PAPA
Fin dalle sue confuse origini l'episcopato di Roma puntò ad affermare il proprio vescovo come p., guida di tutti i seguaci di Cristo: compito difficile, il cui carattere subì nei secoli un'evoluzione che non può considerarsi pienamente compiuta se non successivamente al 6° secolo. Sebbene le sedi apostoliche d'Oriente fossero situate in città più grandi e più ricche, quella di Roma, capitale dell'Impero, aveva il vantaggio di essere stata fondata dagli apostoli Pietro e Paolo.Il principale problema che coinvolse la Chiesa per tutto il corso del Medioevo, ovvero la questione dei rapporti tra papato e impero e del conflitto tra regnum e sacerdotium, si pose già sotto Costantino il Grande (v.), intensificandosi in misura particolare nel 12° secolo. Primo p. medievale è considerato Gregorio I Magno (v.), il quale tentò, dopo la guerra gotica (535-553), di risolvere i problemi relativi ai possedimenti del papato e alle infrastrutture, cercando inoltre di fronteggiare il pericolo longobardo; principalmente monaco e predicatore, egli inviò la prima missione cristiana in Inghilterra nel 596. Benché Leone I Magno (440-461) avesse stabilito che il p. disponeva di una plenitudo potestatis, le rappresentazioni di Gregorio I Magno mostrano come egli non avesse enfatizzato i propri poteri di sovrano, per es. una miniatura del Registrum Gregorii, della fine del sec. 10° (Treviri, Stadtbibl., 171a ), e le pitture un tempo nel monastero di S. Andrea in Clivo Scauri (Roma, BAV, Vat. lat. 5408, c. 27r).Dei tredici p. saliti al soglio pontificio tra il 678 e il 752 undici erano greci o siriaci. I p. greci svolsero un ruolo determinante nello sviluppo del culto della Vergine in Occidente, promosso dalla corte bizantina già nel 6° secolo. Il greco Giovanni VII (v.), descritto dai contemporanei come eruditissimus (Lib. Pont., I, 1886, p. 385), fece costruire nella basilica di S. Pietro in Vaticano un oratorio dedicato a Maria, facendovela rappresentare in mosaico (Firenze, Mus. di S. Marco) nelle vesti di una regina bizantina, in atteggiamento di orante, mentre il p. committente, una figuretta stante posta al suo fianco con il nimbo quadrato (Roma, S. Pietro in Vaticano, Grotte), si definiva nell'iscrizione dedicatoria "Servus Sanctae Dei Genitricis Mariae"; l'immagine dell'imperatore veniva così sostituita con quella di Maria, che, in quanto regina, simboleggiava la Chiesa, alla quale in primo luogo Giovanni VII si dichiarava fedele. I p. del sec. 12° ripresero tale immagine per rivendicare il potere di sovranità della Chiesa.Nel 754 Stefano III (752-757) chiese la protezione dei Franchi e conferì al loro re Pipino il Breve (751-768) il titolo di patricius Romanorum. A un'epoca compresa tra il 756 e il 796 risale il Constitutum Constantini, secondo il quale l'imperatore Costantino avrebbe attribuito a p. Silvestro I (314-335) e ai suoi successori il dominio dell'Occidente e l'uso dei simboli imperiali; il Constitutum, considerato fondamento della legittimità del potere temporale dei p. e creduto autentico per secoli, divenne soggetto di numerose rappresentazioni in opere di committenza pontificia.Leone III (795-816) incoronò Carlo Magno (v.) imperatore nella basilica di S. Pietro in Vaticano, nel giorno di Natale dell'anno 800, e affidò al mosaico nell'abside del triclinio Lateranense la concezione papale della continuità del regno-impero franco con quello romano trasformato in cristiano da Costantino; sull'arco trionfale compare a sinistra Cristo in trono che porge forse a Pietro le chiavi del Regno dei cieli e a Costantino il vessillo imperiale, come illustrato in un disegno del De Lateranensibus parietinis di Nicolò Alemanni (Iacobini, 1989b); a destra una scena simmetrica rappresenta S. Pietro in trono che affida il pallio a Leone III come simbolo del suo potere spirituale e lo stendardo a Carlo Magno in quanto protettore temporale della Chiesa (Roma, BAV, Barb. lat. 2738, c. 104r); si è ipotizzata per il mosaico una datazione di poco anteriore all'incoronazione. Le immagini e le iscrizioni che lo accompagnano permettono di ritenere che si tratti del tema della Missio apostolorum, ovvero di Cristo che esorta i propri discepoli a procedere nell'insegnamento e a contribuire ai tentativi di Carlo Magno, il nuovo Costantino, volti a pacificare l'Occidente; esse stabiliscono inoltre che spetta a Pietro e ai suoi successori conferire l'autorità imperiale, ma tali solenni immagini nascondono in realtà la debolezza dell'autorità del p. rispetto alla forza di Carlo Magno. Quale che fosse la posizione ideologica di ciascuna delle controparti, i due poteri elaborarono un sistema di mutuo sostegno che funzionò piuttosto bene fino alla morte di Ludovico II (875), re d'Italia e imperatore, e alla disgregazione dell'impero carolingio.Il papato, perso il proprio difensore, divenne appannaggio delle famiglie locali sino alla fine del sec. 10°, quando gli imperatori ottoniani intervennero per imporre ordine. Coscienti del potenziale insito nel papato, quale forza stabilizzante e unificatrice, essi iniziarono a nominare p. che ritenevano degni di tale carica. Ottone III (993-1002) nominò il primo p. tedesco, Gregorio V (996-999), e l'erudito francese Gerberto di Aurillac, Silvestro II (999-1003).Nella prima metà del sec. 11° il papato ritornò a essere appannaggio di famiglie locali, principalmente i conti di Tuscolo, ma andava progressivamente sviluppandosi un forte desiderio di riforma ecclesiastica, ispirata da monaci della Borgogna e della Lotaringia e favorita dall'imperatore Enrico III, detto il Nero (1039-1056), che consentì di nominare, a iniziare dal sinodo di Sutri del 1046, p. di alta statura morale come Leone IX (1049-1054), generalmente considerato il primo p. della riforma. Egli non si oppose all'imperatore, né enfatizzò gli ornamenti papali con i simboli imperiali; in una miniatura (Berna, Bürgerbibl., 292, c. 73r; Ladner, 1941-1984, I, pp. 180-187), nella quale Guarino, abate di Saint-Arnould a Metz, presenta a Leone IX il modellino della sua chiesa, il p. è ritratto a testa scoperta, rivelando la tonsura.Gregorio VII (v.) cambiò notevolmente la direzione del movimento di riforma, attaccando il controllo della Chiesa da parte del potere secolare in quanto causa radicale di corruzione. Adombrando le sue pretese teocratiche nel Dictatus papae, Gregorio VII concentrò l'attenzione sulle investiture dei prelati, individuandovi il legame attraverso il quale il sovrano esercitava il proprio potere. P. e vescovi indissero concili nei quali furono decretate riforme ecclesiastiche e vietate le investiture imperiali.Il francese Urbano II (1088-1099), già monaco, indisse la prima crociata (1096) e, anche se in modo più diplomatico rispetto a Gregorio VII, proseguì nella stessa direzione; diversamente da Leone IX, egli è rappresentato con un'alta tiara, copricapo simbolo della sua sovranità, per es. in un manoscritto del sec. 12° (Parigi, BN, lat. 17716), contenente il Chronicon Cluniacense e proveniente dal priorato di Saint-Martin-des-Champs.Nel 1122 Callisto II (1119-1124) e l'imperatore Enrico V (1106-1125) firmarono il concordato di Worms, che costituì una tregua nella lotta per le investiture. In una serie di affreschi nella sala delle Udienze del palazzo del Laterano, nota da disegni (Roma, BAV, Barb. lat. 2738, cc. 103v-105v; Herklotz, 1989a), Callisto II fece rappresentare il concordato come una vittoria per il papato: i p. da Alessandro II (1061-1073) a Callisto II sono rappresentati in trono con la tiara e circondati da prelati, mentre gli antipapi, legati all'imperatore, sono raffigurati in posizione fetale come sgabello sotto i loro piedi; nell'ultima delle immagini lo stesso Callisto II si distingue dai suoi predecessori perché siede su un trono più ornato e, allo stesso tempo, tiene il privilegio imperiale del concordato. Le relative gerarchie di potere sono rese senza possibilità di errore poiché, innalzandosi al di sopra dell'imperatore con la sua alta tiara, il p. ha la posizione centrale, mentre Enrico V si trova in piedi, di lato, accompagnato soltanto da alcuni membri del seguito e vengono presentate soltanto le sue concessioni. Sebbene il messaggio fondamentale sia privo di ambiguità, una scena raffigurante Costantino che presenta il Constitutum a Silvestro I, nei mosaici del portico della basilica lateranense (Roma, BAV, Vat. lat. 4423, c.14r), permette di formulare l'ipotesi di una volontà, da parte di Callisto II, di intendere qualcosa di più. Anche se i mosaici vennero realizzati in epoca successiva, con probabilità durante il pontificato di Alessandro III (1159-1181; Herklotz, 1989b), le analogie tra le due opere inducono infatti a ritenere che Callisto intendesse istituire un confronto tra il Constitutum e il concordato di Worms: la disposizione delle figure e delle vesti nelle due scene è particolarmente somigliante; facendo rappresentare se stesso in abiti contemporanei ed Enrico V abbigliato invece come un imperatore romano, Callisto II voleva forse che questi fosse visto come Costantino e il concordato di Worms considerato come una sorta di rinnovo del Constitutum: in entrambi i casi l'imperatore concedeva qualcosa senza che vi fosse in parallelo una concessione da parte del papa.L'antipapa Anacleto II, che contese il papato a Innocenzo II (1130-1143) durante lo scisma del 1130-1138, espresse un messaggio di carattere più intensamente apostolico e nella cappella di S. Nicola nel palazzo Lateranense fece realizzare un mosaico absidale incentrato sul tema di Maria Regina in trono nel cielo (Ladner, 1941-1984, I, tav. XX), affiancata a destra, in ginocchio, dall'anziano e barbato Callisto II - che aveva fatto edificare la cappella - e a sinistra dal giovane e imberbe Anacleto II, entrambi a capo scoperto e con nimbo quadrato; dietro Callisto II compariva la grande immagine di Silvestro I con la tiara, della quale era invece privo, sul lato opposto, Anacleto I, che era stato p. prima del Constitutum Constantini. Nella scena sottostante, in una nicchia al di sotto di Maria Regina, si trovava S. Nicola, affiancato dai p. della riforma, con il nimbo, e da due dei loro predecessori modello, Gregorio I e Leone I; tutti indossano la tiara e sono individuati come santi. Uno dei numerosi temi che caratterizzano questa composizione dall'iconografia complessa è l'identificazione personale di Anacleto II con la Chiesa paleocristiana: come neofita vivente egli si distingue infatti dai santi e, associando visivamente la propria persona a un p. precedente Silvestro I, rifiuta gli attributi imperiali.Contrariamente ad Anacleto, Innocenzo II proseguì con i temi trionfali di Callisto II: in una serie di pitture del palazzo Lateranense e nella relativa iscrizione (Roma, BAV, Barb. lat. 2738, cc. 104v-105r) questo p. asserisce implicitamente che Lotario III di Suplimburgo (1133-1137), nel corso della cerimonia d'incoronazione, diveniva suo vassallo, benché tale pretesa fosse priva di una qualsiasi base storica. Egli scelse S. Maria in Trastevere, chiesa della quale Anacleto II era stato cardinale diacono, per proclamare la propria vittoria sul rivale: dichiarando di aver distrutto la basilica sino alle fondamenta per poi riedificarla, Innocenzo cancellava metaforicamente Anacleto. Egli decorò il nuovo edificio con elementi di carattere imperiale, quali le colonne delle terme di Caracalla, e fece realizzare uno straordinario mosaico absidale. La rivoluzionaria iconografia di Maria Regina come sposa di Cristo e l'iscrizione relativa posta sotto il mosaico proclamano in maniera evidente la vittoria di Innocenzo nello scisma quale vittoria della Ecclesia Romana (Nilgen, 1981). Il pontefice compare sul lato sinistro del mosaico come donatore, mentre tiene il modello della Chiesa; rispetto all'immagine giovanile e vivace di Anacleto II nella cappella di S. Nicola, Innocenzo non distingue la propria figura da quella dei santi, poiché appare delle stesse dimensioni, si trova allo stesso livello e presenta lo stesso aspetto trascendente.Durante il pontificato di Innocenzo II il senato cittadino venne ricostituito da membri di famiglie romane d'importanza secondaria; fu nominato però patricius un nobile, Giordano Pierleoni, fratello di Anacleto II; il senato, sebbene si opponesse a Innocenzo II e spesso sostenesse l'imperatore, non era monoliticamente antipapale e, dato che sia il p. sia l'imperatore dovevano tenere in considerazione i suoi interessi, rimase una delle forze politiche più importanti fino al 14° secolo.A metà del sec. 12° Federico Barbarossa (1152-1190) affermò in maniera più aggressiva i diritti imperiali, ma Adriano IV (1154-1159) riuscì a indurre il sovrano ad adempiere al suo compito di strator, menzionato brevemente nel Constitutum Constantini (guidando a destinazione il palafreno del p.) e Alessandro III (1159-1181) continuò a mettere alla prova le pretese imperiali, specialmente tramite manovre diplomatiche e legali. Il papato divenne in generale più forte e sicuro, ma meno orientato verso le proprie funzioni pastorali.Alla fine del secolo, Innocenzo III (v.) rese più articolate le aspirazioni monarchiche papali, giustificando il diritto di intervenire in quasi ogni disputa ratione peccati. Nel grande mosaico absidale che egli commissionò per la basilica vaticana, si fece rappresentare al centro della scena inferiore (Roma, BAV, Arch. S. Pietro, A.64 ter, c. 50r; Iacobini, 1989a; 1991), con indosso la tiara, le braccia protese verso l'Agnello di Dio, il cui sangue zampilla all'interno di un calice; l'Ecclesia Romana, in forma di Maria Regina, si trova in posizione stante sull'altro lato dell'Agnello, con un libro e con un vessillo imperiale con le chiavi del Regno dei cieli che Cristo consegnò a Pietro: il vessillo è inequivocabilmente imperiale, poiché richiama quello che S. Pietro consegnava a Carlo Magno nel mosaico del triclinio Lateranense ma, arricchito delle chiavi, simboleggia il papato. Sebbene la scena non ritragga esattamente l'Ecclesia come sposa, il concentrarsi di Innocenzo sulle nozze del p. con l'Ecclesia implica l'intenzione di esprimere che la sua unione con la Chiesa costituiva il tema iconografico fondamentale. Onorio Augustodunense, teologo del sec. 12°, aveva già affermato che l'Ecclesia Romana recava al p. una ricca dote; ampliando l'argomentazione, Innocenzo asseriva (Sermones de diversis, II; PL, CCXVII, col. 658) che le nozze spirituali con la Chiesa portano al p. la dote di una plenitudo potestatis che lo colloca in una posizione intermedia tra Dio e l'uomo: distante da Dio, ma più che non solamente uomo; nelle sue nozze con l'Ecclesia Innocenzo assumeva sia la dignità sacerdotale sia il potere regale di Cristo, oltrepassando quindi la sovranità dell'imperatore.Gregorio IX (1227-1241) ingaggiò una battaglia senza compromessi con l'imperatore Federico II (1220-1250), "la bestia dell'Apocalisse" (Kantorowicz, 1927-1931). Per esprimere la propria ideologia nella basilica vaticana, il p. scelse, invece del tradizionale mosaico absidale, il mosaico di facciata (Ciacconio, Vitae; Roma, BAV, Vat. lat. 5407, c. 25r; Arch. S. Pietro, A.64 ter, c. 10r; Gandolfo, 1989): inginocchiato alla destra di Cristo in trono, Gregorio si individua nella raffigurazione grazie alla presenza del nome. Giacomo Grimaldi, osservando nel sec. 17° il mosaico sgretolato, credeva che Gregorio fosse nell'atto di offrire a Cristo dell'oro posto su un cuscino, rito presente nelle cerimonie d'incoronazione imperiale in quanto offerta dell'imperatore al pontefice come segno di sottomissione a Cristo; alcuni studiosi (Gandolfo, 1989, p. 133) hanno ritenuto che Gregorio IX stesse invece partecipando alla cerimonia feudale dell'atto di vassallaggio, nella quale il vassallo pone le proprie mani in quelle del suo signore; in entrambi i casi il p. si mostra unico e diretto delegato di Cristo in terra.Innocenzo IV (1243-1254) ereditò questa visione teocratica e un imponente apparato burocratico e legislativo a sostegno. I conflitti con Federico II e con il senato lo tennero lontano da Roma per gran parte del suo pontificato, ma il ciclo di affreschi di soggetto costantiniano nell'oratorio di S. Silvestro ai Ss. Quattro Coronati rivela visivamente la sua ideologia (Iacobini, 1991). In quanto pertinenti alla cappella privata di Stefano Conti (m. nel 1254), vicario di Innocenzo IV, gli affreschi recano l'imprimatur del p., giacché il ciclo pittorico non fa solo riferimento alla sua autorità teorica, ma funge anche da parabola emblematica della situazione dei rapporti tra p. e imperatore all'epoca, poiché narra la malattia di Costantino prima della guarigione miracolosa e della conversione, enfatizzando il momento in cui l'imperatore svolge il ruolo di strator e affermando simbolicamente che era necessario indurre Federico II a recedere dalle proprie posizioni e a dimostrare obbedienza al papa.Nel tentativo di consolidare posizioni politiche e militari, i p. della seconda metà del sec. 13° commissionarono opere artistiche di contenuto religioso e ideologico sempre più splendide. Niccolò III (1277-1280), della famiglia degli Orsini (v.), concentrò il proprio interesse sui complessi del Vaticano, del Laterano, su S. Paolo f.l.m. e sul Campidoglio; restaurò in modo straordinario il Sancta Sanctorum nel palazzo Lateranense (Tomei, 1991), dove egli stesso è rappresentato in ginocchio nell'atto di presentare a Cristo il modellino dell'edificio, ma l'altezza della sua tiara lo pone al livello dei ss. Pietro e Paolo.Dopo l'abdicazione di Celestino V (1294) divenne p. Bonifacio VIII (v.), intelligente ed esperto di diritto canonico, che governò con vigore la Chiesa e inaugurò il grande giubileo del 1300. Dopo due soli anni di pontificato commissionò ad Arnolfo di Cambio (v.) il proprio sepolcro, una delle numerose opere d'arte che lo mostrano nella sua alta tiara ad archi, per es. il busto nella sala di S. Giovanni, nei palazzi apostolici vaticani (D'Achille, 1991). La sua decisa affermazione dell'autorità papale lo fece entrare in rotta di collisione con la nascente monarchia francese, fino alla sua ignominiosa cattura ad Anagni.Impossibilitati a restare a Roma e sotto l'influenza francese, i p. dal 1309 al 1377 stabilirono la loro residenza ad Avignone, enclave nominalmente indipendente dalla Francia, dove venne eretto un grande palazzo fortificato. Giovanni XXII (1316-1334) tentò di ripristinare l'indipendenza del papato, senza molto successo. Caterina da Siena (1347-1380) lottò incessantemente per il ritorno a Roma del papato, che avvenne nel 1377 dando però inizio al Grande scisma, durato fino al 1417.
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Nell'età medievale le fonti più importanti relative in generale all'abbigliamento e alle insegne papali, oltre a quelle iconografiche, sono a livello testuale principalmente regesti pontifici, Ordines liturgici, informazioni derivanti da autori quali Rabano Mauro (m. nell'856), Valafrido Strabone (m. nell'849), Giovanni di Avranches (m. nel 1079), Sicardo da Cremona (m. nel 1215), Guglielmo Durando (v.).Nell'iconografia dei p. l'insegna che più delle altre può rendere riconoscibile la figura del pontefice è il suo copricapo, la tiara, nelle varie fasi del suo sviluppo tipologico, accanto a elementi legati invece all'abbigliamento del vescovo di Roma, dalmatica, fanone e pallio (v. Abbigliamento Liturgico), nonché sandali, guanti e anello. La dalmatica, veste liturgica dei diaconi, come privilegio vescovile e dunque anche papale poteva essere indossata sotto la casula ed era caratterizzata nelle immagini dei p. altomedievali dalla presenza di clavi di colore rosso; sotto la dalmatica i p. potevano portare la tunicella (veste suddiaconale), di taglio simile all'alba, che tuttavia era per lo più bianca. Il fanone era un panno liturgico di varie forme o messo in varie posizioni o anche le due strisce di stoffa che pendono dalla mitra. Il pallio, inizialmente insegna esclusivamente papale, simboleggiava la pienezza della funzione vescovile del p. (sin dal sec. 12°) e faceva da pendant alla tiara, espressione invece del suo potere temporale; aggiunto agli ornamenti pontifici nel sec. 5° o al più tardi nel 6°, derivava dal pallio degli imperatori e degli alti funzionari imperiali bizantini e compare raffigurato dal 7°: nella prima forma era una lunga striscia bianca chiusa, che si faceva passare intorno al collo, con pendente anteriore e posteriore, liberamente poggiata sulle spalle - per es. nell'immagine di Pasquale I (817-824) di S. Prassede -, mentre nel sec. 12° venne indossata con cura della simmetria e poteva avere forma a Y, come nell'immagine di Innocenzo II (1130-1143) nel mosaico absidale di S. Maria in Trastevere; dal primo terzo del sec. 13° i p. cominciarono a portare il pallio sotto le spalle, al punto che la sua parte orizzontale si trovò situata in posizione rettilinea sul petto, assumendo una forma a tau, come nella statua giacente di Onorio IV (1285-1287) del suo monumento funebre in S. Maria in Aracoeli. Rimasto sempre ornamento esclusivamente liturgico, da indossare in occasione degli uffici solenni e delle processioni, sino al sec. 11° era il solo segno che indicava l'alto rango del pontefice. Il p. aveva inoltre il diritto di portare il manto rosso grazie al Constitutum Constantini, in quanto l'imperatore avrebbe donato a p. Silvestro I, fra gli imperii insignia, la clamide purpurea, oltre al frygium, la cui consegna si osserva per es. in una scena affrescata alla metà del Duecento nell'oratorio di S. Silvestro ai Ss. Quattro Coronati a Roma.La tiara è un copricapo più o meno conico, a terminazione appuntita o arrotondata. Il termine thyara (thiara, tiara) ricorre a Roma dal 1099 e, se prevalse nel sec. 12° per la sua forte risonanza veterotestamentaria, solo agli inizi del 14° cominciò a indicare correntemente il triregnum pontificio. Il termine naturalmente non coincide in maniera fissa con un manufatto stabilmente definito nelle sue forme: la tiara rientrava nella famiglia delle mitre e indicava inizialmente la mitra particolare del sovrano pontefice. Nell'Alto Medioevo e sino alla seconda metà del sec. 12° il termine corrente per indicare il copricapo del p. rimase infatti frygium, ma tra i secc. 8° e 14° vennero utilizzati anche i termini regnum - soprattutto dal 12° in poi, per esprimere la superiorità della mitra papale rispetto a quelle episcopali - e corona, per la prima volta agli inizi del sec. 12° (Vita Paschalis II; Lib. Pont., II, 1892, p. 296). Sembra che in origine, si potrebbe supporre dal sec. 4°, i p. indossassero sia una tiara bassa e morbida sia l'antica mitra levitica che nascondeva una calotta, trattenuta sulla fronte da un circulus, ma occorre attendere gli inizi del sec. 10° perché l'iconografia papale fornisca una testimonianza dell'uso di un copricapo distintivo, già citato due secoli prima in relazione a p. Costantino (708-715; Vita Constantini; Lib. Pont., I, 1886, p. 390) e chiamato, con un termine traslato dalla sfera imperiale a quella ecclesiastica, camelaucum o kameláukion (Piltz, 1977).La tiara assunse nel tempo forma alta e rigida, analoga a quella dei grandi sacerdoti veterotestamentari, ma, sino al momento in cui non si stabilì con precisione la distinzione fra tiara papale e mitra vescovile, le due tradizioni tipologiche convissero confusamente - né le fonti distinguono in genere fra mitra e tiara - finché non si impose la mitra bicornis, che i p. adottarono come copricapo liturgico cominciando a utilizzare invece la tiara tradizionale come copricapo ufficiale e segno di sovranità. La mitra bicornis appare frequente per es. in miniature dell'Italia meridionale, specie del sec. 12°; nel Liber ad honorem Augusti di Pietro da Eboli (Berna, Burgerbibl., 120, II, cc. 105r, 128r) compare anche, in libere combinazioni, con la tiara in forme ibride. Non è possibile stabilire il momento preciso nel quale si formulò la differenziazione fra uso liturgico della mitra e non liturgico della tiara; essa appare tuttavia compiuta al tempo di Innocenzo III (1198-1216), rector omnium fidelium e pater regum, Pontifex maximus e summus sacerdos, nella distinzione tra regnum - ovvero la tiara come signum imperii, copricapo trionfale, dunque espressione della plenitudo potestatis del p. e della sua posizione egemone nel mondo terreno - e mitra, come signum sacerdotii o pontificii, ovvero copricapo liturgico (Sermones de diversis, III, PL, CCXVII, col. 665; Sermones de sanctis, VII, ivi, col. 481). A partire dal pontificato di Innocenzo III l'uso della mitra bicornis e, successivamente, della mitra biplana - caratterizzata dallo spostamento dei 'corni' dai lati alla fronte e alla nuca - divenne canonico nella liturgia pontificale, anche se la differenziazione fra tiara e mitra non comportò comunque la piena secolarizzazione del carattere simbolico della tiara.La tiara papale a partire dall'età gregoriana presenta un fregio a diadema lungo il bordo inferiore, come mostra la figura di un pontefice in trono nell'Exultet Barberini (Roma, BAV, Barb. lat. 592); successivamente, trasformata in regalia, acquisì caratteristiche da corona regia, come nell'esempio del sepolcro di Gregorio X (1271-1276) nella cattedrale di Arezzo, per essere poi ulteriormente arricchita con una corona incastonata alla base, come si osserva nell'affresco del Sancta Sanctorum, dove Niccolò III (1277-1280) offre a Cristo il modellino della cappella, indossando una tiara dall'alto corpo bianco e decorato a meandri, sormontato da un apice, e ornato da un anello con raggi terminanti ciascuno in una perla. Questo modello venne utilizzato fino al pontificato di Bonifacio VIII (1294-1303), quando la tiara - anche di grandi dimensioni, come appare nella statua onoraria del pontefice proveniente dalla facciata del duomo di Firenze (Mus. dell'Opera di S. Maria del Fiore) - poteva essere ornata da pietre preziose e grossi cabochons e da una punta sommitale che fungeva da base a un enorme apice floreale, assumendo inoltre la forma che prevedeva sul corpo due corone tra loro dissimili, anche nella combinazione di diadema e due corone.Le tiare attestano una grande varietà di modelli, specie nel Duecento, per es. con decorazione 'a graticcio', come mostra l'immagine di Innocenzo III nel frammento di mosaico proveniente dall'antica S. Pietro (Roma, Mus. di Roma e Gall. Com. d'Arte Moderna), o con altri motivi ornamentali, quali per es. le piume di pavone riconoscibili in una figura di Innocenzo III (Roma, Arch. Segreto Vaticano, Reg. Vat. 5, c. 49r); più piccola e gonfia appare la tiara di Gregorio IX (1227-1241) nel mosaico proveniente dalla facciata dell'antica S. Pietro (Roma, Mus. di Roma e Gall. Com. d'Arte Moderna).Nell'età avignonese, ovvero nel corso del Trecento, si diffuse l'uso della tiara circondata da tre corone, il triregnum, collocate a distanza regolare e tra loro analoghe; a partire dal sec. 14° il p. poteva portare un berretto strettamente aderente al capo, definito camaurum, che compare nell'ambito della curia per es. nella tomba di Clemente VI (1342-1352) nella chiesa abbaziale di La Chaise-Dieu in Alvernia.I colori del p. erano, durante tutte le fasi della cerimonia d'incoronazione ovvero del suo rito di insediamento, il bianco e il rosso.La fonte principale per lo studio dell'attività di committenza artistica dei p. è il Liber Pontificalis, che costituisce una raccolta di biografie dei pontefici, composte in tempi diversi da autori diversi, da s. Pietro (42-67) ad Adriano II (867-872) - redatta sulla base di fonti precedenti - e fino a Martino V (1417-1431). Strumento ufficioso della propaganda pontificia, oltre alle varie notizie relative al singolo p. e al suo pontificato, comprende molte informazioni sull'attività edilizia, sia come iniziative sia come restauri, e sulle donazioni alle chiese, fornendo dunque un repertorio delle suppellettili e degli arredi liturgici forniti dai p. agli edifici religiosi, compilato grazie alla consultazione di carte di fondazione e di dotazione, di inventari e libri contabili e della documentazione epigrafica accessibile all'epoca della redazione (per es. tituli, iscrizioni dedicatorie).
Bibl.:
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