Rivoluzione americana
La nascita degli Stati Uniti d’America
La Rivoluzione americana è stata la prima delle due grandi rivoluzioni politiche e istituzionali di fine Settecento. Precedette di poco la Rivoluzione francese. Il suo scopo essenziale fu il conseguimento dell’indipendenza dalla Gran Bretagna da parte delle tredici colonie inglesi nell’America Settentrionale che diedero vita agli Stati Uniti. A differenza della Rivoluzione francese, che sconvolse in maniera profonda tutti gli assetti della società, quella americana fu essenzialmente nazionale e istituzionale
Le colonie inglesi d’America, collocate lungo la costa atlantica, costituivano il fiore all’occhiello dell’Impero britannico. Nella seconda metà del Settecento erano divise in tre grandi aree dai caratteri relativamen-te distinti. L’area settentrionale era popolata in prevalenza da immigrati di origine inglese e puritani (puritanesimo). L’agricoltura era fiorente e la terra era in gran parte nelle mani di piccoli e medi proprietari. La pesca aveva un ruolo importante e il commercio era sviluppato. Anche nelle colonie dell’area centrale prosperava l’agricoltura, ma il ceto dominante era costituito da agiati commercianti. Assai alta era la componente della popolazione venuta dalla Germania e dall’Olanda. Qui era forte il senso della tolleranza religiosa, data la molteplicità delle sette protestanti.
L’area meridionale aveva caratteristiche che la rendevano profondamente diversa dalle altre regioni. I centri urbani erano poco sviluppati e l’economia riceveva la sua impronta dalle grandi piantagioni, proprietà di un ceto di aristocrazia agraria di bianchi che si avvaleva del lavoro di schiavi neri. La Chiesa dominante era quella anglicana (anglicanesimo). Le colonie, in rapido sviluppo, erano meta di un costante flusso di immigranti europei in cerca di migliori condizioni di vita. Nel suo complesso la popolazione, agli inizi del Settecento intorno a 1.700.000 abitanti, alla fine del secolo ammontava a circa 4 milioni, di cui per un decimo neri. Nelle colonie l’istruzione primaria era assai diffusa e molto superiore alla media europea.
Nella grande guerra dei Sette anni (1756-63) che aveva opposto la Gran Bretagna alla Francia, i coloni inglesi avevano attivamente sostenuto la loro madrepatria. L’esito del conflitto, conclusosi con la totale vittoria dei Britannici, era stato tale da liberare le colonie dalla minaccia francese. I coloni, che godevano di proprie assemblee rappresentative (pur sottoposte al controllo della corona), di notevoli libertà e di una classe dirigente di prim’ordine, sopportavano sempre meno il loro status di sudditi e aspiravano a una condizione di parità con i cittadini inglesi e ad avere una propria rappresentanza nel Parlamento di Londra.
Il governo inglese, che si sentiva rafforzato dalla recente vittoria sulla Francia, intese invece ribadire il vincolo coloniale. Tra il 1763 e il 1765 vennero inasprite le tasse nelle colonie e fu resa permanente la presenza di un esercito di 10 mila uomini. Una legge sul bollo (Stamp act), introdotta nel 1765, venne sentita come una vera prevaricazione. Il brillante avvocato della Virginia Patrick Henry espresse il generale malcontento sostenendo che non si era tenuti a ottemperare a leggi imposte da un Parlamento in cui non si era rappresentati. L’aspirazione generale dei coloni americani non era dunque l’indipendenza nazionale, ma la piena partecipazione alla cittadinanza inglese. Il governo inglese, però, non fece alcuna concessione e scelse una politica di forza.
La risposta dei coloni fu a sua volta improntata all’intransigenza. Ebbero inizio manifestazioni di piazza, venne messo in atto il boicottaggio delle merci inglesi, si costituirono organizzazioni illegali che si denominarono Figli della libertà. Alla violenza si giunse quando il 5 marzo 1770 i soldati inglesi uccisero cinque persone a Boston. Nel 1773 fu imposta una nuova legge sul tè che ledeva gli interessi di commercianti e consumatori (Tea act), e sempre a Boston un gruppo di coloni radicali travestiti da Pellirosse diede l’assalto a tre navi inglesi gettandone a mare il carico.
Una vera e propria svolta fu determinata da quelle che gli Americani giudicarono «leggi intollerabili» ovvero i Coercitive acts, con i quali il Parlamento inglese aboliva le libertà locali e accentrava tutto il potere nelle mani delle autorità politiche e militari inglesi. La reazione dei coloni fu la convocazione a Filadelfia nel settembre 1774 del primo Congresso continentale, formato da 56 delegati, che proclamò nulli i Coercitive acts, impose il boicottaggio generalizzato contro le merci inglesi e formulò una dichiarazione dei diritti dei coloni. Dopo che nell’aprile 1775 le truppe inglesi si furono scontrate a Lexington, nel Massachusetts, con gruppi ribelli, il 10 maggio il Congresso continentale organizzò la resistenza. A questo punto la rivoluzione nel 1773 si trasformò in ribellione armata.
Non erano ancora del tutto spente le speranze di conciliazione con la Gran Bretagna, ma cresceva sempre più il numero di coloro i quali non volevano più la parità con i cittadini inglesi ma l’indipendenza dalla Gran Bretagna.
Il comando dell’esercito americano fu affidato a un ricco coltivatore della Virginia, con esperienze militari, George Washington. Il 17 giugno 1775 le truppe americane e inglesi si scontrarono nella battaglia di Bunker Hill (persa dai coloni), e in dicembre il re Giorgio III fece proclamare ribelli gli Americani.
La ribellione era ormai divenuta rivoluzione e guerra di liberazione nazionale. Un immenso successo e consenso ottenne un pamphlet dell’immigrato inglese Tom Paine, intitolato Senso comune, nel quale si denunciava la monarchia inglese come tirannica, si glorificava l’ideale repubblicano e si chiamavano gli Americani a lottare per la loro indipendenza.
La rescissione formale dei rapporti con l’Inghilterra avvenne nel 1776. In aprile il Congresso continentale invitò ciascuna delle ex colonie a costituire propri governi; successivamente, il 4 luglio, esso approvò la Dichiarazione di indipendenza redatta dal virginiano Thomas Jefferson, in cui veniva solennemente giustificata la rottura definitiva con la Gran Bretagna, si sanciva la forma repubblicana del nuovo paese, si affermava che ogni individuo aveva per natura il diritto alla libertà e alla felicità, si proclamava il principio che i governi dovevano poggiare sul consenso dei governati e, secondo una concezione liberale e borghese della politica e dei rapporti sociali, si cancellava la nobiltà di sangue. La grande maggioranza degli ex coloni approvò la dichiarazione, ma una minoranza rimase fedele alla Gran Bretagna e prese le armi al suo fianco.
La rivoluzione americana sollevò grande entusiasmo in Europa e numerosi volontari vennero ad arruolarsi nelle file dell’esercito americano, come il nobile francese Marie-Joseph marchese di La Fayette e il patriota polacco Tadeusz Kosciuszko. Dopo gravi difficoltà dovute alla superiore efficienza delle truppe inglesi, l’esercito americano ottenne una vittoria importante a Saratoga Springs nell’ottobre 1777. Le condizioni della vittoria finale furono però create dall’intervento nel conflitto a fianco degli Americani della Francia nel febbraio 1778, della Spagna nel 1779 e dell’Olanda nel 1780. Determinante fu in particolare l’aiuto dei Francesi, desiderosi di vendicarsi della sconfitta subita nel 1763.
La guerra si concluse di fatto nell’ottobre 1781, in seguito alla grande vittoria conseguita dalle truppe franco-americane a Yorktown, in Virginia, dove il generale inglese Charles Cornwallis fu costretto alla resa. La pace, favorita nell’aprile 1782 da un voto del Parlamento britannico contrario al proseguimento della guerra, venne firmata (a Parigi con le ex colonie e a Versailles con gli Stati europei intervenuti) il 3 settembre 1783. In base a essa la Gran Bretagna riconobbe l’indipendenza delle ex colonie costituitesi negli Stati Uniti d’America.