime.
Ma sarebbe un errore credere che le Georgiche siano un semplice poema di propaganda politica: Virgilio alterna, in modo volutamente problematico, parti in cui esalta gli ideali del nuovo regime ad altre in cui lascia trapelare il più profondo pessimismo riguardo all’effettivo valore di questi ideali.
La stessa ambiguità caratterizza l’Eneide. Il poema racconta la storia di Enea, un principe di Troia, figlio della dea Venere e del mortale Anchise, che, dopo la distruzione della sua città, si trasferisce con il figlio Ascanio – detto anche Iulo – nel Lazio, dove gli dei gli hanno profetizzato che avrebbe fondato una città e una stirpe destinate a dominare il mondo. Qui infatti Enea sposerà la figlia del re dei Latini, Lavinia, e fonderà la città di Lavinio. Dopo la sua morte, Ascanio fonderà un’altra città, Alba Longa, e dopo trecento anni dall’ultimo dei re di Alba Longa nascerà Romolo, il fondatore di Roma.
Narrare la storia di Enea significava dunque narrare la storia delle origini di Roma. Al tempo di Virgilio, inoltre, la leggenda di Enea aveva acquistato un significato particolare: Augusto era infatti un membro della gens Iulia, la famiglia dei Giulii, che pretendeva di discendere da Iulo, il figlio di Enea. Narrare la storia di Enea quindi significava anche narrare la storia del capostipite della famiglia del padrone di Roma.
Il modello omerico. L’Eneide è divisa in dodici libri: i primi sei raccontano la storia della caduta di Troia e del viaggio di Enea da Troia fino alla foce del Tevere; gli ultimi sei raccontano la guerra che si svolse nel Lazio tra Enea e la federazione di popoli italici guidati da Turno, un altro pretendente alla mano di Lavinia. Virgilio segue come suoi modelli i poemi omerici: la prima metà dell’Eneide (una storia di viaggi) è modellata sull’Odissea, la seconda (una storia di guerra) sull’Iliade.
Come in Omero, anche in Virgilio gli dei partecipano all’azione. Al fianco di Enea vi sono Venere e Apollo; contro di lui, invece, è schierata Giunone. Sopra tutti, sta Giove: la sua volontà si identifica con il Fato, il destino immutabile: è lui che ha deciso che dalla stirpe di Enea dovrà nascere il popolo romano, dominatore del mondo.
La narrazione. La trama dell’Eneide, come quella dell’Odissea, inizia non dal principio della storia, ma da un momento più avanzato: gli eventi precedenti – la caduta di Troia, la fuga di Enea e la prima parte del viaggio – saranno poi raccontati da Enea stesso nel II e III libro. All’inizio del poema, dunque, le navi di Enea stanno già per raggiungere il Lazio. Ma Giunone scatena una tempesta che sbatte i Troiani sulle coste della Tunisia, dove la regina Didone, esule dalla Fenicia, sta costruendo Cartagine. Venere, preoccupata della sorte del figlio, suscita in Didone un appassionato amore per Enea che accanto a lei dimentica la sua missione. Richiamato all’ordine da Giove, Enea abbandona Didone per rimettersi in viaggio. La regina, disperata, si suicida.
Quando Enea giunge nel Lazio, è ancora Giunone a scatenare la guerra e ad aiutare Turno. Alla fine, però, la dea si lascia convincere da Giove e nel duello finale che decide le sorti della guerra Enea uccide Turno.
La complessità del significato. L’Eneide non si chiude su un quadro di pace e di speranza. Al contrario, si chiude con l’uccisione di Turno, una scena di violenza e di morte. Il finale dell’Eneide riassume perfettamente in sé le contraddizioni e la problematicità di tutto il poema virgiliano. Da un lato l’Eneide è un’opera di propaganda politica, che esalta l’Impero di Roma e Augusto. Dall’altro lato, Virgilio non nasconde i terribili lutti e dolori che la creazione di un impero porta con sé, e presenta spesso il suo eroe, Enea, come un guerriero freddo e insensibile.
Un altro poeta latino, Sesto Properzio, nel periodo in cui Virgilio componeva l’Eneide aveva annunciato che «stava per nascere qualcosa di più grande dell’Iliade». La sua profezia si avverò: l’Eneide divenne subito il classico per eccellenza, il libro di testo ufficiale della scuola, e Virgilio diventò davvero l’Omero romano, il modello con cui ogni scrittore successivo dovette necessariamente confrontarsi. L’interpretazione e il commento delle opere virgiliane furono la principale occupazione degli studiosi di letteratura per molti secoli, e versi virgiliani si trovano graffiti sui muri di Pompei.
Già nella tarda antichità i biografi di Virgilio tendono a presentarlo come un «uomo divino», e nel Medioevo Virgilio si trasforma addirittura in una figura leggendaria di mago sapiente, benefico e miracoloso. I cristiani vedono in Virgilio un anticipatore del cristianesimo. È Virgilio, nella Divina Commedia, a guidare Dante nel suo viaggio nell’Inferno e nel Purgatorio, e non c’è poesia pastorale, didascalica, o epica, nelle diverse lingue nazionali dell’Europa, che non risenta dell’influsso dell’opera di Virgilio. Ancora oggi l’interpretazione di Virgilio è al centro degli interessi degli studiosi di letteratura latina, e le polemiche intorno al vero senso dell’Eneide testimoniano quanto la poesia virgiliana sia inesauribilmente feconda e provocatoria.