Parma
Per Federico II "Parma fuit causa totius ruine": così Salimbene de Adam introduce nella sua Chronica (1966, p. 499) il ruolo da ultimo rivestito dalla città nel conflitto fra l'Impero svevo e i comuni della seconda Lega lombarda. Se l'enfasi dell'affermazione è in parte imputabile a una sorta di campanilismo che spinse il francescano a evidenziare la funzione giocata dalla sua città, è indubbio che la ribellione di Parma del giugno 1247 mise in crisi lo scacchiere ghibellino della Lombardia. Assieme a Cremona e Modena, infatti, la città aveva fino a quel momento costituito il nucleo del fronte imperiale, affiancando l'imperatore nel corso del ventennio di lotte e tentativi diplomatici che dal rinnovo della Lega nel 1226 si erano susseguiti fino alla metà degli anni Quaranta.
La secessione di Parma dalla pars Imperii venne stimolata dall'azione diplomatica condotta da papa Innocenzo IV, eletto nel 1243. Il pontefice, rinnovando la gerarchia episcopale in Lombardia con l'immissione di elementi a lui fedeli, favorì la promozione di un fronte guelfo nelle città italiane, anche quelle filoghibelline, per isolare la fazione imperiale. Grazie a tramiti personali e solidarietà parentali, intrecciò relazioni con le famiglie fedeli all'imperatore, riuscendo a sgretolare le alleanze e creando le premesse di un vasto schieramento antisvevo nel cuore del sistema federiciano (v. Papato e comuni italiani).
Nel 1246 Bernardo Orlando Rossi, congiunto del papa e già confidente dell'imperatore, assieme ai Correggio, agli Enzola, ai Lupi e ai marchesi di Soragna abbandonò Parma e si rifugiò a Piacenza dove avrebbe ordito una congiura contro Federico assieme al podestà di Parma e ad altri pubblici ufficiali e amministratori legati da vincoli di lealtà alla casa sveva, come Guglielmo di Sanseverino e Giacomo di Morra, che aveva amministrato la Marca di Ancona. La congiura venne sventata prima di essere portata a termine, ma si configura come primo segnale di cedimento del fronte cittadino filoimperiale. Nel 1247 Reggio Emilia e Cremona conobbero una profonda spaccatura interna, come già Modena: a Reggio due famiglie del contado, i Roberti e i da Fogliano, furono punite da Enzo di Svevia per tradimento e una parte di loro si unì ai fuoriusciti parmensi, mentre a Cremona la secessione delle famiglie guelfe della pars Capelleta formalizzò una divisione che indeboliva l'alleata più fedele dell'imperatore. L'azione papale in Lombardia fu particolarmente efficace grazie all'opera di coordinamento politico-militare del legato Gregorio da Montelongo, attivo fra il 1238 e il 1248. Il passaggio di Parma alla causa papale è da imputare in buona parte alla sua abilità politica, e inflisse un duro colpo alla compagine imperiale nell'Italia padana: la città controllava, infatti, il passo della Cisa, dunque l'accesso alla Toscana e al Sud, e la pianura lombarda verso Milano.
Secondo Salimbene la ribellione di Parma fu organizzata dai fuoriusciti parmensi rifugiatisi a Piacenza. Guidati da Ugo di S. Vitale affrontarono a Borghetto di Taro l'esercito parmense comandato dal podestà imperiale, il pisano Enrico Testa, che perì sul campo. Occuparono poi Parma senza incontrare resistenza a causa dell'assenza di Enzo di Svevia, cui Federico aveva affidato la custodia della città, essendo impegnato in quel momento al castello di Quinzano. Appresa la notizia Enzo corse verso il Taro ‒ "non cantando inni guerreschi, aggiunse con una fine e significativa riflessione il Cronista, ma silenzioso e triste, come fanno i soldati quando cercano la salvezza con la fuga dalla guerra" (Gatto, 1995, p. 522) ‒ commettendo però l'errore tattico di non attaccare subito la città, ma aspettando di ricongiungersi alle truppe del padre. In aiuto di Parma accorsero allora i rinforzi della Lega, mentre da Milano giungeva Gregorio da Montelongo: all'arrivo di Federico, nel mese di luglio, era impossibile prendere Parma se non per fame. A Enzo fu affidato il compito di impedire l'accesso di truppe e rifornimenti in aiuto dei parmensi, mentre Federico, edificata tra Parma e Fidenza la città-accampamento dal nome augurale di Vittoria, si accinse all'assedio della città.
Gregorio da Montelongo svolse un ruolo fondamentale nei lunghi mesi dell'assedio, influendo con iniziative mirate sullo spirito dei parmensi, stremati, poiché il blocco dei rifornimenti si era rivelato assai efficace. È rimasto famoso uno stratagemma cui egli ricorse per risollevare gli animi e pacificare i dubbi dei cittadini. Parma attendeva con ansia l'arrivo del nuovo legato papale, Ottaviano Ubaldini, con i rinforzi promessi; durante un pranzo al quale partecipavano i maggiorenti della città irruppe d'improvviso un messaggero che recava importanti notizie. Furono lette alcune lettere che annunciavano l'arrivo dei rinforzi e la notizia fu divulgata rinvigorendo la resistenza cittadina: in realtà, come Salimbene seppe in seguito, le lettere erano opera del legato stesso.
L'assedio si sarebbe, peraltro, risolto di lì a poco. Il 18 febbraio 1248, infatti, approfittando di una momentanea assenza di Federico impegnato in una battuta di caccia col falco, i parmensi in una sortita attaccarono e distrussero Vittoria, trafugando il tesoro imperiale. La sconfitta di Parma segnò la fine delle grandi operazioni militari nell'Italia padana da parte di Federico e determinò il volgersi delle sorti del conflitto a favore della parte guelfa e della Santa Sede.
fonti e bibliografia
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