parlamento
I rappresentanti del popolo
Il parlamento è una delle istituzioni più importanti dei sistemi politici democratici contemporanei. Eletto in genere a suffragio universale e dotato del potere di fare le leggi, esso è l’espressione più significativa della sovranità popolare e rappresenta la volontà di una comunità politica nelle sue diverse articolazioni. I parlamenti hanno una lunga storia, che inizia nell’Europa medievale. Nella loro attuale configurazione, essi sono il frutto delle grandi trasformazioni prodotte dapprima dalle rivoluzioni americana e francese e poi dal pieno avvento della democrazia, del suffragio universale e dei partiti politici di massa
Il parlamento è un’istituzione fondamentale nei sistemi democratici (democrazia) contemporanei. Esso è un organo assembleare, di carattere per lo più elettivo, che svolge tre funzioni essenziali: rappresenta la volontà sovrana del popolo, espressa in libere elezioni; esercita il potere legislativo; controlla in modo continuativo l’operato del governo.
A differenza di quanto avviene nei regimi di tipo presidenziale (per esempio, negli Stati Uniti), nei regimi di tipo parlamentare (per esempio, in Gran Bretagna o in Italia) il parlamento ha un’ulteriore e cruciale prerogativa: quella di sostenere il governo con la propria fiducia. In tali regimi il governo è espressione del parlamento, vale a dire della sua maggioranza, ed è sempre ‘responsabile’ delle proprie azioni di fronte a esso. Il governo, in altre parole, nasce e muore in parlamento.
I parlamenti contemporanei hanno struttura e funzioni molto diverse. Essenziali per il funzionamento dei sistemi democratici, essi sono presenti, in forme differenti e con poteri di gran lunga inferiori, se non del tutto di facciata, anche nei sistemi non democratici.
Nella maggior parte dei casi – ma con l’importante eccezione del Parlamento britannico, che è il frutto di un’evoluzione storica di più lunga durata – i parlamenti contemporanei hanno assunto il loro attuale profilo nel corso degli ultimi due secoli, a partire dall’epoca delle rivoluzioni americana e francese. La storia delle istituzioni ‘parlamentari’, tuttavia, è molto più antica.
I primi parlamenti sorsero nell’Europa medievale. Con ogni probabilità essi furono il frutto di una lenta trasformazione dei Consilia regis («Consigli del re»), cioè di quegli organi che in età feudale affiancavano il sovrano nel governo degli affari pubblici. Tali organi, di regola ristretti, erano composti da grandi feudatari laici ed ecclesiastici. Nel quadro di una società dominata da forti poteri locali, essi contribuivano a imprimere un indirizzo il più possibile comune al governo di ampie unità territoriali.
Tra il 12° e il 14°-15° secolo i Consilia regis si aprirono all’intervento dei rappresentanti delle città, le quali avevano iniziato ad acquisire un crescente ruolo economico. In questo processo di allargamento, essi assunsero una crescente autonomia. Si trasformarono, cioè, in più ampie assemblee (le Cortes spagnole, il Parlamento inglese, gli Stati generali francesi) tese a controllare e limitare il potere del re e a difendere i propri interessi e privilegi. In una società strutturata per ceti (classi e ceti sociali), tali assemblee rappresentavano i tre ordini della nobiltà, del clero e della borghesia cittadina.
Tra il 16° e il 18° secolo la nascita dello Stato moderno e il suo consolidamento intorno alle strutture della monarchia assoluta misero in crisi i parlamenti medievali, privandoli, con poche eccezioni, del potere che essi avevano acquisito nei secoli precedenti. Questo processo si svolse con modalità e ritmi diversi da paese a paese. In linea generale, tuttavia, i parlamenti conobbero un forte declino a fronte di monarchie ormai in grado di provvedere da sé alla difesa militare del paese, alla sua amministrazione e all’imposizione di tasse alla popolazione. Tipico, in questo senso, fu il caso della Francia, nella quale gli Stati generali – da non confondersi con i parlamenti, che all’epoca erano piuttosto assemblee giudiziarie dotate in alcuni casi di importanti poteri politici – non vennero più convocati per quasi due secoli, dal 1614 al 1789. L’unica rilevante eccezione fu quella del Parlamento inglese, già strutturato nel 13° secolo nelle due Camere dei lord e dei Comuni. Esso infatti, nel corso del Seicento, attraverso due rivoluzioni, riuscì a imporsi sul potere regio, dando vita al modello di una monarchia limitata e costituzionale, che doveva poi trasformarsi senza ulteriori rotture in una vera e propria monarchia parlamentare.
Fatta eccezione per l’Inghilterra, la rinascita delle istituzioni parlamentari alla fine del 18° secolo fu un prodotto della Rivoluzione americana e della Rivoluzione francese e delle profonde trasformazioni sociali e politiche (liberalismo) di cui esse furono espressione, in primo luogo dell’affermazione del principio della sovranità popolare. In questo quadro i parlamenti tornarono a giocare un ruolo decisivo, ma con strutture e funzioni molto diverse da quelle che avevano caratterizzato i parlamenti medievali.
Particolarmente significativo fu il caso del Parlamento americano, il Congresso, diviso in due assemblee, la Camera dei rappresentanti e il Senato. Completamente estraneo, per le peculiarità dello sviluppo americano, a qualsiasi articolazione di ceto, e quindi sostanzialmente omogeneo, esso divenne parte essenziale di un’originale costituzione politica di tipo presidenziale e nel contempo federale.
Ancor più significativa fu l’esperienza francese. Qui la crisi dell’assolutismo e dell’antico regime rese evidente anche la crisi del vecchio modello per ceti degli Stati generali i quali, convocati nel 1789, si trasformarono in una moderna assemblea parlamentare fondata su dinamiche di classe e di partito e sul principio individualistico «una testa, un voto». Il tutto, come già in America, nel quadro di un ampio allargamento della partecipazione popolare ai processi di formazione della volontà politica.
Nel corso del 19° secolo i parlamenti acquisirono gradualmente, in vari paesi europei, molte delle loro attuali prerogative. Essi divennero il cuore della volontà politica della nazione, estendendo la propria influenza sui meccanismi del governo con la trasformazione delle monarchie costituzionali in monarchie parlamentari: in sistemi politici, cioè, in cui il governo, non più incarnato dal sovrano, ma da uno specifico gabinetto ministeriale guidato da un premier o primo ministro, era responsabile del proprio operato di fronte al parlamento e dipendeva dalla sua fiducia. In virtù di queste importanti trasformazioni il 19° secolo è stato, senza dubbio, il secolo d’oro del parlamentarismo.
Fu l’avvento generalizzato della democrazia, del suffragio universale e dei partiti di massa a conferire ai parlamenti contemporanei, tra 19° e 20° secolo, il loro definitivo profilo. Questo processo ha trasformato i parlamenti, in cui prima sedevano uomini politici indipendenti eletti a suffragio ristretto, in assemblee dominate da politici di professione al servizio di grandi partiti organizzati capaci di dominare le moderne elezioni di massa e di orientare la volontà popolare. In tal modo, i parlamenti hanno perduto in modo crescente la propria centralità in quanto sedi effettive di formazione della volontà politica a vantaggio delle segreterie dei partiti e dei loro leader.
Un analogo processo di marginalizzazione dei parlamenti si è compiuto, nel corso ulteriore del Novecento, per effetto della pressione crescente e diretta esercitata sul governo dalle grandi organizzazioni sindacali e dalle grandi forze economiche e imprenditoriali (il cosiddetto neocorporativismo, cioè l’esistenza di grandi gruppi o corporazioni che influenzano le decisioni del parlamento). In questo duplice quadro molti parlano di una vera e propria crisi del parlamentarismo.
Nonostante questa relativa perdita di centralità, i parlamenti rimangono parte essenziale dei sistemi politici contemporanei. Essi esercitano infatti, come si è già detto, funzioni fondamentali e insostituibili di rappresentanza, di produzione legislativa, di controllo del governo e, nel caso dei sistemi parlamentari, di legittimazione del governo stesso.
La loro struttura muta sensibilmente da paese a paese in relazione a diversi fattori esterni, tra cui hanno particolare rilievo il sistema elettorale (elezioni) e la configurazione del sistema dei partiti (monopartitismo, bipartitismo, multipartitismo).
Per ciò che riguarda la struttura più propriamente interna dei parlamenti, essi si distinguono in monocamerali (una sola Camera) e bicamerali (due Camere). Questi ultimi, che sono più diffusi, rispondono all’esigenza di una più salda separazione dei poteri e al bisogno di controbilanciare le tendenze politiche della prima Camera con una seconda Camera più ristretta, oppure eletta secondo diversi criteri, oppure ancora – come avviene di regola negli Stati federali (come gli Stati Uniti) – formata su base territoriale, per rispondere alle esigenze delle singole unità politiche federate.
L’organizzazione delle assemblee parlamentari ha raggiunto un grado elevato di articolazione. Accanto all’istituto della presidenza, le principali articolazioni dei parlamenti contemporanei sono date per un verso dalle commissioni parlamentari (per lo più specializzate in determinate materie – il bilancio, la politica estera, e così via – che vengono preliminarmente trattate prima di giungere in aula) e per un altro verso dai gruppi parlamentari (sostanzialmente espressione dei partiti, schierati con la maggioranza o all’opposizione), la cui condotta è fissata da complessi regolamenti parlamentari.
Il Parlamento italiano è sorto nel 1861 sul modello del parlamento istituito nel 1848, nel Regno di Piemonte e Sardegna, dallo Statuto albertino. Da allora e fino al 1939, quando il fascismo lo abolì sostituendolo con la Camera dei fasci e delle corporazioni, esso ebbe una struttura bicamerale, con un Senato di nomina regia e una Camera dei deputati eletta dapprima a suffragio ristretto e poi, a partire dal 1913-18, a suffragio universale maschile. Formalmente inquadrato in un sistema politico di tipo costituzionale, in cui cioè il governo è responsabile del proprio operato soltanto di fronte al sovrano, di fatto il Parlamento italiano fu investito di importanti poteri di indirizzo e di legittimazione del governo per tutta l’epoca liberale.
Dopo la caduta del fascismo e la Seconda guerra mondiale, la Costituzione repubblicana (1948) ha istituito un regime pienamente e compiutamente parlamentare, fondato cioè su un rapporto di fiducia e responsabilità tra governo e Parlamento. In tale regime il Parlamento è bicamerale ed entrambe le Camere – la Camera dei deputati e il Senato – sono elette a suffragio universale maschile e femminile. Soprattutto sul tema della seconda Camera, l’attuale ordinamento del Parlamento italiano è diventato oggetto di un ampio dibattito costituzionale nella prospettiva della costruzione di uno Stato federale.